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30 SETTEMBRE
SPIAGGE ANTROPIZZATE E NUOVI NATI DI Caretta caretta
Comunque sia andata, ai nuovi nati si potrà dare appuntamento più o meno tra un quarto di secolo. Tanto impiegano le femmine di Caretta caretta a raggiungere la maturità sessuale e riconquistare, questa volta per nidificare, la spiaggia natia. Ammesso che sia poi così. In effetti sulla biologia della Caretta caretta non si sa ancora molto. Troppo lungo il suo ciclo vitale. La situazione forse meglio monitorata è quella di Lampedusa (AG). Fino a non molti anni addietro praticamente l’unico sito italiano di nidificazione della tartaruga marina. Proprio da Lampedusa arriva la notizia più clamorosa. Di tartarughe, quest’anno, neanche l’ombra. Nessuna nidificazione. "Speriamo nell’anno prossimo – ha dichiarato a GeaPress Giusi Nicolini, Direttrice della Riserva Naturale gestita da Legambiente – Dovrebbe essere il turno di una tartaruga ormai ben monitorata dai nostri esperti. Le Caretta caretta – spiega Nicolini – non vengono a deporre ogni anno". Testo completo su GeaPress.
29 SETTEMBRE
MUCILLAGINE E/O SCHIUMA? L'ADRIATICO DIVENTA MARRONE
Sono tante le segnalazioni ricevute in questi giorni da pescatori, surfisti e cittadini. L'Adriatico, da Fano verso sud, sino ad Ancona, è come coperto da una coltre schiumosa che nella giornata di ieri ha letteralmente ricoperto la battigia, soprattutto in zone ove il ricambio dell'acqua è scarso (scogliere, tomboli ecc..). Oggi la situazione sembra migliorata a causa del mare agitato, ma si possono ancora vedere chiazze marroni anche a notevole distanza dalla costa.
La schiuma appare di un colore beige/marrone, e tende a persistere per molto tempo sulla battigia. Tra le tante segnalazioni, anche corredate da immgini che pubblicheremo prossimamente, una riguarda il fiume Metauro che trasporterebbe a mare ammassi algali molto estesi e di consisetnza gelatinosa; quest'ultima notizia è attualmente in attesa di verifica.
TARANTO: COZZE ALLA DIOSSINA, IL TRIBUNALE ASSOLVE PEACELINK
Il Tribunale del Riesame di Taranto, composto dal Presidente dott. Michele Petrangelo e dai Giudici Luca Ariola e Maria Christina De Tommasi, ha dissequestrato l'intervista rilasciata da Alessandro Marescotti pubblicata dal sito Affaritaliani.it in data 13 gennaio 2011 e relativa alle analisi realizzate dal Fondo Antidiossina Taranto sui frutti di mare prelevati dai fondali del Mar Piccolo.
In accoglimento della richiesta di riesame proposta da Alessandro Marescotti difeso dall'avv. Sergio Torsella, il Tribunale ha annullato il sequestro ritenendo che quanto dichiarato da Alessandro Marescotti "risulta corrispondente alla verità oggettiva dei fatti".
Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, era stato querelato penalmente da alcune cooperative di mitilicoltori per diffamazione, diffusione di notizie false ed esagerate, procurato allarme in relazione alla presenza di diossina nei mitili (articoli 110, 595, 656, 658 del Codice penale).
Il Tribunale del riesame ha affermato che Marescotti ha esercitato il suo diritto "sancito dall'art.21 della Costituzione esprimendo la sua personale opinione su un tema di rilevanza sociale nella comunità tarantina (...) senza la consapevolezza di offendere la reputazione di alcuno (...) fornendo la sua particolare chiave di lettura con toni peraltro adeguati allo scopo (c.d. Limite della continenza), divulgando notizie che non hanno affatto rappresentato la realtà' in modo alterato, ma che, al contrario, senza cagionare inutili allarmismi, hanno consentito ai cittadini di avere piena consapevolezza di quanto normativamente previsto, senza alcun danno per la tranquillita' pubblica".
Il Tribunale specifica inoltre: "Tanto basta per escludere quindi oltre al fumus commissis delicti relativo all'art. 595 c.p., anche quello relativo all'art.656 c.p. (...) nonche' all'art.658 c.p.".
Alla luce di tali considerazioni giuridiche il Tribunale del Riesame accoglie il ricorso di Marescotti e annulla il decreto di sequestro preventivo che avrebbe portato all'oscuramento dell'intervista sul web di Affaritaliani.it e dei relativi dati informativi contenuti in una dettagliata dabella con i dati della diossina riscontrati nelle cozze e comparato con altri alimenti. Fonte: Eco.
DISASTRO DEEPWATER HORIZON, LA BP COLPEVOLE
Le società petrolifere British Petroleum, Transocean e Halliburton sono responsabili dell’incidente del 20 aprile 2010 presso la piattaforma DeepWater Horizon, in cui persero la vita 11 uomini ed altri 16 rimasero feriti. Un’esplosione che, per i successivi 87 giorni, portò quasi 5 milioni di barili di petrolio a riversarsi nelle acque del Golfo del Messico. A stabilirlo è il rapporto finale del Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement (Boemre), agenzia facente capo al Dipartimento degli Interni del governo Usa, per cui le tre società "hanno violato diverse leggi federali sulla sicurezza offshore". Testo integrale su IlFattoQuotidiano.
IL DECLINO DELLE BARRIERE CORALLINE
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences mostra che il declino delle barriere coralline può essere previsto con un certo anticipo. In un reef ci sono tipicamente 1000 - 1500 chilogrammi per ettaro di barriera corallina di pesci di barriera di varie specie. Quando questo valore scende al di sotto di 1000 chilogrammi, cominciano ad apparire i primi segnali di allarme:una maggiore crescita di alghe e di ricci di mare. I ricercatori hanno scoperto che tra i 300 e i 600 chilogrammi per ettaro, sembra esserci una 'finestra' di quello che è conosciuto come il rendimento massimo sostenibile, ma quando il pesce scende sotto i 300 chilogrammi per ettaro, la barriera è in guai seri. News su GaiaNews.
28 SETTEMBRE
MORIE DI VONGOLE E DI PESCE
Una straordinaria moria di vongole sta mettendo in ginocchio i pescatori del Delta che lavorano nella Sacca di Scardovari e nelle lagune di Barbamarco e Canarin. La situazione è esplosa in tutta la sua gravità in questi giorni, tanto da indurre la Provincia a convocare un vertice con i rappresentanti dei lavoratori interessati, oltre 1.500 addetti di 13 cooperative. È proprio Giovanni Colacicco, presidente del Consorzio di pesca di Scardovari a spiegare che i mesi a venire saranno durissimi: "Abbiamo praticamente perso la produzione per il Natale: non è andato perduto solo il prodotto finito, ma anche gran parte del seminato".
A risultare fatale per le produzioni il caldo straordinario di questo periodo, che ha favorito uno sviluppo massivo di alghe che hanno 'rubato' ossigeno ai molluschi e, in seconda battuta, prodotto gas tossici che hanno avuto effetti devastanti per tutta la fauna acquatica della laguna. Il processo ha interessato un'area estesa tra i 40 e i 50 ettari, con danni ingentissimi anche se non ancora quantificati nel dettaglio. Si parla di varie migliaia di quintali di vongole perse e, dunque, le cooperative non potranno soddisfare le richieste del mercato. Una situazione rispetto alla quale l'assessore provinciale alla Pesca, Claudio Bellan, ha proposto la costituzione di un tavolo permanente per affrontare la crisi, sottolineando la necessità di un coordinamento territoriale per richiedere nelle sedi opportune "interventi strutturali, di vivificazione, di riassetto idraulico delle lagune per i costanti cambi delle dinamiche delle acque". [Tratto da Corriere Veneto] [nota di biologiamarina.eu: curioso come nel 2011 si parli ancora di assetto idraulico della laguna. Altri interventi come quelli condotti in passato non potranno altro che peggiorare la situazione. Sullo stato delle lagune italiane pubblicheremo a breve un articolo monografico].
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Una moria incomprensibile di pesce azzurro. Minuscole alicette affiorate a galla agonizzanti, e poi rimaste a marcire sulla battigia di Lido delle Sirene, elegante spiaggia tra Lavinio e Anzio. Dove adesso è mistero fitto sulle cause del sinistro fenomeno in corso da qualche giorno. E che sabato 24 ha raggiunto l’apice, quando migliaia e migliaia di pesciolini, per un totale di qualche quintale di peso, sono morti senza apparente spiegazione.
Qualche bagnante ha approfittato dell’occasione per fare una specie di pesca, riempiendo delle buste di plastica usate come reti. Inutile la 'sgridata' arrivata dai volontari del Wwf che hanno prelevato campioni di acqua da sottoporre ad esame. "Non sappiamo perché quelle alicette siano morte – hanno detto gli ambientalisti che hanno ispezionato la spiaggia - forse hanno ingerito qualcosa di tossico. E mangiarle potrebbe essere pericoloso".
I villeggianti che soggiornano da queste parti adesso non fanno altro che parlare della moria. Si fanno tante ipotesi. Qualcuno riporta le parole di qualche anziano e saggio pescatore del posto che ha incolpato la diga frangiflutti parallela alla spiaggia. La presenza della lunga muraglia di massi che serve per limitare gli effetti dell’erosione avrebbe creato una specie di zona stagnante, priva dell’ossigeno necessario alla sopravvivenza dei banchi di pesce. Ecco perché le sardine, di una lunghezza compresa tra i 5 e i 10 centimetri, inizialmente si sono avvicinate alla riva, ammassandosi sulla battigia, incapaci di tornare indietro.
Un fenomeno che nei giorni scorsi aveva avuto una specie di precedente, quando sono affiorate le carcasse di numerose lumache di mare e stellette marine. "Mai vista una cosa del genere – racconta Antonella Vicini, che da anni trascorre le vacanze a Lido delle Sirene - Un fatto davvero inquietante". Qualcuno incolpa gli scarichi provenienti dall’entroterra. "E’ noto che da queste parti c’è un problema pesante di fogne irregolari – racconta un signore - "Basta che un capannone rilasci qualche sostanza inquinante e subito, in questa specie di stagno davanti alla spiaggia, si creano le condiziono per queste inspiegabili, almeno in apparenza, morie di pesci". Fonte: Corriere della Sera.
27 SETTEMBRE
EARTH OVERSHOOT DAY 2011
Oggi, 27 settembre l’umanità entra in deficit ecologico. Vuol dire che per quest’anno abbiamo esaurito tutte le risorse naturali disponibili e inizieremo a consumare quelle riservate al prossimo. Insomma, da oggi mettiamo mano ai risparmi che evidentemente andiamo a sottrarre dal capitale per il nostro futuro e per quello dei nostri figli. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per una inesorabile legge dell’economia: spendiamo più di quanto abbiamo. Anche in termini di risorse. Spiega Mathis Wackernagel presidente del Global Footprint Network, l’associazione internazionale che calcola ogni anno la spesa ecologica dell’umanità: "Se vogliamo mantenere la società stabili e vivere bene non possiamo più sostenere un deficit di bilancio sempre più ampio tra ciò che la natura è in grado di fornire e quanto le nostre infrastrutture, economie e stili di vita richiedono".
Sin dal 1970 in poi che le attività umane hanno superato la soglia critica di sfruttamento delle risorse del Pianeta e la domanda ha iniziato a superare l’offerta in una condizione nota come superamento ecologico. Secondo Global Footprint Network stando così le cose iniziano a volerci risorse disponibili tra 1.2 e 1.5 pianeti in più per sostenere la domanda e entro la prima metà del secolo avremo bisogno di 2 pianeti. Secondo Juan Carlos Morales direttore Research and Standards per GFN: "Fornire un buon tenore di vita alla gente di tutto il Pianeta è certamente possibile. Ma non sarà possibile utilizzando intensamente le risorse secondo i modelli di sviluppo e crescita che abbiamo avuto fino a oggi. Questo significa trovare nuovi modelli di progresso e prosperità che limitino la domanda sul patrimonio ambientale. Ciò significa anche mantenere le risorse che abbiamo come una fonte di continua di ricchezza piuttosto che come produttrici di denaro veloce". Fonte: Ecoblog.
PESCA IN ADRIATICO. INCONTRIAMOCI CON I PESCATORI
Si terrà oggi, alle ore 17.00, l'appuntamento con il talk show: "Pesca in Adriatico. Incontriamoci con i pescatori". La trasmissione andrà in streaming online su www.agrilinea.tv e www.maretv.eu e in seguito pubblicata sul circuito televisivo di Agrilinea: Decoder Sky-Canale 835 (ore 13 e 19.30) e NuovaRete (ogni domenica ore 13 e 19.30).
Carenze di pescato, nuove regole dell’Unione Europea che penalizzano le marinerie italiane e una forte concorrenza internazionale. Ma anche stato di salute del mare, sicurezza alimentare del pescato, gestione della pesca e suo impatto ambientale ed economico, tecnologia e veterinaria in acquacoltura.
Il talk show di Agrilinea Pesca in Adriatico. Incontriamo con i pescatori, in programma martedì 27 settembre dalle 17.00 al Museo della Marineria di Cesenatico, vuole accendere i riflettori su questo importante settore del sistema economico, facendo il punto della situazione a pochi giorni dalla ripresa (il 1° ottobre) delle attività di pesca in Adriatico dopo il fermo biologico prolungato a 60 giorni.
All’incontro, moderato dal direttore di Agrilinea, Sauro Angelini, parteciperanno le associazioni di pescatori, docenti universitari e ricercatori, rappresentanti del mondo politico e istituzionale che dibatteranno sulle problematiche e opportunità di questo settore, che nella sola Cesenatico occupa 300 persone e oltre un centinaio di pescherecci.
Previsto, fra gli altri, l’intervento telefonico del vicepresidente della Commissione Europea sulla pesca, Guido Milana e la partecipazione dell’assessore regionale all’economia ittica Tiberio Rabboni. Fonte: EuroFishMarket.
26 SETTEMBRE
COSA VOLETE CHE SIA? OVERFISHING E ALTRO....
Il titolo è la classica frase che si sente prima di un disastro ambientale. Per esempio: "Ho portato dei rospetti che mangeranno tutti i parassiti della canna da zucchero. Problemi da questi animali? Ma cosa volete che facciano?" Oppure: "Serpentelli, belli serpentelli; adesso vi lascio andare e così mi libererete da quelle malefiche chiocciole. Un boa? Pericoloso? Ma no, non esagerate, cose volete che sia?". O ancora: "Peschiamo troppo? Ma se il mare è pieno di pesci. E poi, la vedete la mia barchetta? Cosa volete che faccia?". Ecco. Alla fine della faccenda abbiamo il rospo marino, il serpente gatto bruno e i mari devastati dall’overfishing.
