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29 GIUGNO

BOCCHE DI BONIFACIO UN ANNO DOPO: SERVONO FATTI, NON PAROLE

Un anno fa a Palau il ministro dell'Ambiente italiano, Prestigiacomo, e quello francese, Borloo, firmavano l'Accordo per tutelare le Bocche di Bonifacio. Oggi, a dodici mesi dalla firma, chiediamo al Ministro: "Che cosa è stato fatto fino ad ora?

Insieme a noi, 10 comuni del Nord della Sardegna, il presidente della Provincia Olbia-Tempio e l'Assessore Regionale ai Lavori Pubblici, Sannitu, si sono rivolti al Ministro Prestigiacomo con una comunicazione ufficiale. L'impegno preso un anno fa prevedeva, infatti, una proposta per vietare il transito di navi con carichi pericolosi nelle Bocche e la finalizzazione del processo di creazione di un Parco Marino Internazionale delle stesse.
Oggi, però, oltre 130.000 tonnellate di merci pericolose continuano a transitare nello stretto ogni anno, senza che nessuna misura di protezione sia stata messa in atto. Tutto questo mentre le comunità locali del Nord della Sardegna continuano a non ricevere informazioni circa gli sviluppi avvenuti fino ad ora a tutela dell'ecosistema marino.
Le Bocche di Bonifacio sono un'area di alta valenza ambientale, particolarmente vulnerabile alle minacce e ai rischi creati dalle attività antropiche. Dopo gli episodi di naufragio avvenuti in passato, uniti al più recente sversamento di idrocarburi a Porto Torres, è ora che il Ministro dimostri di voler davvero proteggere l'area.
Purtroppo la storia insegna che la firma di un accordo non sempre è sufficiente. Nel 1999 proprio Francia e Italia, insieme a Monaco, si impegnavano a proteggere tutto il Nord Tirreno, creandovi il Santuario dei Cetacei Pelagos. Eppure in tutti questi anni non sono stati in grado di mettervi in pratica una sola misura di tutela e gestione. Ci auguriamo che l'accordo per proteggere le Bocche di Bonifacio non finisca per essere l'ennesimo specchietto per le allodole. Fonte: GreenPeace Italia.

RINNOVATO IL PATTO DI SVILUPPO DEL DISTRETTO PRODUTTIVO DELLA PESCA INDUSTRIALE DEL MEDITERRANEO
Il Distretto produttivo della pesca industriale del Mediterraneo ha rinnovato il Patto di Sviluppo Distrettuale. Al Patto hanno aderito oltre 110 imprese della filiera ittica. Il campione è assai rappresentativo del sistema pesca siciliano e la composizione della struttura del Distretto rappresenta fedelmente il sistema pesca siciliano: 25 % delle imprese appartengono alla pesca e alla acquacoltura, il 35 % alla trasformazione ed alla commercializzazione e, infine, il 40 % rappresenta i servizi per le imprese del mare e a terra (cantieri, officine, logistica, industria del freddo).
Fra i vari aderenti al Patto vi sono enti pubblici, associazioni, centri di ricerca ed istituzioni scolastiche ed universitarie. Compatta anche la presenza del mondo sindacale (Cgil, Cisl ed Uil) e del mondo cooperativo; tre le associazioni straniere del bacino del Mediterraneo (Tunisia ed Egitto). Complessivamente le imprese che aderiscono al Distretto della pesca hanno sviluppato un fatturato di 280 milioni di euro, fra i quali 40 milioni relativi all’export, dando occupazione a 1090 lavoratori.
Rappresentante del Distretto, è stato confermato Giovanni Tumbiolo, il quale ha espresso un cauto ottimismo: "Rispetto al 2006, data di presentazione del primo patto distrettuale, il fatturato è cresciuto mediamente dell’11.4%, mentre l’export è cresciuto del 12.6%". Qualora ce ne fosse bisogno - ha sottolineato Tumbiolo - vi è la triste conferma dei dati che un mese fa ci aveva fornito il Rapporto Annuale della Pesca redatto dall’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo: è stato perso un terzo della forza-lavoro. Nell’ambito del Distretto sono andati persi circa 1000 posti di lavoro, a fronte di 4500 persi nell’intero comparto a livello regionale. Necessitano - ha concluso Tumbiolo - interventi urgenti sul piano normativo ed organizzativo per superare questo evidente stato di crisi". Fonte: AIOL.

PESCE CATTURATO E RIGETTATO IN MARE: UNA CAMPAGNA EUROPEA PER PORRE FINE ALLE STRAGI
I promotori di Fishfight hanno esposto un relitto di peschereccio davanti al Parlamento Europeo, a Bruxelles, per denunciare il dramma dei pesci catturati dai pescherecci del Nord Europa e rigettati in acqua, come fossero alghe o scarti. Un contatore sulla chiglia dello scafo aggiorna il numero delle persone che aderiscono alla raccolta di firme giunte a quota 700.000. Di che si tratta?
La storia dei pesci scartati post-mortem non è nuova, e i tempi sono maturi per mettere fine a questo scempio. La stessa Commissaria europea Maria Damanaki, aveva indicato il tema degli scarti come un elemento chiave nella riforma della Politica Europea della Pesca, in una riunione a ciò appositamente dedicata lo scorso il 1° marzo. Già nel 2004 la FAO aveva stimato che almeno 7.3 milioni di tonnellate di pesce, vale a dire l’8% del totale delle catture, venissero scartate. Ma in Europa i dati sono assai peggiori e raggiungono il 50-70%, rispettivamente, nei casi delle whitefish fisheries e delle flatfish fisheries. Attività di pesca sul fondo, finalizzate alla cattura di esemplari caratteristici dell’Atlantico (come i merluzzi di varie specie, naselli, etc.) o di specie da sabbia (platesse, sogliole, rombi, halibut).
Secondo gli organizzatori si tratta di uno spreco insensato, che provoca grave danno all’ecosistema marino e alla biodiversità. I nomi dei sostenitori della campagna saranno aggiunti a una lettera (vedi documento) da inviare al Commissario Maria Damanaki, ai membri del gruppo di riforma della Politica Comune della Pesca (Common Fisheries Policy Reform Group) e a tutti i membri del Parlamento Europeo.
Per aderire basta inserire il proprio nome, cognome ed email sul sito  http://www.fishfight.it.
Perché farlo? Perché in assenza di regole a tutela di chi e di ciò che ci circonda, tutti tendono a limitare l’attenzione all’interesse personale di breve periodo. Ma il pensiero a un bene collettivo, quanto più è condiviso tanto più è capace di favorire alla vita nel lungo termine. Lo abbiamo visto per il nucleare, lo vedremo per i pescetti incagliati nelle reti, speriamo di vederlo prima che sia troppo tardi anche per il land-grabbing".
La soluzione è quella di proibire lo scarto dei pesci di minor interesse economico, sia pure con un approccio graduale. Anche i consumatori dovranno fare la loro parte, dedicando maggiore attenzione alle specie meno note e perciò anche più economiche, altrettanto saporite e salutari. Fonte: IlFattoAlimentare.

CONTINUA LO SCEMPIO SULLE SPONDE DEI FIUMI
Se saranno confermate le gravisse accuse (abuso d’ufficio e concussione) che ieri hanno portato agli arresti domiciliari il Sindaco di Fiumedinisi (ME), c’è solo da sperare che l’On.le Cateno De Luca (Deputato all’Assemblea Regionale Siciliana, oltre che Sindaco), cambi il nome del suo movimento politico: “Sicilia Vera”. L’inchiesta partita dalle denunce dell’opposizione in Consiglio Comunale, sfociò, nel febbraio 2009, in un dettagliato esposto del WWF di Messina. A guidare la battaglia Anna Giordano, Responsabile del WWF. La vallata del fiume Nisi si sta deturpando, fermate i lavori. Sul torrente, però, si alzarono muri alti 11 metri e lunghi 700. Lavori che parrebbero ora ricollegarsi ad interessi di persone vicine al Sindaco. L’inchiesta della Magistratura, che ha portato all’arresto di Cateno De Luca, ha inoltre riguardato un albergo con annesso centro benessere e villette, costruiti in area inzialmente destinata a verde agricolo. Ad essere arrestato anche il fratello del Sindaco ed alcuni funzionari comunali.
Sono meno … veri, i disastri fluviali nelle altre regioni italiane? Sicuramente no. In Lombardia, il WWF regionale ritorna alla carica sul fiume Staffora, nel Comune di Voghera, in provincia di Pavia (vedi articolo e Video GeaPress). Il corso d’acqua, chiede il WWF nella denuncia presentata alla Magistratura, deve essere posto sotto sequestro al fine di evitare l’aggravio ambientale e la distruzione dei nidi degli uccelli scampati al taglio del bosco. Un vero e proprio scempio, al quale si deve ora aggiungere l’apertura di un cantiere autorizzato al prelievo di 3000 metri cubi di ghiaia. Un fatto molto grave, secondo il Presidente del WWF Lombardia Paola Brambilla. I lavori hanno letteralmente devastato, nei tratti interessati, il fiume Staffora.
Nelle Marche, invece, dopo i fiumi Vomano e Tordino, è ora il turno del Vezzola. Per l’ennesima volta, denuncia il WWF regionale con il suo Presidente Pino Furia,  è stata tagliata la vegetazione ripariale mentre pesanti mezzi meccanici hanno reso rettilineo l’alveo. Un fatto, questo, che fa aumentare la velocità dell’acqua con effetti potenzialmente pericolosi nel caso di piene, peratro già verificatesi in tratti precedentemente interessati alla costruzione di opere di cosiddetto contenimento idraulico (gabbionatura in zona Carapollo nel fiume Tordino). Un danno ambientale ed uno spreco di soldi visto che gli interventi da ben 90.000 euro spesi per il fiume Vezzola, dureranno solo pochi mesi. Alla prima piena, secondo il WWF, il fiume riprenderà il suo corso. fONTE: GeaPress.

