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Invitiamo coloro che hanno interesse a seguire la vicenda del Golfo del Messico, a visitare la pagina dedicata

30 Novembre 2010

SQUALI AL POSTO DEL PESCE SPADA
L’aveva in parte esposto nel bancone ed in parte conservato. Il tutto in una pescheria del Mercato Fandini, a Taranto. I tranci erano venduti al prezzo del pesce spada, così come indicato nel bancone, ma si trattava di uno squalo, esattamente lo smeriglio, detto anche vitello di mare. Squalo un tempo comune, specie nel mar Adriatico, ma le cui popolazioni sono oggi molto ridotte soprattutto per l’intensa pesca ad uso alimentare dove, spesso, viene spacciato per pesce spada o con il fuorviante nomignolo di "vitella di mare".
Ad accorgersene i militari della locale Capitaneria di Porto. La frode (reato per il quale è stato denunciato il venditore) era tanto palese dal momento in cui nella fattura di vendita era correttamente indicato il termine di pesce smeriglio. Il pesce spada, però, c’era davvero, sebbene in altro punto vendita e sempre in forma abusiva. Si trattava, infatti, di novellame di pesce spada, ovvero animali pescati illegalmente perchè sotto misura.
In collaborazione con il NAS dei Carabinieri, la Guardia Costiera di Taranto provvedeva, inoltre, al sequestro di ben cinque tonnellate di molluschi bivalvi (cozza nere) tenuti in pessimo stato di conservazione e senza alcun documento sulla rintracciabilità del pescato. Il sequestro ha riguardato due diverse ditte una delle quali utilizzava 1300 metri quadrati di terreno demaniale per le spedizioni dei molluschi. Ovviamente non aveva alcuna autorizzazione all’uso dei luoghi. Fonte: GeaPress.

29 Novembre 2010

VISIONI SOTTO IL MARE
In Indonesia premiate le foto sottomarine più belle del 2010. Dalla canocchia protettiva alla murena-mostro. La nascita del cavalluccio marino e il pesce scorpione. Sul National Geographic una selezione di foto delle sette categorie vincenti.
Vai alla Gallery del National Geographic.

Tartaruga marina intrappolata
Tartaruga impigliata in una rete nel Mare di Cortez. Fotografia di Ramón Domínguez, DEEP Indonesia/Barcroft/Fame Pictures. Fonte: National Geographic.

SI E' CHIUSA LA 17° RIUNIONE DELLA ICCAT
La 17a riunione speciale della Commissione internazionale per la Conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT) ha chiuso i suoi lavori a Parigi con successo su alcuni settori importanti e con margini di miglioramento in altri centrando molti obiettivi importanti, compresa l'adozione di misure per affrontare le catture accidentali di tartarughe marine in via di estinzione, le misure di conservazione per gli squali mako e una raccomandazione sui programmi degli osservatori scientifici.

Il provvedimento finale riduce la quota annua di pesca del tonno rosso del Mediterraneo da pescare da 13.500 tonnellate a 12.900 tonnellate e migliora il monitoraggio e il controllo della pesca attraverso nuovi obblighi di comunicazione,con istituzione di un programma di conformità più robusto. Sottostima e pesca illegale è un problema persistente in questo tipo di attività, anche se ci sono stati miglioramenti significativi negli ultimi anni.. Per l'Italia questo significherà una quota per il 2011 di circa 1788 tonnellate a fronte delle 1937.5 di quest'anno. Adesso la palla passa al ministero delle Politiche agricole di Giancarlo Galan – già intervenutto più volte sulla questione - che dovrà risolvere il problema di come affrontare la prossima campagna di pesca con una flotta di 29 unità, l'impegno con Bruxelles di ridurla a 9 unità entro il prossimo mese di gennaio ed una quota ulteriormente ridotta. Protesta, ovviamente, la Federpesca. La decisione Iccat di Parigi si traduce in una riduzione, rispetto al meeting di Recife del 2009, del 36 per cento. C'è da chiedersi, secondo Federcoopesca-Confcooperative - come possa continuare a chiamarsi "piano pluriennale di gestione" un documento che “ha subito da un anno all'altro continui cambiamenti, minandone qualunque credibilità ed affidabilità, quanto meno per le imprese, chiamate ogni anno a rivedere i propri piani”; basti pensare che l'italia, in poco più di 2 anni, ha dovuto varare ben tre piani di demolizione (l'ultimo la scorsa settimana), una moratoria e più di un anno di ammortizzatori sociali. I membri dell'ICCAT hanno adottato una proposta degli Stati Uniti, co-sponsorizzata da altri dieci Paesi, per ridurre l'impatto della pesca sulle tartarughe marine attraverso pratiche di pesca più responsabili. Le parti hanno inoltre convenuto di vietare la pesca dello squalo pinna bianca oceanico, una specie considerata molto vulnerabile. Anche quella agli squali martello sarà vietata, con una limitata eccezione per gli Stati costieri in via di sviluppo che usano questo squalo per i prodotti alimentari. Infine, le parti hanno concordato di sviluppare un migliore sistema per il tracciamento Del tonno rosso dell'Atlantico per combattere la pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata. Un sistema elettronico richiede una documentazione dettagliata del tonno rosso a partire dal punto di sbarco, e in seguito del prodotto attraverso il commercio internazionale. Fonte: Aqva.com.

IL PRIMO PIPISTRELLO PESCATORE SCOPERTO IN EUROPA
Per la prima volta un'équipe di scienziati europei è riuscita a riprendere un pipistrello che cattura un pesce. Si tratta del vespertilio dalle dita lunghe (Myotis capaccinii), un piccolo pipistrello lungo intorno ai 40 centimetri e del peso di meno di dieci grammi. Si pensava che si nutrisse solo di insetti, ma nel 2003 gli scienziati avevano scoperto nelle sue feci tracce di lische e scaglie di pesce.News integrale sul National Geographic.

A CACCIA DI BALENE IN EUROPA
Dove si catturano, uccidono e mangiano le balene in Europa? In Norvegia ed Islanda sicuramente; per quest’ultima vedremo cosa succederà in occasione della prossima entrata nell’Unione Europa. Vi è poi la Groenlandia e l’arcipelago delle isole Fær Øer. Europa? Sicuramente, visto che senza i contributi di alcuni governi europei le poche decine di migliaia di abitanti che abitano le gelide terre del nord avrebbero seri problemi ad andare avanti. Entrambe, poi, farebbero parte del Regno di Danimarca, forse, in autonomia, quasi. Eleggono rappresentanti nel parlamento danese, ma non sono da considerarsi danesi, e via contraddicendo.
Di sicuro, nelle isole Fær Øer, hanno ammazzato almeno 1100 balene pilota. Il tutto tra l’Islanda, la Scozia e la Norvegia. I danesi non europei li uccidono con un metodo che ricorda la mattanza dei delfini in Giappone. I gruppi di balene vengono captati in mare aperto ed indirizzati, con delle barche, all’interno di alcune baie. Qui i cetacei vengono arpionati per lo sfiatatoio e tirati a riva dove sono finiti con i coltelli.
Una tradizione ricca (di mercurio e sangue) che alimenta un uso alimentare che si basa, anche, sulla carne di balena. L’Europa in linea teorica potrebbe quantomeno intervenire, ma si è organizzata per non imporsi. Nelle Fær Øer, intanto, rimangono poche decine di migliaia di abitanti che stentano a mantenersi senza i continui aiuti danesi ma anche islandesi. Hanno un basso tasso di disoccupazione ma il vero motivo è che i giovani sono senza prospettive e vanno (indovinate dove?) in Danimarca! Il risultato è che per metà la popolazione dell’arcipelago delle Fær Øer è costituito da persone anziane.
Il governo locale smentisce il dato di 1100 balene pilota (secondo alcuni non meno di 1500) uccise. Se confermato, aumenterebbe addirittura la quota di 627 balene pilota annualmente cacciate fino all’anno scorso. In alternativa, però, il governo locale non fornisce alcun dato. Si dice che le cacce siano state ben documentate e pertanto meglio essere prudenti. I protezionisti della WSPA, intanto, confermano. Il tutto, se non proprio nel cuore, in una specie di Europa, semi autonoma a convenienza. Fonte: GeaPress.

TONNO IN TRAPPOLA
Apprendiamo, dolo la news del 24 novembre, che le confezioni esaminate dal Laboratorio AZTI-Tecnalia, sono 165, appartenenti a 50 marche diverse. Il tonno presente nelle scatolette che vengono vendute in Europa proviene dall’Oceano Pacifico oppure dall’Oceano Indiano. La più abbondante è il tonnetto striato (Katsuwonus pelamis), la cui popolazione non sembra essere in pericolo, mentre il discorso cambia per il tonno pinna gialla (Thunnus albacares) e il tonno obeso (Thunnus obesus), i cui stock presentano chiari segni di sovrasfruttamento.
Il rapporto "A scatola chiusaI risultati dei test genetici condotti su 165 scatolette di tonno", che mostra in prima pagina la foto di uno squalo balena catturato in una rete, boccia senza appello noti produttori italiani. Sono stati testati 5 prodotti (3 scatolette per ognuno) appartenenti ai marchi Riomare, Nostromo e MareAperto. Oltre a essere le aziende che occupano la fetta più importante del mercato italiano si trovano tutte nella fascia "rossa" della classifica Rompiscatole di Greenpeace.
Le scatolette Nostromo contengono diverse specie di tonno; Mare Aperto, oltre alla presenza di specie diverse, in lotti differenti dello stesso prodotto, distribuisce “accidentalmente” tonno obeso – specie che presenta segni di sovrasfruttamento. L’analisi su Riomare ha rivelato la presenza di specie diverse di tonno in scatolette provenienti dallo stesso lotto e addirittura di due specie diverse di tonno mescolate nella stessa lattina. Chissà se entrambe così tenere da tagliare con un grissino? Fonte: OggiScienza.

L'ORIGINE DLLO SQUALO BIANCO MEDITERRANEO
Un altro contributo sull'origine dello squalo bianco, dopo la news del 20 novembre 2010.

26 Novembre 2010

NON SOLO ARSENICO
In anteprima i risultati integrali di uno studio pubblicato su «Le Scienze» di dicembre in cui sono stati analizzati campioni di acqua di rubinetto prelevati in tutta Italia.

Le deroghe ai limiti imposti dalla normativa italiana per le acque potabili, un'anomalia finita nel mirino della Commissione Europea, che qualche giorno fa ha deciso di non concedere all'Italia la terza deroga per la concentrazione massima di arsenico nelle acque destinate al consumo, riguardano diversi elementi chimici in differenti regioni. In Campania sono stati innalzati i limiti per il fluoro, nel Lazio quelli per l'arsenico, per il fluoro, per il selenio e per il vanadio; in Lombardia e in Trentino-Alto Adige per l'arsenico; in Piemonte oltre alla soglia dell'arsenico è stata innalzata anche quella per l'azoto, in Sardegna quella del vanadio e in Toscana quella del boro e dell'arsenico. Ma davvero sappiamo che cosa beviamo?
In uno studio pubblicato su «Le Scienze» di dicembre (si veda l'articolo Acqua di casa nostra) sono stati analizzati campioni di acqua di rubinetto prelevati da 157 località suddivise per Regione, per un totale di 105 Province su 111, e rappresentativi dei consumi quotidiani degli italiani. I risultati hanno mostrato che la qualità delle nostre acque di rubinetto è abbastanza buona, a eccezione di alcune anomalie da approfondire. Potete trovare i risultati completi delle analisi di ciascun campione in questo file pdf.
Per farvi un'idea della qualità dell'acqua che esce dal vostro rubinetto o della vostra minerale preferita, potete confrontare le analisi dei due studi con le concentrazioni limite ammissibili per la legge italiana ed europea e i valori delle linee guida dell'Environment Protection Agency statunitense (EPA) e dell'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) per le acque minerali naturali e le acque potabili. Tutte le concentrazioni limite sono disponibili in questa tabella (file pdf).
Entrambi gli studi pubblicati su «Le Scienze» sono stati realizzati nell'ambito del progetto Atlante Europeo dell'EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group. Gli autori sono: Benedetto De Vivo, Annamaria Lima, Stefano Albanese e Lucia Giaccio del Dipartimento di scienze della Terra dell'Università «Federico II» di Napoli. Manfred Birke del Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe di Berlino. Domenico Cicchella del Dipartimento di studi geologici e ambientali dell'Università del Sannio, a Benevento. Enrico Dinelli del Dipartimento di scienze della Terra e geologico-ambientali, dell'Università di Bologna. Paolo Valera del Dipartimento di geoingegneria e tecnologie ambientali dell'Università di Cagliari. Fonte: LeScienze.