E le conseguenze sono sempre inattese e (oh, e chi ci avrebbe mai pensato?) spesso devastanti. Nel caso delle prime due bestie, andatevi a vedere i link e i collegamenti da lì. Nell’ultimo caso, invece, cerchiamo di capire quanto avviene per collegarci a un articolo appena uscito: la pesca eccessiva – tra le altre cose – diminuisce la biomassa totale dei pesci, specie di quelli di livello ecologico più elevato (altro esempio). La prima conseguenza è che aumentano le specie che venivano catturate dai predatori, cioè il cosiddetto pesce azzurro (che non si chiama in inglese forage fish per niente). L’aumento del pesce azzurro porta a uno sbilancio nella rete alimentare, che impedisce poi a lungo la rinascita dei pesci predatori, dai merluzzi ai tonni agli squali, anche se non ci fosse la pressione di pesca dell’uomo – che c’è sempre, anche sul pesce azzurro. Dunque, la diminuzione dei predatori e del pesce azzurro porta all’aumento di altri predatori che si nutrono di plancton. E questi sono di solito meduse: in breve, può succedere che il mare si riempia di questi diafani e gelatinosi esseri, ricchi di nematocisti e poveri di potere nutritivo. Leggi il testo integrale sul blog di Leucophaea.
FALSI FILETTI DI CERNIA
È venduta come cernia, ma è solo un parente povero e, a volte, nemmeno quello. La denuncia arriva da Eurofishmarket, società di ricerca impegnata, insieme a università ed enti pubblici, a far chiarezza nel mercato del pesce. La cernia è un pesce pregiato, i suoi filetti un alimento apprezzato sulle tavole italiana. Ma siamo sicuri di quello che acquistiamo? Sempre più spesso – almeno in un caso su tre - succede di comprare come cernia pesci della stessa famiglia o addirittura di famiglie differenti, ma meno pregiati. "Dal 2002 la legge vieta di ribattezzare il pesce con nomi di fantasia, è obbligatorio utilizzare una denominazione ufficiale che corrisponde al nome latino", spiega Valentina Tepedino, veterinaria e direttore di Eurofishmarket. News integrale su IlFattoAlimentare.
23 SETTEMBRE
UNA QUESTIONE DI ABBONDANZA
L’aumento della temperatura marina ha determinato importanti cambiamenti nell’abbondanza di specie ittiche di importanza commerciale dell’Oceano Atlantico settentrionale. È quanto emerge da uno studio pubblicato recentemente dal professor Simpson dell’Università di Bristol e collaboratori.
La ricerca è stato svolta nell’Oceano Atlantico settentrionale, un vero e proprio hot-spot del cambiamento climatico poichè negli ultimi trent’anni il riscaldamento del mare è avvenuto a un tasso quattro volte superiore a quello medio mondiale, con un aumento effettivo di 1.31 °C. Se vi sembra un’inezia, siete in errore: anche piccole variazioni di temperatura influenzano profondamente i tassi di maturazione delle uova, la crescita e la sopravvivenza delle larve di pesci e, più in generale, le comunità planctoniche alla base della rete alimentare.
A causa dell’incremento termico, la stragrande maggioranza dei pesci – ben il 72% – ha modificato la propria abbondanza, nonostante il numero di specie presenti nell’area sia rimasto sostanzialmente costante. A questi risultati gli scienziati sono giunti sulla base di 11 survey indipendenti, svolte negli ultimi tre decenni su un milione di chilometri quadrati del Mar del Nord e aree limitrofe.
Si tratta della prima volta in cui gli effetti del riscaldamento globale sull’ecosistema marino vengono studiati misurando l’abbondanza assoluta e non solo la più 'classica' presenza/assenza delle specie (come a dire che fino ad ora valutazioni simili non prendevano in considerazone se una specie era costituita in loco da poche centinaia o da milioni di esemplari). Simpson e colleghi dimostrano ora che entrambe le informazioni siano necessarie; ne consegue che nel passato importanti effetti ecologici e economici del cambiamento climatico potrebbero essere stati sottostimati.
Ma l’aspetto più interessante del lavoro è un altro: i ricercatori hanno scoperto che per ogni specie locale in recessione - il cod, Gadus morhua, e l’haddock, Melanogrammus aeglefinus hanno registrato una riduzione del 50% negli ultimi trent’anni - ce ne sono altre tre la cui abbondanza aumenta all’aumentare della temperatura. Quest’ultime sono per lo più specie 'meridionali', caratterizzate da taglie minori, maggiori accrescimenti e tempo di vita più corto, potenzialmente più 'biodiverse'.
Insomma il riscaldamento dell’acqua avrebbe consentito una ripresa della biomassa, ovvero della quantità di pesce presente. Ciò significherebbe che i mari Europei possiedono ancora il potenziale per supportare una pesca produttiva e sostenibile e che in futuro nuove specie potrebbero soppiantare quelle tradizionali sulle tavole di molti consumatori. Una buona notizia per un’area di pesca considerata in declino. A tal proposito vale la pena anche ricordare che la Comunità Europea sta lavorando in questi mesi a una riforma sostanziale della propria policy di pesca, che dovrebbe ridurre significativamente la sovra-pesca e gli impatti sugli ecosistemi marini. Vi terremo aggiornati. Fonte: OggiScienza.
22 SETTEMBRE
UN ANTIVIRALE A LARGO SPETTRO DAGLI SQUALI
Una versione sintetica di un composto presente naturalmente negli squali potrebbe avere ampie implicazioni per la prevenzione e il trattamento delle infezioni virali. È quello che ha scoperto il dottor Michael Zasloff, che ha sintetizzato un composto presente originariamente negli squali, scoprendo che è efficace nel trattamento dei patogeni umani. Gli antibiotici ad ampio spettro sono stati prescritti da decenni, ma gli scienziati dicono che lo sviluppo di un buon farmaco antivirale è un risultato ancora ben lontano da raggiungere.
In un nuovo articolo pubblicato online su Proceedings of the National Academy of Sciences, Zasloff dimostra che la squalamina sintetica, presente originariamente negli squali, è efficace nel trattamento di agenti patogeni umani, compresa la febbre gialla e l’epatite B. Zasloff ha per la prima volta identificato la squalamina nel 1993, presso la Pennsylvania University, e il composto è attualmente in fase di studio in relazione al cancro e ad alcune malattie degli occhi.
Zasloff ha detto che il composto mostra come gli squali combattono l’infezione in modo diverso rispetto agli esseri umani. "Quello che lo squalo fa ( ed è il modo migliore per farlo) è quello di rigenerare le cellule - ha detto Zasloff, professore alla Georgetown - Ad esempio, per combattere una infezione virale del fegato, non abbiamo bisogno di attaccare il virus, ma basterebbe semplicemente cambiare il fegato, e poiché sappiamo che i virus sono organismi semplici, essi si sono evoluti per attaccare un tessuto specifico, quindi se 'cambiamo' le cellule del tessuto il virus non è più efficace".
Questo è uno di circa una mezza dozzina di agenti attualmente allo studio che potrebbero avere importanti proprietà antivirali. Mentre gli antibiotici sono molto diffusi e soprattutto molto efficaci, attualmente in commercio esistono pochissimi farmaci antivirali, e i pochi esistenti hanno risultati non molto soddisfacenti, in quanto bloccano solo un virus specifico e non completamente. Si stima che ci vorrà almeno un altro decennio per iniziare a vedere qualche antivirale di quelli attualmente in studio in farmacia. Nel frattempo dovremo continuare ad accontentarci del succo d’arancia. Fonte: GaiaNews. Articolo originale: Michael Zasloff - Squalamine as a broad-spectrum systemic antiviral agent with therapeutic potential. Proceedings of the National Academy of Sciences. Sett 2011.
21 SETTEMBRE
UNA NUOVA SPECIE DI DELFINO
Un delfino di 2.5 metri con una pinna dorsale e un muso diverso dai cetacei conosciuti è stato avvistato nella costa sud-orientale dell’Australia. I ricercatori della Monash University di Victoria hanno individuato due popolazioni di circa 150 esemplari della nuova specie di delfino, denominato Burrunan (Tursiops australis sp. nov.). La ridotta popolazione, che vive in una zona ben delineata dell’Australia, potrebbe essere a rischio estinzione. Gli studiosi, come si legge nella rivista scientifica PLos One, avevano inserito il Burrunan tra le comuni specie di delfini del genere Tursiope, ma esami del DNA e test di laboratorio hanno evidenziato differenze genetiche tra gli esemplari di mammiferi marini. Fonte: Ecologiae. Articolo originale su PLos One - A New Dolphin Species, the Burrunan Dolphin Tursiops australis sp. nov., Endemic to Southern Australian Coastal Waters. Immagine a lato: Tursiops australis. Credits: PLos One.
IL MARE, NON LA SOLITA MINESTRA RISCALDATA
Il cambiamento climatico ha effetto sui processi biologici dal livello genetico a quello ecosistemico. In particolare, un recente riscaldamento del Nord-Est dell’Atlantico ha causato degli spostamenti nella distribuzione di alcune specie ittiche lungo i gradienti latitudinali e batimetrici, ma questi cambiamenti, come predetto da alcuni modelli, possono essere impediti: i movimenti delle popolazioni ittiche non possono prescindere infatti da habitat adatti.
Uno studio pubblicato su Current Biology ha mappato l’impatto del riscaldamento globale nelle specie ittiche di rilevanza commerciale della piattaforma continentale europea, dimostrando la risposta al riscaldamento nel 72% delle specie più comuni. A differenza di quanto ci si aspettava, però molte specie sono aumentate in abbondanza. Questo studio indica con chiarezza la necessità di una riorganizzazione della gestione delle risorse alieutiche a livello globale. Fonte: Pikaia a cura di Giorgio Tarditi Spagnoli.
DA ANCONA ALL'INDONESIA PER SALVARE LA BARRIERA CORALLINA
Conclusa la prima missione del gruppo di lavoro del professor Roberto Danovaro della Facoltà di Scienze dell'Università Politecnica delle Marche. Una ventina di studenti del corso di Biologia Marina hanno appena concluso il censimento dello stato di salute della barriera corallina indonesiana del nord Sulawesi.
"Si tratta dell'area più ricca di biodiversità marina al mondo - dice il coordinatore della spedizione, il professore Roberto Danovaro, docente di Biologia Marina - un vero e proprio paradiso terrestre, anzi marino, che però è fortemente minacciato dall'uomo".
La corsa all'oro, abbondante in questa regione, e l'utilizzo di mercurio per estrarlo rendono alcune aree costiere molto inquinate. La plastica abbandonata si accumula in abbondanza in tutte le spiagge coralline. A questo si aggiunge la pesca con bombe o veleni che rappresentano un vero flagello per i fragili ecosistemi di questa regione. La ricerca è stata svolta in collaborazione con il Reef Check Italia, che ha sede ad Ancona ed è coordinato dal professor Carlo Cerrano.
Il Reef Check si occupa di censire lo stato di salute di tutte le scogliere coralline del mondo. "I dati raccolti sono molto interessanti, le scogliere stando diventando un vero mosaico che alterna aree incontaminate ad altre severamente danneggiate". In futuro, anche grazie all'apertura di un nuovo laboratorio di ricerca nato dalla collaborazione tra il centro privato di ricerca Coral Eye e l'Università Politecnica delle Marche, si cercherà di restaurare gli ecosistemi danneggiati. "Si tratta anche di un'occasione di sviluppo e di nuova imprenditorialità - aggiunge Danovaro – perché saranno creati nuovi allevamenti intensivi di coralli duri e coralli molli che ne permetteranno il trapianto in aree degradate e la vendita agli acquari italiani e stranieri, evitando così il prelievo delle specie selvatiche, spesso a rischio di estinzione". Comunicato Stampa Università Politecnica delle Marche.
UN ALTRO STUDIO SUGLI OMEGA 3 RIDIMENSIONA - ULTERIORMENTE - IL LORO RUOLO NELLA PREVENZIONE DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Un altro studio ridimensiona ulteriormente il ruolo protettivo degli omega 3 relativamente alla prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Se gli omega 3 sono validi nel recupero dei postinfartuati, non si mostrano altrettanto validi nella prevenzione delle malattie cardiovascolari per le quali la migliore prevenzione sembra essere una sana alimentazione generale integrata ad una buona dose di attività fisica.
L'ultimo studio è stato pubblicato sull' American Journal of Clinical Nutrition. Mia Sadowa Vedtofte e i suoi colleghi della Research Unit for Dietary Studies dell'Institute of Preventive Medicine di Copenhagen, in Danimarca, hanno analizzato il consumo di PUFA (gli acidi grassi omega tre di derivazione animale), di acido linoleico e di acido alfa linolenico (entrambi di origine vegetale) in quasi 3.300 uomini e donne residenti nella zona di Copenaghen e tenuti sotto osservazione per più di 23 anni. Durante questo arco di tempo circa 470 partecipanti, inizialmente in buona salute come tutti gli altri, hanno sviluppato una malattia cardiaca, ma in nessun caso è stato possibile dimostrare l'esistenza di un'associazione tra consumo di Omega 3 e patologie cardiovascolari, nella popolazione maschile; le differenze tra chi ne assumeva di più e chi meno e l'incidenza di infarti e ictus non erano significative. News integrale su IlFattoAlimentare.
20 SETTEMBRE
TOSSINFEZIONE DA PESCE CURDO PRESSO IL LAGO DI BOLSENA
Il Ministro della Salute Fazio ha disposto un'indagine dei Nas in relazione a un episodio di tossinfezione alimentare a base di pesce di lago marinato - presumibilmente tinca - avvenuta con ogni probabilità alla fine di luglio in un ristorante nei pressi del lago di Bolsena. Sull'episodio, che ha coinvolto sinora circa 20 persone, stanno effettuando analisi l'Asl di Viterbo e l'Istituto Superiore di Sanità, che ha individuato oggi sia microbiologicamente che sierologicamente l'agente infettivo Opisthorchiasis felineus, un parassita della tinca, analizzando il siero e le feci estratte dai primi ricoverati nei giorni scorsi negli ospedali di Perugia e di Viterbo, dopo il periodo di incubazione di due-tre settimane.
Opisthorchiasis felineus è un parassita molto comune nei laghi del centro Italia (Bolsena, Trasimeno e Bracciano) e può essere eliminato solo con la giusta cottura o l'abbattimento termico con frigoriferi industriali. Il comune congelatore di casa non è sufficiente ad uccidere il parassita.
Opisthorchiasis felineus è un trematode che compie il suo ciclo vitale in tre ospiti, due intermedi (una lumaca di acqua dolce e un Ciprinide) e uno definitivo (il gatto). L'uomo è dunque un ospite occasionale e viene infettato o per contatto con le feci dei gatti domestici o per ingestione di pesci parassitati. Le metacercarie del trematode una volta ingerite, possono dare sintomi vari e sfumati, non sempre facilmente riconducibili ad una parassitosi dai medici di base. Tutti i pazienti infetti mostrano comunque eosinofilia ed aumento degli enzimi epatici. Fonte: Ministero della Salute [modificato].
MAREVIVO DENUNCIA: IL TEVERE SI TINGE DI NERO
Non è l’ultima moda a dettare il colore, ma ieri il Tevere urbano era una melma nera particolarmente maleodorante. Dal nostro osservatorio sul fiume è la prima volta che lo vediamo tingersi così. Qualcosa deve essere successo O la colpa è come sempre delle piogge? E qualcosa va fatto: almeno un sopralluogo, magari in elicottero. "Dall’alto" potremmo avere le risposte che cerchiamo.
A chiederlo è l’associazione ambientalista Marevivo, in una nota inviata all’Arpa Lazio, all’Assessorato all’Ambiente del Comune di Roma e della Regione Lazio. "Non sappiamo cosa il fiume stia portando al mare - dice Carmen di Penta Direttore Generale di Marevivo - so solo che qualsiasi cosa sia, finirà nella catena alimentare. Con quali effetti sulla salute nostra e del mare?" Fonte: BioEcoGeo.it.