RIGASSIFICATORE DI FALCONARA: QUALI RISCHI PER L'AMBIENTE?
Non c’è pace per Falconara Marittima. Dopo le polemiche, mai sopite, per la presenza di una raffineria Api nel bel mezzo della cittadina marchigiana, questa volta a tenere banco è il progetto di un rigassificatore offshore di gas naturale liquefatto (GNL) proposto da Api Nòva Energia, costola della stessa azienda petrolchimica, a 16 chilometri dalla costa. L’impianto sfrutterebbe la struttura già esistente per l’attracco delle petroliere; da costruire ex novo, invece, il metanodotto per il trasporto del gas fino alla rete nazionale. Contenti i sindacati dei lavoratori e il Comune, per la creazione di nuovi posti di lavoro e la prospettiva dell’autosufficienza energetica. Ma i cittadini non ci stanno: troppi i rischi per l’ambiente e la sicurezza in un’area classificata ad elevato rischio di crisi ambientale per la presenza di un aeroporto, di una ferrovia, della raffineria e della annessa centrale IGCC che lavora gli scarti della raffinazione, a cui potrebbero poi aggiungersi altre due centrali turbogas da 580 MWe con cui Api intende trasformare in energia elettrica il metano che arriva dal mare. Per questo alcune associazioni hanno fatto ricorso al Tar del Lazio contro la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) del Ministero, che il 22 luglio 2010 ha dato parere favorevole al progetto del rigassificatore. In attesa della Conferenza dei servizi del prossimo 12 luglio, che potrebbe dare il via libera ai lavori, i comitati cittadini chiedono alla Regione un piano di sviluppo basato sulle energie rinnovabili e la piccola cogenerazione, già previsto dal Piano Energetico Ambientale Regionale (Pear) del 2005, che coniughi al meglio lavoro, salute e ambiente e impresa.
Ma quali sono le obiezioni al rigassificatore? In primo luogo, quelle relative alla sicurezza: il gasdotto e gli impianti ausiliari sarebbero collocati dentro il cono di atterraggio e decollo degli aerei, il traffico di navi rigassificatrici - oltre alle attuali petroliere - aumenterebbe il rischio di incidenti navali, e la vicinanza con la raffineria non fa stare tranquilli. Ma preoccupano anche i rischi per la salute dell’ambiente marino. Per capirne di più, Galileo ha intervistato Carlo Franzosini, biologo marino dell’area marina protetta di Miramare (Trieste), e Roberto Danovaro, docente di biologia marina e direttore del Dipartimento di Scienze del Mare dell’Università Politecnica delle Marche. Il testo integrale e le interviste sono disponibili al sito Galileo.net.

AUTOSTRADE OCEANICHE
In questi giorni sono apparsi su Nature i risultati di uno dei più consistenti progetti biologici mai finanziati ad oggi, denominato progetto TOPP (Tagging of Pacific Predators), che negli ultimi 10 anni ha coinvolto più di 75 fra biologi, oceanografi, ingegneri e informatici. Un’indagine di portata senza precedenti, assimilabile ad quelle che coinvolgono per lo più la fisica e l’astronomia, che ha permesso di comprendere i tragitti percorsi da 23 specie diverse di predatori marini dell’Oceano Pacifico, visibili anche qui.
Attraverso l’applicazione di alcune piccole trasmittenti sul dorso degli animali, quest’ultimi stati letteralmente spiati via satellite per conoscerne le migrazioni e gli habitat più frequentati. Dai medesimi tag elettronici sono state ottenute anche informazioni riguardanti la temperatura dell’acqua, salinità e la profondità degli spostamenti effettuati .
Una dei risultati più sorprendenti è l’utilizzo da parte di specie diverse (dai tonni, alle tartarughe, dai pinnipedi agli squali fino agli uccelli marini) di aree comuni per migrare: si tratta della Corrente della California, che scorre in direzione sud lungo la costa occidentale degli Stati Uniti, e della cosiddetta North Pacific Transition Zone, che collega la parte occidentale e quella orientale del Pacifico, formando una vera “autostrada” migratoria transoceanica. Diverse preferenze verso le condizioni ambientali (temperatura ad esempio) da parte delle singole specie permetterebbero poi di… evitare la formazione di ingorghi!
Non si tratta ovviamente di aree casuali bensì di porzioni oceaniche in cui il cibo è molto abbondante grazie ad un’alta produzione primaria (trasformazione dell’anidride carbonica in composti organici tramite fotosintesi algale), base di tutta la catena alimentare.
L’altra osservazione stupefacente riguarda la precisione con cui le specie marine migratorie riescono a ritornare nel punto in cui sono state taggate per la prima volta, fornendo agli scienziati un quadro di periodicità – e quindi prevedibilità – stagionale molto preciso.
E proprio in queste periodicità si trova – secondo i ricercatori – la chiave per conservare attraverso misure di protezioni temporali o spaziali, i predatori marini e le aree oceaniche sempre più in pericolo a causa delle pressioni umane, come tristemente dimostrano le news di questi giorni. Fonte: OggiScienza.

27 GIUGNO

COME SI MUOVE UNA COZZA
"Rimanere attaccato come una cozza", recita un famoso detto. Eppure i mitili (Mytilus edulis), noti per la tenacia con cui si ancorano agli scogli, non sono poi animali così sedentari. Anzi, secondo uno studio pubblicato su Science, si spostano seguendo uno preciso schema  grazie al quale trovano la distribuzione ottimale nella formazione dei banchi lungo le scogliere. A rivelarlo sono gli scienziati del Nederlands Instituut voor Ecologie (Yerseke, Paesi Bassi) e dell'Università di Groninga (Paesi Bassi).
In risposta alle variazioni dell'ambiente circostante, i mitili – soprattutto gli individui più giovani - si spostano frequentemente all'interno dei banchi, alla ricerca del micro-habitat più adatto, modificando di conseguenza la struttura delle colonie. In una prima fase delle ricerche, gli ecologi hanno osservato questi spostamenti, sia all'interno delle colonie che in solitaria.
Gli studiosi si sono accorti così che gli individui si muovevano alla ricerca di un sito ottimale seguendo il cosiddetto moto di Lévy: un percorso irregolare, caratterizzato da piccoli spostamenti e involuzioni alternati a "passi" più lunghi, il cui disegno complessivo – che segue una precisa formula matematica - è ben visibile nel video. Questo schema di spostamento è tipico soprattutto di alcuni vertebrati (vedi I predatori di Lévy; video di GalileoNet) che si muovono alla ricerca di cibo. Come spiegano gli scienziati, infatti, lo schema richiede una memoria cognitiva o fisiologica della durata dei movimenti.
Successivamente gli studiosi hanno cercato di capire il perché di un movimento tanto complesso. Scoprendo che esso permetterebbe ai molluschi di formare colonie più efficienti. Grazie al moto di Lévy, infatti, i mitili riescono a esplorare un maggior numero di siti in minor tempo, e quindi a trovare più velocemente la distribuzione ottimale: quella che comporta una migliore ripartizione delle risorse e una minore competizione tra gli individui. Un comportamento che proprio per questo si è evoluto nel tempo ed è rimasto inalterato.
Fonte: GalileoNet.