NUOVE SPECIE DALLA TASMANIA
HandfishesLa notizia risale a qualche mese fa, ma ne siamo venuti a conoscenza solo oggi. Nove nuove specie di pesci sono state scoperte dai tassonomisti Daniel Gledhill e Peter Last, del CSIRO Wealth from Oceans Flagship. Si tratta dei "pesci-mano" o "handfishes" (Brachionichthyidae), che vivono sedentari sui fondali. Sono in genere piccoli, dalla livrea appariscente, e preferiscono "camminare" piuttosto che nuotare. Il gruppo delle specie note ha poi subito anche una riorganizzazione tassonomica.
Si pensa che per 5 milioni di anni abbiano "camminato" sui fondali oceanici di tutto il mondo, ma ora sono confinati solo nelle acque circostanti la Tasmania e l'Australia del sud. Probabilmente la zona ha funzionato da rifugio per le specie oggi sopravvissute, che potrebbero essere annoverate tra le specie relitte.
Purtroppo le specie sono altamente vulnerabili e sensibilissime ai cambiamenti ambientali. Le nuove specie non hanno ancora dei nomi, e manca anche una descrizione completa a causa della rarità dei singoli esemplari. Foto by Andrew Maver. Fonte: CSIRO Australia (24 Maggio 2010). Nine new species for Tasmania's disappearing handfish family.

25 Novembre 2010

SCOPERTO IL VERME-SEPPIA
È stato trovato durante uno scandaglio della zona occidentale del profondo mare di Celebes, che è un bacino isolato dalle acque circostanti con una storia geologica unica e che conserva una straordinaria biodiversità. Il nome scientifico è Teuthidodrilus samae ma ormai tutti lo chiamano squidworm o vermeseppia.
Il mostriciattolo, che misura 94 millimetri, ha un’incredibile quantità di lunghe braccia che usa per muoversi e alcune propaggini, più lunghe del corpo, che si dipartono direttamente dalla testa. È del phylum degli anellidi, un grande gruppo di vermi segmentati a cui appartengono oltre 17.000 specie, e potrebbe essere una specie di transizione tra gli organismi che vivono sul fondali e quelli che nuotano liberamente.
Questi tipi di animali sono particolarmente interessanti per gli studi sull’evoluzione perché la loro capacità di adattarsi alle diverse profondità ci permette di capire quali sono le possibilità adattative e come agisce la pressione della selezione in condizioni così estreme.
La scoperta di nuovo genere è sempre emozionante e dimostra quanto ci sia ancora da scoprire e imparare degli abitanti delle profondità marine. La ricerca è stata pubblicata ieri su Biology Letters. Fonte: Oggi Scienza a cura di Simona Cerrato.

24 Novembre 2010

IL SEGRETO DELLA VELOCITA' DEGLI SQUALI
Piccoli denti flessibili, impercettibili a occhio nudo, disposti sulla superficie del corpo. È questo il segreto dell’idrodinamica (cr.) dello squalo mako, che gli consente virate rapide e precise. A suggerirlo è uno studio dei ricercatori delle Università della South Florida e dell’ Alabama (USA), presentato al Meeting Annuale dell’American Physical Society’s Division of Fluid Dynamics (DFD).
"Se si guardano da vicino, le superfici del corpo di alcuni animali non appaiono lisce, ma hanno degli specifici pattern che si ripetono" ha spiegato Amy Lang, a capo della ricerca. Analizzando la pelle dello squalo mako pinna corta (Isurus oxyrinchus), i ricercatori hanno osservato i minuscoli denti di 0.2 millimetri di altezza che ricoprono alcune zone del corpo dell’animale (denti ossei sull’epidermide sono caratteristici della maggior parte degli squali). Queste setole, più strette nella parte attaccata alla pelle, si trovano soprattutto nella zona dietro le branchie dello squalo e possono flettersi per angoli di 60 gradi e più. Secondo gli studiosi, la funzione dei denti sarebbe quindi legata ai cambi di direzione dello squalo mentre si muove in acqua.
Quando l’animale vira improvvisamente mentre si muove ad alta velocità, la resistenza idrodinamica (cr.) aumenta di colpo, rendendo difficile mantenere la velocità e la stabilità a causa dello sviluppo di alcuni fenomeni vorticosi. In fluidodinamica, l’evento è noto come "separazione di flusso". La flessibilità delle setole permetterebbe, però, di minimizzare queste resistenze, accompagnando il movimento. "Qualcosa di simile avviene per le palline da golf, che grazie alle numerose fossette riescono a volare più a lungo e più lontano" ha concluso Lang. Questi studi, come spiegano i fisici, potrebbero aiutare a sviluppare applicazioni in tutti i casi in cui siano presenti problemi di separazione di flusso, per esempio nella progettazione di aerei, elicotteri e pale eoliche. O nuovi costumi per i nuotatori professionisti. Fonte: GalileoNet a cura di Anna Lisa Bonfranceschi. (cr.)=correzione da parte di biologiamarina.eu.

NUOVA SPECIE DI CALAMARO SCOPERTA NELL'OCEANO INDIANO

Calamaro
Una nuova specie di calamaro bioluminescente è stata scoperta nelle Seamounts dell'Oceano Indiano meridionale. La nuova specie appartiene alla famiglia dei Chiroteutidi e l'esemplare catturato misura oltre 70 cm. di lunghezza. Questa e altre scoperte sono il frutto di 10 anni di lavoro della IUCN-led Seamounts Project, afferma Alex Rogers del Dipartimento di Zoologia dell'Università di Oxford. "Il lavoro è complesso, le specie risultano essere morfologicamente simili, ma poi le analisi al microscopio mostrano le differenze" continua Alex Rogers. Secondo Carl Gustaf Lundin, dell' IUCN Global Marine Programme "Queste scoperte non solo saziano la curiosità degli scienziati, ma pongono le basi conoscitivie per una più corretta ed efficace gestione dell'Oceano Indiano meridionale". Fonte: IUCN Global Marine Programme.

TEST DEL DNA NELLE SCATOLETTE DI TONNO
Quando metti nel carrello della spesa una confezione di scatolette di tonno pensi di sapere che cosa stai acquistando. Invece no. Lo rivelano i risultati di analisi genetiche che abbiamo condotto su 165 scatolette di tonno provenienti da 12 Paesi, europei e non, tra cui l'Italia: una su tre non contiene quello che dovrebbe.
Con i test, condotti dal laboratorio spagnolo AZTI Tecnalia, abbiamo scoperto che spesso due specie diverse di tonno sono mescolate insieme nella stessa scatoletta, una pratica illegale in Europa. Non solo, in diverse scatolette di uno stesso prodotto si possono trovare - in maniera del tutto imprevedibile - specie di tonno differenti. È questo il caso delle scatolette di tonno Nostromo e Mare Aperto STAR testate in Italia. In questi casi viene usata un'etichetta del tutto generica "Ingredienti: tonno" – tanto legale quanto inaccettabile – che impedisce a noi consumatori di sapere a priori e con certezza cosa mangerà.
Le analisi, inoltre, rivelano come alcune delle scatolette campionate contengono specie diverse da quanto indicato in etichetta, e che tra le specie inscatolate finiscono anche quelle sovrasfruttate come il tonno obeso.
Tra i principali fattori che contribuiscono a far finire nelle scatolette diverse specie di tonno, comprese alcune sovrasfruttate, c'è l'utilizzo di metodi di pesca poco sostenibili, come le reti a circuizione con "sistemi di aggregazione per pesci" o FAD. I FAD sono oggetti galleggianti che attirano esemplari giovani di tonno ma anche specie minacciate come le tartarughe marine o lo squalo balena, e altri pesci che regolarmente finiscono uccisi da queste reti in modo accidentale. Una volta pescati, pesci diversi vengono conservati e congelati tutti insieme a bordo e la loro identificazione risulta difficile.
A quasi un anno dal lancio della classifica "Rompiscatole" e alla luce dei risultati di queste analisi chiediamo che l'industria del tonno in scatola e le grandi catene di distribuzione garantiscano finalmente piena trasparenza ai propri consumatori, ripuliscano i loro prodotti e si impegnino a vendere solo tonno pescato in maniera sostenibile.
L'utilizzo dei FAD sta distruggendo l'ecosistema marino e conducendo gli stock di tonno verso il collasso. Se vogliamo salvare il tonno tropicale prima che venga totalmente compromesso, come è successo per il tonno rosso del Mediterraneo, è necessario eliminare i metodi di pesca più distruttivi, ridurre lo sforzo di pesca e tutelare con riserve marine le aree più importanti per la biologia di queste specie. * Stampa * Invia Search Search this site Search Condividi Bookmark and Share. Fonte: Greenpeace.

23 Novembre 2010

NESSUNA DEROGA PER L'ARSENICO
Noi di biologiamarina.eu spesso ci siamo occupati anche di acque potabili. E sull'argomento vi è una notizia che riguarda i limiti dell'arsenico nelle acque potabili. L'Italia, come sempre accade, nel febbraio scoso chiese di innalzare i limiti di arsenico consentiti, da 10 microgrammi per litro a 50, in 128 Comuni di 5 Regioni.
Così la Commissione Europea ha inviato al Ministero dell'Ambiente italiano un documento in cui si precisa che "per quanto riguarda l'arsenico" si consentono "deroghe temporanee fino a 20 μg/l, mentre valori di 30, 40 e 50 μg/l determinerebbero rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro". Pertanto occorre autorizzare unicamente deroghe per valori di arsenico fino a 20 μg/l. "Occorre - si legge ancora nel documento - che l'Italia rispetti gli obblighi imposti dalla direttiva 98/83/CE. Per assicurare il rispetto dei valori dei parametri fissati nella direttiva 98/83/CE e per proteggere la salute pubblica, occorre fissare talune condizioni specifiche".
"Accogliamo con grande favore che la Comunità Europea abbia espresso un diniego ad una deroga richiesta dal nostro Paese di innalzare i contenuti di arsenico presente nell'acqua potabile - commenta Federconsumatori - Anziché richiedere tali sciocchezze, che colpiscono l'integrità della persona, come confermato anche da studi scientifici in tal senso, i responsabili della gestione dell'acqua potabile dovrebbero correre immediatamente ai ripari: sia per farsi perdonare tale assurda richiesta, ma soprattutto perché non continuino ad avvelenare i cittadini fruitori di questo servizio essenziale e vitale. Bisogna, quindi, intervenire subito, ponendo dei filtri negli acquedotti ed applicando opportune miscelazioni per purificare l'acqua potabile". "In mancanza di ciò Federconsumatori - afferma Rosario Trefiletti, Presidente dell'Associazione - metterà in campo i suoi uffici legali, per denunciare tali comportamenti vergognosi e sconsiderati, che prefigurano il reato di avvelenamento colposo".
L'Adoc giudica grave la presenza di arsenico nell'acqua di 128 comuni italiani e apprezza il diniego dell'Unione Europea a concedere la deroga ai limiti per la potabilità. " È grave la presenza di arsenico in valori superiori alla norma in 128 comuni italiani - dichiara Carlo Pileri, Presidente dell'Adoc - è a rischio la salute di centinaia di migliaia di consumatori. I comuni individuati adottino immediatamente misure idonee a salvaguardare la potabilità dell'acqua di rubinetto e rimborsino quanti hanno contratto malattie, anche gravi, correlate al consumo di acqua non a norma. Così non fosse, l'Adoc valuterà la possibilità di attivare una Class Action a tutela dei diritti e delle vittime dell'acqua inquinata. Ad ogni modo apprezziamo l'intervento di Bruxelles di non concedere la deroga ai comuni fuorilegge, a dimostrazione che l'acqua del rubinetto non sempre può essere considerata potabile".
A tal proposito l'Adoc ha presentato un esposto all'Antitrust verso la campagna pubblicitaria della Coop "acqua di casa mia", ritenuta pubblicità ingannevole a danno dei consumatori, in quanto non appare chiaro sia l'oggetto che lo scopo di tali messaggi. "Nella pubblicità, diffusa a mezzo stampa, tv e web viene proposta una scelta tra l'acqua del rubinetto "una volta verificata la sua qualità" e l'acqua minerale "proveniente da fonti vicine al tuo territorio". Nella prima affermazione - spiega Pileri - non è chiaro cosa si intenda comunicare ai consumatori, che ricevono due informazioni: l'acqua del rubinetto può non essere bevibile e deve essere controllata dal cittadino stesso. Relativamente alla seconda affermazione "fonti vicine del tuo territorio", non è chiaro il concetto di vicinanza o Km Zero. L'Antitrust stessa ha rilevato che l'esigenza di ridurre l'inquinamento attraverso una gestione più razionale della distribuzione dei beni di consumo non è idonea a giustificare l'adozione di misure "protezionistiche" atte a favorire la vendita di prodotti regionali a scapito dei beni concorrenti. Tali messaggi, a parere dell'Adoc, non costituiscono una comunicazione responsabile di Coop a tutela dell'ambiente ma mirano di fatto a promuovere le acque minerali a marchio Coop e le caraffe filtranti sempre a marchio Coop. Inoltre non forniscono al consumatore un'informazione adeguata, corretta e trasparente e, pertanto, possono definirsi pubblicità ingannevole a danno dei consumatori". Fonte: Help Consumatori.