DISASTRI PETROLIFERI: QUELLO CHE GLI SPOT NON DICONO
A seguito dell’incidente ad una piattaforma petrolifera della Shell, avvenuto ad agosto nelle acque del Mare del Nord, a largo delle coste scozzesi, l’ultimo in ordine di tempo ma non il più grave, gli ambientalisti sottolinearono come oggi si dia quasi per scontato, come un effetto collaterale qualunque, che qualche, si fa per dire, barile di greggio prima o poi si riversi in mare, un pò come gli incidenti aerei, ogni tanto può capitare che qualcuno cada, in fondo ne volano tanti ogni giorno senza che succeda niente. Una logica assurda che porta le compagnie ad ammettere le loro responsabilità e tanti saluti, la sicurezza rimane un punto debole della catena, un fattore trascurabile e trascurato dal momento che spesso sono anelli piccoli dei meccanismi a saltare provocando disastri immani o peggio semplici incomprensioni nei comandi.
I loghi delle compagnie petrolifere con il loro sfondo verde falso hanno del ridicolo così come gli spot sullo sviluppo sostenibile che ci propinano in tv come un ritornello stonato, sull’energia che muove (o che muore?) il mondo. Dovrebbero chiederci di muoverci di meno e riflettere di più su dove stiamo andando mentre ci spostiamo perché se l’energia ci serve per sprofondare nel baratro forse è meglio rallentare il passo ed alleggerire l’impronta.
L’autorizzazione di Obama a perforare in Artico, concessa alla Shell a pochi giorni dall’ultimo disastro, ad esempio è una spinta decisamente folle. Un disastro in quell’area sarebbe di una portata immensa dal momento che le operazioni di pulizia e di messa in sicurezza troverebbero nel clima ostile un nemico acerrimo. Per non parlare degli effetti a lungo termine e a livello globale sugli ecosistemi.
E a chi dice che tutto è in funzione del risollevare l’economia, dunque giustificato, basterà ricordare che disastri come quello della Exxon Valdez hanno pesato per miliardi di dollari sia sull’industria petrolifera che sull’economia costiera e turistica. Quello che gli spot non dicono è che il petrolio muove il mondo, sì, ma nella direzione sbagliata, verso la distruzione ed il fallimento. Fonte: Ecologiae.
19 SETTEMBRE
MEDUSE ALLA CONQUISTA DEI MARI
Temibili ed eleganti nei loro movimenti, le meduse potrebbero presto trasformare le nostre acque in un 'oceano gelatinoso'. Come? Occupando il posto lasciato libero dai pesci planctivori (quelli cioè che si alimentano dei piccoli organismi sospesi nella colonna d’acqua), in forte diminuzione a causa della pesca eccessiva. E non si limiterebbero a sostituirli fisicamente: le meduse sarebbero dei predatori altrettanto efficienti dei pesci. Lo rivela un gruppo di ricercatori guidati da José Luis Acuña, della Universidad de Oviedo (Spagna), in uno studio pubblicato su Science.
Entrambi predatori, pesci e meduse si guadagnano il cibo durante gli spostamenti. Ma se i primi cacciano a vista e hanno la possibilità di inseguire le prede, gli altri, privi di occhi e flemmatici nei movimenti, le individuano al tatto dopo averle avvicinate ai tentacoli creando dei vortici d’acqua con le pulsazioni dell’ombrella. Com’è possibile dunque che siano alla pari in quest’attività? Come spiegano i ricercatori, l’abilità di un predatore non si misura soltanto dal numero di prede catturate e dal tasso di ingestione (che a parità di dimensioni risulta essere più basso nelle meduse) ma anche da altri fattori, come l’efficienza con cui l’energia ottenuta dal cibo viene convertita in crescita e aumento delle popolazioni. Ovvero nel modo in cui i bottini di caccia sono trasformati in biomassa, la quantità di carbonio contenuta in un organismo vivente, che in una medusa - fatta per lo più di acqua - è molto bassa.
Nello studio gli scienziati hanno confrontato il bilancio energetico (un indicatore della biomassa) di diverse specie di pesci e meduse, calcolato sottraendo il tasso di respirazione all’energia ottenuta dall’ingestione delle prede. Ai fini del calcolo, inoltre, sono stati valutati e messi a confronto per ogni specie anche altri parametri, come il tempo impiegato ogni giorno per la ricerca di cibo, la densità delle prede e il tasso di cattura.
I risultati ottenuti indicano che, a parità di biomassa, le due classi di predatori hanno tassi di cattura e di respirazione sovrapponibili, e simili probabilità di crescita. Quindi, come spiega Acuña, le meduse non sembrano essere svantaggiate dal meccanismo di predazione adottato, anzi si ingegnano per ottimizzare al massimo quanto a loro disposizione. Così non potendo contare sulla vista, tendono ad aumentare le dimensioni corporee per incrementare le probabilità di cattura e limitano gli sprechi energetici muovendosi lentamente o sfruttando le correnti marine per gli spostamenti.
È grazie a questi stratagemmi dunque che le meduse sono diventate predatori competitivi, come spiega Acuña: "Utilizzando il loro primitivo sistema alimentare questi animali raggiungono tassi di produzione istantanea simili a quelli dei pesci, e sono in grado di trarre vantaggio dai cambiamenti dell’ecosistema causati dalla pesca eccessiva". Fonte: Galileonet.it.
ISLANDA: 100 TONNELLATE DI CARNE DI BALENA VERSO IL GIAPPONE
L’Islanda ha continuato questa estate ad esportare prodotti di balena, verso il Giappone. Questo nonostante la minaccia di sanzioni avanzate dagli Stati Uniti e nonostante la palese violazione delle regole stabilite in sede di Commissione Baleniera Internazionale. Ben 100 tonnellate di prodotti, per un valore di un milione e duecentomila euro, sono così volati verso i mercati giapponesi, mentre un quantitativo ancora superiore sarebbe pronto ad essere spedito. La balena cacciata dagli islandesi è la Balenottera comune, ovvero uno dei mammiferi più rari al mondo. L’Islanda, però, continua a cacciarle esportanto olio di balena anche verso la Norvegia, la Lettonia e le Isole Fær Øer.
L’industria baleniera islandese, appartenente ad un soggetto con buone conoscenze nella politica locale, è di fatto ben ricollegabile con le stesse attività della pesca di quel paese. L’Islanda, sebbene tramite interposte società con sede in altri paesi europei, esporta il suo pescato verso i mercati europei. In inghilterra, ad esempio, il noto piatto del fish and chips, è ottenuto prevalentemente con merluzzo o eglefino (un pesce simile al merluzzo) le cui razzie nel mare sono in buona buona parte di provenienza islandese.
Per le balene cacciate in Europa, non vi è purtroppo la stessa attenzione di quelle uccise dai giapponesi. Oltre all’Islanda, infatti, anche Norvegia e Groenlandia (quest’ultima una sorta di protettorato danese) si dedicano alla caccia alle balene. Per l’Islanda, tra l’altro, è tutto pronto per l’entrata nell’Unione Europea. Fonte: GeaPress.
FERMATE IL TUNNEL SOTTO VENTOTENE
Ne abbiamo gia parlato in una news del 7 settembre scorso.
Un paradiso naturalistico e archeologico in miniatura, poco più di 1 chilometro quadrato e mezzo di estensione, in passato terra di confino per personaggi illustri, da Giulia, figlia di Augusto, ad Altiero Spinelli, passando per l’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ventotene, isola vulcanica dell’arcipelago pontino, nel Mar Tirreno, è tanto bella quanto delicata: solo un anno fa qui morirono tragicamente due ragazze per la frana di un costone di tufo. E ora, mentre ci si appresta a tornare alla vita di sempre dopo l’assalto estivo dei turisti, a tenere banco tra i 700 abitanti (e non solo) è la polemica per il progetto di un tunnel, lungo 259 metri, da scavare in parte proprio nella roccia tufacea, destinato a collegare il porto commerciale di Cala Rossano con il centro del paese. L’opera sarà realizzata mettendo in sicurezza l’area interessata, puntualizza il Comune, e mira a salvaguardare l’isola liberando finalmente dal traffico le aree del porto romano e del centro storico. Dura la risposta degli ambientalisti e delle associazioni di cittadini: è un’opera pericolosa, inutile e costosa dal punto di vista ambientale per un territorio che ha già pagato a caro prezzo le conseguenze dell’abusivismo, della cementificazione selvaggia e del dissesto idrogeologico.
L’opera, del valore di circa 5 milioni di euro, è stata oggetto di un bando pubblico pubblicato il 22 agosto scorso, dal quale si evince l’intenzione del Comune di "realizzare un nuovo collegamento al centro abitato dal porto nuovo evitando il transito veicolare attraverso le banchine del porto romano e le strade del borgo antico; il nuovo collegamento si articolerà interamente in galleria, di cui una parte da realizzarsi attraverso la perforazione di un tratto di costa classificato a rischio frana. Per questo tratto il progetto definitivo ed il successivo esecutivo da redigersi a cura dell’aggiudicatario dovranno prioritariamente dimostrare l’eliminazione del rischio". News integrale su Galileonet.it.
GLI OCEANI DIETRO LE PAUSE DEL RISCALDAMENTO GLOBALE
Gli strati profondi dell'oceano possono agire in sinergia tra loro in modo da assorbire abbastanza calore da attenuare il tasso di riscaldamento globale anche per un decennio nel pieno di un lungo periodo di riscaldamento: è la conclusione di una nuova analisi del National Center for Atmospheric Research (NCAR).
Lo studio, basato su simulazioni al computer del clima globale e pubblicato su Nature Climate Change, era focalizzato sugli strati oceanici più profondi di 300 metri quale possibile luogo principale del calore “mancante” durante i periodi, come il decennio appena trascorso, in cui le temperature globali dell'aria hanno mostrato un aumento lieve nonostante il trend complessivo di riscaldamento globale. I risultati portano a ipotizzare che nel prossimo secolo si potranno verificare diverse "pause" simili a questa. News integrale su Le Scienze.
17 SETTEMBRE
STORICO ACCORDO TRA EUROPA E USA SULLA PESCA ILLEGALE
Unione Europea e Stati Uniti hanno sottoscritto un impegno storico il 7 settembre a Washington, che stabilisce un rafforzamento della cooperazione per combattere insieme la pesca illegale. L'accordo bilatelare, sancito dalla firma di Maria Damanaki, Commissario Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca e di Jane Lubchenco, Sottosegretario al Commercio per gli Oceani e l'Atmosfera nonché amministratore del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), prevede il divieto di importazione dei prodotti ittici derivanti da cattura illecita. UE e Stati Uniti rappresentano rispettivamente il primo e il terzo mercato di pesce importato al mondo, al secondo posto c'è il Giappone e, come si legge nel testo della dichiarazione congiunta, reso di pubblico dominio, a entrambi spetta una grande responsabilità nel proteggere le risorse vitali dell'ecosistema marino. La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, o pesca INN, deve essere contrastata perché costituisce una delle più gravi e crescenti minacce alla sostenibilità e alla biodiversità degli oceani e del mare sottraendo circa 23 miliardi di euro ogni anno al reddito di pescatori e comunità costiere che esercitano la loro attività in modo legale.
Commissione europea e governo statunitense hanno già posto in essere strategie e introdotto misure specifiche per cercare di prevenire, scoraggiare ed impedire condotte criminali. In sede comunitaria è stato istituito un regime normativo che impone regolari certificazioni agli operatori e comprende pesanti sanzioni a danno delle pratiche illegali di pesca, in alcune zone pari a metà del totale delle catture. A livello internazionale Stati Uniti e Unione Europea partecipano d'altro canto agli sforzi per promuovere una migliore e più responsabile gestione del commercio ittico.
Con il patto siglato europei e statunitensi chiedono agli altri paesi di consolidare il sistema globale legale, in particolare ratificando e implementando gli strumenti giuridici elaborati dal Comitato pesca della FAO (Port State measures Agreement) per monitorare e ispezionare i pescherecci o verificare la legalità degli sbarchi, dei trasbordi e di altre operazioni effettuate nei porti.
Stati Uniti e UE intanto si impegnano ad intensificare tra di loro lo scambio di informazioni sulle attività di pesca INN, migliorare l'operatività dei controlli e sviluppare mezzi tecnici e informatici più efficaci per far si che l'illegalità cessi di essere redditizia. "Unendo le nostre forze – ha commentato Maria Damanaki – renderemo più difficile per i criminali continuare i loro “affari sporchi". Fonte: NonSprecare.it.
UNA POSSIBILE CURA CONTRO IL TUMORE OVARICO CHE VIENE DAL MARE
La cura del tumore viene dal mare: è il caso di un farmaco, la trabectidina, derivato da un organismo marino, la Ectenascidia turbinata a metà fra una spugna e un corallo [NOTA DI BIOLOGIAMARINA.EU - E. turbinata è un Tunicato], i cui risultati sono stati presentati in questi giorni al Congresso della Società Europea di Ginecologia (Esgo), chiusosi ieri a Milano. Questo principio attivo, prodotto dalla spagnola PharmaMar, un’ azienda biotecnologica che sviluppa farmaci antitumorali esclusivamente da organismi marini, è stato autorizzato dall’ Agenzia europea del farmaco (Ema) e da quella italiana (Aifa) perchè è stata dimostrata la sua efficacia sul cancro dei tessuti molli e sul cancro ovarico. Ma all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Umberto Veronesi si sta conducendo uno studio esplorativo per verificarne i risultati positivi anche per il carcinoma del pancreas (coordinatore Maurizio D’Incalzi).
Attualmente sono in corso anche sperimentazioni cliniche a livello europeo di questo farmaco sul tumore al seno e, in fase 2, sui tumori pediatrici. Ma per il momento le novità più importanti vengono dal trattamento di seconda linea del cancro ovarico ricorrente. Si é visto, infatti, che nelle pazienti trattate in prima linea con doxorubicina pegilata liposomiale (Dlp), il successivo trattamento con trabectidina più Dlp aumenta la sopravvivenza di 6 mesi, migliorando sensibilmente la qualità della vita.
Un secondo studio, coordinato da Nicoletta Colombo dell’Ieo e condotto su pazienti con parziale sensibilità al platino (cosa che provoca una recidiva dopo 6-12 mesi), ha dimostrato che lo stesso trattamento di seconda linea seguito da trattamento con platino ha allungato la sopravvivenza globale di 9 mesi rispetto al Dlp in monoterapia, dati che si traducono in una riduzione del rischio di morte del 42%. "Questo suggerisce – conclude la ricercatrice dello Ieo – che la terapia di seconda linea con trabectidina e Dlp è in grado di ristabilire in queste pazienti la sensibilità al platino". All’Ieo è ora in corso uno studio per mettere a confronto le due terapie trabectidina con Pld e platino con Pld. Fonte: Liquidarea.
16 SETTEMBRE
CACCIA ALLE BALENE E AI DELFINI: BREVE RAPPORTO DELL'ASSOCIAZIONE GAIA
Reti da pesca, vernice rossa e poi le armi, ovvero gli striscioni di Gaia Animali & Ambiente e Amici della Terra che stamani hanno accompagnato l’irruzione animalista alla Camera di Commercio del Giappone di Via Santa Maria Segreta a Milano. "Il Giappone, paese di antica civiltà, cultura millenaria e moderne tecnologie, purtroppo rappresenta oggi un baluardo di brutalità medioevale", hanno dichiarato gli ecologisti di Gaia.