24 GIUGNO

ACQUE NON DEPURATE NEL FIUME TEVERE
I malfunzionamenti del depuratore di Roma Nord, gestito dalla società ACEA ATO 2, secondo la Forestale, erano ripetuti e avevano causato lo sversamento nel fiume Tevere di acque reflue non correttamente depurate. Le indagini, condotte dal Comando Provinciale di Roma del Corpo Forestale dello Stato, affidate dal Tribunale di Roma, hanno accertato che parte dei liquami e dei rifiuti venivano scaricate nel Tevere dopo il solo processo di sedimentazione primaria e, quindi, senza avere effettuato tutte le altre fasi di depurazione. I fanghi conferiti su gomma, da considerarsi rifiuti ai sensi della vigente normativa di settore, venivano infatti miscelati con i liquami urbani senza essere sottoposti a tutti i trattamenti previsti. In pratica, venivano miscelate acque solo parzialmente depurate ad altre depurate, il tutto poi versato direttamente nel Tevere.
Il depuratore, ora sequestrato, risulta autorizzato alla raccolta di liquami provenienti dalla rete fognaria del bacino di Roma Nord ed al trattamento dei fanghi liquidi e di altre tipologie di rifiuti provenienti dai depuratori dei comuni appartenenti alle province di Roma e di Rieti, che rientrano nell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) 2.
I reati ipotizzati sono la frode nelle pubbliche forniture, in relazione alla ripetuta violazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di gestione del servizio idrico integrato, e lo smaltimento illecito di rifiuti, con riferimento all’illegale smaltimento nel fiume Tevere dei rifiuti conferiti dai Comuni facenti parte dell’ATO 2.
Attualmente risulta interdetto qualsiasi conferimento presso il depuratore di rifiuti provenienti dall’esterno.
Nel mirino degli investigatori è finito anche l’utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dal processo di depurazione, gestito da una società legata al gruppo ACEA S.p.a., in possesso di specifica autorizzazione della Provincia di Roma. Le conclusioni dell’attività investigativa del Corpo Forestale sono state confermate dalla consulenza tecnica successivamente disposta dal Pubblico Ministero titolare delle indagini. Fonte: GeaPress.

23 GIUGNO

SPECIE ALIENE IN MEDITERRANEO
Un esemplare adulto della specie Cookeolus japonicus (Cuvier, 1829) fam. Priacantidae è stato catturato da un motopeschereccio a strascico nelle acque antistanti Civitavecchia (RM). Il ritrovamento e l’identificazione ad opera del responsabile dell’ispezione dei prodotti ittici, il biologo marino Luca Ruggiero, sono di particolare rilevanza in quanto la specie, a diffusione tropicale, non risulta essere stata mai segnalata in Mar Mediterraneo. Fonte: Eurofishmarket.

MORIA DI VONGOLE IN LAGUNA
Strage di vongole provocata dagli scavi in laguna. I pescatori di molluschi tornano alla carica. E hanno presentato alla Procura una dettagliata memoria contro il Magistrato alle Acque. E i ritardi, sostengono, nell'effettuare rilievi richiesti su acque e sedimenti. La cooperativa Acquamarina di Chioggia ha chiesto al giudice una «perizia tecnica» con la nomina di un perito super partes. «Non siamo per niente soddisfatti», dicono, «delle risposte tardive date dal Magistrato alle Acque. I rilievi sono stati fatti dopo quattro mesi dalla denuncia raccolta dai tecnici dell'Arpav e dell'Asl. Non si è trattato di un incidente, e nemmeno di un suicidio di massa. Le acque in quel punto non risultano inquinate, dunque bisogna verificare la composizione chimica delle torbide, le distanze dell'allevamento dai siti degli scavi portuali e del Mose, la verifica di possibili anossìe (mancanza di ossigeno) o presenza di fanghi». In sostanza i pescatori chiedono sia fatta una verifica a tappeto sulla qualità delle acque. E sul motivo per cui qualche mese fa migliaia di quintali di vongole veraci del tipo Tapes philippinarum erano improvvisamente morte con danni ingenti per i pescatori. «Noi abbiamo i dati dei prelievi, abbbiamo fatto quanto dovevamo. Se vogliono andare dal giudice li porteremo anche lì», non si scompone Patrizio Cuccioletta, presidente del Magistrato alle Acque. La morìa di vongole, assicura il dirgente dell'ufficio venreziano del ministero delle Infrastrutture, non dipende dagli scavi autorizzati proprio dal Magistrato alle Acque per togliere i fanghi dal fondo dei canali portuali - in particolare dal canale Lombardo che è stato scavato alla quota di meno 8 metri e mezzo - e per i lavori del Mose. «Dicano ciò che vogliono, confronteremo i dati che abbiamo in Procura», continua Cuccioletta. Quanto alla qualità delle acque, l'ingegnere dice: «In laguna sud le acque sono più balneabili che in mare. Il nostro ufficio lo ha scoperto con uno studio che è stato presentato di recente all'Unesco». Ma i pescatori non sono disposti a battere in ritirata. «L'Asl aveva tempestivcamente segnalato la morìa di vongole escludendo inquinamento di tipo chimico», dicono, «il Magistrato alle Acque è intervenuto dopo quattro mesi. Ma la verità non ce l'hanno in tasca solo loro. Vogliamo un perito che ci dica chi ha ragione». Problemi poer i pescatori anche in laguna centrale. Francesco Ballarin detto «Sgarbi» se la prende con il Gral e con le lungaggini burocratiche oltre che con le spese assurde. «Chi vuole impiantare l'allevamento in laguna è impossibilitato a farlo», dice, «noi chiediamo che ci lascino lavorare. Solo con gli allevamenti si battono gli abusivismi». Fonte: LaNuovaVenezia.

22 GIUGNO

A RISCHIO LA VITA NEGLI OCEANI

L'International Programme on the State of the Ocean (IPSO), ha portato a termine una ricerca che per la prima volta elabora un approccio multidisciplinare allo studio dei grandi mari del pianeta. I risultati sono "traumatici" a causa di pesca, inquinanti come la plastica e alte concentrazioni di CO2

"I risultati sono traumatici – dice Alex Rogers, direttore dell’International Programme on the State of the Ocean (IPSO) –. Se consideriamo l’effetto cumulativo di quello che gli esseri umani fanno agli oceani, ci rendiamo conto che le implicazioni di questo impatto sono molto peggio del previsto”. L’IPSO ha anticipato oggi alla britannica BBC alcune delle conclusioni e delle analisi del suo rapporto sullo stato di salute degli oceani che verrà reso pubblico nei prossimi giorni nel quartier generale dell’Onu a New York. Il rapporto è il risultato del lavoro collettivo di una trentina di scienziati, riuniti a Oxford, per elaborare, per la prima volta, un approccio multidisciplinare allo studio dei grandi mari del pianeta. Che sono in uno stato di salute "molto critico".
Secondo i ricercatori, infatti, "la vita negli oceani rischia di entrare in una fase di estinzione di specie marine senza precedenti nella storia umana". Una fase che sta già facendo sentire i suoi effetti anche sugli esseri umani, responsabili, stando agli esiti della ricerca, delle attività che danneggiano gli oceani. "Confrontando le nostre ricerche – ha spiegato Rogers – ci siamo resi conto che i cambiamenti stanno avvenendo a un ritmo molto più veloce di quanto noi stessi pensassimo".
L’esito del confronto tra biologi marini, tossicologi, esperti di barriere coralline e ittiologi è che i nemici degli oceani sono l’aumento della temperatura marina, l’inquinamento, l’acidificazione dell’acqua e l’eccesso di pesca. I cambiamenti in corso riguardano, per esempio, lo scioglimento delle calotte polari, l’aumento della concentrazione di metano nell’acqua marina e l’aumento del livello dei mari.
Tra i fenomeni osservati dagli scienziati, c’è l’impatto degli inquinanti: particelle di plastica e di altre sostanze tossiche si depositano sul fondo dei mari, entrando nella catena alimentare attraverso pesci e altri animali che si cibano di quello che trovano sul fondo. Non solo: è stato registrato un aumento della concentrazione di CO2 negli Oceani, a livelli ormai superiori a quelli che secondo gli scienziati sono stati responsabili dell’ultima grande estinzione di specie marine, 55 milioni di anni fa. Non è chiaro, o almeno non ci sono prove conclusive, se l’aumento sia dovuto alla crescita della CO2 nell’atmosfera, a causa delle attività umane, ma secondo gli scienziati dell’Ipso è molto probabile che ci sia un nesso tra le due cose. Alcuni fenomeni, come l’aumento dell’acidità delle acque o il rilascio del metano "imprigionato" negli oceani, secondo gli scienziati sono legati ai cicli climatici della Terra. Ma sarebbero anche aggravati, in velocità e quantità, dall’impatto delle attività umane.
Le ricette per cercare di uscire da questa trappola sono chiare, secondo l’IPSO: ridurre l’impatto ambientale della pesca, soprattutto di quella di alcune specie, ormai al limite o oltre il limite del rinnovamento biologico; estendere le aree marine protette, dove le attività ad alto impatto ambientale sono vietate; ridurre le emissioni di CO2; mappare e poi ridurre le fonti di inquinamento marino, soprattutto per la plastica, i rifiuti umani e i fertilizzanti agricoli che finiscono nel ciclo delle acque e alimentano crescite infestanti di alghe.
"Al contrario di altre generazioni umane sappiamo cosa bisogna fare adesso – ha commentato Dan Laffoley, uno degli scienziati che hanno partecipato allo studio –. E quello che va fatto, occorre farlo subito se vogliamo proteggere il cuore blu del nostro pianeta".
Ogni mare e ogni oceano sul nostro pianeta è parte di un grande Oceano globale, dice l’Ipso sul suo sito web presentando il proprio lavoro: "Questo oceano è come il sistema circolatorio della Terra: compie molte funzioni vitali che rendono il pianeta abitabile e noi umani non possiamo sopravvivere senza di esso. Oggi l’Oceano è in uno stato di salute molto critico". E i governi non possono dire di non esserne al corrente. Fonte: IlFattoQuotidiano.