IL PESCE CON I POLIFOSFATI PESA DI PIU'
I polifosfati si aggiungono anche al pesce surgelato. Uno studio del servizio veterinario dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige ha esaminato 143 etichette di filetti di pesce e prodotti ittici confezionati, in prevalenza congelati, venduti a Bolzano, per controllare la presenza di polifosfati e altri additivi. Con risultati, e considerazioni, interessanti. Lo studio, di Agostino Carli, Alessandro Fugatti e Lorenzo Martinello, è stato pubblicato sulla rivista Carni & Tecnologie di settembre 2010.
I polifosfati si usano come emulsionanti, addensanti, gelificanti. E stabilizzanti: sono cioè capaci di legare l’acqua, dando ai prodotti alimentari un aspetto uniforme e liscio al taglio e in superficie. Quando vengono aggiunti a pesci, molluschi e crostacei aumentano la ritenzione idrica dei tessuti e, di conseguenza, aumentano anche il peso finale del prodotto. Lo stesso risultato si ottiene con la “glassatura”, trattamento comune soprattutto nei filetti di pesce che consiste in un film di ghiaccio che avvolge il prodotto a scopo protettivo.
olifosfati sono considerati innocui per la salute e il loro uso è ammesso nella Ue e in molti altri paesi. Tuttavia, un eccesso di fosforo nella dieta può creare problemi nel metabolismo osseo, soprattutto nelle donne (più vulnerabili all’osteoporosi). Inoltre, il Regolamento (CE) n. 1333/2008 consente l’impiego di additivi negli alimenti quando c’è una necessità tecnica che non può essere soddisfatta altrimenti e comunque senza indurre in errore i consumatori.
Tra i 134 campioni esaminati, 24 riportavano in etichetta l’utilizzo di polifosfati, senza però modificare la denominazione di vendita rispetto al prodotto non trattato (la stragrande maggioranza, 110 campioni). 39 prodotti dichiarano in etichetta altri additivi. Il 25% dei prodotti trattati era costituito da filetti di pangasio, il 13% da totani (entrambi legati a enormi volumi di vendita) e l’8% da seppie e filetti di platessa. 95 etichette dichiaravano la glassatura.
Per quanto riguarda l’origine dei prodotti ittici con polifosfati, oltre il 33% proveniva da Vietnam, il 25% dalla Spagna, il 16.67% dalla Cina, altrettanto dall’Olanda, il 4.17% dal Banglandesh e altrettanto dagli Stati Uniti.
Gli autori dello studio sottolineano che non esistendo in Italia metodiche standard per la ricerca di polifosfati aggiunti nel pesce, ci si deve fidare di quanto dichiarato in etichetta. Ed è probabile che l’uso sia sottostimato.
In conclusione, il fatto che nella denominazione di vendita (o sulla parte frontale della confezione) non sia messa immediatamente in evidenza l'aggiunta polifosfati (e quindi non sia chiara la differenza col prodotto ittico che non l’ha subita ed è stato trattato solo con il freddo) può essere ingannevole per il consumatore, pur informato attraverso l’etichetta.
Il consumatore però non è consapevole che la presenza di polifosfati comporta un incremento dell'acqua presente normalmente in un prodotto fresco o semplicemente congelato. Lo stesso accade con la glassatura, che in alcuni campioni esaminati arriva al 55%, diventando così l’ingrediente principale del prodotto ittico.
In attesa che il legislatore obblighi i produttori a indicare con chiarezza il trattamento (per esempio, chiamando il prodotto “preparazione di pangasio”, per distinguerlo dal pangasio senza polifosfati aggiunti), è bene leggere con attenzione l’etichetta per capire se stiamo comprando pesce o soprattutto acqua. Fonte: IlFattoAlimentare a cura di Mariateresa Truncellito.

22 Novembre 2010

DA PARIGI PER SALVARE IL TONNO ROSSO
È cominciato il 19 novembre scorso a Parigi l'incontro annuale dell'ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas). Secondo i dati dell'ICCAT ben 10.200 tonnellate di tonni rossi si troverebbero in questo momento, vivi, all'interno di gabbie negli allevamenti di tonno del Mediterraneo. Questo quantitativo si avvicina di molto all'intera quota di tonno rosso concessa per il 2010.

Nella riunione in corso a Parigi è arrivata una singolare proposta della delegazione giapponese. Prima di parlare della proposta, giova appena ricordare come proprio i giapponesi rappresentino la quasi totalità degli acquirenti di tonno rosso oltre al fatto che prima della nefasta decisione della Convenzione di Washington (CITES) che ha negato il massimo grado di protezione al tonno (ovvero il bando del commercio) i nipponici invitarono gli altri delegati (appena la sera prima della votazione) a mangiare …tonno!
Detto ciò, eccoci ora a Parigi. Le notizie filtrano, malgrado il rigido riserbo. I giapponesi sarebbero ora disposti a bloccare le importazioni di tonno rosso se provenienti da paesi che non rispettano le quote di pesca. Se ad esempio le 13.500 tonnellate concesse all’Italia nel 2010, venissero superate (come sicuramente è stato) dalla pesca di frodo, i giapponesi bloccherebbero le importazioni dal nostro paese.
Detta così la cosa lascerebbe anche contenti, visto che il nostro paese, assieme a buona parte degli altri paesi UE del Mediterraneo, di ridurre le quote di prelievo, non ne vuole proprio sapere. Di contro vi sono però due insidiosi pericoli.
Il primo è l’allentamento dei controlli sulla pesca di frodo. È già successo e ben documentato dalla trasmissione di Rai 3 Report. Tra l’altro i giapponesi gestiscono nel Mediterraneo i gabbioni ove vengono rinchiusi i tonni rastrellati. Servono più marinerie, anche del nord Africa, le quali faranno man bassa dello stesso tonno nel caso bloccato ai pescatori italiani.
Il secondo aspetto sono le scorte di tonno rosso surgelato. La Mitsubishi, colosso industriale anche del tonno rosso, ne ha conservate intere montagne. Una regola fondamentale dell’economia è quella di non inflazionare il mercato, per non fare scendere i prezzi. Per almeno due anni la Mitsubishi potrebbe fare a meno di nuovi prelievi e questo, forse, potrebbe spiegare l’incredibile rimprovero proveniente dal primo predatore mondiale di tonno rosso al quale anche l’Italia cede il suo patrimonio marino. Fonte: GeaPress.
Maggiori informazioni anche su GreenPeace.it.

20 Novembre 2010

L'ORIGINE DELLO SQUALO BIANCO MEDITERRANEO
Un piccolo gruppo di squali bianchi (Carcharodon carcharias), durante i loro spostamenti verso l’Australia, è probabilmente rimasto intrappolato nello stretto di Gibilterra circa 450.000 anni fa. Da questo piccolo gruppo discendono gli squali bianchi che ora popolano le acque del Mediterraneo. Distribuzione squalo bianco
Malgrado siano molto difficili da osservare, un gruppo di ricercatori britannici e turchi sono riusciti a ottenere dei campioni di tessuto di questo elusivo animale: uno dalla Tunisia, due dalla Turchia e uno dalla Sicilia. Da questi campioni è stato estratto il DNA mitocondriale, quel DNA che viene trasmesso esclusivamente dalla madre, che ha permesso di ricostruire la loro storia.
Gli squali del Mediterraneo sono strettamente imparentati con gli squali australiani e hanno poco in comune con quelli atlantici, contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato dai ricercatori. Questo conferma che gli squali sono grandi navigatori e attraversano lunghe distanze anche se non se ne conosce ancora il motivo. È stato probabilmente durante una di queste spedizioni che il gruppo si è infilato per sbaglio nello Stretto di Gibilterra senza più riuscire a uscirne. Qui si è poi riprodotto e ambientato.
La deviazione dalla rotta prevista fu dovuta probabilmente a una corrente molto forte e calda, nota come Anello di Agulhas che normalmente scorre lungo le coste orientali dell’Africa a partire dal Sud Africa. Qualche volta però la corrente doppia il Capo di Buona Speranza e si congiunge con la fredda corrente di Benguela risalendo così verso l’Europa. Questa miscela di acqua fredda e calda ha probabilmente creato confusione negli squali che hanno a un certo punto virato verso est pensando di essere già molto più a sud e ritrovandosi invece nel Mediterraneo.
Dato che la popolazione di squali attuale deriva da un unico piccolo gruppo, le loro caratteristiche genetiche sono molto omogenee e non ci sono testimonianze di squali atlantici che riescano ad avventurarsi nel Mediterraneo per contribuire alla variabilità genetica di questi animali. Questa mancanza di variabilità genetica potrebbe costituire un pericolo per la loro sopravvivenza.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society. Nell'immagine sopra la distribuzione di Carcharodon carcharias. Fonte: Oggi Scienza a cura di Simona Cerrato.