Obiettivo della protesta: il massacro di balene e delfini, animali a sangue caldo, intelligentissimi e a rischio di estinzione. Il Giappone, vista la moratoria internazionale alla caccia alle balene per scopi commerciali, ha 'inventato' la caccia alle balene per scopi scientifici, e prosegue da anni nella caccia indiscriminata alle balene, anche 'comprando' il voto di Stati poveri all’interno della Commissione Baleniere Internazionale. Questo secondo Gaia ed Amici della Terra che denunciano anche come con la scusa della 'ricerca scientifica', vengono ogni anno arpionate e massacrate centinaia di balene e migliaia di delfini. 840 balene previste per il 2011 e 22.000 delfini per le tavole imbandite. Quasi 1000, invece, per acquari e delfinari di tutto il mondo. Il tutto pubblicato in un dossier distribuito nel corso della manifestazione. "Chiediamo al Giappone e ai giapponesi di fermare definitivamente il massacro dei delfini e la caccia alle balene" hanno dichiarato Edgar Meyer e Stefano Apuzzo, presidenti di Gaia e Amici della Terra Lombardia "E di cessare la cattura di delfini per i delfinari. Cattura cruenta a cui seguono un addestramento e una vita crudeli e in cattività. Chiediamo ai consumatori italiani, altrimenti, di boicottare i prodotti giapponesi" hanno concluso Meyer e Apuzzo.
Dopo mezz’ora di contestazione, durante la quale le volontarie di Gaia capitanate da Cristina Donati e Simona Volo si sono 'legate' in reti da pesca, gli ambientalisti hanno abbandonato la Camera di Commercio per proseguire la protesta e la sensibilizzazione in strada. Fonte: GeaPress.
CACCIA ALLE FOCHE: L'EUROPA CONFERMA IL BANDO DELLE PELLICCE
Reazioni contrastanti, come ovvio che sia, alla decisione presa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (le motivazioni sono state rese note già da ieri) di mantenere il bando d’importazione di prodotti di foche uccise in Canada. Rigettato, infatti, il ricorso avanzato dai produttori di pellicce e da associazioni locali di cacciatori canadesi.
Secondo i cacciatori si tratta di un colpo grave ai danni dell’intera caccia di cosiddetta tradizione. La causa, secondo loro, sarebbe dei "cittadini" fuori dal mondo reale. Più o meno le stesse motivazioni addotte dagli italici cacciatori che, similmente alle scelte nefaste del Governo canadese, ottengono dalle Giunte e dai Consigli regionali il permesso di potere sparare a specie di uccelli protette dalla stessa Unione Europea.
Il Governo canadese, dal canto suo, ha in questi anni cercato di acquisire nuovi mercati come quello cinese ed ha allo studio ipotesi di aiuto per la traballante industria pellicciaia canadese basata sullo scuoiamento dei cuccioli di foca.
Per la sua politica filocaccia la Signora Gail Shea, Ministro canadese della pesca, si beccò pure una torta in faccia da un’attivista di PETA (vedi video e articolo GeaPress). Ed a proposito di animalisti un pò in tutto il mondo si sta, in queste ore, festeggiando la decisione della Corte di Giustizia Europea.
Va, comunque, rilevato che la caccia alle foche è praticata per scopi commerciali anche in Groenlandia, Norvegia, Namibia e Russia. Per singoli paesi, però, il numero di animali uccisi è inferiore a quello canadese, stimabile per il 2010 in una quota preventivata di oltre 300.000 foche.
Un altro rischio, questa volta di nuovo per le foche canadesi ed il bando d’importazione in Europa, risiede in altri due ricorsi presentati presso la Corte di Giustizia europea e l’ Organizzazione mondiale per il commercio. Fonte: GeaPress.
TECNICHE FORENSI PER L'IDENTIFICAZIONE DEI PESCI
Riuscire a distinguere le sardine dagli sgombri è diventato un pò più facile. Alcuni ricercatori in Spagna hanno usato tecniche di identificazione forensi delle specie tramite il DNA mitocondriale per distinguere i pesci, a prescindere dal fatto che siano lavorati o in scatola. Questa tecnica aiuterà gli esperti a monitorare meglio lo sfruttamento delle risorse di pesce. Lo studio è stato in parte sostenuto da un contributo del Fondo Europeo per la Pesca (FEP). Il FEP contribuisce alla realizzazione degli obiettivi della Politica Comune della Pesca (PCP), che mirano alla protezione e all'uso sostenibile delle risorse marine.
Il modo migliore di distinguere le specie consiste nell'ottenere il DNA dai mitocondri (organuli della cellula). Secondo gli esperti il citocromo b, uno dei componenti del DNA, è un marcatore genetico che fornisce agli scienziati i mezzi per determinare la relazione tra generi e famiglie. Gli scienziati forensi, per esempio, usano il citocromo b per identificare animali, come per esempio gatti, presenti sulla scena di un crimine.
I ricercatori dell'Associazione Nazionale dei Produttori di Pesce e Crostacei in Scatola (ANAFACO-CECOPESCA) hanno deciso di usare questa tecnica per identificare geneticamente piccole specie pelagiche e, in questo caso, le sardine e gli sgombri.
"Questi strumenti molecolari rappresentano un grande passo avanti per il settore poiché permettono di controllare e tracciare le importazioni di pescato e assicurano che esse siano etichettate correttamente" si legge in una citazione riportata da SINC di Montserrat Espiñeira, biologa dell'ANFACO-CECOPESCCA e ricercatrice principale dello studio.
Grazie a questo metodo, i ricercatori hanno identificato oltre 20 specie del gruppo della sardina, tra cui la Sardina, la Clupea e l'Ilisha, e molte specie di sgombro come il Caranx, il Mullus e il Trachurus di vari posti in tutto il mondo.
Dopo aver raccolto un campione di DNA mitocondriale del pesce, i ricercatori hanno amplificato un frammento di citocromo b e quindi hanno condotto un'analisi filogenetica (legata o basata sullo sviluppo evolutivo o sulla storia) ottenendo un "sequenziamento nucleotidico informativo dal punto di vista forense (FINS)" spiegano.
La ricerca sulle sardine è stata pubblicata sulla rivista European Food Research and Technology mentre lo studio sugli sgombri è stato presentato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry.
Adesso è in programma l'analisi delle distinte proprietà organolettiche, microbiologiche, fisico-chimiche e nutrizionali delle specie già esaminate. I ricercatori vogliono inoltre determinare se i consumatori sarebbero interessati in specie attualmente non sfruttate.
"L'obiettivo finale è quello di migliorare la gestione delle risorse della pesca e di assicurare che siano sfruttate in modo sostenibile" dice la Espiñeira.
I ricercatori stanno inoltre lavorando per rendere possibili metodi di identificazione molecolare per facilitare e accelerare la distinzione delle specie di pesce pelagico piccolo più preziose dal punto di vista commerciale, l'acciuga europea (Engraulis encrasicolus), la sardina europea (Sardina pilchardus) e le principali specie di sgombro (Trachurus trachurus), in meno di tre ore. Fonte: MolecularLAB.
15 SETTEMBRE
MIPAAF, COMUNICATO STAMPA: SEQUESTRO DI 5 QUINTALI DI GAMBERI BIANCHI
"L'operazione della Guardia Costiera-Capitanerie di Porto che ha portato al sequestro di mezza tonnellata di gamberi bianchi, privi di qualsiasi etichettatura e tracciabilità, è la dimostrazione che anche nel settore della pesca è estremamente importante tenere alta la guardia contro frodi e contraffazioni. La tutela dei consumatori e degli imprenditori onesti è alla base del nostro lavoro e per questo voglio sottolineare il prezioso contributo che gli uomini della Guardia Costiera-Capitanerie di porto quotidianamente garantiscono nella tutela dei nostri mari e delle risorse ittiche". Lo ha dichiarato il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Saverio Romano, commentando i risultati dell'operazione portata a termine, dopo mesi di indagini e accertamenti, dalla Guardia Costiera-Capitanerie di Porto di Siracusa.
I militari hanno proceduto al sequestro di cinque quintali di gamberi bianchi (Parapenaeus longirostris) conservati in un deposito abusivo a Porto Palo di Capo Passero. Il pescato, che nel locale veniva stoccato e trasformato per poi essere venduto all'ingrosso, era sprovvisto di qualsiasi documento di tracciabilità e non idoneo al consumo umano e per questo è stato successivamente distrutto. Fonte: Portavoce Ministero Politiche Agricole.
ANGUILLE SPIAGGIATE SUL GARDA: ESCLUSA LA PESTE ROSSA
Il Sottosegretario alla Salute, On.le Francesca Martini, in riferimento alle analisi compiute dall’Istituto Zooprofilattico di Padova a seguito del recente fenomeno dello spiaggiamento di anguille sul lago di Garda dichiara: "Dalle analisi di laboratorio condotte sui campioni di anguille esaminate non è stato riscontrato l’agente patogeno responsabile della peste rossa, né sono stati evidenziati agenti batterici significativi responsabili di malattie infettive della specie. Lo stesso Istituto procederà ad ulteriori accertamenti sugli stessi ed altri campioni per l’individuazione delle cause di mortalità anche attraverso l’effettuazione di indagini virologiche. È mia ferma volontà arrivare ad una definizione del nesso di causalità rispetto a questo fenomeno nell’interesse della salute di tutta la popolazione ittica presente sul lago di Garda. Ricordo inoltre che dopo il 15 settembre, termine ultimo per la consegna dei carotaggi dei fondali, verrà programmata una riunione tecnica in cui verrà discusso anche della suddetta questione". Fonte: Ministero Salute.
14 SETTEMBRE
L'ANTICO PREDATORE DELL'ARTICO
Alcuni scienziati hanno scoperto nell’artico canadese una nuova specie di pesce carnivoro gigante di 375 milioni di anni fa: era lungo quasi 2 metri, aveva zanne e un muso "sorridente"
I resti fossili di una nuova specie di pesce carnivoro, che cacciava le sue prede nei fiumi del Devoniano 375 milioni di anni fa, sono stati ritrovati nell’isola canadese di Ellesmere.
Laccognathus embryi, così è stata chiamata la nuova specie, era lungo 180 centimetri, e come spiega Ted Daeschler, uno degli autori dello studio e zoologo dei vertebrati presso l’Accademia delle Scienze Naturali di Philadelphia, "era quel tipo di pesce che se ne stava ad aspettare per balzare fuori all’improvviso e mangiare qualsiasi cosa gli passasse davanti. Le sue zanne, lunghe quasi 4 centimetri, non facevano fatica ad affondare nella carne delle prede".
In più il pesce, che ha 375 milioni di anni, possedeva delle scaglie spesse grandi come una moneta, occhi molto piccoli, una testa piatta e una bocca molto ampia: in pratica una sorta di cernia moderna. Il cranio del fossile "assomiglia proprio a una grande faccia che ti sorride", ha aggiunto Daeschler, che ha ricevuto i fondi per la sua ricerca dal Committee for Research and Exploration della National Geographic Society. News integrale su National Geographic Italia.
PESCA: COMMISSIONE CONSULTIVA DECIDE SU ATTREZZI E E LICENZE PESCA
"Abbiamo affrontato questioni tecniche, relative agli attrezzi e alle licenze di pesca, ma importanti perchè vanno ad incidere sulle attività quotidiane dei pescatori. Problemi reali con i quali tutti i giorni gli operatori devono fare i conti" lo dichiarano in una nota congiunta l’AGCI Agrital, la Federcoopesca-Confcooperative e la Lega Pesca, al termine della Commissione Consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura, che si è tenuta oggi a Roma.
Tra i principali argomenti all’ordine del giorno la questione dell’utilizzo delle 'ferrettare', la cui regolamentazione si fa più stringente in linea con le richieste dell’Unione Europea; un aggiornamento sulle procedure delle licenze di pesca per uniformare il sistema nazionale a quanto previsto dalla Ue nel regolamento controlli, senza però incidere nel merito degli attrezzi utilizzati; la creazione di un gruppo di lavoro per esaminare la pesca con le "reti gemelle" e arrivare ad un pronunciamento definitivo su questo sistema di pesca sperimentale, l’impiego in via definitiva dell’idrorasca nelle aree affidate in concessione dall’Emilia - Romagna. E su quest’ultimo punto, in attesa che venga predisposto il decreto, si autorizza la proroga dell’uso dell’attrezzo di pesca, il cui impiego in via definitiva ha avuto il parere favorevole dell’Università di Ferrara. E’ prevista una nuova riunione della Commissione il prossimo 23 settembre. Fonte: Lega Pesca.
13 SETTEMBRE
SQUALI DI LAGO
Che ci fa uno squalo in un lago del Kirghizistan? o meglio che ci faceva, dato che si parla di reperti fossili risalenti a ben 230 milioni di anni fa (medio triassico), ritovati dal team di Jan Fischer, paleontologo del Geologisches Instutut della Technische Universität Bergakademie di Friburgo in Germania, nel lago di Madygen nel sudovest del paese.
Lo scienziato ha trovato le impronte delle capsule ovariche e i denti fossili di tre specie diverse di squalo (mai osservate prima) e grazie all’analisi isotopica dello smalto dei denti ha potuto stabilire che al tempo in cui i piccoli di squalo erano vivi, nuotavano e si nutrivano in acqua dolce. Quella osservata da Fischer è una vera e propria nursery, un metodo per allevare i figli che gli squali moderni usano ancora. Il territorio viene infatti frammentato in maniera precisa: una parte viene usata dagli animali adulti per cacciare e vivere, un’altra parte per deporvi le uova (in genere in acque basse con vegetazione rigogliosa, dove i piccoli una volta nati – vengono subito lasciati a se stessi – possono nutrirsi della fauna di piccoli crostacei e di piccoli invertebrati e allo stesso tempo essere al riparo da altri predatori). Gli squali moderni per deporre le uova in genere si "fidelizzano" sempre a una stessa area, dove ritornano in ogni stagione riproduttiva. Fischer e colleghi ipotizzano che le tre specie di squalo chirghise facessero lo stesso.
I ritrovamenti sono piuttosto spettacolari. Le capsule ovariche sono state ricostruite con dei modelli tridimensionali a partire dalle tracce fossili. Fra i denti fossili (qualche dozzina) la stragrande maggioranza appartiene a squali molto giovani ma è stato trovato anche un dente adulto. La scarsità di reperti provenienti da esemplari adulti comferma l’ipotesi della partizione del territorio.
Non è dato sapere (almeno per il momento) se le specie vivessero sempre in acqua dolce o se migrassero anche in mare (anche se Fischer e colleghi propendono per la prima ipotesi). In ogni caso il ritrovamento è interessante perchè attualmente le specie di squalo che depongono le uova sono esclusivamente marine. Esistono solo poche specie di squalo che vivono in acqua dolce (esclusivamente, oppure specie eurialine, che possono cioè vivere sia in acque dolci che salate) soprattutto se compararete con la varietà e abbondanza di specie marine. Le specie che vivono in acqua dolce sono poco conosciute e poco studiate e questo sembra essere un habitat marginale per gli squali, che sono poco specializzati a nutrirsi in acqua dolce (vivono specialmente nei laghi).