BOCCHE DI BONIFACIO: PARTE IL MONITORAGGIO DEI CETACEI
Il progetto, che al momento vede coinvolti Accademia del Leviatano ed il Bottlenose Dolphin Research Institute (BDRI), è in via sperimentale e proseguirà per tutta l’estate. Scopi principali della ricerca, quelli di valutare gli indici di abbondanza dei cetacei nel sistema sardo-corso, di analizzare le interazioni dei cetacei con il traffico marittimo e di aggiungere informazioni sulle rotte migratorie delle balenottere del Mediterraneo, ed in particolare intorno alla Sardegna. Il monitoraggio viene realizzato con le stesse metodologie ed in contemporanea con il network nazionale ISPRA di monitoraggio cetacei da transetto fisso.
Per informazioni sul progetto e sugli avvistamenti: info@accademiadelleviatano.org E’ possibile seguire la ricerca su: http://lericerchedelleviatano.blogspot.com/ . Fonte: Aqva.com.

21 GIUGNO

VIETATO RICONGELARE IL PESCE
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce che la detenzione di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione destinate alla vendita costituisce un reato (Sentenza 2.2.11 Corte di Cassazione, Sezione III Penale, n. 11996), ai sensi del fatidico articolo 5 della legge 283/62, che alcuni giornali hanno erroneamente dichiarato cancellata pochi mesi fa. La sentenza si riferisce a un ristorante romano di cui ancora non ci è dato conoscere il nome, che teneva nel frigorifero pesce impanato, ricongelato senza rispettare le procedure atte a garantire la sicurezza e la qualità del prodotto.
L’imputata aveva proposto ricorso contro la condanna del Giudice per l’Udienza Preliminare, sostenendo che il reato non sarebbe configurabile in quanto "non si è registrato alcun danno igienico sanitario". Vale a dire che, secondo la difesa, doveva restare impunita l’attività di aver congelato e ricongelato prodotti ittici rinvenuti sotto uno stato di brina (indice di cattiva conservazione), in quanto nessuna persona è finita al pronto soccorso.
La Corte di Cassazione ha respinto questa  tesi e ha colto l’occasione per riaffermare, sulla base di consolidata giurisprudenza, il principio esattamente opposto. Le norme vigenti  tutelano "il consumatore di prodotti alimentari anche sulla base del semplice pericolo che una sua cattiva conservazione ne alteri o deteriori le proprietà organolettiche, e ciò, anche a prescindere dal verificarsi di tale eventualità".
In altri termini, è "vietato impiegare ... vendere, detenere ... distribuire ... sostanze alimentari ...in cattivo stato di conservazione" anche se non procurano nessun danno ai consumatori che li mangiano.
Il reato previsto dalla legge 30 aprile 1962 n. 283 all’art. 5 lett. "b" è dunque un reato di pericolo e non di danno, e si configura a prescindere dall’accertamento della "sussistenza di un concreto danno per la salute o un concreto deterioramento del prodotto, in quanto, trattandosi di un reato di pericolo, e sufficiente che le modalità di conservazione possano determinare il pericolo di un tale danno o deterioramento" (sez. 3, 9.1.07, Bestini, Rv. 236332)1.
Del tutto coerente e, quindi, la responsabilità del ristoratore per un episodio in cui è stato accertato che la cattiva congelazione dei prodotti ittici era argomentabile dal rilievo che essi erano già stati sottoposti a lavorazione "in quanto infarinati e depositati in un contenitore di cartone" ed il "cattivo stato di conservazione (del pesce n.d.r.) ... era desumibile dal fatto che lo stesso fosse ricoperto di brina: circostanza, questa, che lasciava presumere fondatamente che il prodotto ittico fosse stato sottoposto più volte a processi di congelazione e successiva ricongelazione, con il conseguente mancato rispetto delle regole di conservazione esterna del prodotto".
Alla fine il ristoratore ha dovuto pagare la modica somma di 600 euro, oltre alle  spese processuali. Cosi deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 2 febbraio 2011.

1 La III Sezione della Corte ha richiamato una propria recentissima sentenza (Sez. 3, 11.3.10, Greco, Rv. 245970), dove si sottolinea che il reato sussiste anche nel caso di "congelamento del prodotto effettuato in maniera inappropriata, in quanto il cattivo stato di conservazione e riferibile non soltanto alle caratteristiche intrinseche del prodotto alimentare, ma anche alle modalità estrinseche con cui si realizza". Nel caso specifico "la modalità di conservazione inappropriata era consistita nel congelamento 'ordinario' di un quantitativo di carne (modalità ritenuta rischiosa in quanto, tecnicamente, l'unico procedimento idoneo a conservare la carne nel tempo, alternativo alla surgelazione, e il congelamento mediante ricorso ad abbattitori di temperature)".

Fonte: IlFattoAlimentare.