19 Novembre 2010

QUANDO L'ITALIA VESTE I PANNI DELLE BALENIERI GIAPPONESI
Se alla parola tonno venisse in questi giorni sostituita la paola "balena" ci ritroveremmo nel poco invidiabile ruolo che le flotte nipponiche si sono guadagnate in tutto il mondo quali predatori di una specie in via d’estinzione. La questione, questa volta, è quella di stabilire le quote di prelievo del tonno rosso. L’ Italia ha esultato sulla mancata protezione del predatore marino. Così come i giapponesi lo hanno fatto per le loro balene. L’ Italia chiama in ballo, improbabili quanto perditempo, futuri dati scientifici per continuare a poter pescare i tonni. La stessa cosa fanno i giapponesi per continuare a catturare le balene.
L’Italia si oppone ora alla riduzione di una quota di prelievo la quale, è bene ricordare, eviterebbe multe future da parte dell’Unione Europea nel caso in cui il nostro paese non riesca ad evitare, nei prossimi anni, il depauperamento delle popolazioni naturali di tonno rosso.
"I pareri scientifici non sono chiari e lasciano dubbi" ha dichiarato il Ministro delle Politiche Agricole Galan, non solo alla proposta di ridurre a 6.000 tonnellate il pescato di tonno rosso ma anche di trovare una mediazione tra quest’ultima quota e le 13.500 tonnellate proposte dallItalia. A tal proposito, lo stesso Galan, ha bollato come "fondamentalista" il parere della Commissione Europea. In ballo vi è la negoziazione delle quote di pesca del tonno rosso per il 2011. A questo punto, l’unica differenza che distingue l’Italia dalle flotte baleniere giapponesi è quella che queste ultime prelevano nei mari di tutto il mondo per le loro industrie, l’Italia invece preleva principalmente nei suoi mari per servire sempre gli stessi giapponesi. Sono questi ultimi infatti, i principali acquirenti del tonno rosso. Fonte: GeaPress.

ARRIVA IN AMERICA IL SUPER SALMONE OGM
Dopo il mais e la soia ci toccherà mangiare anche il salmone geneticamente modificato? Non è improbabile, visto che l’americana Food and Drug Administration (FDA) ha giudicato "sicuro e pronto ad essere immesso nel mercato" il salmone OGM AquAdvantage, prodotto dall’azienda Aqua Bounty. Quindi il salmone "Frankestein" potrebbe arrivare sulle tavole americane nel giro di pochi anni e, a ruota, anche sulle nostre.
I ricercatori del Veterinary Medicines Advisory Committee, organismo interno alla FDA, dopo attentanti studi, hanno assicurato che il slamone GM è perfettamente identico a un salmone tradizionale sul piano nutrizionale, anche nel contenuto dei famosi omega-3 e omega-6, così preziosi per la salute. In che cosa è modificato, allora, il salmone etichettato Aqua Bounty? Nel suo Dna sono stati introdotti due geni: uno per aumentare il livello dell’ormone della crescita, l’altro per permette la crescita anche a basse temperature. Tradotto in pratica, significa che "big-salmon" raggiunge il peso utile alla vendita (circa 3 kg) non in tre anni, ma in soli 16-18 mesi, e che può crescere fino al doppio dell’altro.
La notizia ha suscitato interesse e preoccupazione. Non si tratta del solito dibattito a favore o contrario agli OGM. Se il supersalmone viene autorizzato, sarebbe la prima volta che un animale geneticamente  modificato viene proposto  per il consumo umano. Il timore è che questo evento  possa aprire la strada ad aziende ed enti di ricerca per altri interventi di ingegneria genetica su animali. Si è già parlato di bovini immuni al morbo della "mucca pazza" e di eco-maiali, cioè maiali in grado di produrre concime a minore impatto ambientale.
Un cartello di 12 associazioni ambientaliste (tra cui Ocean Conservancy, Sierra Club, Greenpeace, Union of Concerned Scientists) ha chiesto alla FDA di condurre uno studio più approfondito prima di decidere se immettere sul mercato americano il salmone GM, proprio nel timore che questo possa costituire un precedente per sdoganare le proteine animali GM, senza che i rischi per la salute umana siano stati definitivamente chiariti. Tra le preoccupazioni dei gruppi ambientalisti anche le possibili fughe di salmone modificato nell’ambiente, con conseguenze sconosciute per il salmone selvatico e per l’intero ecosistema acquatico. Un dubbio che AquaBounty ha tentato di fugare assicurando che intende allevare esclusivamente pesci di sesso femminile e biologicamente sterili, in vasche chiuse, senza sbocco sul mare. Fonte: IlFattoAlimentare.

UN COCCODRILLO DI 165 MILIONO DI ANNI FA
Vissuto circa 165 milioni di anni fa, è stato identificato al Museo Capellini dell'Università di Bologna da due ricercatori poco più che trentenni.

Scoperti in Italia i resti del più antico coccodrillo marino del mondo: è vissuto circa 165 milioni di anni fa lungo l'allora costa nord-africana. Il teschio fossile ci è giunto intrappolato in un blocco di pietra, del tipo di cui sono pavimentati i portici di Bologna. È qui che l'hanno trovato due scienziati poco più che trentenni: dentro un museo.
"I coccodrilli sono rettili, come i dinosauri, ma sono più antichi", dice Federico Fanti, dell'Università di Bologna, autore della scoperta insieme ad Andrea Cau, collaboratore del Museo Capellini. "È infatti dai progenitori dei coccodrilli che, tra i 280-250 milioni di anni fa, hanno cominciato a differenziarsi gli antenati dei dinosauri. Nel corso della loro evoluzione, inoltre, il loro aspetto è cambiato relativamente poco. Segno di successo evolutivo: si sono rivelati da subito talmente adatti al loro ambiente, da non aver avuto bisogno di grandi 'aggiustamenti'”
"Anche il nostro teschio è molto simile a quello di un odierno coccodrillo: muso allungato, dentatura possente. Solo un esperto noterebbe a colpo d'occhio gli zigomi insolitamente sporgenti. Connotato evolutivo successivamente persosi nei discendenti. Forse per renderne il profilo più idrodinamico e agile nella caccia subacquea”, spiegano i due ricercatori, che al fossile dedicano uno studio in via di pubblicazione sulla rivista scientifica Gondwana Research. Fonte: National Geographic.

18 Novembre 2010

UN ANNO NERO PER IL TONNO ROSSO
Anche quest'anno la pesca al tonno rosso nel Mediterraneo è stata un'autentica frode. Infrazioni delle regole sulla pesca, mancato rispetto dell'obbligo di dichiarare le catture, buchi nella tracciabilità sia in operazioni di pesca sia nelle attività di ingrasso.
Mancano pochi giorni all'apertura dei lavori dell'ICCAT, la Commissione per la Conservazione del Tonno Atlantico, che inizierà il 17 novembre a Parigi e, proprio per cercare di cambiare le sorti del tonno nel 2011, abbiamo deciso - insieme al WWF - di porre all'attenzione dei membri della Commissione dati allarmanti e casi di frodi fuori controllo.
Come quello delle 18 tonnellate di tonno rosso catturate da un peschereccio turco e sfuggite al sistema di documentazione dell'ICCAT. Non solo il pescato non è stato tracciato, ma il capitano della tonnara volante ha fornito informazioni false sull'identità del rimorchiatore che ha ricevuto il carico.
E poi la vicenda degli osservatori dell'ICCAT alle prese con delle gabbie che non sono state svuotate prima del trasferimento di nuovi tonni. Per giustificarsi, i responsabili degli allevamenti hanno dato le solite scuse aneddotiche. Risposte evasive e credibilità pari a zero.
Per non parlare delle difficoltà riscontrate dagli osservatori a bordo di pescherecci francesi e spagnoli nello stimare la quantità di tonno presente nelle gabbie e che, nella maggior parte dei casi, hanno riconosciuto che la stima era "semplicemente impossibile".
Troppe le violazioni documentate, senza contare quelle sfuggite ai controlli. Nonostante la situazione degli stock sia tragica, governi come Francia e Italia continuano a difendere i profitti a corto termine di un'industria corrotta e morente a scapito della sopravvivenza della specie.
Per questo chiediamo con urgenza ai Paesi membri dell'ICCAT di stabilire a Parigi un piano di recupero per il tonno rosso del Mediterraneo. Un piano che, basandosi su dati scientifici, chiuda finalmente questa pesca corrotta e stabilisca zone di protezione in aree di riproduzione della specie, come le Isole Baleari e il Canale di Sicilia.
I dati che stiamo riportando dimostrano che non vi è alcun miglioramento in atto rispetto alla grave situazione di illegalità e corruzione degli anni precedenti. Questa situazione, che denunciamo da tempo, è stata ribadita solo pochi giorni fa dai risultati dell'indagine giornalistica dell'ICIJ (Consorzio Internazionale di Giornalismo Investigativo) che aveva analizzato la pesca al tonno rosso tra il 1998 e il 2010. In dodici anni lo scandaloso scenario di infrazioni non è cambiato! Fonte: GreenPeace Italia.

TRE NUOVE SPECIE DI ANFIBI DAL SUD AMERICA
Una spedizione guidata dal dott. Robin Moore e dal dottor Don Chiesa di GWC, insieme ad Alonso Quevedo della Fundación ProAves, partita alla ricerca di una specie di rospo non più segnalato da quasi 100 anni, si è invece imbattuta nella scoperta di tre nuove specie.
Una specie appartiene al genere Rhinella, è stata trovata nelle foreste pluviali del dipartimento di Chocó in Colombia. Un'altra specie appartiene al genere Silverstoneia ed è risultata velenosa. E' molto piccola, da adulta non dovrebbe superare i tre cm. di liunghezza, e porta sul dorso i girini per un periodo ancora da stabilire. La terza specie appartiene ad un genere ancora da determinare.
Tutte le specie sono state trovate a 2.000 metri di altitudine in Colombia, presso le fredde foreste di Chocó.
La ricerca mirava alla riscoperta del rospo della Mesopotamia o rospo dal becco, finanziata dalla US Fish and Wildlife Service, un rospo non graziosissimo. Afferma il dottor Moore: "Per quanto riguarda il rospo dal becco, è uno dei più strani anfibi che io abbia mai visto. Il suo lungo muso a punta mi ricorda il signor Burns, il cattivo dalla serie televisiva Simpsons".

17 Novembre 2010

L'INIZIATIVA DELLA UE CONTRO IL FINNING
Bruxelles vuole salvare gli squali rafforzando la messa al bando del finning, la pratica di asportare le pinne per poi gettare le carcasse o il pesce ancora vivo in mare. Per questo la Commissione Europea, su iniziativa della commissaria alla pesca Maria Damanaki, ha lanciato una consultazione pubblica, chiedendo a tutti coloro che sono interessati –pescatori, scienziati, rappresentanti dell’industria, delle ONG e gli stessi cittadini – di esprimere il loro parere rispetto ad una serie di opzioni presentate da Bruxelles. La consultazione si chiuderà tra 12 settimane, il 21 febbraio 2011, e i risultati verranno inseriti in una nuova proposta per rendere la regolamentazione europea piu’ efficace, sia per bloccare definitivamente la pratica del finning, sia per salvaguardare la specie gia gravemente minacciata. In realtà il divieto di sottrarre agli squali le pinne è in vigore nell’ UE dal 2003, ma i controlli per garantirne il bando sembrano ancora insufficienti. Le pinne infatti rappresentano la parte più pregiata dello squalo, quelle di alcune specie sono fortemente richieste in Oriente dove la zuppa di pinne di squalo è considerata una vera e propria prelibatezza. Sono circa 100 milioni gli squali che vengono uccisi ogni anno per alimentare un mercato estremamente redditizio, se si considera che una pinna di squalo elefante puo’ arrivare a costare fino a 7.500 euro.