Trovandosi spesso in zone a rischio (generalmente in aree tropicali, quindi spesso in paesi in via di sviluppo ), ed essendo poco adattabili, le specie d’acqua dolce sono fìortemente minacciate dal degrado ambientale e dal massiccio sfruttamento delle risorse idriche e ittiche a cui stanno andando incontro queste aree geografiche.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Vertebrate Paleontology.
Fonte: OggiScienza.
PERSE LE TRACCE DEL PINGUINO Happy Feet
Da venerdi scorso la piccola trasmittente che gli avevano attaccato al collo non emette più segnali e gli scienziati neozelandesi che lo avevano salvato, accudito e riportato nella sua Antartide sono preoccupati: il giovane pinguino imperatore Happy Feet potrebbe avere fatto una brutta fine, forse divorato da un orso polare [???? NOTA DI BIOLOGIAMARINA.EU: NON ESISTONO ORSI POLARI IN ANTARTIDE] o da un altro animale. Secondo la BBC online, il team che lo ha avuto in cura si interroga angosciato sulla sua sorte. Alcuni temono che sia rimasto vittima di una delle più crudeli leggi della natura. Altri, più ottimisti, ipotizzano invece che la piccola trasmittente che gli era stata incollata addosso si sia semplicemente staccata.
"È vero che alcune specie si nutrono di pinguini imperatore ma onestamente penso che questa sia una possibilità abbastanza remota, deve essere accaduto qualcosa alla trasmittente, tutto qua", ha detto Kevin Lay, uno degli specialisti che lo ha avuto in cura. Happy Feet, nomignolo ripreso dal celebre film sul pinguino ballerino, oltre due mesi fa aveva sbagliato 'rotta' ed era finito su spiaggia neozelandese a 3.000 chilometri di distanza dal polo sud. Gli avevano trovato lo stomaco pieno di sabbia che a quanto pare aveva ingerito perché scambiata per neve. Dopo due mesi di convalescenza nello zoo di Wellington lo scorso 4 settembre l'animale è stato riportato in Antartide con un battello dalla stessa squadra veterinaria che lo ha seguito. È stato tenuto in una gabbia refrigerata durante i quattro giorni di navigazione per poi essere liberato presso Campbell Island, una remota isola subantartica 630 km a sud della Nuova Zelanda molto frequentata dai suoi simili. Ma non solo. Fonte: Ansa [modificato].
LE OSCILLAZIONI DEL MARE NELL'ULTIMO PERIODO INTERGLACIALE
Nuove prove dell’oscillazione del livello del mare durante un periodo caldo iniziato 125.000 anni fa dimostrano la possibilità del verificarsi di uno scenario simile se il pianeta continuasse nel suo attuale trend di incremento della temperatura: è quanto si evince da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience a firma di un gruppo di ricercatori della Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI).
Il risultato è stato reso possibile da un nuovo metodo di datazione di campioni fossili della barriera corallina delle Bahamas. La maggiore precisione delle misurazioni ha infatti consentito di stabilire che il livello del mare era notevolmente meno stabile di quanto ritenuto finora, poiché è oscillato di 4-6 metri nell’arco di 120.000 anni, durante l’ultimo periodo interglaciale. News integrale su LeScienze.
12 SETTEMBRE
RECORD PER HOMAR LEUCI
Homar Leuci ha stabilito il nuovo record mondiale di profondità in apnea in assetto costante. Nelle acque di Soverato l'atleta milanese ha raggiunto la profondità di 86 metri, nel tempo totale di 2'22" in apnea discesa e risalita, nuotando con la sua monopinna.
Il record precedente apparteneva allo stesso Leuci, con 84 metri. La prova è stata certificata dalla presenza dei due giudici internazionali Cmas (Confederazione mondiale delle attività subacquee), Stefano Floris e Neven Lukas, il secondo dei quali è sceso alla quota record per certificare lo stacco del cartellino.
MAMMIFERI MARINI: LA PROTEZIONE DEL 4% DEGLI OCEANI GARANTIREBBE LA LORO SOPRAVVIENZA
Delfini, balene, lontre e decine di altri mammiferi marini sono oggi a rischio estinzione. Ma basterebbe indire aree protette per solo il 4% degli oceani del mondo per salvarli. È ciò di cui si dicono convinti i ricercatori della Stanford University e dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, i cui studi sono stati pubblicati su Proceedings of National Academy of Sciences.
Delle 129 specie di mammiferi marini-terrestri come foche, delfini e orsi polari, circa un quarto sono a rischio di estinzione, dice lo studio.
"È importante proteggere i mammiferi marini, se vogliamo conservare gli ecosistemi degli oceani. Molti di loro sono predatori ed hanno un impatto su tutto l’ecosistema. E sono anche belli e interessanti" ha precisato il coautore Paul Ehrlich, professore di biologia presso l’Istituto Woods a Stanford. Per individuare le aree dell’oceano che dovrebbero essere protette i ricercatori hanno sovrapposto le mappe in cui i mammiferi marini vivono. In questo modo potevano essere individuati i luoghi con la maggiore "ricchezza di specie", o il più alto numero di specie diverse, realizzando in questo modo la prima mappa della distribuzione globale dei mammiferi marini della storia.
"Il risultato più sorprendente e interessante è stato che tutte le specie possono essere rappresentate solo in 20 località di conservazione critiche che coprono almeno il 10% della distribuzione geografica delle specie" hanno spiegato gli autori. I ricercatori hanno identificato i 20 siti di conservazione in base a tre criteri principali: il numero di specie presenti, quanto sia grave il rischio di estinzione per ogni specie e se nella zona ci fosse solo una di queste specie o più. Gli scienziati hanno anche considerato habitat di particolare importanza per i mammiferi marini, come le zone di riproduzione e le rotte di migrazione.
Si è scoperto così che conservare solo nove dei 20 siti fondamentali potrebbe bastare per proteggere l’habitat dell’84% delle specie di mammiferi marini sulla Terra. Questo perché quei nove punti sono quelli più ricchi di biodiversità, offrendo l’habitat a 108 specie di mammiferi marini in totale. Questi nove siti costituiscono solo il 4% della superficie oceanica di tutto il mondo, e sono stati individuati al largo delle coste della Baja California in Messico, Canada orientale, Perù, Argentina, Nord Africa, Sud Africa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda.
Nello studio non è sfuggito come l’inquinamento, la pesca eccessiva, l’innalzamento delle temperature e lo stress dovuto alle rotte commerciali possano mettere a rischio questi nove siti chiave, dato che di quelle aree, almeno il 70% coincidono con le zone sfruttate dagli esseri umani. E siccome, secondo le previsioni, tra pochi anni si aggiungeranno altri 2 miliardi di persone sulla Terra, ci rendiamo conto di come lo sfruttamento potrebbe arrivare ad ammazzare direttamente tutti questi animali, fino a farli sparire da tutti gli oceani. Per questo, avviare degli sforzi per la conservazione preservando queste aree è una delle poche armi ancora a nostra disposizione per evitare quest’estinzione di massa. Fonte: Ecologiae.
09 SETTEMBRE
LA PRIMA MAPPA GLOBALE DEI GAS SERRA IN ATMOSFERA
Una campagna di sorvoli dall’Artide all’Antartide durata tre anni ha permesso di produrre un ritratto inedito dei gas serra e delle particelle presenti in atmosfera: il progetto, denominato HIPPO, dovrebbe consentire una più dettagliata mappatura della distribuzione dei gas e delle particelle in atmosfera in grado di influenzare il clima globale.
"Monitorare la concentrazione di biossido di carbonio e di altri gas solo con misurazioni di superficie porta a risultati per certi versi insoddisfacenti", ha commentato Britton Stephens, ricercatore del National Center for Atmospheric Research (NCAR) che ha partecipato al progetto. "HIPPO ci sta fornendo una chiara visione di ciò che sta effettivamente avvenendo nella nostra atmosfera".
I voli hanno consentito di raccogliere campioni di atmosfera a diverse latitudini durante differenti stagioni, a partire da una quota di 150 metri dalla superficie fino ad arrivare a 13.750 metri, nella bassa stratosfera.
La prima delle cinque missioni di HIPPO iniziò nel gennaio del 2009, le due successive nel 2010 e nel 2011. In ognuna di esse il gruppo di ricercatori ha volato dal Colorado all’Alaska fino al Circolo polare artico, per poi tornare verso Sud sorvolando l’Oceano Pacifico e la Nuova Zelanda, per arrivare in Antartide.
Una delle misurazioni più significative compiute da HIPPO hanno riguardato la quantità di anidride carbonica assorbita da piante e oceani, che dovrebbe consentire stime più accurate del ciclo annuale del carbonio nonché dell’importanza relativa dei fattori naturali e di quelli antropici che lo influenzano.
Lo studio in particolare ha consentito di trovare che le particelle di nerofumo, dai motori diesel, dai processi industriali e dagli incendi sono distribuite in modo molto più uniforme di quanto precedentemente stimato. Tali particelle possono influenzare il clima in diversi modi, sia assorbendo direttamente la radiazione solare, influenzando la formazione di nubi e aumentando i tassi di fusione dei ghiacciai, una volta che si depositano su di essi. Fonte: LeScienze.
UN'ALGA NEL TELEFONINO
Si nasconde nelle pareti della alghe brune, ma presto potremmo trovarla anche nelle batterie di telefonini o computer portatili. L'alginato, la molecola naturale già sfruttata in molti settori, dal farmaceutico a quello alimentare, permetterebbe infatti di realizzare elettrodi di nuova generazione, da utilizzare nelle batterie per renderle più durature e limitare l’impiego di sostanze tossiche. La ricerca, coordinata da Igor Luzinov della Clemson University (Clemson, Carolina del Sud) e Gleb Yushin del Georgia Istitute of Technology di Atlanta, è stata pubblicata su Science Express.
I ricercatori sono partiti dai componenti utilizzati per produrre le comuni batterie agli ioni di litio, che si trovano in molti dispositivi elettronici, dai telefoni cellulari ai computer portatili. Gli elettrodi di queste batterie sono fabbricati mischiando una polvere conduttrice - solitamente a base di grafite - a una sostanza legante. L'impasto che ne risulta viene poi depositato su fogli metallici e lasciato asciugare. Finora molte ricerche si sono concentrate sull'ottimizzazione della polvere conduttrice mostrando, per esempio, che l'impiego del silicio al posto della grafite permette di costruire batterie dieci volte più capienti. Tuttavia sono ancora pochi gli studi dedicati a nuovi materiali leganti.
Youshin e colleghi hanno invece dimostrato che l'alginato funziona come un legante perfetto per realizzare elettrodi più stabili, anche nel caso di quelli al silicio. Questa sostanza forma inoltre una sottile pellicola che protegge gli elettrodi dal solvente elettrolitico della batteria, aumentandone quindi la durata nel tempo. Proprietà che permetterebbero all'alginato di sostituire il polivinildenfluoruro (PVDF), una sostanza attualmente utilizzata come principale legante nella produzione industriale e prodotta attraverso l’impiego di solventi tossici. Fonte: Galileonet.
L'ACQUA SI TINGE DI ROSSO ALLE FÆR ØER
Venerdì 2 settembre, verso mezzogiorno, approssimativamente tra i 50 e i 100 globicefali indifesi, sono stati guidati in un fiordo a Vestmanna nelle Isole Fær Øer dove tutti gli esemplari adulti maschi, femmine ed i cuccioli, sono stati massacrati barbaramente in un’orgia di sangue che ha macchiato le acque di un colore scarlatto scuro.
Questa vergognosa atrocità ha seguito la recente scia della partenza di Sea Shepherd dalle Fær Øer dopo aver prevenuto con successo lo spargimento di sangue per diversi mesi durante la campagna in difesa dei globicefali, l’Operazione Ferocious Isles. Il budget limitato di Sea Shepherd ha imposto che potessimo trascorrere solo due mesi nelle Fær Øer e nessun globicefalo è stato ammazzato durante questo periodo. Durante i mesi di luglio ed agosto 2011, quando le navi di Sea Shepherd, la Steve Irwin e la Brigitte Bardot erano nell’area, la polizia delle Fær Øer ha avvisato tutte le comunità locali di non uccidere alcun esemplare. Si stima che 668 globicefali siano stai uccisi nelle Fær Øer tra luglio e l'agosto 2010, in confronto allo zero degli stessi mesi quest’ anno, come risultato della presenza di Sea Shepherd.
"Penso che i cacciatori di globicefali delle Fær Øer siano dei codardi - ha dichiarato il Capitano Paul Watson - non hanno ucciso alcun globicefalo mentre eravamo lì. Hanno aspettato, sapendo che saremmo eventualmente dovuti ripartire e, in una settimana dalla nostra partenza, hanno ricominciato lo spaventoso e barbarico rito di un massacro crudele e terrificante. Ho solo una parola per descrivere questi assassini ed è codardi".
"Adesso si accomoderanno davanti ai loro pasti contaminati dal mercurio di carne e grasso di globicefali, rideranno e si vanteranno delle vite che hanno preso in modo così crudele" ha dichiarato il Capo Cuoco Laura Dakin dall’Australia. "È facile uccidere gli indifesi, i cuccioli e le madri, così facile massacrare creature che non possono difendersi. Questi uomini sono dei patetici codardi". Fonte: Sea Shepherd.
08 SETTEMBRE
IL MARE DEL GIGLIO? UNA PATTUMIERA
Una lavatrice, uno stereo, due centinaia di bottiglie di plastica, lattine, scarpe, oggettistica varia. Siamo sui fondali di Cala Cupa, all’Isola del Giglio, nelle acque elette Santuario dei Cetacei. L’elenco dei reperti è stato stilato dai volontari di Greenpeace, dopo una perlustrazione eseguita lo scorso 5 settembre in seno alla Campagna Mare.
Ora, tra le praterie di posidonia, le gorgonie e le spugne si estendono le discariche di fine estate. Sebbene, infatti, questa sia un’area marina protetta, non è in vigore alcuna regola specifica contro l'inquinamento né per limitare il traffico marittimo. La normativa internazionale vieta, ovviamente, l'abbandono di rifiuti dalle imbarcazioni, ma qui non si effettuano controlli, come denuncia l’associazione ambientalista.
I rifiuti sono stati prelevati dai fondali e differenziati, grazie anche alla collaborazione del Dinving Isola del Giglio e del Comune dell'isola. Gli attivisti hanno poi documentato i danni alle zone protette anche dagli ancoraggi impropri delle imbarcazioni, che potrebbero essere facilmente evitati con il posizionamento di boe e controlli (guarda la gallery su Galileo Flickr).
"Il prossimo mese saranno passati dieci anni dalla legge con cui l'Italia sanciva la creazione del Santuario dei Cetacei. È ora che il Ministero dell'Ambiente, insieme alle Regioni che si affacciano sull'area, mettano in atto un preciso piano di gestione per tutelare l'ambiente e gli interessi delle comunità locali, come quella del Giglio, che dalle sue ricchezze dipendono", ha concluso Greenpeace. Fonte: Galileonet.
IL PIÙ GRANDE COCCODRILLO MAI CATTURATO
Dopo una caccia di tre settimane in un torrente dell'arcipelago delle Filippine, è stato catturato il più grande coccodrillo mai osservato. Il grande rettile è lungo pìù di sei metri e pesa oltre una tonnellata. La caccia ha coinvolto oltre 100 uomini.