20 GIUGNO

ADDIO TONNI NEL MAR DI TRIESTE
Il Conte Agapito, nella sua Descrizione della città di Trieste pubblicata nel 1824, raccontava: "Nelle pesche di Barcola e di Grignano si prendono tonni dei quali vengono fatte annualmente delle salagioni che spediti vengono per gli Stati austriaci, per la Germania ed anche per la Sicilia". Le tonnare di Trieste oggi sono solo un ricordo, o forse nemmeno quello, visto che di tonni nel golfo friulano non se ne vedono più.
Molto si è scritto e detto, anche in questo blog, dello stato preoccupante in cui versano le popolazioni di tonno rosso (Thunnus thynnus). In un articolo pubblicato nel 2009 su Conservation Letters, Brian McKenzie e colleghi denunciavano l’inadeguatezza delle quote ICCAT, l’ente preposto alla definizione delle quote di pesca del tonno per il Mediterraneo e l’Atlantico, per la conservazione della specie, prevedendo che nel 2011 la popolazione adulta di tonni si sarebbe ridotta del 75% rispetto il 2005. Ma se andiamo un po' più indietro nel tempo, il declino di questa specie ci sembrerà ancora più drammatico.
Solo un secolo fa, infatti, lungo la costa orientale dell’Adriatico, la pesca del tonno era tra le attività di pesca più importanti, tanto era abbondante. La specie più comune era l’alletterato, nome scientifico Euthynnus alletteratus, chiamato tonina, seguita dal tonno rosso, chiamato ton. Si pescavano tonni il cui peso variava da tre a oltre 200 chilogrammi per individuo, e sul mercato di Trieste comparivano esemplari di oltre tre metri ed un peso tra 160 e 190 chilogrammi. I più comuni pesavano tra i 6 e gli 8 chili, ma non erano rari esemplari dai 150 ai 200 chilogrammi. La pesca era stagionale, poiché i tonni si avvicinavano alla costa in primavera. A metà marzo comparivano lungo le coste dalmate, seguendo le masse di sardine e acciughe, per poi dirigersi verso il Quarnero, dove la pesca era molto abbondante. Verso fine estate alcuni gruppi di tonni si spingevano oltre Promontore (Pola) fino a raggiungere il Golfo di Trieste, dove le tonnare cominciavano subito fuori la città andando fino a Duino.
Ma già alla fine del IXX secolo iniziò il declino delle tonnare triestine. Colpa dell’inquinamento delle acque dovuto agli scarichi della città e alla presenza sempre più invadente di altri attrezzi da pesca utilizzati nel Golfo (come le manaidi e le sardellare, reti derivanti utilizzate per la pesca del pesce azzurro), che interferivano con le rotte migratorie dei tonni. Dopo la I Guerra Mondiale, in seguito alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, la gestione della pesca nelle acque dell’Adriatico orientale cambiò radicalmente. Non c’era più una sorveglianza rigorosa, era diffuso l’uso della dinamite ed era comune la pesca sottocosta, anche entro un miglio, che in passato era vietata. Dopo il fermo bellico, i tonni comunque abbondavano. Dopo la guerra però la pesca riprese in condizioni difficili: ad esempio la pulizia dei siti di pesca doveva essere realizzata dai pescatori stessi, e durante la stagione della pesca non vi era alcun controllo da parte delle autorità che assicurasse che altri pescatori (e anche canottieri e bagnanti) non disturbassero le aree di pesca.
Negli anni successivi però il tonno iniziò a diminuire, come emerso durante il 28° Congresso della Società di Pesca e Piscicoltura Marina tenutosi a Trieste nel 1922: "Oggi soltanto le tonnarelle di S. Croce pescano e le qualità prese sono molto scarse. Ciò vuol dire che la linea migratoria del tonno si è sviata e che il pesce accede alla nostra costa in minor quantità". L’ultima pescata davvero spettacolare risale al 1954, anno in cui in una sola volta vennero catturati circa 800 tonni. Poi le tonnare triestine hanno cessato la loro attività.
Oggi di tonno rosso in Mediterraneo ce n’è poco a causa principalmente del sovrasfruttamento, e quel poco, viene pescato molto prima di raggiungere le coste dell’Alto Adriatico con i palangari (quest’anno questa pesca è stata chiusa anticipatamente il 23 maggio per sforamento delle quote) e con grandi reti da circuizione (le cosiddette tonnare volanti, attive quest’anno dal 15 maggio alla mezzanotte del 14 giugno). Fonte: OggiScienza.

18 GIUGNO

COME IL CLIMA ALTERA LE REGIONI OCEANICHE PRIVE DI OSSIGENO
Le fluttuazioni climatiche possono influenzare in modo marcato l’abitabilità degli ecosistemi marini, secondo un nuovo studio di un gruppo di scienziati dell’UCLA che hanno esaminato l’espansione e la contrazione delle zone a bassa concentrazione di ossigeno degli oceani. Guidati da Curtis Deutsch, professore associato di scienze atmosferiche e oceaniche dell'UCLA, gli studiosi, attraverso una simulazione al computer, hanno dimostrato per la prima volta che l'estensione delle zone poco ossigenate create dai batteri è estremamente sensibile alle variazioni di profondità causate dalle oscillazioni climatiche.
Queste regioni deprivate di ossigeno, che si espandono o si contraggono in funzione della loro profondità, pongono una seria minaccia alla vita marina.
"L'espamsione delle regioni a basso contenuto di ossigeno è motivo di preoccupazione a causa degli effetti negativi sulle popolazioni delle specie marine: interi ecosistemi possono collassare se gli animali non riescono a sfuggire dalle acque prive di ossigeno", ha spiegato Deutsch. "Vi sono ampie aree dell'oceano in cui la vita marina può o scappare o sviluppare strategie di adattamento per sopravvivere in queste condizioni".
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science, ha mostrato che, oltre a consumare ossigeno, i batteri causano anche un impoverimento dell'azoto, un nutriente essenziale per la sopravvivenza della maggior parte delle alghe.
"Abbiamo trovato che esiste un meccanismo che connette il clima e i suoi effetti sull'ossigeno alla rimozione dell'azoto dall'oceano”, ha aggiunto Deutsch. “Il nostro clima agisce sulla variazione della quantità totale di nutrienti nell'oceano nell'arco di decenni".
Le zone a basso contenuto di ossigeno sono create dai batteri che vivono negli strati più profondi dell'oceano, che consumano ossigeno nutrendosi di alghe. Le temperature della superficie del mare possono variare nell'arco di decenni secondo uno schema chiamato Oscillazione decennale del Pacifico, durante la quale le regioni povere di ossigeno subiscono piccole variazioni di profondità.
Le regioni povere di ossigeno che si si sollevano fino alle acque poco profonde e più calde si espandono quando i batteri diventano più attivi; viceversa le regioni che sprofondano verso acque più profonde e più fredde si riducono in ampiezza quando i batteri diminuiscono la loro attività.
"Abbiamo mostrato per la prima volta che queste regioni povere di ossigeno sono intrinsecamente molto sensibili a lievi variazioni del clima”, ha concluso Deutsch. “Questo è ciò che rende la crescita e la diminuzione di queste regioni povere di ossigeno così drastica". Fonte: Le Scienze.

16 GIUGNO

L'IMPRONTA DIGITALE DELLO SQUALO BALENA
Grazie alle macchie che hanno sul lato del corpo, gli squali balena sono perfettamente riconoscibili l’uno dall’altro, come lo siamo noi grazie alle nostre impronte digitali. Questo fatto viene sfruttato dai biologi marini per un grande progetto di ricerca che serve a conoscere "usi e costumi" di questi giganti, minacciati dall’estinzione. A partecipare al progetto ECOCEAN è chiamato chiunque voglia provare a fotografare o filmare questi animali, le cui immagini possono essere caricate su un sito e messe a disposizione degli studiosi. Un bell’esempio di quella che viene chiamata citizen science, la scienza partecipata che prevede l’intervento dei singoli (cittadini appunto) nel processo di costruzione della scienza, ad esempio raccogliendo dati utili alla ricerca.
Il progetto ECOCEAN è nato grazie all’intuizione di Jason Holmberg, un insegnante inglese che, nel 2002, dopo aver visto il suo primo squalo balena durante un’escursione subacquea, si è appassionato a questi animali, tanto da decidere di accompagnare un gruppo di ricercatori in una spedizione dedicata proprio allo studio di Ryncodon typus.
Fino ad oggi per studiare questi animali si sono utilizzati sistemi tradizionali, come l’applicazione di targhette di plastica per riconoscerli a distanza di anni. È un metodo classico della ricerca in biologia che serve a capire come si muovono e come crescono gli animali. Non è semplice però da realizzare, bisogna catturare lo squalo e basta che perda la sua targhetta, cosa che avviene abbastanza di frequente, per veder sparire l’oggetto della propria ricerca.
Grazie al coinvolgimento di altri ricercatori, l’idea è stata portata avanti con successivi aggiustamenti, fino ad arrivare all’attuale sistema. Si tratta di un programma sviluppato dagli astronomi Zaven Arzoumanian e Ed Groth della Princetton University, che utilizza un algoritmo creato originariamente per studiare le fotografie del cielo stellato, comparando la disposizione delle stelle. Adoperato inizialmente dagli astrofisici per studiare le immagini del telescopio Hubble, il sistema è stato poi adattato dal gruppo di Holmberg per riconoscere la disposizione delle macchie degli squali e poterle riconoscere in immagini diverse.
Questo metodo offre nuove opportunità agli studiosi: gli squali balena sono animali migratori che si muovono su lunghe distanze, poterli riconoscere a distanza di anni in luoghi molto diversi consente di saperne molto di più e con minor dispendio di energie e fondi. Il contributo degli appassionati subacquei poi, aumenta notevolmente la quantità di dati disponibili: il database di ECOCEAN comprende oggi 32.000 fotografie di 2.800 differenti squali balena, ottenute con il contributo di 2.600 persone.
Vi affascina l’idea di far parte di un progetto di questo tipo, ma temete di non incontrare squali balena nelle vostre vacanze? Dalle nostre parti potete dedicarvi all’osservazione delle meduse  partecipando al progetto Occhio alla medusa. Si tratta di un progetto del CONISMA con la sua unità operativa dell’ Università del Salento (Lecce), divulgato dalla rivista Focus. Sul sito della rivista è possibile segnalare avvistamenti di meduse compilando una scheda online. Grazie alle segnalazioni effettuate da parte dei cittadini, viene realizzata una mappa dinamica online, aggiornata settimana per settimana, con l’andamento dei fenomeni di proliferazione di questi organismi. Fonte: OggiScienza.