PANGASIO ASSOLTO
Buone notizie per gli amanti del pangasio, un alimento molto amato dai bambini perché “non sa di pesce”. Uno studio condotto dall'’Istituto zooprofilattico del mezzogiorno e pubblicato sul mensile Industrie alimentari, ha stabilito che i filetti di pangasio non comportano rischi per la salute dei consumatori.
Mauro Esposito, dirigente chimico dell’Istituto e coordinatore della ricerca, ha dichiarato a “Ilfattoalimentare.it”: “Ci siamo proposti di verificare i molti allarmismi diffusi dai media che hanno provocato una pessima fama a questo pesce di importazione. I risultati sono stati tranquillizzanti: i campioni analizzati non hanno mai superato i valori limite per metalli pesanti (piombo, mercurio, cadmio, arsenico), contaminanti ambientali (Pcb e pesticidi) e farmaci consentiti (sulfamidici e chinolonici), mentre sono risultati assenti i farmaci vietati dall’UE (cloramfenicolo o nitrofuranici)”.
Quasi tutto il pangasio che arriva sulle nostre tavole è allevato in Vietnam nel delta del Mekong. Il fiume nasce in Cina e attraversa diversi Paesi del Sud-Est asiatico, un tempo prevalentemente agricoli, oggi sottoposti a una veloce industrializzazione. Per questo motivo il pesce è considerato un prodotto a rischio inquinamento. Senza contare i sospetti circa i metodi di allevamento, nell’Unione europea severamente regolamentati da normative che impongono limiti severi sull' inquinamento e il divieto di certi farmaci. “Il nostro non è stato studio su larga scala - precisa Esposito - anche se abbiamo analizzato solo 52 campioni rappresentativi di centinaia di partite corrispondenti a tonnellate di prodotto. Si tratta tuttavia di un studio molto indicativo”. Tanto più se consideriamo la zona di competenza dell’Istituto, cioè i porti di Salerno, Napoli e Gioia Tauro, che da soli coprono una buona fetta di tutte le importazioni ittiche italiane.
Qualche dubbio, semmai, rimane sotto il profilo nutrizionale. Nell' articolo Esposito riporta i dati di uno studio recente condotto dall’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) secondo cui il pangasio sarebbe un pesce poco pregiato dal punto di vista nutritivo, rispetto alle specie ittiche normalmente consumate in Italia, perché ricco di acqua e povero di proteine e grassi, in particolare degli acidi grassi omega-3”. Il pangasio però ha molti altri pregi come il sapore delicato, la vendita in filetti porzionati e il prezzo molto interessante. Qualità che lo rendono appetibile per i bambni e in generale per tutte le persone non amano molto il pesce. Tra la scelta di eliminare il pesce dalla tavola e quella di mangiarne uno nutrizionalmente “povero”, forse è meglio la seconda. Fonte: IlFattoAlimentare, a cura di Alberta Cremonesi.

IN AUMENTO I CASI DI INFEZIONE DA ANISAKIS
Aumenta il numero di persone che mangia pesce crudo infestato da parassiti. Stiamo parlando di consumatori amanti di alici marinate, bocconcini giapponesi di sushi e sashimi e altri piatti. I dati forniti dal ministero della Salute a ilfattoalimentare.it confermano questa preoccupazione. “A livello comunitario - dichiara il ministero - il sistema di allerta Rasff nei primi dieci mesi di quest’anno ha notificato 58 casi di pesce con larve di Anisakis ( 41 segnalazioni sono state fatta dall’Italia). Nell’anno precedente le notifiche sono state 48 di cui 31 originate dall’Italia. Oltre a queste segnalazioni che riguardano partite di pesce importato da altri paesi o esportato dalle nostre regioni all’estero, a livello locale il ministero ha rilevato altri 23 casi nei primi dieci mesi del 2010 contro i 9 dell’anno precedente”.
n genere si tratta di parassiti come Anisakis, Opistorchis o Diphillobotrium latum che si annidano nelle viscere e/o nelle carni dei pesci. La sintomatologia può essere acuta o cronica e si manifesta con nausea, vomito e diarrea o con sintomi simili a quelli d una crisi di appendicite, oppure con reazioni allergiche di vario genere. In molti casi la terapia risolutiva è purtroppo solo quella chirurgica!
“Oggi c’è più consapevolezza su questo tema - spiega Francesco Bernieri responsabile del gruppo di studio di parassitologia dell’Associazione di microbiologi clinici italiani. I medici, in caso di sintomi sospetti fanno test diagnostici e il numero di infezioni aumenta anche perché vengono diagnosticati meglio i casi». Basti pensare al recente episodio degli 80 alunni delle scuole di Aosta, finiti in ospedale per avere mangiato pesce contaminato da Opistorchis. Certo i casi registrati sono pochi, ma in ogni caso la tendenza all’incremento è chiara anche in relazione alla crescente moda di mangiare prodotto ittico crudo.
«Nella realtà i casi di infestazione causati da Anisakis ed altri parassiti sono molti di più di quelli pubblicizzati – spiega Valentina Tepedino veterinaria e direttore di eurofishmarket.it. Purtroppo se il pesce non viene esportato all’estero i veterinari delle Asl che effettuano i controlli non devono comunicare al ministero i dati sulle posisitività, e questo non permette di monitorare la situazione. Il problema resta quindi in ombra anche se nella realtà il numero di persone coinvolte aumenta notevolmente. Ci vorrebbe maggiore coordinamento tra strutture ospedaliere e servizio veterinario ed una raccolta dati a livello nazionale». Conferma questa affermazione Letizia Fioravanti dell’Università di Bologna: «Il numero dei casi è in linea generale sottostimato, vista la difficoltà nel reperire le segnalazioni che rimangono a livello ospedaliero e che non vengono pubblicate». Fonte: IlFattoAlimentare, a cura di Roberto La Pira.

FOSFORO, ARSENICO E BATTERI MARINI
Non indovinerete mai a cosa allude questo titolo. Qualche indizio? Non c’entra la tragica morte di Emma Rouault alias Madame Bovary di Gustave Flaubert né Rasputin e la sua torta alla panna. Non parliamo di transistor o dentisti né di armi chimiche o biologiche.
Vi date per vinti?
Parliamo di come due ricercatori del MIT siano riusciti a scoprire come evolvono due generi di batteri. E non parliamo di batteri qualunque. Il primo protagonista è Prochlorococcus, un cianobatterio del picoplancton marino, che si aggiunge quindi alla schiera dei più abbondanti organismi fotosintetici della Terra. Il suo collega Pelagibacter è invece un eterotrofo. Vive anch’esso nelle acque, dolci e salate, ed è membro del clade SAR11 degli alfaproteobatteri. Ciò significa che fa parte probabilmente del gruppo di batteri più numeroso al mondo. Non siamo quindi di fronte a batteri qualunque! Non per niente sono diventati Microbi Marini Modello (noi abbiamo i VIP, loro gli M&Ms).
Questi due generi di batteri, come tutte le popolazioni batteriche, ospitano un’enorme varietà genetica, continuamente plasmata da pressioni selettive, ma anche da processi definiti neutrali. Degni della Svizzera, questi ultimi non stanno né dalla parte dei nostri M&Ms né contro: compaiono nei loro genomi e scompaiono, senza arrecare né benefici né danni. La variazione in queste popolazioni è per la maggior parte adattativa oppure neutrale?
Per cercare di dare una risposta a questo dilemma, gli impavidi ricercatori del MIT hanno studiato le popolazioni di Prochlorococcus e Pelagibacter di due oceani: l’Atlantico ed il Pacifico. In particolare, si sono concentrati sulle stazioni di studio a lungo termine chiamate BATS e HOT-ALOHA. Non indagheremo oltre su questi nomi... Vi basti sapere che il primo acronimo sta per Bermuda Atlantic Time Series mentre il secondo per Hawaii Ocean Time-Series. Studiando i micro-abitanti di queste buffe località i ricercatori speravano di carpire alla storia l’identità delle pressioni selettive che ne plasmano i genomi. Entrambi questi luoghi sono oligotrofici ovvero, come il greco insegna, poveri di sostanze nutritive: niente banchetti per i nostri amici batteri! Tra i due comunque meglio scegliere BATS: subisce infatti rimescolamenti stagionali che lo riforniscono di nutrienti inclusi ferro e altri metalli. In compenso, HOT ha più alte concentrazioni di fosforo. Incontriamo così il primo elemento del titolo, che per i nostri M&Ms non è però tossico, bensì un componente fondamentale della dieta. I due siti, BATS e HOT, sono quindi per le loro caratteristiche ottimi candidati per selezionare i batteri per tratti differenti. Questi tratti entrano a far parte del cosiddetto “genoma flessibile”, che caratterizza popolazioni di microbi che vivono in nicchie differenti proprio perché costituiscono adattamenti ecologici specifici. Come scoprire però se esistono questi tratti e quali sono?
Al MIT hanno utilizzato la tecnica del pirosequenziamento, un metodo piuttosto innovativo e complesso che consente di sequenziare il genoma grazie a reazioni che sfruttano la luce. Per scremare poi i geni importanti, i ricercatori hanno seguito questo ragionamento: in assenza di selezione i geni vengono persi dal genoma per delezione, mentre quelli che vengono invece mantenuti e si diffondono nella popolazione sono ritenuti funzionali e positivi per la fitness dell’organismo. Si può scoprire così quali sono i geni importanti per batteri che vivono in una zona piuttosto che in un’altra ed individuare di conseguenza la forza selettiva in atto.
Si è così scoperto che le popolazioni di Prochlorococcus e Pelagibacter presentano geni rari sia alle Hawaii che alle Bermuda, essendo soggette a continui trasferimenti e perdite di geni. In comune hanno il ciclo dell’urea, il che suggerisce come questa risorsa sia importante in tutti gli ambienti (vi vedo, non storcete il naso!). Nonostante quest’ampia variazione all’interno di ciascuna popolazione, esistono anche geni che differiscono significativamente tra i due ambienti, come ci si aspettava. In particolare sono tutti più frequenti nelle Bermuda e codificano per proteine necessarie all’acquisizione ed al metabolismo del fosforo. Molti di questi geni sono presenti in pochi batteri alle Hawaii, ma addirittura in tutti quelli atlantici! Chiaramente questa osservazione è correlata alla scarsità di fosfato nelle acque superficiali delle Bermuda, che non si registra invece alle Hawaii. L’aspetto più affascinante è che questa è l’unica differenza di contenuto genico che emerge dalle analisi. Ciò significa che la scarsità di fosfato è la forza selettiva più persistente ed influente che ha guidato la divergenza tra le due popolazioni delle due aree. L’adattamento alla scarsità di fosfato è una caratteristica diffusa nell’ecosistema BATS, dal momento che interessa sia Pelagibacter che il suo collega verde-blu Prochlorococcus.
Ecco risolto l’enigma del fosfato! Che dire dell’arsenico? Qui deve nascondersi per forza un delitto!
n effetti questa sostanza è estremamente tossica persino per i batteri. I nostri amici si sono però inventati un modo per difendersi dagli avvelenamenti: possiedono infatti geni codificanti per l’arseniato riduttasi e per la pompa di efflusso dell’arsenito. Forse anche Rasputin ne era dotato! Quando le cellule captano il fosfato, a volte commettono un errore e assumono anche lo ione dell’arsenico: l’arseniato. Dal punto di vista chimico i due sono abbastanza simili, tanto che il secondo può entrare in reazioni che normalmente coinvolgono il primo, da cui l’effetto tossico. Quindi nelle cellule batteriche l’arseniato viene ridotto ad arsenito ed esportato mediante la pompa, detossificando così i poveri malcapitati.
Indovinate dov’è più presente l’arseniato? Ormai non stupisco più nessuno, avete sicuramente indovinato: alle Bermuda! Che siano un triangolo maledetto anche per i batteri? Proprio come ci si potrebbe aspettare, alla stazione BATS Prochlorococcus e Pelagibacter sono arricchiti nei loro genomi di geni codificanti per gli enzimi detossificanti, al contrario dei loro omonimi hawaiani. Quindi anche la tossicità dell’arsenico è un’importante forza selettiva che influenza le due popolazioni.
La tecnica utilizzata dai ricercatori del MIT è quindi un ottimo mezzo per valutare i cambiamenti ambientali e scoprire processi evolutivi fondamentali. Grazie a loro abbiamo scoperto che arsenico e fosforo hanno fatto la storia non solo di Russia ed Iraq (e purtroppo di molti altri Paesi), ma anche delle comunità microbiche. Fonte: Pikaia.eu a cura di Ilaria Panzeri.