Ora l'animale sarà messo a dimora presso la nuova struttura del parco ecoturistico di Augusan.
SOVERATO (CZ): DUE NUOVI RECORD DA BATTERE
Nei giorni 9 e 11 settembre 2011 dalle ore 14.00, nella splendida cornice naturale della baia di Soverato, in provincia di Catanzaro, l’atleta Homar Leuci tenterà di stabilire due record di profondità in apnea in assetto costante e in assetto variabile. Il primo record da battere, quello che richiede l’utilizzo delle pinne, è detenuto, attualmente, dall’atleta stesso con m. -84; nel secondo invece l’atleta milanese si cimenterà nella disciplina dell’assetto variabile, cioè scenderà con una zavorra di 30 kg e dovrà risalire con le sue forze, al di là dell’impresa sportiva questa discesa sarà oggetto di una ricerca scientifica del Comitato di Settore di Ricerca della Federazione Italiana (FIPSAS) ed il limite da raggiungere è di -131 m. ufficialmente riconosciuto dalla CMAS. L’impresa sarà certificata dalla Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee (FIPSAS) e dalla Confederazione Mondiale delle Attività Subacquee (CMAS) alla presenza del CONI e delle istituzioni pubbliche.
Ad intervenire, in caso di bisogno, ed ad organizzare tutta la logistica dell’evento sarà la squadra di superficie della ASD Calabria Apnea e la squadra di sommozzatori dell’Almost Blu Diving Center, ASD Blue world, che hanno peraltro provveduto all’assistenza e all’organizzazione di tutte le sessioni di allenamento in profondità dell’atleta nei mesi precedenti, rendendo possibile il raggiungimento di tali quote in sicurezza.
07 SETTEMBRE
LO STRANO RITMO CIRCADIANO DEL PESCE CIECO
La sincronizzazione di molti processi fisiologici con l'alternanza giorno-notte è uno dei frutti dell'evoluzione, ed è stata raggiunta dalla gran parte degli organismi animali. Ma com'è possibile che essi siano presenti in linee filogenetiche che sono rimaste costentemente in condizioni di oscurità?
Un nuovo studio ha cercato ora di dare una risposta a questa domanda analizzando la specie Phreatichthys andruzzii, un pesce 'cavernicolo' rimasto isolato nel terreno al di sotto del deserto somalo per due milioni di anni.
Molte specie di pesci si sono evolute in assenza di luce solare all'interno di caverne in tutto il mondo, condividendo un insieme comune di adattamenti come per esempio la perdita degli occhi. Secondo quanto riferito nel resoconto pubblicato sulla rivista online ad accesso libero PLoS Biology, questo pesce ha un orologio circadiano molto inusuale, con un periodo estremamente lungo (fino a 47 ore), ed è completamente cieco.
Nel caso della maggior parte degli organismi il periodo è di circa 24 ore, ma i meccanismi molecolari alla base di questa sincronizzazione sono ancora scarsamente compresi, anche se è stato dimostrato che la luce regola i ritmi circadiani attraverso gli occhi.
I pesci sono modelli ideali per studiare in che modo la luce regoli l'orologio biologico poiché nella maggior parte dei loro tessuti l'esposizione diretta alla luce 'resetta' l'orologio, anche se non sono ancora stati individuati i fotorecettori che pure dovrebbero essere presenti in grande quantità.
In questo lavoro i ricercatori sono partiti da un confronto del ritmo circadiano del pesce delle caverne somalo con il comune Danio rerio, molto utilizzato in molti studi biologici, analizzando in particolare l'attività motoria e l'espressione genica. Mentre sono state raccolte le prove di una precisa sincronizzazione di D. rerio con l'alternanza luce/oscurità, dell'orologio circadiano non sembrava esserci traccia nel P. andruzzii.
La ritmicità è invece apparsa con modalità simili nei due pesci quando sono stati esposti a un segnale temporale regolare dato dalla distribuzione del cibo. Si è così dimostrata la presenza di un ritmo circadiano legato al comportamento alimentale e non influenzato dalla luce.
Inoltre, grazie a uno studio più dettagliato, si è riusciti a mostrare che il pesce di caverna mantiene un ritmo circadiano con un periodo incredibilmente lungo e che la mancanza di un reset in risposta alla luce non è dovuto alla perdita degli occhi ma a mutazioni a carico di due fotorecettori per l'opsina che lasciano 'gli orologi' nella maggior parte dei tessuti incapaci di rispondere alla luce. Fonte: LeScienze.
PETROLIO: CACCIA APERTA AI GIACIMENTI SALENTINI
Il mare del Salento nel mirino delle compagnie petrolifere. È un via vai misterioso di impianti e di piattaforme mobili lungo il canale d’Otranto. Strutture invisibili che si muovono nella notte e che all’improvviso compaiono all’orizzonte. Dopo l’allarme per il destino del mare delle Isole Tremiti e le minacce alla costa di Ostuni e Monopoli, anche il litorale salentino entra in modo brutale tra gli obiettivi delle multinazionali.
Le ispezioni sull’entità e la qualità dei giacimenti si estendono ad aree finora ai margini degli interessi energetici. Le grandi riserve di petrolio nel mondo hanno raggiunto il punto più alto dello sfruttamento ed è cominciata la fase discendente. Per questo diventano preziosissimi i giacimenti un tempo marginali.
Sondaggi e ispezioni si concentrano nelle aree marine più promettenti. E tutto ciò annuncia piattaforme ancora più ingombranti per lo sfruttamento. È un fenomeno nuovo che ancora non si sa come fronteggiare. I sindaci, privi di informazioni, non sanno come muoversi. "Si, l’abbiamo vista al largo di Porto Miggiano», dice un abitante di Santa Cesarea Terme. È’ successo la sera del tre settembre, una serata limpida. Si vedevano le stelle e anche l’orizzonte marino offriva un profilo inconsueto con una struttura galleggiante che si muoveva, a molte miglia dalla costa. L’abbiamo osservata a lungo, dopo qualche ora è scomparsa".
Ma non tutti si sono limitati ad ammirare il mare solcato da una mastodontica casa galleggiante con tutte le luci accese. Un cittadino-fotografo, Stefano Cretì, di Cerfignano, è riuscito ad immortalare la piattaforma. "Sono a Torino, nessuno mi ha detto niente, farò subito una verifica - dice al telefono Daniele Cretì, ingegnere e sindaco di Santa Cesarea - mi sembra però tutto strano. Non credo che stiano cercando il petrolio lungo la nostra costa. Chiederò notizie e poi decideremo il da farsi".
Cretì sostiene di essere un uomo razionale e prudente. Una piattaforma di fronte alle terme? "Ma no, non corriamo: cerchiamo di capire come stanno le cose. Io alla piattaforma non ci credo". Cretì dà poi una stoccata agli ambientalisti che si sono mobilitati per difendere Porto Miggiano: "Perché non si organizzano contro il petrolio?".
Il vicesindaco, Sergio Bono, geometra di Vitigliano, è sorpreso: "Non ho avuto notizie. Non so nulla della piattaforma. Forse è destinata ad altre località. Non so che dire su due piedi. Una cosa è certa: noi una piattaforma petrolifera non la vogliamo proprio perché stiamo puntando tutto sul turismo". Il Movimento Regione Salento usa toni duri: "Sono inquietanti le trivellazioni nel Basso Adriatico. È un’idea malsana cui ci opporremo con tutte le nostre forze chiedendo sin d’ora ai parlamentari salentini di fare le barricate». Tra l’Ilva, il carbone di Cerano e il fotovoltaico il Salento "è già massacrato". "La foto-denuncia è la peggior cartolina del nostro turismo e non accetteremo in alcun modo un ulteriore sopruso». Il Movimento rifiuta la logica delle royalties: "Da noi ammontano al quattro per cento, in Norvegia arrivano all’80". Fonte: INFORMAZIONE LIBERA.
UN TUNNEL SOTTO L'ISOLA VULCANICA DI VENTOTENE
Un tunnel sotto l’isola vulcanica di Ventotene, un’opera potenzialmente devastante dal punto di vista dell’impatto ambientale eppure il Comune ha già pubblicato il bando per la realizzazione del progetto. Una notizia che allarma non poco le associazioni ambientaliste, anche perchè l’isola pontina è una Zona di Protezione Speciale, nevralgica come punto di passaggio per gli uccelli migratori. Proprio la LIPU Bird-Life Italia interviene sull’ipotesi di una megaopera nell’area, spiegando gli innumerevoli rischi che comporterebbe un simile progetto per gli habitat e per l’equilibrio idrogeologico già abbastanza precario di quel territorio.
Fulvio Mamone Capria, presidente dell’Associazione Animalista, attiva da anni sul fronte della protezione dell’avifauna italiana e dei suoi habitat, ci spiega: "Ventotene, già a rischio da un punto di vista idrogeologico e particolarmente delicata da un punto di vista paesaggistico e naturalistico, sarebbe ancora più minacciata da questa opera dall’impatto ambientale pesante. Non dimentichiamo che Ventotene, strettamente vincolata a livello nazionale e comunitario come Zona di Protezione Speciale, è un luogo tra i più importanti d’Europa per la migrazione degli uccelli e una riserva marina di primo piano".
La LIPU si è immediatamente attivata chiedendo ai Ministri dell’Ambiente e dei Beni Culturali l’invio di esperti rigorosamente indipendenti sul posto per valutare i rischi di frane ed il quadro completo dei rischi idrogeologici connessi alla costruzione del tunnel per valutare quali danni possa causare all’equilibrio idrogeologico dell’isola e soprattutto se non ci siano soluzioni alternative meno impattanti e rischiose. Fonte: Ecologiae.
IL CASO DEL PESCHERECCIO Fer Maria 1: NIENTE PROCESSO PER I CACCIATORI DI SQUALI
- Il Fer Maria 1 è un peschereccio d'altura che utilizza palangari, registrato a Manta, il porto principale base dei pescatori dell'Ecuador.
- Il Fer Maria 1 è stato rilevato dal sistema di controllo delle imbarcazioni (VMS), il 18 luglio 2011. Il VMS è stato utilizzato dal Servizio d’Ordine del Parco Nazionale delle Gàlapagos (GNPS) per monitorare i movimenti della nave all'interno della Riserva Marina (GMR).
- Il Servizio di Controllo ha inviato un motoscafo per intercettare la nave che stava operando a circa 20 miglia nautiche all'interno della Riserva. A bordo di questo motoscafo erano presenti sei ranger e un membro della Marina Militare i quali hanno navigato in condizioni di mare difficile per svolgere il proprio lavoro; il mare era così mosso che hanno corso un grosso rischio.
- Un gran numero di squali (357) appartenenti a specie diverse, compreso un mako, specie protetta dalla Convenzione sulle Specie Migratorie, sono stati trovati sulla nave e sulle navi minori dipendenti da essa. Alcune di queste specie sono anche inserite nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) come specie in pericolo o minacciate. Va sottolineato che alle Gàlapagos TUTTE le specie di squalo godono di piena protezione legale.
- Secondo la Legge delle Gàlapagos ed il Codice Penale dell'Ecuador, ogni cattura di squali è illegale all'interno della Riserva Marina. Anche qualsiasi tipo di pesca industriale, soprattutto con l’utilizzo dei palangari, è illegale all'interno della stessa Riserva.
- Il 19 luglio, il Ministro dell’Ambiente delle Gàlapagos ha aperto un'indagine sui crimini ambientali della pesca all'interno della Riserva Marina e sulla cattura di specie protette a carico dell'equipaggio del Fer Maria 1. Su richiesta del Ministro, il giudice ha ordinato la detenzione di tutti i membri dell'equipaggio. Anche il Servizio di controllo ha presentato una denuncia.
- In caso di condanna, l'equipaggio del Fer Maria 1 dovrà scontare fino a tre anni di reclusione per la pesca illegale e ulteriori tre anni per la cattura di specie protette.
- Il 3 agosto, su richiesta del legale degli imputati, ha avuto luogo un'udienza giudiziaria. Nonostante l'opposizione formale del Ministro, sabato 6 agosto il giudice ha deciso di rilasciare tutti i sospetti, a condizione di presentarsi davanti al giudice di Manta, loro città natale sulla terra ferma, ogni otto giorni. Questa condizione è stata applicata a 19 membri dell'equipaggio, che hanno lasciato le isole e stanno ora godendo della libertà a 982 km di distanza dalla scena del crimine. Solo il capitano e il capo macchinista devono rimanere sull’Isola di San Cristobal fino alla conclusione delle indagini preliminari, che sono il primo livello della procedura penale.
- Dalla prospettiva legale, il caso non ha futuro, dal momento che quasi tutti i sospetti si trovano fuori dalla cittadina. Ciò significa che tutti i rischi assunti dai Guardaparco e dall'equipaggio della Marina, l'implementazione della costosa tecnologia di monitoraggio via satellite, e tutto il lavoro del Ministro dell’Ambiente e del Servizio di Controllo delle Gàlapagos non hanno nessun valore per il sistema giudiziario, dal momento che i sospetti si trovano attualmente a 982 km dalle Isole. In realtà la vera giustizia dovrebbe avere come scopo quello di rispondere alla società e di proteggerla, non di abbandonarla.
- Ma c’è di peggio: se accusati di reati ambientali, tutti i sospetti dovranno tornare alle Gàlapagos per il processo. Questo non è mai accaduto in casi precedenti. Il Papate è un buon esempio. Nell’aprile del 2010, anche questa nave da pesca industriale ecuadoriana era stata fermata all'interno della Riserva Marina, e trovata con 183 squali morti a bordo. Il tribunale delle Gàlapagos ha chiesto per cinque volte agli imputati, anch’essi originari di Manta, di ritornare alle Isole per il processo in tribunale. L’ultima volta solo uno di essi ha rispettato la richiesta. Affinché la Corte possa processare il caso, però, TUTTI gli imputati devono essere presenti. Se gli imputati non si presentano, la polizia ha l’autorità di arrestarli e di portarli in tribunale. Questo succede sul continente MA nel caso delle Gàlapagos la domanda sorge spontanea: chi pagherà i costi del trasporto dal continente alle Isole? Ne la polizia ne il sistema giudiziario hanno i soldi per poterselo permettere. Ciò non è oltretutto neanche disciplinato in maniera chiara dalla legge.
- Anche se i sospetti facessero ritorno, è già certo che il caso sarà annullato: durante il primo caso ambientale che sia mai finito sotto processo alle Gàlapagos, infatti, il tribunale locale si è dichiarato non competente ad affrontare i casi di questo tipo. Ciò significa che, se si vuole perseguire qualcuno alle Gàlapagos, si deve andare al più vicino tribunale provinciale in Ecuador, a circa 982 km di distanza. Tutto ciò è semplicemente incredibile e inaccettabile.
- Ancora più inaccettabile è il fatto che quella delle Gàlapagos sia l'unica provincia in Ecuador senza una Corte Provinciale di Giustizia. Come può accadere tutto ciò in un luogo unico come questo?