GLIFOSATO TOSSICO: LO RIVELA IL RAPPORTO Roundup e difetti delle nascite: si sta mantenendo il pubblico all’oscuro?
Il glifosato è un comunissimo erbicida che, soprattutto in questa stagione, viene ampliamente utilizzato dalle amministrazioni comunali e provinciali allo scopo di 'sfoltire' le cosiddette erbacce (termine ormai vetusto appartenente all'antica cultura contadina) che crescono lungo i bordi delle starde, nelle rotonde e all'interno degli spartitraffico.
Si tratta di un prodotto non selettivo, che uccide qualsiasi pianta dopo poche ore, così al posto del verde rimane erba secca e facilmente infiammabile.
I 'difetti' e i 'limiti' del glifosato (peraltro le amministrazioni lo usano violando leggi regionali che ne vietano l'utilizzo all'interno dei centri abitati e a meno di 200 metri dal mare) sono tanti: non è risolutivo, è persistente, è tossico per molti animali e molti pesci.
La sua solubilità è tale che alla fine lo ritroviamo, facilmente, nei corsi d'acqua. A volte delle morie di pesci inspiegabili si verificano nei piccoli laghetti allestiti presso le abitazioni; ebbene potrebbe essere che sia stato utilizzato glifosato qualche giorno prima lungo i bordi della strada adiacente. E anche le malformazioni che colpiscono le poplazioni di anfibi, soprattutto nei pressi dei campi di soia geneticamente modificata, è associata al massivo utilizzo del glifosato.
Il report completo è disponibile qui, mentre una sintesi in lingua italiana è disponibile sul sito de IlFattoAlimentare.

DIMINUISCE LA DISPONIBILITÀ DI ACQUA DOLCE IN ITALIA

Le famiglie italiane consumano il 15% della domanda d’acqua, meno rispetto all’industria (25%) e all’agricoltura (60%). Le percentuali rivelano una diminuzione della disponibilità di acqua dolce da 2.700 metri cubi pro capite ai 2.000 metri cubi.

Sono diversi i fattori che portano a una riduzione così drastica dell’acqua dolce, tra cui le perdite delle condutture (104 litri di acqua per abitante ogni giorno), ossia ben il 27% dell’acqua prelevata. L’acqua dolce risulta, così, minacciata dalle incurie umane e preservare questo bene significa conoscere il sottosuolo, le possibili sorgenti di inquinamento e il giusto equilibrio tra sfruttamento e processi di ricarica. Di questi e altri argomenti, comunque, si discuterà al Geoitalia 2011, l’ottavo forum delle scienze della Terra, che si terrà al Lingotto di Torino dal 19 al 23 settembre 2011. Saranno oltre 1.500 gli scienziati provenienti da tutto il mondo, che cercheranno di fare il punto su temi come l’identificazione, la gestione e il monitoraggio dei sistemi acquiferi, le ricerche idrogeologiche, la gestione degli acquiferi carsici, al fine di considerare la domanda di acqua e la sostenibilità a lungo termine dell’uso delle acque sotterranee. Fonte: Aqva.com.

15 GIUGNO

POLEMICHE SUL PESCE BIOLOGICO
L’Associazione Acquacoltori (ASA) (affiliata Coldiretti), ha recentemente contestato l’operazione di ICEA (Ente di Certificazione Italiano) e di IKEA (nota azienda di vendita di articoli di arredo svedese), che ha portato alla distribuzione presso i punti vendita IKEA di un opuscolo che parla negativamente dell’acquacoltura convenzionale a favore esclusivamente di quella biologica.
Per fornire qualche numero, a livello europeo le produzioni di acquacoltura biologica sono piuttosto marginali e corrispondono a circa 14.000 t (più che altro salmoni) contro una produzione convenzionale che si attesta attorno a 2.300.000 t di pesci, crostacei e molluschi. Addirittura, a livello globale, a fronte di una produzione di acquacoltura complessiva di 55.000.000 t, solo 33.000 t derivano da produzioni biologiche, cioè in una percentuale pari allo 0.06% (dati FAO). Fonte: Eurofishmarket.

14 GIUGNO

CelacantoCELACANTO MATUSALEMME
Pesce raro e dalle fattezze singolari, piuttosto, strettamente imparentato ai tetrapodi (cioè anche noi), non solo è un fossile vivente nel senso che la sua specie (fino al 1938 – data di ritrovamente del primo esemplare non fossile – era creduta estinta da circa 65 milioni di anni) è rimasta immutata per milioni di anni, ma anche nel senso che gli stessi individui potrebbero essere molto longevi. Secondo uno studio pubblicato di recente su Marine Biology potrebbero addirittura superare i cent’anni di età.
Ancora non ci sono prove dirette, ma molti sono gli indizi che hanno portato Hans Fricke, etologo del Max Planck di Brema e filmaker, a sospettare che il celacanto possa facilmente superare il secolo di età (senza peraltro mostrare segni di invecchiamento).
Sono vent’anni che Fricke studia questi pescioloni con dispositivi sommergibili per filmarli e seguirli. Dato che questi pesci hanno dei segni bianchi caratteristici sui fianchi nel corso di questi due decenni ben 140 individui sono stati identificati e seguiti per lungo tempo. La cosa singolare però è che nei circa 300-400 esemplari incontrati in tutti questi anni, non è mai stato possibile individuare degli individui giovani.
Non si sa nemmeno nulla su come questi animali si riproducano. Una volta il team di Fricke ha piazzato una sonda addosso a un femmina gravida per seguire la sua immersione a grandi profondità, comportamento che fa supporre che per dar luce ai piccoli il pesce scenda negli abissi.
Il tasso di mortalità del pesce è bassissimo. Solo 3/4 individui all’anno muoiono, e vengono rimpiazzati da altri adulti che compaiono apparentemente dal nulla. Un tasso di mortalità così basso si osserva per esempio in un’altra specie di pesce, un pesce osseo abissale del genere Sebastes (noto col nome di pesce pietra) che si sa vivere cent’anni e più.
Resta comunque difficoltoso misurare l’età del celacanto sull’animale stesso, visto che non mutano minimaente d’aspetto col passare degli anni: "abbiamo fotografato alcuni adulti arrivati nella colonia nel 1989, e non sono cresciuti per nulla" ha  commentato Fricke. Fonte: OggiScienza.

IL CONSUMO DOMESTICO DEI PRODOTTI ITTICI
In una nuova pubblicazione ISMEA, un’approfondita analisi del consumo di prodotti ittici nelle famiglie italiane: il consumo domestico riguarda soprattutto il prodotto fresco, che assorbe oltre il 50% dei volumi acquistati. Seguono le conserve e semiconserve con una quota superiore al 20%. Le categorie meno acquistate sono quelle del congelato sfuso e del secco, salato e affumicato.
Rispetto agli anni passati, si registra però un calo dell’incidenza del prodotto fresco sull’ittico totale, mentre sia i congelati/surgelati confezionati sia le conserve e semiconserve hanno visto aumentare la loro quota all’incirca della stessa entità. Scarica il report. Fonte: Eurofishmarket.

10 GIUGNO

PESCATORI FRANCESI ILLEGALI INDIVIDUATI DA SEA SHEPHERD
Questa mattina, la Steve Irwin ha individuato cinque pescherecci francesi che si apprestavano a lasciare il porto di Malta a gran velocità dirette verso le acque libiche. Una delle imbarcazioni, la Sainte Sophie Francois 2, non ha ottenuto nessuna quota di pesca al tonno per il 2011 e perciò non può prendere parte a nessuna operazione. L'International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna (ICCAT) conferma che la Sainte Sophie Francois 2 ha recentemente lasciato il porto di Malta pur non avendo alcun diritto legale per trasportare reti quest'anno.
Dopo aver lasciato Malta, le quattro tonniere con le quote concesse hanno disattivato il Sistema d'Identificazione Automatico (AIS) sebbene sia proibito e sono quindi scomparse dai radar. La Steve Irwin ha fatto alzare in volo il suo elticottero per perlustrare l'area e ha così individuato la Sainte Sophie Francois 2. Poco dopo che l'elicottero lo ha sorvolato, il peschereccio ha cambiato rotta e ha cominciato a dirigersi verso le acque della Tunisia.
Le altre quattro imbarcazioni, la Jean Marie Christian 6, Jean Marie Christian 7, Sainte Sophie 3 e la Cisberlande 5 hanno tutte quante ottenuto per quest'anno delle quote per la pesca del tonno rosso ma attualmente la loro posizione è sconosciuta.
La Brigitte Bardot , di supporto alla Steve Irwin, si trova in acque libiche alla ricerca di attività illegali di pesca al tonno rosso.
Il Capitano Lockhart Maclean riferisce che Sea Shepherd Conservation Society è costantemente in contatto con le forze NATO per tenerle informate sui propri movimenti e aggiornare sia l'ICCAT che la Commissione sulla Pesca dell'Unione Europea.
Le navi di Sea Shepherd stanno perlustrando le acque della costa libica alla ricerca di eventuali attività illegali di pesca al tonno rosso condotte da pescatori che cercano di trarre vantaggio dalla zona di guerra per catturare questa specie ad alto rischio estinzione. La pesca al tonno rosso è proibita in queste acque in base alle normaitve ICCAT e dell' Unione Europea. Fonte: Sea Shepherd.