16 Novembre 2010

UN GAMBERETTO DI 360 MILIONI DI ANNI FA
Ha più di 360 milioni di anni e viene dall’Oklahoma (Usa) il più antico gamberetto conosciuto. Il fossile, perfettamente conservato, è stato presentato da Rodney Feldmann e Carrie Schweitzer dell' Università del Kent (Ohio) sulle pagine del Journal of Crustacean Biology.
Lungo circa sette centimetri, il fossile era stato rinvenuto in una cava vicino ad Ada, in Oklahoma, da Royal Mapes, un paleontologo dell’Università dell’Ohio. I ricercatori del Kent lo hanno classificato come un esemplare appartenente alla famiglia delle Aciculopodidae e lo hanno chiamato Aciculopoda mapesi. Ciò che ha stupito maggiormente i geologi è stato scoprire come il crostaceo fosse davvvero ben conservato: i muscoli che una volta costituivano la coda dell’animale sono infatti ancora perfettamente visibili. La conservazione delle parti molli di un animale è molto rara da osservare, ma in questo caso - come spiegano i ricercatori - è stata possibile grazie alla combinazione dei bassi valori di pH delle acque e delle basse concentrazioni di ossigeno. Inoltre, il gamberetto viveva probabilmente in acque molto profonde, lontano dalle forti correnti che avrebbero potuto danneggiarlo.
Prima di questa scoperta, il primato di gamberetto più antico spettava a un esemplare del Madagascar, vecchio “solo” 245 milioni di anni. Aciculopoda mapesi è anche una delle più antiche testimonianze dei decapodi, ovvero di crostacei con dieci zampe (come i granchi e le aragoste), insieme a Palaeopalaemon newberryi (un animale simile a un’aragosta ritrovato in Ohio e Iowa). L’antenato comune delle due specie potrebbe trovarsi nelle rocce che una volta formavano il continente Laurentia e che oggi si ritrovano nel Nord America e nella Groenlandia” ha concluso Schweitzer. Fonte: GalileoNet, a cura di Anna Lisa Bonfranceschi.

SCIOGLIMENTO DEI GHIACCIAI E CLIMA

Trend scioglimento ghiacciai
Il grafico sopra riporta l'andamento dello scioglimento dei ghiaccia di tutto il mondo, escluso Antartide e Greonlandia. Copre un periodo di 45 anni, sino al 2005. In quest'arco temporale sono stati persi 10.000 km3, ovvero il 10% del totale dei ghiacciai.
Attualmente il trend è ulteriormente aumentato, infatti tra il 1965 e il 1975 sono stati persi mediamente 140 km3 all'anno, mentre dal 1995 al 2005 la media è salita a 350 km3, il che corrisponde a quattro volte la portata del fiume Nilo.
La superficie attuale dei ghiacciai, escludendo sempre Antartide e Greonlandia ammonta a 553.000 km2, per un volume di 102.000 km3. L'andamento aggiornato dello scioglimento dei ghiacciai è stato pubblicato in questo documento dell'EPA. Per riflettere e per gli scettici dei cambiamenti climatici.

15 Novembre 2010

LA NIÑA ACCELLERA IL TREND DI RAFFREDDAMENTO DEGLI OCEANI
La Niña sempre più forte porta le anomalie delle temperature superficiali oceaniche (SSTA) a sfiorare lo zero. Le aree tropicali si confermano i due attori protagonisti nel determinare le sorti climatiche del pianeta.

La prima settimana di novembre ha fatto misurare un'anomalia positiva di soli +0.09°C riguardo alle temperature superficiali oceaniche globali (SSTA). Si tratta di una dato largamente atteso, visto che da alcuni mesi il grande volano del clima mondiale, l'indice ENSO (El Niño Southern Oscillation), si trova in territorio negativo. Abbiamo in numerosi articoli speso molte parole riguardo l'importanza che gli oceani rivestono nel determinare le sorti climatiche del pianeta. Non a caso, infatti, si parla della Terra come del pianeta azzurro, ad indicare che circa il 70% della sua superficie è ricoperto di acqua. E l'acqua ha una capacità termica enormemente superiore sia alla terra (i continenti), che all'aria (l'atmosfera).
Gli oceani quindi assumono il ruolo di volano climatico, ed in particolare gli oceani tropicali, dove il forcing solare è ovviamente più elevato. Ed infatti troviamo proprio nelle aree tropicali i due attori protagonisti nel determinare le sorti climatiche del pianeta: l'indice ENSO e l'area della Indo Pacific Warm Pool (IPWP). Le anomalie termiche delle SST che vengono rilevate in tali aree hanno sempre una ripercussione dapprima sulle altre superfici oceaniche e successivamente sulle temperature troposferiche globali. Se poi, a conclusione dello schema, vogliamo anche introdurre il motore primo di tale complesso sistema climatico, e cioè il Sole, senza ovviamente dimenticare il ruolo certo ma ancora difficile da quantificare degli GHG (Gas Serra), avremo ben chiara la struttura nella sua composizione. Testo integrale qui.

PER IL TONNO ROSSO BRACCIO DI FERRO GALAN - DAMANAKI
Si appresta a divenire un vero e proprio braccio di ferro quello tra la Commissaria Europea alla pesca Maria Damanaki, che insiste sulla riduzione della quote di pesca di tonno ed alcuni Stati, tra cui l’Italia con il Ministro Galan, che prestano eccessivo ascolto ai rappresentanti dei pescatori. Bruxelles vorrebbe ridurre le quote a non oltre seimila tonnellate mentre l’Italia ne vorrebbe più del doppio. Un atteggiamento irresponsabile che rischia, oltre che spogliare i mari, anche di far pagare a caro prezzo a tutti i cittadini le multe che arriveranno se entro il 2020, così come previsto da una Direttiva Europea, non si ricostituiranno le popolazioni naturali ormai fortemente menomate dalla pesca.
Oggetto del contenzioso Damanaki-Galan è la prossima riunione della Commissione internazionale per la tutela del tonno (ICCAT).
Intanto anche oggi si hanno notizie di sequestro di novellame di tonno rosso. Insieme a numerosi pesci spada ne sono stati sequestrati ben 160 chilogrammi dalla Guardia di Finanza di Catania. Nei giorni scorsi, invece, addirittura 391 chilogrammi erano stati sequestrati dalla Guardia Costiera di Mazara del Vallo (TP). Molto di più, invece, erano stati sequestrati dalla Guardia Costiera di Salerno. Fonte GeaPress.

ASSEGNATI A PARIGI I PREMI PINOCCHIO
L’associazione Amici della Terra ha assegnato martedì 9 Novembre i premi alle multinazionali che più si sono distinte durante quest'anno per la divergenza e l'incoerenza tra la comunicazione dei loro impegno e la pratica messa in atto in ambito economico, ambientale e sociale.
Una commissione composta da circa 6.000 internatuti ha assegnato il Premio Pinocchio nella categoria Ambiente al gigante dell'estrazione mineraria Eramet che sta devastando la splendida area di Weda Bay, in Indonesia, declassata del suo valore ambientale nel 2004 proprio per le pressioni della stessa multinazionale. E ora l'isola e la baia sono praticamente irrecuperabili.
Nella categoria Greenwashing il premio è stato assegnato alla banca Credit Agricole che pur parlando di energie alternative nella sua campagna It’s time for green banking, ha continuato imperterrita a investire nelle fonti fossili di energia.

11 Novembre 2010

PROPOSTA PER IL BANDO DEI FOSFATI PER ALCUNI TIPI DI DETRSIVI
Finalmente, dopo anni di silenzi e mancanza di proposte legislative, c'è chi ha suggerito la messa al bando dei fosfati per alcune tipologie di detersivi. L'esecutivo della UE è opera del vicepresidente della Commissione Europea, con delega all’industria, Antonio Tajani. A meno di eventuali deroghe la proposta sarà attuativa a partire dal 1 Gennaio 2013 e regolamenterà i detersivi per uso domestico, mentre saranno esenti quelli ad uso industriale perchè non esistono soluzioni alternative efficaci ed economiche. Ovviamente non tutti sono soddisfatti perchè il divieto non si estende a chi inquina maggiormente le acque, ovvero alle industrie. Nel Mar Baltico e nel Mare del Nord l'inquinamento da fosfati è elevatissimo, e i valori misurati superano da 30 a 50 volte i limiti stabiliti dalle leggi.

10 Novembre 2010

SALVATO DAI TURISTI UN PICCOLO TURSIOPE

Baby tursiope

Richard Tesore, direttore della riserva marina "SOS Fauna Marina" ha portato in salvo un piccolo tursiope ritrovato il 5 Novembre scorso, nel dipartimento di Maldonado, a circa 100 Km a est di Montevideo, località Punta Colorada. Il piccolo cetaceo, ritrovato da alcuni turisti, non ha più di dieci giorni di vita.

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ILLEGALE UN TERZO DEL TONNO ROSSO SUL MERCATO
Tutti ormai sappiamo le condizioni in cui versano gli stock di tonno rosso nei nostri mari a causa dell’overfishing spinto dall’esplosione della moda sushi. Dodici giornalisti dell’International Consortium of Investigative Journalists hanno condotto un’inchiesta di sei mesi sulla situazione. La conclusione è che il commercio internazionale di questo pregiato pesce è per un terzo illegale.
In teoria, la pesca sostenibile del tonno dovrebbe essere garantita dalle quote di cattura assegnate dall’ICCAT (l’Organizzazione Intergovernativa per la Conservazione del tonno rosso dell’Atlantico e del Mediterraneo), e conseguentemente dall’Unione Europea.
I giornalisti hanno compiuto un viaggio fra le flotte peschereccie, uffici dei ministeri e buyers, smascherando un sistema di palese illegalità: in ogni singola tappa hanno scoperto l’enorme buco che presenta il regolamento delle quote e le innumerevoli frodi.
ll mercato nero del tonno ha raggiunto l’apice fra il 1998 e il 2007, generando un giro d’affari illegale valutato in 4 miliardi di dollari. I pescatori violano le quote e compiono ogni sorta di illegalità: barano nel tenere il conto delle catture, pescano tonni di taglia inferiore a quella consentita, saccheggiano le acque nordafricane dove gli ispettori dell’Unione Europea non hanno autorità.
Nel 2008-09 il 75% delle catture effettuate dai grandi pescherecci non era accompagnata dalle informazioni richieste dalle autorità per seguire il percorso del tonno fino alla vendita. E in ogni caso un muro di silenzio protegge il business del tonno: le autorità nazionali e l’Unione Europea hanno rifiutato l’accesso ai dati ufficiali, chiamando in causa la protezione degli interessi commerciali e perfino questioni militari.
Fonte SlowFood a cura di Luca Bernardini. Qui il testo integrale dell'inchiesta.

Apprendiamo che l''argomento è stato trattato anche dal quotidiano francese Le Monde, e sono 10 i paesi accusati di frode, poiché responsabili della manomissione dei dati relativi alle catture in un mercato dominato dal Giappone. I ministri della Pesca dei Paesi mediterranei dell’Unione Europea, tra cui la Francia, si sono opposti all’unanimità alla proposta di Bruxelles di ridurre da 13.500 a 6.000 tonnellate le quote di cattura del tonno rosso. L’Europa deve ora stabilire una posizione unanime prima del prossimo convegno dell’ICCAT che si terrà dal 17 al 27 novembre a Parigi.