Fonte: Sea Shepherd italia (testo integrale)
IL PRIMO PARCO MARINO DELLA TANZANIA: CHUMBE ISLAND CORAL PARK
Siamo a Chumbe Island Coral Park, il primo parco marino protetto della Tanzania, un’intera isola a circa 12 Km da Zanzibar. Dormire come Robinson Crusoe in capanne di legno e fango, completamente eco sostenibili, nel cuore di una piccola foresta. E di capanne – meraviglioso esempio di bioarchitettura – ce ne sono solo 7: la luce all’interno è prodotta grazie ai pannelli solari, l’acqua per la doccia è piovana e va pompata con un sistema idraulico; i granchi fanno compagnia in camera (o nel letto…) ai pochissimi visitatori dell’isola perché non ci sono porte tra uomo e Madre Natura. La pila a mini-pannelli solari che viene fornita servirà la sera per addentrarsi nella foresta e avvistare i “granchi del cocco”, specie endemica protetta. Si chiamano così perché si arrampicano sulle palme per mangiare le noci di cocco e possono avere una lunghezza di 60 cm, per 4-5 chili. Il bagno della capanna? Una “compost toilet”: dopo i bisogni, che finiscono in un “tunnel” sotto la capanna, va buttata della terra, per produrre concime e preservare l’acqua del mare dall’inquinamento. E anche lì, ovviamente, niente porte! Fonte: OggiScienza a cura di Sara Stulle.
06 SETTEMBRE
UNA NUOVA SPECIE DI MURENA
Le acque profonde della Repubblica di Palau, piccola isola dell'Oceano Pacifico, nascondono un importante tesoro, venuto oggi a galla: si tratta di una nuova specie di murena che vive sui fondali oceanici a circa 35 metri di profondità.
Ma l'importanza di Protoanguilla palau, così è stata battezzata la nuova specie sulle pagine della rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, su cui è stata descritta, risiede nelle sue caratteristiche che la rendono unica tra le murene finora note. La nuova specie rappresenta, infatti, un nuovo genere a sè stante (Protoanguilla). Ma non finisce qui. Per collocare questo organismo sull'albero filogenetico delle murene, gli autori della scoperta hanno dovuto coniare una nuova famiglia (Protoanguillidae) che si aggiunge alle 19 già individuate. Infatti, la nuova specie condivide alcune caratteristiche anatomiche con le attuali famiglie di murene ma altre, come la seconda mascella superiore (premaxilla) e la presenza di un numero di vertebre inferiore a 90, sono state rinvenute solo in specie del Cretaceo.
Anche un'approfondita analisi sull'intero genoma mitocondriale posiziona Protoanguilla palau e la famiglia a cui appartiene in una linea evolutiva tanto antica quanto quella che ha dato origine a tutte le altre famiglie di murene esistenti. Protoanguilla palau, concludono i ricercatori, rappresenta un vero e proprio fossile vivente. Fonte: Pikaia a cura di Andrea Romano.
Rif: G. D. Johnson, H. Ida, J. Sakaue, T. Sado, T. Asahida, M. Miya. A 'living fossil' eel (Anguilliformes: Protoanguillidae, fam. nov.) from an undersea cave in Palau. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 2011.
05 SETTEMBRE
TONNO TAROCCO
Erano sicuramente diretti, secondo la Capitaneria di Porto di San Remo, alla ristorazione ed al mercato all’ingrosso, i 10 tonni sequestrati nei giorni scorsi dalla Guardia Costiera di San Remo. Il peschereccio, notato dirigersi verso Portosole, era in realtà appartenente alla marineria di San Remo. Aveva cercato un porto meno conosciuto dove sbarcare i tonni. In buona parte sottomisura ed equivalenti a circa 250 kg di ambito tonno rosso.
Nel porto, il comandante del motopesca aveva a disposizione pure una macchina per allontanrsi, mentre il pescato veniva caricato su un furgone, poi bloccato.
Senza l’intervento della Capitaneria, il tonno sarebbe stato venduto senza alcuna rintracciabilità oppure con etichettatura falsificata, come nel caso del 6.5 tonnellate di tonno pinne gialle e tonno obeso (con prezzo di mercato inferiore al tonno rosso) sequestrato due giorni addietro. Il falso tonno rosso (in tal maniera era stato posto alla vendita) è stato rinvenuto in alcuni supermercati di Genova. Proveniva dalla piattaforma di Pavia che distribuiva anche alcuni supermercati genovesi. Arrivato chissà come e chissà quando, visto che l’etichettatura era mendace.
Il tonno rosso si può pescare entro quote prestabilite, ed è ammesso un solo animale catturato per errore. Ad esempio con i palangari deputati alla pesca del pesce spada. Purtroppo, la quota eccedente per la prossima stagione di pesca, è stata aumentata dal Governo italiano. A norma non potrebbero essere pescati tonni di peso inferore ai 30 Kg ed al di sotto dei 115 centimetri di lunghezza.
Dal 7 agosto, inoltre, è fatto divieto di prelievo per i diportisti, ovvero i cosiddetti pescatori non professionisti i quali, teoricamente, non potrebbero vendere. Non è, invece, un mistero che i diportisti costituiscono una aliquota non indifferente del pescato venduto, specie nel settore della ristorazione. Questo stante gli stessi interventi della Guardia Costiera, proprio nella filiera del pesce. Fonte: GeaPress.
DI NUOVO IN MARE LE VONGOLARE DEL COMPARTIMENTO DI PESARO
A settembre si tornano a pescare le vongole nel compartimento marittimo di Pesaro. Lo ha deciso l’assemblea del Co.Ge.Mo, il Consorzio Gestione Molluschi mettendo così fine al periodo di fermo pesca volontario di un paio di mesi che dovrebbero essere serviti alla riproduzione della specie. Il Co.Ge.Mo è una grossa realtà produttiva dell’agroalimentare della provincia, con una produzione annua di circa 3.500 tonnellate di Venus gallina sin. Chamelea gallina, che per oltre il 5% viene esportata in Spagna ed è composto da 65 aziende di pesca, che danno lavoro a circa 150 occupati diretti sulle barche e a una quarantina di aziende a terra per la lavorazione e confezionamento del prodotto, che danno lavoro a un altro centinaio di lavoratori.
Nei gironi scorsi, prima delle decisione di riprendere il mare si era diffusa la voce di una moria di vongole nell’alto Adriatico e giustamente anche nella marineria fanese c’era qualche preoccupazione. Ma il pericolo è stato subito scongiurato. "Mi sono informato - dice Eros Bocchini del Consorzio di Gestione Molluschi - ed è vero che nel golfo di Trieste c’è stata una moria di vongole. Avevano messo in mare del novellame tempo fa e oggi si ritrovano con gran parte del prodotto danneggiato. Mi hanno detto che questo è successo a Grado e nella laguna di Marano, mentre invece a Chioggia non hanno avuto nessun problema".
Già nel medio Adriatico la situazione è normale, ma per i pescatori va tenuta sotto controllo. L’Associazione Vongolai con le sue barche ha effettuato nei giorni scorsi alcuni test per verificare lo stato delle vongole e i riscontri sembrano essere tutti positivi. Per le vongolare (turbosoffianti) che hanno volontariamente intrapreso un lungo fermo pesca, la ripresa di settembre dovrebbe costituire un momento di rilancio dopo i vari interventi compiuti in passato. Fonte: Carlino Pesaro [modificato e corretto].
04 SETTEMBRE
MILANO: METALLI PESANTI NEL PESCE
Controlli del NAS dei Carabinieri nella filiera della pesca a Como e Milano. Nella prima città i controlli dei militari hanno riscontrato, nei controlli a ristoratori e distributori, tre casi dove erano posti in vendita prodotti tipici della pesca in cattivo stato di conservazione. Non solo. I prodotti erano presentati alla clientela come freschi, ma in effetti, dal controllo del NAS, sono risultati essere scongelati. Frode in commercio, dunque.
In una delle tre strutture è stato, inoltre, scoperto un vero e proprio locale, esterno all’area adibita ad attività di ristorazione, ove erano depositati ben 100 chilogrammi di prodotti ittici e carnei presentanti irregolarità igienico sanitarie sia strutturali che gestionali. In sintesi, non solo il locale non era idoneo ma le modalità di gestione stesse, risultavano non adatte a garantire l’igiene. In tutto per un totale di 20.000 euro di prodotti, tra ittici e carnei, privi, tra l’altro, dell’etichettatura. Non era, infatti, possibile risalire all’origine del materiale stoccato nel locale.
Ancora più grave, forse, quanto scoperto essere stato commercializzato da due diverse ditte del mercato ittico di Milano. Avevano importato e commercializzato pesce spada e gambero rosso che, dagli esami di lavoratorio fatti eseguire dal NAS, sono risultati contaminati da solfiti, altri conservanti ed addirittura metalli pesanti. Le concentrazioni erano superiori ai limiti di legge. Fonte: GeaPress.
PESCA ILLEGALE, PIRATI DEL MARE E RESPONSABILITÀ DEI PAESI OCCIDENTALI
Forse in pochi lo sanno, ma all’origine dei famigerati pirati somali che vanno sequestrando navi per l’oceano indiano, c’è una storia paradossale. Molti di loro erano, infatti, pescatori. Poi il governo somalo, ancor prima del caos politico attuale, iniziò a vendere i permessi di pesca per le marinerie dei paesi ricchi, Italia compresa. I pescatori locali vennero non solo marginalizzati dalle razzie dei moderni motopesca d’altura, ma anche finiti … sott’acqua. Da lì, l’involuzione. Da non legittimare, ci mancherebbe, ma in un paese dai mille governi, come la Somalia, si possono velocemente cambiare le abitudini. I pescatori locali, sempre più morti di fame, mollarono le reti (distrutte dai motopesca) ed iniziarono ad assalire le navi.
La situazione, lo scorso agosto, si è surriscaldata in Liberia. Più o meno la stessa latitudine della Somalia ma dalla parte opposta dell’Africa. Sull’oceano atlantico, i motopesca occidentali ed asiatici ne combinano di tutti i colori. Reti tagliate e pescatori locali malmenati. Questo secondo le accuse che la Liberia ha formalizzato all’Unione Europea a seguito di alcune sue proprietà natanti in giro per il Golfo di Guinea. Proprietà talmente grandi da fare girare la testa. Immaginiamo una multinazionale sudcorena, con sede approdata nelle isole Canarie (chissà perchè ….) ed investimenti in mezzo mondo tra cui campi da golf in Europa? Ebbene la multinazionale possiede anche dei motopesca d’altura, ed uno di questi, dopo un drammatico inseguimento in mare e colpi di avvertimento, è stato poi costretto nel porto di Monrovia. Le autorità liberiane avrebbero le prove che vendeva il pescato agli europei. Anzi, un grosso carico, tempo addietro venne intercettato in Spagna. Sta di fatto che l’osservatore liberiano a bordo del peschereccio, è stato assalito dal Comandante per evitare, nelle fasi concitate dell’inseguimento, di mettersi in contatto con la terraferma.
Non è un mistero per nessuno, che ormai buona parte del pescato di molti paesi, tra cui l’Italia, viene prelevato all’estero. Un paio di mesi addietro il Ministero delle Politiche Agricole e della Pesca, ha rinnovato i permessi sulla base delle quote acquistate (a prezzi da terzo mondo) in giro per l’Africa. Speriamo un domani di non dovere mandare altre navi, ma da guerra, a difendere i natanti di passaggio anche nell’Atlantico. Fonte: GeaPress.
03 SETTEMBRE
RISCHIA DI SPARIRE L'ISOLA DI JEUI
I campionati di atletica laggera di Deagu non sono l’unico evento degno di nota che si sta svolgendo in Corea del Sud questi giorni: vi parliamo di Jeiu e delle manifestazioni di protesta per evitare la distruzione di ettari di verde e di foresta incontaminati. Jeui è una piccola isola che si trova nello stretto di Corea, nota per la ricchezza degli ecosistemi e per la natura incontaminata. Oggi il suo patrimonio naturalistico rischia l’estinzione a causa dell’apertura di una base navale militare. Finora due sacerdoti e diverse decine di attivisti laici sono stati arrestati dalla Polizia perché da diverse settimane con sit-in e manifestazioni bloccavano i lavori nel cantiere.
La salvaguardia dell’ecologia e del turismo legato alle bellezze naturali dell’isola sono i motivi che spingono gli attivisti a fermare i lavori, la sicurezza nazionale muove invece il governo. Il governo coreano ha speso 970 milioni di dollari USA per aprire la nuova base militare, che sorgerà in una posizione strategica nell’area meridionale dello stretto di Corea. Eppure il no all’inizio dei lavori arriva da più fronti.
Il capo del villaggio Kang Dong-Gyun è stato arrestato assieme ad altri manifestanti due giorni fa. Attivisti e ambientalisti si sono appellati al tribunale nazionale per fermare i lavori e salvaguardare la natura incontaminata che circonda l’isola coreana, ma senza ottenere risultati perché, come spiegano i manifestanti
Il tribunale ha inviato un’ingiunzione per bloccare la costruzione della base navale, ma questo non sembra fermare il governo, la marina, i pubblici ministeri e la polizia.
La protesta non si placa e oggi sui cieli della Corea del Sud vola un aeroplano della pace che porterà altri 170 sostenitori sull’isola di Jeiu, dove sono attese altre manifestazioni non violente. Fonte: Ecologiae.
DELTA DEL NIGER: L'ONU MULTA LA SHELL
Un intero ecosistema distrutto. È questo il risultato di decenni di sfruttamento eccessivo fatto senza un minimo di cautela per la gente del posto e per l’ambiente, ed ora è arrivato il momento di pagarne il conto: un miliardo di dollari. Questa la cifra stabilita dall’ONU che il Governo del Niger e le compagnie petrolifere, in particolar modo la Shell (vedere l'articolo: Boicottare la Shell?....), dovranno pagare per tentare di recuperare ciò che per anni hanno distrutto.
Non si parla solo degli incidenti, tantissimi, che quasi ogni mese vedevano fuoriuscite di petrolio che letteralmente uccidevano mangrovie e pesci (l’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso, ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite da uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro o più), ma anche delle normali pratiche di produzione effettuate senza nemmeno un minimo di accortezza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato che l’acqua che le popolazioni locali bevevano era contaminata da idrocarburi e benzene, fino a livelli di 900 volte superiori alla norma di sicurezza. Si tratta di sostanze cancerogene che facevano ammalare gli abitanti dell’area che, negli ultimi 50 anni, sono diminuiti sempre più. E non perché tentavano la fortuna all’estero. Per non parlare dell’inquinamento dell’aria e degli incendi.
Secondo i responsabili del programma ambientale Unep, ci vorranno dai 25 ai 30 anni per ripulire l’area, sempre se le aziende petrolifere decidessero di abbandonarla (eventualità molto difficile), ma in ogni caso nessun risarcimento potrebbe ridare la vita e la salute alle migliaia di vittime di questa inciviltà.
Il Governo del Niger è stato multato perché le sue regole sulle trivellazioni sono troppo 'morbide', in pratica permetteva alle compagnie di fare ciò che volevano; le compagnie invece sono state multate perché i controlli non sono stati adeguati e le misure di sicurezza praticamente assenti. La Shell intanto si è ritirata dalla zona del Delta del Niger, ma lo faranno anche le altre compagnie?
02 SETTEMBRE
POSIDONIA: A FORMENTERA RISCHIA L'ESTINZIONE
Formentera è una delle località turistiche più famose al mondo, non solo perchè è frequentata da vip e per i locali alla moda, ma anche per la bellezza dei suoi paesaggi. E buona parte di questa bellezza la si deve alla flora marina che la caratterizza, come la Posidonia oceanica, che ora rischia di sparire in breve tempo.