OCEANO INDIANO: PESCA DEL TONNO FERMA PER UN MESE
Fermo di un mese della pesca del tonno per evitarne l'estinzione. In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani (8 giugno) MwBrands, uno dei più importanti attori nel mercato delle conserve ittiche (presente in Italia con il marchio Mareblu), annuncia che aderirà al fermo pesca previsto a novembre nell’Oceano Indiano.
La decisione di attivare questa misura è uno dei principali esiti della seconda Tuna Conference organizzata da MwBrands e sostenuta dall’International Seafood Sustainability Foundation, di cui MwBrands è socio fondatore. Difendere il tonno dall’estinzione non è soltanto una missione animalista: dalla sopravvivenza di questa fondamentale risorsa dipende infatti tutto il comparto delle conserve ittiche, di cui il tonno in lattina è il re indiscusso. È per questo che la multinazionale MwBrands, di proprietà thailandese, ma guidata dall’italiano Adolfo Valsecchi, ha deciso di aderire e sostenere una serie di importanti iniziative, quali la creazione di una grande riserva marina nell’oceano Pacifico denominata Pacific Commons. Ha inoltre deciso di aderire a ogni raccomandazione emanata dalle autorità tecnico-scientifiche preposte alla supervisione e al coordinamento dello sforzo di pesca del tonno nei diversi oceani.
La proposta di ricorrere alla misura di un fermo della pesca per un mese è nata come uno dei più importanti esiti della seconda Tuna Conference, il congresso internazionale a cui hanno preso parte i più influenti attori economici e politici che direttamente o indirettamente possono incidere sulla sorte del tonno: rappresentanti governativi, industriali, scienziati e alcune delle principali organizzazioni ambientaliste si sono riunite a Victoria, a Mahè, la principale isola delle Seychelles, su iniziativa dell’International Seafood Sustainability Foundation. Fonte: SlowFood.

09 GIUGNO

IL FILMATO DELLA CACCIA ALLE FOCHE DEL 2011
Cuccioli tirati per un gancio direttamente sulla nave in transito tra i ghiacci. Foche squarciate e così lasciate ancora in vita per parecchi minuti. Scene di deliberata violenza. Metodi agghiaccianti messi in atto anche quando i cacciatori sapevano che venivano filmati. Un mare di schizzi di sangue nei ghiacci al largo di Terranova. "Questo nonostante quest’anno si sia cacciata una quota molto bassa di foche – ha dichiarato Sheryl Fink, Direttore della CampagneFoche di IFAW (International Fund for Animal Welfare) – la più bassa dal 1993. Appena 50 barche, molto poco rispetto agli anni passati". Una situazione che, secondo IFAW, contribuirà a mantenere bassa la reputazione del Canada in Europa, specie se si considera come l’intero settore è sorretto dai contributi statali.
Il Canada non solo ha annunciato azioni legali contro la UE che ha posto il bando all’importazione di pelli ed altri derivati, ma sta cercando di aprire nuovi e floridi mercati in Cina. Da questo paese, nonostante il bando, parti di pellicce di foche potrebbero entrare nei paesi EU, salvo continui esami del DNA, dal momento in cui il nuovo regolamento europeo sulle pellicce, lascia spazio, quantomeno, a forti dubbi.
E dire che le autorità canadasi sono criticate in (quasi) tutto il mondo. Lo stesso Primo Ministro canadese, Gail Shea, Ministro Federale alla Pesca, ha pure ricevuto una torta (vegana) in faccia da una attivista di PETA (People for Ethical Treatment of Animals). Per lei la caccia è un uso responsabile di una risorsa sostenibile. Peccato che come lei, la pensino anche molti altri politici e non solo d’oltreoceano. Fonte: GeaPress.

Video: attenzione, immagini forti.

IN SICILIA UN OSSERVATORIO MONDIALE SULLA BIODIVERSITÀ
Nella Giornata Mondiale della Biodiversità celebrata il 22 maggio scorso, la Sicilia ha dato il benvenuto all'Osservatorio della Biodiversità dell'Ambiente Marino e Terrestre. La struttura è frutto dell'accordo di programma siglato tra CNR, dipartimento dell'Ambiente della Regione Siciliana, Agenzia Regionale Protezione dell'Ambiente e Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale.
Sede dell'osservatorio è l'ex tonnara di Capo Granitola, in provincia di Trapani, che dal 2010 ospita l'Istituto per l'Ambiente Marino Costiero (IAMC) del CNR, sulla base di un protocollo d'intesa con l'assessorato Territorio e Ambiente della Regione Sicilia. La realizzazione dell'Osservatorio è finalizzata a un'attività di sperimentazione e ricerca sulla biodiversità nel territorio siciliano per un uso sostenibile delle risorse naturali e per la valorizzazione delle risorse paesaggistico-ambientali: oltre alla ex tonnara è previsto anche l'utilizzo delle sedi degli altri enti coinvolti sul territorio regionale.
"L'accordo rappresenta un risultato importante sotto molti punti di vista: per la ricerca, la valorizzazione e conservazione delle risorse naturali e paesaggistiche e il loro uso sostenibile e per la diffusione delle conoscenze scientifiche", afferma il direttore  del  Dipartimento Terra e Ambiente del CNR, Enrico Brugnoli. "Capo Granitola costituisce un ambiente marino e costiero di notevole interesse naturalistico, e questo accordo consentirà di realizzare attività importanti. Altro elemento fondamentale è la posizione strategica di Capo Granitola che può rappresentare un centro di eccellenza internazionale per questi argomenti, ponendosi come ponte con i paesi del nord Africa".
Le risorse stanziate dalla Regione nell'ambito del programma Fesr Sicilia 2007-2013, ammontano a otto milioni di euro. "La Regione avrà per la prima volta  uno strumento operativo nel campo della ricerca scientifica di rilievo strategico. Obiettivo dell'accordo di programma è infatti creare una sinergia tra le migliori competenze e professionalità nell'ambito ambientale, anche marino", spiega l'assessore regionale al territorio e ambiente Gianmaria Sparma.
Il coinvolgimento di Ispra e Arpa, infine, aumenta il grado di autorevolezza tecnico-scientifica della struttura, in accordo con gli obiettivi della strategia nazionale di tutela della biodiversità varata dal Governo. Fonte: Almanacco della Scienza.