09 Novembre 2010

RITI ED EVOLUZIONE DI UN PICCOLO PESCE
Da secoli, per assicurarsi piogge abbondanti per le colture, gli indigeni Zoque nel periodo pasquale si spingono nel profondo della grotta sulfurea Cueva de Villa Luz per implorare le loro divinità sotterranee. Loro malgrado, i pesciolini che hanno colonizzato le sorgenti di queste grotte sono per qualche motivo ritenuti un dono degli dei, e pertanto il rituale primaverile prevede che nell’acqua sia gettata una poltiglia di radici di Barbasco (Lonchocarpus sp., Fabaceae), contenente rotenone (C23H22O6), una tossina che inibisce nei pesci la respirazione cellulare, permettendo quindi agli Zoque di raccogliere comodamente i “doni” con canestri di vimini e di conservarli come fonte di proteine.
Le divinità Zoque non avevano però calcolato, a quanto risulta da uno studio pubblicato su Biology Letters (disponibile integralmente a questo link), che il ripetersi del rituale avrebbe fatto evolvere nelle popolazioni di P. mexicana sottoposte al pio trattamento (sopravvissuto alla fusione tra i culti precolombiani autoctoni e il cattolicesimo importato e imposto dai Conquistadores), una forma di resistenza al rotenone.
La specie, da decenni conosciuta anche in acquariofilia, era già da tempo oggetto di studio del Dr. Michael Toble (Oklahoma State University) e del Professor Gil Rosenthal (Texas A&M University) per la sua capacità di sopravvivere a elevate concentrazioni di zolfo nell’acqua, quando questi vennero a conoscenza del rituale e vi assistettero di persona nel 2007. Decisero allora di indagare se il rituale aveva modificato in qualche modo le popolazioni di P. mexicana della grotta.
A Marzo 2010 l’esperimento venne effettuato campionando esemplari da quattro siti distinti: due a valle del punto in cui da secoli si butta il barbasco che poi la corrente distribuisce nei meandri della grotta, e due a monte. Una volta stabulati, i quattro gruppi sono stati sottoposti a concentrazioni via via crescenti di rotenone (ricavato anch’esso da radici di barbasco dello stesso ceppo di quelle usate nella cerimonia) e i dati raccolti sono stati inequivocabili: nei luoghi del cerimoniale i pesci sono significativamente più resistenti al rotenone di quanto non lo siano quelli mai sottoposti prima (presumibilmente) alla tossina. In particolare, la resistenza permette loro di nuotare il 50% di tempo in più prima di perdere i sensi.
Che attività umane prolungate possano influire sull’evoluzione non è affatto una novità, a partire dalla celebre farfalla Biston betularia, ma in questo caso l’adattamento non è in risposta a una modifica ambientale causata dalla tecnica, come possono essere appunto le rivoluzioni industriali o agricole, ma una conseguenza di un rituale culturalmente radicato e che agisce su scala relativamente ridotta.
Carl Sagan aveva speculato di un processo simile a proposito del granchio Heikea japonica: in una puntata della celebre serie Cosmos suggeriva che questa specie, il cui guscio ricorda da vicino la maschera di un guerriero samurai, avesse evoluto questa caratteristica in base a un meccanismo di selezione artificiale, involontaria, da parte dei pescatori. Il meccanismo era il seguente: a un certo punto nella storia della specie, i pescatori iniziarono a rigettare in mare quei granchi che, per caso, avevano un carapace che ricordava loro un volto umano, credendo che si trattasse di reincarnazioni di guerrieri caduti. Nei secoli questa pratica avrebbe portato a una specie di granchi in cui tutti gli esemplari portavano la caratteristica “faccia”.
Il biologo Richard Dawkins, nel suo ultimo best-seller Il più grande spettacolo della terra (Mondadori, 2010) ha riassunto i motivi per cui Carl Sagan, e prima di lui Julian Huxley, si sbagliava (probabilmente la spiegazione è un miscela di pareidolia e casualità nella disposizione degli innesti muscolari nel carapace), ma gli Zoque e il loro pesce provano che, in fondo, aveva visto giusto.
Fonte Oggi Scienza a cura di Stefano Dalla Casa.

08 Novembre 2010

PLASTICA E TARTARUGHE MARINE
Una tartaruga marina su tre trovate morte nel Mediterraneo ha lo stomaco pieno di spazzatura. Una ricerca dell’Università di Zagabria documenta le conseguenze della nostra (in)civiltà sugli esemplari dell’Adriatico.

Tartaruga marina

Prendete 54 tartarughe trovate morte spiaggiate o intrappolate a morte nelle reti di incauti pescatori e poi controllate cosa hanno mangiato di recente, cioè quali sono i contenuti del loro stomaco. Scoprirete che una ogni tre animali raccolti non presenterà resti di molluschi, granchi o pesci poco veloci, sue prede abituali, ma sacchetti per la spesa, imballaggi, cordini, polistirolo espanso, filo per la pesca. Come minimo questi detriti sottraggono spazio al cibo, più normalmente provocano occlusione e morte.
Non è una storia ambientata nei lontani Oceano Indiano e Atlantico, dove si trovano enormi e terrificanti ‘isole’ di rifiuti galleggianti, tanto che le madri dei piccoli albatros nutrono i propri piccoli con pezzi di plastica scambiata per cibo (e qui potete farvi una macabra ma istruttiva idea del risultato), ma nel ben più vicino (e conosciuto) Mar Adriatico.
La scoperta, firmata da Lazan e Gracar, ricercatori dell’Università di Zagabria, è apparsa recentemente sul Marine Pollution Bulletin. Non si tratta purtroppo di una novità assoluta: un fenomeno molto simile era stato già documentato nel 2002 da ricercatori spagnoli, che per questo reclamavano a gran voce un’educazione al rispetto ambientale nel Mediterraneo occidentale. Non sono molto diverse le conclusioni a cui giungono gli autori croati che sottolineano come le tartarughe siano animali opportunisti, che, cioè, mangiano di tutto, senza andare tanto per il sottile, finendo facilmente per prendere lucciole per lanterne.
Le coste che si affacciano al Mar Adriatico sono visitate ogni anno da oltre 18 milioni di turisti italiani e stranieri, a cui si sommano ai circa 4 milioni di residenti che ne popolano le coste. Facile comprendere come queste presenze producano una gran quantità di rifiuti, metà dei quali sono costituiti da plastica, immarcescibile e non degradabile. Forse è per questo che un’enorme quantità di rifiuti giace sul fondo dell’Adriatico, tanto che la Fossa sud adriatica starebbe diventando una vera e propria (e invisibile) discarica a mare. E forse gli stomaci pieni di plastica dei capodogli spiaggiati in Puglia ne rappresentano l’ennesima testimonianza.
L’unico modo per proteggere la tartaruga Caretta caretta, una delle specie simbolo del Mediterraneo protetta da normative nazionali, europee ed internazionali (tra cui Direttiva “Habitat” 92/43/CEE e convenzione C.I.T.E.S.), e gran parte della biodiversità marina di questo piccolo e mare è porre attenzione alle vere specie pericolose che troviamo sui litorali. Fonte Oggi Scienza a cura di Marta Picciulin.

IL FUNGO CHE DECIMA LE TARTARUGHE MARINE
Le popolazioni della tartaruga marina Caretta caretta delle isole di Capo Verde stanno morendo. La colpa sarebbe, oltre che delle attività umane, del fungo Fusarium solani che compromette la riproduzione di questi animali infettandone le uova e impedendone il normale sviluppo. Lo ha scoperto un gruppo di micologi ed ecologi guidato da Javier Diéguez-Uribeondo e Adolfo Marco del Consejo Superior de Investigaciones Cientificas- CSIC (Spagna), il cui studio è pubblicato su Fems Microbiology Letters.
“Negli ultimi trent’anni le condizioni delle spiagge di nidificazione delle tartarughe marine sono notevolmente peggiorate in tutto il mondo”- ha sottolineato Diéguez-Uribeondo. Questi luoghi sono essenziali per la riproduzione delle tartarughe, che depongono le proprie uova sotto la sabbia, dove rimangono per molto tempo al caldo e in condizioni di umidità elevata prima di schiudersi. “Oltre all’impatto delle attività umane sull’ambiente costiero, si è a lungo creduto che il declino dei nidi nelle spiagge fosse dovuto anche ad alcuni microrganismi patogeni” hanno spiegato gli autori.
Per comprendere meglio il fenomeno, i ricercatori hanno studiato le popolazioni della specie Caretta caretta dell’isola di Boavista (Capo Verde), uno dei siti preferiti dalle tartarughe, ma colpito negli ultimi anni da un impoverimento degli esemplari. Gli embrioni malati e i gusci di uova con sintomi di infezione precoce e tardiva sono stati raccolti in alcune spiagge dell’isola. Dalle analisi effettuate è emerso che queste infezioni e l’alta mortalità degli embrioni sono legate alla presenza nel suolo di un ceppo del fungo, responsabile anche delle infezioni di numerose piante e di altri animali. Questa, però, è la prima volta che il fungo viene associato alle infezioni di uova di tartarughe.
“Quello che abbiamo scoperto permette agli immunologi e agli ambientalisti di mirare gli interventi”, ha concluso Diéguez-Uribeondo. La scoperta potrebbe infatti aiutare ad adottare specifici programmi di conservazione basati sia su metodi preventivi per l’eliminazione del fungo dai nidi delle tartarughe, sia sull’incubazione artificiale delle uova.
Fonte: GalileoNet a cura di Anna Lisa Bonfranceschi.

04 Novembre 2010

CORALLO SARDO
Nel corso dei due ultimi meeting degli uffici della Convenzione di Washington (CITES) sul commercio di flora e fauna minacciata di estinzione, una vera e propria battaglia di comunicati si è svolta tra chi, dati alla mano, voleva difendere il mare, ovvero Stati Uniti e Cina, e l’Italia. Quest’ultima, suoi dati alla mano, sosteneva il prelievo, la lavorazione e il commercio di corallo.
In effetti, a ben guardare i comunicati relativi all’ultimo meeting della Convenzione di Washington, tenutosi a Dubai nel marzo di quest’anno, i rappresentanti del nostro paese non erano molto in sintonia con il mare. Piuttosto con le associazioni di categoria delle ditte che lavorano il corallo. ‘Il Ministro Prestigiacomo ed il Sottosegretario agli Esteri Scotti - si legge in una nota dello scorso marzo – fino all’ultimo hanno lavorato in questa direzione con l’attenta presenza delle associazioni di categoria (Assocoral)‘.
Le preoccupazioni era soprattutto rivolte alle ditte campane, le quali (non avendo più contingenti sufficienti in loco) si riforniscono altrove, tra cui la Sardegna.
Nell’isola meta di vacanzieri da quindici giorni, vi sono trenta permessi di prelievo del corallo, sebbene poco più di venti operativi. Ogni pescatore può prelevare fino a due chili e mezzo al giorno (sempre che effettivamente sia controllato). La prima data comunicata per la fine del prelievo, era stata fissata al 15 ottobre, poi prorogata al 29, ed infine al 15 novembre. In Sardegna capita che il mare può essere mosso. A quanto pare non è un fenomeno solo sardo, ma la Giunta Regionale meteoropatica, decide per questo l’ulteriore rinvio. Grazie ai dati in loro possesso si possono tirare fuori dal mare parecchie centinaia di chili di corallo sardo. Solo l’anno scorso ne furono staccate due tonnellate!! Fonte GeaPress.

SI LITIGANO IL MARE
Sconfortante notizia che arriva da Londra, dove è attivissimo lo sviluppo di energie alternative e in particolare dell'eolico offshore. Riporta la Reuters: Gli sviluppatori che stanno costruendo impianti di eolico offshore potrebbero vedersi cancellati i progetti qualora interferissero con l'esplorazione per petrolio e gas. Il ministro inglese dell'energia e del clima si è detto stupito della rivelazione. Eppure, sembra che ciò sia previsto dal contratto che viene firmato con la Crown Estate, l'ente che presiede alla concessione dei diritti di sfruttamento delle coste e delle acque territoriali. Si stanno insomma facendo la guerra nel mare del Nord, dove il petrolio è agli sgoccioli e vengono richiesti a gran voce nuove tagli alle tasse per l'industria esplorativa. Fonte: Blogosfere.