In particolare, secondo la denuncia di Manu San Felix (biologo marino) e del cattedratico Carlos Duarte, allo stato attuale le rimangono appena 3-4 anni di vita prima che si estingua. In questo caso sarebbe una tragedia non solo per i botanici o per le acque spagnole, ma per tutto il Mediterraneo, dato che questa pianta ha un ruolo fondamentale nella regolazione degli ecosistemi costieri del nostro mare. La perdita verrebbe a pesare anche sulle casse di Formentera e della sua regione per un miliardo di euro stimato, visto che l’azione della Posidonia incide sulla pesca, produzione di materia organica, sulle coste e persino sul turismo, visto che si tratta di una delle principali attrazioni per gli amanti delle immersioni.
Per questo ora il network internazionale Posidonia Project ha avviato una serie di azioni per sensibilizzare il pubblico sul tema, in particolare con un festival (che quest’anno si è tenuto a luglio, in Sardegna), dedicato all’Arte, Ambiente e Sviluppo sostenibile.
Posidonia Project ringrazia tutti i protagonisti di queste iniziative che portano avanti azioni con un obiettivo comune importantissimo, e mette le proprie risorse a disposizione per raggiungere insieme l’obiettivo di invertire la tendenza alla riduzione della superficie totale di Posidonia oceanica nel Mar Mediterraneo entro il 2014, partendo proprio dalla salvaguardia delle piante di Posidonia di Formentera, fra le quali si annovera l’essere vivente più antico conosciuto al mondo (con un estensione di 8 km e circa 100mila anni di vita), dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1999.
Ma cosa sta scatenando questa distruzione? Prima di tutto è il traffico di barche a danneggiarla maggiormente, con una confusione di natanti ormeggiati senza regole che soffoca le piante marine. Senza contare l’ancoraggio e gli inquinanti rilasciati in mare. L’effetto è talmente evidente che si calcola che tra il 30 ed il 40% della superficie totale di Posidonia oceanica presente sui fondali di Formentera sia stata distrutta, sradicata e affossata dalle àncore in pochi anni.
L’esempio più lampante è stato quello dello yacht Turama, una imbarcazione lunga 100 metri che, da sola, si calcola sia riuscita a distruggere 10 mila metri quadrati di Posidonia in un solo giorno. Ciò non toglie che barche più piccole possano essere ugualmente dannose. Per questo è importante informare la popolazione e i turisti a rispettare la flora marina, e magari creare un’area protetta dove questa pianta possa crescere ed evitare di sparire per sempre. Fonte: Ecologiae.
UNA NUOVA SPECIE NEL PIATTO
I mercati popolari sono fonti preziosi di biodiversità, specie quelli del pesce. William White e colleghi, della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization di Hobart in Australia, in un mercato di Taiwan hanno trovato una nuova specie di squalo.
Lo Squalus formosus (da Formosa, il vecchio nome di Taiwan), si aggiunge alla lista di specie trovate o ritrovate al mercato: una scimmia, una lucertola e un uccello creduto estinto. I tassonomi se ne vanno spesso a fare un giro al mercato per vedere cosa c’è di nuovo e infatti cosi hanno fatto White e colleghi, per "vedere se c’erano differenze notabili nel pescato degli squali rispetto ai decenni precedenti".
E lo squalo di profondità, lungo circa un metro, dalla testa tonda e una pinna dorsale motlo robusta, era là. "È difficile che l’aquirente medio se ne accorga", in genere gli squali come gli altri pesci vengono catturati a casaccio in grandi reti, e le differenze che possono apparire evidenti a un biologo marino, per la maggior parte del pubblico sono indistinguibili.
L’area marina in cui il pesce vive e si riproduce è piuttosto ristretta (in acque tawanesi e giapponesi), ed è molto simile ad altre nella zona. Uno degli scopi di classificare accuratamente tutte queste specie così strettamente collegate e con areali molto ristretti è rendere più facile la valutazione dello stato di salute della specie. Fonte: OggiScienza a cura di Federica Sgorbissa.
IDROLIZZATO DI COLLAGENE: FINALMENTE L'EFSA SI ESPRIME
Finalmente l'EFSA si è epsressa a proposito dell'idrolizzato di collagene, estratto dalle carcasse di molte specie di pesce, compresi gli squali. Il Comitato Scientifico dell'ente ha sottolineato come sia praticamente inutile l'utilizzo dell'idrolizzato come integratore per alleviare e per prevenire danni alle cartilagini. Quindi un buon motivo per risparmiare e per salvare il mare è proprio quello di non favorire tutte quelle aziende che per anni hanno speculato sulle miracolose proprietà dell'idrolizzato. Con danni maggiori per chi realmente soffriva e soffre di patologie articolari. Fonte: Europass.
CAVE SOTTOMARINE: A RAGUSA INCONTRO TRA IV COMMISSIONE ARS E LEGAMBIENTE
Si è confermata particolarmente importante, secondo Legambiente Modica e Ragusa, l’audizione tenutasi il 3 agosto scorso presso la IV commissione dell’Ars a Palermo.
L’incontro, tenutosi su esplicita richiesta delle due componenti della stessa associazione, richiesta accolta prontamente dall’onorevole Roberto Ammatuna, era volto a fare chiarezza su una proposta di cave sottomarine nel mare del ragusano che, per la sua ampiezza e per la superficialità con cui è stata elaborata, rischiava di diventare un altro elemento di pericolo per l’ambiente marino.
Legambiente, rappresentata dai presidenti dei due circoli, Giorgio Cavallo e Antonino Duchi, nonché dal presidente regionale Domenico Fontana, ha evidenziato tutti gli elementi critici della richiesta, con una disamina degli aspetti tecnico - scientifici e procedurali derivanti da un’attenta e puntuale lettura del materiale documentario disponibile.
Sono quindi intervenuti gli Enti comunali della provincia di Ragusa, eccezion fatta per S. Croce Camerina e Ispica, ma l’assenza più grave, secondo Legambiente, è stata quella della Provincia regionale di Ragusa.
Tutte le amministrazioni, nonché alcuni deputati regionali presenti, plaudendo all’iniziativa e ringraziando Legambiente, hanno espresso un parere negativo riguardo la proposta di concessione. Il dirigente della assessorato al Territorio e ambiente della Regione ha preso atto della situazione e delle motivazioni tecnico scientifiche addotte da Legambiente e dall’Arpa regionale e ha manifestato l’intenzione di non dare corso all’autorizzazione ad opere.
"Non bisogna comunque abbassare la guardia - ha sottolineato Ammatuna - ma vigilare per verificare che la Regione neghi realmente tale autorizzazione". Legambiente ha sottolineato la delicatezza degli equilibri su cui si basa la formazione delle spiagge iblee, così importanti per l’ambiente e il turismo, e ha evidenziato come il fenomeno erosivo sia da attribuire non alla natura ma a evidenti e ampiamente conosciuti errori nella gestione del territorio da attribuire alle opere antropiche come dighizzazione dei fiumi, cementificazione della aree dunali, opere a mare, strascico abusivo sottocosta e altre. Fonte: Stampa news.
QUANTO SERVE PER BONIFICARE GELA E PRIOLO?
Quando si tratta di proteggere la salute dei cittadini, gli investimenti a basso profilo servono a poco. Lo ribadisce una ricerca italiana condotta in collaborazione con la London School of Hygiene and Tropical Medicine. Secondo lo studio - pubblicato su Environmental Health - per garantire l'efficacia delle politiche di bonifica sarebbe necessario formulare una attenta analisi costi-benefici. Obiettivo: tutelare la salute dei cittadini nel lungo periodo e fare investimenti adeguati.
La ricerca ha preso in esame due casi inseriti all'interno del Programma Nazionale di Bonifica, che ha individuato, già da tempo, decine di siti contaminati per cui è necessario avviare grandi opere di recupero. Tra questi, ci sono due poli industriali della Sicilia, Gela e Priolo, dove i finanziamenti ammontano a 127 e 774 milioni di euro. Tuttavia, per avere dei risultati concreti servirebbero fondi per diversi miliardi. Galileo ha chiesto spiegazioni a Fabrizio Bianchi, autore dello studio e dirigente di ricerca presso l'Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr (Ifc-Cnr). Leggi l'intervista completa su Galileonet.it.
01 SETTEMBRE
ANGUILLE SPIAGGIATE SUL LAGO DI GARDA: ANCORA DIOSSINA?
In merito alle notizie di stampa riguardanti lo spiaggiamento di anguille sulle rive del Lago di Garda, il Sottosegretario alla Salute On. Francesca Martini ha in data odierna dato precise indicazioni alla competente Direzione Generale della Sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero affinché si faccia promotrice con le Regioni Lombardia e Veneto di tempestivi accertamenti per individuarne le cause.
A tale proposito il Sottosegretario Martini ha dichiarato: "Ho chiesto che venga intensificata la sorveglianza da parte dei Servizi Veterinari locali su quanto segnalato e che campioni di anguille vengano inviati agli Istituti Zooprofilattici di Brescia e Padova per le necessarie analisi, sia per quanto riguarda la ricerca di eventuali contaminanti, quali diossina e PCB, che di altri agenti patogeni che potrebbero aver determinato il fenomeno".
In riferimento alla già accertata rilevazione dei sopra citati contaminanti si rammenta l’adozione a tutela della salute pubblica nello scorso mese di maggio dell’ Ordinanza a firma del Sottosegretario On.le Martini concernente il divieto di commercializzazione di anguille pescate nel Lago di Garda e di conseguenza del loro consumo.
A tale provvedimento, ha fatto seguito, come richiesto dallo stesso Sottosegretario Martini, un decreto di divieto assoluto di pesca assunto con grande coerenza dalla Provincia di Verona per quanto attiene alla sponda veneta del Lago di Garda.
Per quanto riguarda la sponda bresciana, dopo il parere favorevole della Regione Lombardia, sollecitato dal Ministero della Salute ed emesso nella giornata di ieri 29 agosto, ci si attende un analogo provvedimento da parte della Provincia di Brescia ispirato al principio di precauzione.
Il Sottosegretario ha inoltre ricordato che il Ministero della Salute sta seguendo attentamente il programma di monitoraggio per la ricerca di diossine e PCB sia sulle anguille sia sui sedimenti del lago.
Il Tavolo tecnico, voluto dal Ministero della Salute, a cui partecipano le Regioni interessate e la Provincia di Trento, gli Istituti Zooprofilattici della Lombardia e del Veneto e le ARPA competenti sta raccogliendo, in un sistema informatizzato, gestito dal Centro di referenza Nazionale di Teramo, tutti i dati analitici per definire e coordinare la ricerca dei congeneri e per condurre un lavoro integrato al fine di determinare le cause della contaminazione.
Il sottosegretario On. Francesca Martini che sta seguendo con attenzione tale problematica a tal proposito dichiara: "Attendo i risultati dei carotaggi condotti sui sedimenti del lago per tutte le province interessate entro e non oltre il 15 settembre come concordato a livello tecnico lo scorso mese di luglio. Successivamente convocherò una riunione per valutare i risultati del monitoraggio. Mi preme nuovamente ribadire la qualità ottima delle acque del Lago di Garda e che le problematiche che possono emergere in materia di sedimenti sono compatibili con situazioni di contaminazioni pregresse cui esclusivamente l’anguilla esprime sensibilità per la cospicua presenza di grasso". Fonte: Ministero della Salute.
DAI CORALLI UNA NUOVA SCOPERTA
Se un giorno per proteggerci dai raggi UV sarà sufficiente inghiottire una pillola dovremo ringraziare i coralli. Un gruppo di ricercatori del King's College di Londra ha infatti scoperto il meccanismo di difesa usato da questi animali per proteggersi dai danni dei raggi del Sole che li colpiscono in acque basse.
Gli scienziati hanno studiato il rapporto di simbiosi tra il corallo Acropora sp, presente nella Barriera Corallina australiana e un'alga che vive al suo interno e che tramite la fotosintesi produce fonti di cibo per il corallo stesso. "Ciò che abbiamo notato - spiega il dottor Paul Long, direttore del progetto di ricerca - è che le alghe producono un composto che crediamo sia trasportato nel corallo, il quale lo trasforma in una protezione dal sole che dà beneficio sia al corallo che alle alghe".
Anche i pesci che si nutrono dei coralli godono poi di questa protezione: ciò significa che si può trasferire lungo la rete trofica. Se dunque gli scienziati riusciranno a scoprire come il composto passi dalle alghe al corallo, potranno sintetizzarlo in laboratorio per creare una protezione adatta all'uomo, forse anche sotto forma di pillola.
Il dottor Long è convinto di essere vicino alla sintesi del composto e che entro due anni si potrà iniziare la sperimentazione. Creare uno schermo solare per uso umano è tuttavia solo una e forse la minore, delle applicazioni pratiche di questa scoperta. Un'altra conseguenza ben più importante è la possibilità di far crescere colture nate per svilupparsi nei climi temperati anche nelle zone tropicali. Fonte: Zeus news [modificto e corretto].
L'IPOTESI DEL FLUSSO PROTONICO NEI CORALLI
Fin dall’inizio della rivoluzione industriale, la concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera è cresciuta a causa del consumo di combustibili fossili. L’aumento dell’assorbimento di questo carbonio da parte degli oceani sta facendo diminuire il pH dell’acqua marina secondo un processo noto come acidificazione dell’oceano.
Come conseguenza, cala anche il livello di saturazione dell’aragonite, la forma minerale del carbonato di calcio che viene prodotto dai coralli per costruire il proprio scheletro. Ma quanto incide questo processo sulle popolazioni dei coralli?
Gran parte delle precedenti ricerche in questo campo erano focalizzate sulla relazione tra crescita del corallo e livelli di aragonite sulla superficie del mare. Numerosi studi hanno mostrato una correlazione diretta tra acidificazione, saturazione dell’aragonite e diminuzione della crescita del corallo, ma il processo non è ancora stato compreso pienamente. Oltre a ciò diversi esperimenti progettati per valutare l'importanza relativa di questo processo sono arrivati a conclusioni opposte.
Paul Jokiel dell'Hawaii Institute of Marine Biology (HIMB) ha rianalizzato i dati rilevanti di precedenti studi e in particolare, i risultati conflittuali sull'acidificazione dell'oceano. Come risultato, il ricercatore ha formulato l'ipotesi del flusso protonico secondo cui la calcificazione dello scheletro è dipendente dal passaggio degli ioni idrogeno dalla colonna d'acqua al tessuto del corallo. Questo processo in definitiva compromette la capacità dei coralli di creare uno scheletro di aragonite. Inferiori tassi di calcificazione sono problematici poiché inducono un indebolimento nello scheletro del corallo lasciandolo esposto al rischio di frattura.
"Questa ipotesi fornisce nuove e più profonde conoscenze sull'importanza dell'acidificazione dell'oceano e della temperatura sulle barriere coralline. Il modello è radicalmente discordante rispetto alle teorie finora accettate, ma è coerente cone le osservazioni esistenti”, ha commentato Jokiel. “In generale, questa ipotesi non cambia le conclusioni generali sul fatto che l'acidificazione stia diminuendo la crescita del corallo in tutto il mondo, ma piuttosto descrive il meccanismo che ne sta alla base". Fonte: LeScienze.
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