03 Novembre 2010

UN NETWORK DI MICRO-AREE MARINE
Normalmente parchi e riserve marine sono gli strumenti migliori per preservare ecosistemi fragili e specie in pericolo. Si tratta per lo più di meravigliose e grandi aree dotate di un elevato grado di naturalità, spesso lontane dagli agglomerati urbani e il cui accesso è regolato in maniera scrupolosa. Eppure ci sono specie a rischio d’estinzione che le disdegnano, preferendo di gran lunga substrati artificiali ‘urbani’ situati in prossimità dei porti.
È ad esempio il caso della patella gigante (Patella ferruginea), uno fra gli invertebrati marini del Mediterraneo più minacciati d’estinzione, attualmente reperibile sulle isole del Mediterraneo occidentale, sulle coste della Spagna, Nord Africa e Mar Egeo.
Secondo Garcıa-Gomez e collaboratori dell’Università di Siviglia (Spagna) questo mollusco trova rifugio dall’impatto umano proliferando su strutture costiere come frangiflutti e banchine. Non ci sarebbe niente di male se non fosse che simili costruzioni difficilmente hanno lo status legale per essere protetti, data la loro natura e le piccole dimensioni.
È per questo che in un articolo recentemente apparso su Marine Ecology i ricercatori spagnoli chiedono la creazione di un network di micro-aree protette costituite da costruzioni artificiali costiere, che si distinguano per l’elevato valore ambientale delle specie e/o degli ecosistemi che vi risiedono. Secondo Garcia-Gomez e colleghi, ciò faciliterebbe la ripresa della popolazione di patella gigante così come di altre specie marine protette come il dattero di mare Lithophaga lithophaga.
L’idea non è troppo balzana. In realtà in Spagna orientale esistono già micro-riserve (di dimensioni non superiori a 20 ettari) create per proteggere specie vegetali endemiche con una ridotta distribuzione spaziale. Si tratta di una misura di conservazione unica al mondo, che si è dimostrata particolarmente adatta per gestire piccole popolazioni di organismi non-mobili, come quelli vegetali. Rifacendosi ad essa, gli autori sottolineano come sotto il profilo ecologico, modalità di dispersione e di colonizzazione del substrato in primis, molti animali marini sessili non sono molto dissimili dalle piante.
Più in generale, la proposta rientra in quella nuova scienza che l’ecologo Michael L. Rosenzweig ha denominato ‘reconciliation ecology‘. Quest’ultima si basa sull’idea di creare e mantenere habitat favorevoli alla diversità biologica nei centri urbani (quindi in aree totalmente artificiali) e nelle aree naturali frequentate dalle persone.
Un simile approccio assume che i manufatti umani non sempre vanno ritenuti nocivi e distruttivi dell’ambiente ma possono talvolta, se opportunamente gestiti, rappresentare una risorsa e/o un habitat disponibile per svariati organismi, a costo zero per gli amministratori pubblici.
Senza – sia detto! – nulla togliere all’imperativo di preservare gli ecosistemi naturali.
Fonte: Oggi Scienza a cura di Marta Picciulin.

IL CAPODOGLIO CHE NON C'E' PIU'
Lo scheletro di un capodoglio del medio Miocene ritrovato due anni fa in un sedimento nel deserto di Pisco-Ica, una regione del Perù meridionale, permette oggi di immaginare come fosse fatto e come viveva l’antenato del capodoglio moderno.
È stato denominato da Olivier Lambert, ricercatore del team internazionale che ha condotto le ricerche, Leviathan melvillei, in onore di Herman Melville l’autore di Moby Dick. Aveva denti impressionanti, lunghi fino a 36 cm e con un diametro alla base di 12 cm, posizionati su entrambe le arcate della bocca. La lunghezza del corpo era di poco inferiore al capodoglio che nuota nei nostri mari, compresa tra i 13 e i 17 metri, ma secondo gli studiosi le differenze morfologiche sono significative.
I risultati della ricerca, condotta da un gruppo di varie università tra cui quella italiana di Pisa, sono stati pubblicati a Luglio su Nature. Allo studio ha partecipato anche l’italiano Giovanni Bianucci, paleontologo esperto di vertebrati. Oggi lo scheletro del cranio, risalente a 12 milioni di anni fa, è esposto in una sala del Museo di Storia Naturale di Lima.
Olivier Lambert ritiene che Leviathan melvillei fosse un superpredatore e il ritrovamento nello stesso sito archeologico (Cerro Colorado) di numerosi scheletri di balene fa supporre ai ricercatori che proprio le balene costituissero la dieta base di questi animali. Una bella differenza rispetto al suo successore che si nutre principalmente di cefalopodi di pochi chilogrammi.
Per le balene i capodogli del Miocene competevano con un altro super-predatore, il Carcharocles megalodon, uno squalo erroneamente considerato l’antenato del moderno squalo bianco per via della somiglianza dei denti. Un animale sul quale sono fiorite tante leggende metropolitane secondo le quali si è estinto da poche migliaia di anni o addirittura viva ancora nelle profondità degli oceani. È come sperare di incontrare un Tirannosaurus rex facendo una passeggiata a Central Park.
Resta da chiarire il perché questa specie si sia estinta favorendo lo sviluppo, nel periodo del Pliocene, di altri odontoceti di dimensioni inferiori, come le orche. Una (possibile) risposta la danno gli etologi secondo i quali la capacità delle orche di vivere in gruppo e cooperare nelle fasi di caccia per catturare balene di dimensioni maggiori ne abbia fatto dei competitori temibili anche per predatori unici come il Leviatano di Melville.
Fonte: Oggi Scienza a cura di Mauro Colla.

UN GENE SALVACUORE DALLE CONCHIGLIE?
Conchiglia e cuore. Così distanti dal punto di vista biologico. Eppure più simili di quanto si possa immaginare nel patrimonio genetico. In comune hanno Nodal, gene disegnatore di spirali. Nei molluschi Nodal crea in modo artistico la forma della protezione conica. Nell’uomo organizza lo sviluppo delle arterie cardiache che si avvitano attorno al motore dei nostri battiti.
La suggestiva ipotesi su questa similitudine, descritta per la prima volta nel 2002, ha trovato conferma lo scorso anno in due lavori usciti su note riviste scientifiche internazionali. Adesso un gruppo italiano rilancia con una nuova scoperta che potrebbe rivoluzionare la storia di una delle più gravi e frequenti malformazioni cardiache, causata proprio da un’anomalia di Nodal. Lo studio verrà pubblicato nel prossimo numero dell’American Journal of Medical Genetics. In copertina campeggiano le fotografie di conchiglie e cuori. L’idea è quella di partire ancora dal Dna della conchiglia, molto più essenziale di quello umano nella sua struttura, per rintracciare il gene architetto che sovrintende la spiralizzazione. Il passo successivo lo spiega Bruno Marino, responsabile della cardiologia pediatrica al Policlinico Umberto 1, università La Sapienza: «Una volta identificato nei molluschi potremo ritrovare lo stesso gene capofila nel patrimonio genetico umano e dunque ricostruire l’intero percorso che, in caso di errore, conduce a una cardiopatia caratterizzata anche dall’errato sviluppo delle arterie. Anzichè assumere una guisa a spirale i vasi scorrono paralleli. E’ una patologia molto severa, diagnosticata alla nascita e che rende penosa la vita dei neonati che devono essere operati».
In parole semplici, i ricercatori italiani ipotizzano la prima applicazione clinica basata su Nodal. Secondo Marino si potrebbe mettere a punto un test genetico prenatale sulle donne per individuare le portatrici dell’anomalia che si trasmette per via materna. Lo studio dell’American Journal è firmato oltre che da Marino, da Marco Oliverio, Paolo Versacci, Cristina Digilio e Bruno Dallapiccola. Nel 2009 lo stesso gruppo italiano aveva dimostrato l’implicazione della mutazione di Nodal nella cardiopatia cosiddetta della trasposizione delle grandi arterie. Pochi mesi prima in un articolo uscito su Nature gli americani avevano dimostrato che lo stesso gene, se difettoso, provoca nelle conchiglie un’asimmetria della spirale. Questa storia ha un aspetto ancora più suggestivo, di tipo evoluzionistico. Nodal disegna le conchiglie da 400 milioni di anni.
Fonte: Corriere della Sera.

02 Novembre 2010

NUOVA ERUZIONE IN ISLANDA?
Segnali di ripresa dal vulcano Islandese Grimsvotn, che ribolle sotto il ghiacciaio Vatnajokull. Lo hanno segnalato geologi islandesi preoccupati dall’aumento di portata del Gigja, un corso d’acqua che scende dal ghiacciaio. In sole 12 ore la portata del Gigja è triplicata e sta alimentando un grande bacino che potrebbe tracimare e provocare una grande jökullhlaup, termine che indica un'alluvione di origine glaciale, abbastanza comune in Islanda. L'ultima grande alluvione avvenne nel 1996 con una portata dei corsi d'acqua di ben ben 50.000 m³/secondo.

ANCORA ALLUVIONI
Come sempre, basta qualche pioggia più insistente per creare problemi e danni considerevoli. E purtroppo anche questo autunno ci sono state delle vittime.
E' raro ascoltare in televisione notizie serie e supportate da una certa scientificità, ma oggi è accaduto. I nostri corsi d'acqua e più in generale tutti gli ecosistemi di acqua dolce sono compromessi. Cosa fare? Ecco alcuni spunti presi dalla trasmissione Leonardo di rai 3 del 2 Novembre:

L'ultimo è un punto importantissimo ma mai considerato dalle Amministrazioni locali, per poi chiedere, quando avviene il peggio, lo stato di calamità naturale.

01 Novembre 2010

QUALI QUOTE PER IL TONNO ROSSO?
La Commissaria Europea UE alla pesca Damanaki, aveva annunciato pochi giorni addietro l’intenzione di ridurre le quote pesca del tonno rosso. Su di lei erano subito piovute le critiche delle associazioni di pesca italiane ( vedi articolo GeaPress) secondo le quali la Commissaria, prima di esprimersi, doveva essere più scientifica e meno politica. Cosa che, detta così, sa più di beffa, visto che per la pesca, e del tonno rosso in estinzione in particolare, il problema è molto più politico che scientifico.
L’intervento della Damanaki arrivava poco prima della riunione che si è tenuta giorno 26 a Strasburgo. A parteciparvi i Ministri dei paesi UE del settore pesca, e tra questi il nostro Galan che proprio ieri ha diffuso entusiasticamente i dati di repressione contro la pesca di frodo portati a termine dalla Guardia Costiera. Fatto, quest’ultimo, confermabile anche dagli articoli presenti nella apposita sezione “mare” di GeaPress relativi proprio agli interventi continui delle Capitanerie di Porto. Nulla dice sul risultato della riunione di Strasburgo. Ci pensa il WWF. La Commissaria Damanaki voleva un mandato forte per portare alla prossima riunione dell’ICCAT ( Commissione Internazionale per la Protezione del Tonno Atlantico ), che si svolgerà il prossimo novembre, un ridimensionamento delle quote di prelievo assestabile intorno 6000 tonnellate? L’Italia, invece, conferma il prelievo a 13.500 tonnellate! Un fatto grave che impedirà tra l’altro di rispettare la Direttiva Europea che impone ai paesi membri di ricostituire entro il 2020 gli stock naturali ormai fortemente menomati dalla pesca. Affinché ciò possa accadere in accordo con i dati scientifici prodotti dall’ICCAT, la quota di tonno deve necessariamente essere inferiore alle 6.000 tonnellate. Cosa succederà quando l’Italia ed altri paesi oltranzisti proporranno i proprio maxi prelievi?
Accadrà non solo che i tonni saranno sempre meno (finché, probabilmente, li estingueremo del tutto in una scatoletta sott’olio) ma anche che nel 2020 il mancato rispetto della Direttiva peserà, in termini di multe, sui cittadini tutti. Ma di qua al 2020 Galan chissà dove sarà, i pescatori avranno (stra)prelevato anche grazie ai contributi pubblici, ed una nuova generazione dovrà affrontare di tasca propria l’incoscienza pregressa. Come dire, non solo consegneremo un mondo sempre più povero ma anche più costoso. (GEAPRESS – Riproduzione vietata senza citare la fonte).
Fonte: Redazione GeaPress.