I TONNIERI SCRIVONO AL MINISTRO ROMANO
Gli operatori tonnieri della Federcoopesca-Confcooperative scrivono al ministro Romano preoccupati per le sorti della campagna di pesca del sistema a circuizione, che da calendario si concluderà il prossimo 14 giugno. Lo sforamento di oltre il 150% della quota, contestato dall’Europea a chi opera con i palangari, ha portato lo scorso 23 maggio alla chiusura della pesca al tonno per questo sistema. Il timore degli imprenditori è che possa ripetersi quanto già accaduto in passato, ovvero la chiusura anticipata della pesca con la circuizione. "Dopo anni di continue e consistenti riduzioni della quota, non vorremmo che a pagare le conseguenze di questa situazione fosse, ancora una volta, il solo sistema a circuizione" spiegano gli operatori che considerano inaccettabili eventuali compensazioni di quota fra quanto assegnato ai palangari e quanto destinato alle circuizioni.
"Non si può togliere al nostro comparto quanto catturato in più da altri. L’ultimo decreto adottato prima della campagna di pesca 2011 ha previsto un’ulteriore riduzione della quota attribuita al settore della pesca a circuizione, quello più colpito dalle misure restrittive, a netto vantaggio dei pescatori di tonno con il sistema palangari, delle tonnare fisse e della pesca sportiva", ribadiscono i tonnieri della circuizione. Un sistema, sottolinea la Federcoopesca-Confcooperative, che ha subito un profondo piano di ristrutturazione della flotta, attraverso tre bandi di demolizione e un programma di aggregazione delle quote tonno, che ha portato dalle 68 imbarcazioni nella campagna di pesca 2008 alle 49 nel 2009, fino alle 12 imbarcazioni nel 2011 e le 9 nel 2012. Gli occupati sono passati da oltre 1.000 a poco meno di 200. Gli operatori del settore lamentano una stagione difficile. "Ad oggi, nonostante la campagna di pesca per le imbarcazioni con il sistema a circuizione sia iniziata il 15 maggio, siamo ben lontani dal raggiungere la quota assegnata all’Italia, a causa delle avverse condizioni metereologiche. L’acqua troppo fredda e i venti rendono difficili le catture e il trasbordo in gabbia dei tonni. Oltre al danno, quindi, non vorremmo proprio dover subire anche la beffa di pagare il conto per colpe non nostre".
L’associazione rilancia per il prossimo anno la richiesta di far slittare l’inizio della campagna di pesca a giugno. "Saremmo ben disposti a barattare le due settimane di maggio con una in più a giugno. Del resto le risorse ci sono e sono in ottimo stato come dimostra la grandezza media decisamente elevata, dei tonni che sono stati catturati quest’anno". Fonte: Federcoopesca.

08 GIUGNO

GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI
"Guardando indietro agli ultimi dodici mesi dell’anno, non si può dire che sia stato un bel periodo per gli oceani" ha esordito Julia Marton-Lefevre, direttore generale dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura. "Ma proprio per questo la Giornata Mondiale degli Oceani che si festeggia oggi, rappresenta un’ulteriore occasione per salvaguardare gli oceani e gli ecosistemi marini".
Il disastro del Golfo del Messico e le fuoriuscite di acqua contaminata dalla centrale nucleare di Fukushima, dopo lo tsumani in Giappone, non hanno di certo migliorato la qualità della vita di animali e vegetali che abitano negli abissi, ne tantomeno delle comunità che vivono lungo le coste. Eppure queste due non sono le uniche minacce per la vita e la salute dei nostri oceani, dopo l’acidificazione degli oceani che sta crescendo oltre 100 volte più veloce rispetto al ritmo della natura, e l‘aumento delle temperature che accelera i processi di scioglimento dei ghiacci, determinando l’innalzamento dei livelli delle acque e lo sbiancamento dei coralli, gli altri nemici degli ecosistemi marini sono:

Fonte: Ecologiae blog.

INVASIONE DELLE MEDUSE

Su PNAS, esce una ricerca sull’effetto delle invasioni di meduse, in aumento nelle acque costiere di tutto il mondo, Mediterraneo compreso. Non avendo predatori, interrompono la catena alimentare.

Robert Condon e altri biologi americani, canadesi e francesi, hanno studiato per anni le comparse di due specie, rappresentative dell’intera famiglia, nell’estuario della York River, baia di Chesapeake. Ne hanno messe in vasca e analizzato il flusso energetico, cioè il tasso di carbonio, assorbito e riemesso sia da loro che dai batteri ai quali s’accompagnano di solito, dei gamma-proteobatteri, antichi anch’essi e finora piuttosto rari.
La Mnemiopsis leidyi e la Chrysaora quinquecirrha, già note per aver depauperato la biodiversità in altri estuari, trasformano l’energia del plancton di cui si nutrono in una biomassa gelatinosa che toglie l’appetito a qualunque predatore. Il carbonio contenuto nel plancton, sottratto ai pesci e ai frutti di mare, quindi alla dieta umana, viene riemesso dalle meduse nel proprio muco a beneficio esclusivo dei batteri di compagnia che, in loro presenza, lo metabolizzano sei volte più in fretta. Ma lo usano per respirare, invece che per crescere e moltiplicarsi, quindi rigurgitano sotto forma di CO2. La produzione del gas serra è notevole. Negli esperimenti in vasca, le meduse rilasciavano da 25 a 30 volte più carbonio che azoto, mentre nella materia organica marina il rapporto normale è di sei a uno.
Con i cambiamenti climatici, la pesca insostenibile di molte specie, l’aumento di liquami, fertilizzanti e pesticidi nei fiumi, gli habitat costieri diventano sempre più piacevoli per le meduse. Meglio abituarsi a far il bagno con la muta. Fonte: OggiScienza.

IL DOPPIO SONAR DEL DELFINO
È ben noto da tempo che delfini e focene utilizzano l'ecolocalizzazione, o biosonar, per cacciare e orientarsi: producono ultrasuoni e percepiscono l'eco riflessa dagli ostacoli che trovano sul loro cammino. Un recente studio ha ora scoperto che questi cetacei sono in grado di inviare due di questi segnali simultaneamente.
"I due fasci hanno differenti frequenze e possono essere inviati in due diverse direzioni", ha spiegato Josefin Starkhammar, ricercatrice della Lund University che ha partecipato allo studio, i cui risultati sono pubblicatisulla rivista Biology Letters. "Il vantaggio probabilmente è legato alla possibilità di localizzare un oggetto in modo più preciso; il nostro risultato alimenta inoltre il dibattito su come gli ultrasuoni vengano prodotti".
Secondo la Starkhammar, gli ultrasuoni verrebbero prodotti da due differenti organi, la cui esistenza era nota. Si riteneva tuttavia che solo uno dei due fosse attivo durante l'ecolocalizzazione. La ragione del fatto che solo ora si sia giunti a questo risultato nonostante gli studi sull'ecolocalizzazione vengano condotti fin dagli anni Sessanta, è dovuto in parte al progresso degli strumenti tecnologici che hanno permesso una più efficace elaborazione del segnale rilevato, ma anche dalla nuova collaborazione dei biologi marini con studiosi di altre discipline e con maggiore competenza tecnica, spiegano infine gli autori dello studio.
Il sistema tecnologico usato si è basato su 47 idrofoni, microfoni da utilizzare in acqua.
"Si tratta di uno dei migliori dispositivi esistenti per catturare gli ultrasuoni in acqua”, ha concluso la Starkhammar. “Sono stati a lungo testati su uccelli cavernicoli che utilizzano un sistema dello stesso tipo ma semplificato: l'ecolocazione dei delfini è per molti versi più sofisticata". Fonte: LeScienze.

EVITARE LE CATTURE ACCIDENTALI
Sono molte le tecniche di pesca nel Mediterraneo che, tramite l’uso contemporaneo di varie pratiche alieutiche, risultano tutt’altro che selettive poiché, oltre alle specie bersaglio, vengono catturate e poi rigettate in mare, in genere prive di vita, molte altre specie che non hanno rilevanza commerciale. La UE, a tal proposito, impone agli stati membri un programma di sorveglianza attraverso l’impiego di osservatori indipendenti che raccolgano informazioni sulle catture accidentali di specie protette. Il CNR di Ancona è stato coinvolto in un programma di monitoraggio che si proponeva proprio di intervenire su queste problematiche. Tra le soluzioni tecniche studiate è stato sperimentato un BRD (Bycatch Reducing Devices) da applicare alla pesca semipelagica, ovvero una rete simile alle comuni reti a strascico, ma di dimensioni molto maggiori (spesso indicato con l’acronimo TED), che viene contemporaneamente trainata da due pescherecci in modo tale da permettere la cattura delle specie commerciali e allo stesso tempo il rilascio istantaneo di altre specie. Un altro BRD molto utilizzato per mitigare le interazioni fra mammiferi marini e attività di pesca, è rappresentato dai deterrenti acustici: i cosidetti pingers. Francesco De Carlo, del reparto Tecnologia della Pesca dell’ISMAR CNR di Ancona, riferisce che in genere la difficoltà maggiore nell’uso dei BRD a livello commerciale, risiede nella necessità di adattarli in base alle caratteristiche delle reti in uso. In ogni modo entrambi i BRD studiati (TED e pingers) hanno dimostrato risultati soddisfacenti. Fonte: Zootecnews.

07 GIUGNO

MUORE IL GIORNALISMO SCIENTIFICO ITALIANO
Dopo lo squalo balena divenuto improvvisamente mammifero, dopo la tartaruga che benché rettile è un mammifero e dopo lo squalo bianco dell'Adriatico, classificato come specie aliena da una trasmissione di Canale 5 (vedere news del 03 giugno), ecco l'ennesimo svarione scientifico denunciato da Pikaia e tratto da Repubblica.it:

"Il favoloso mondo delle meduse. L’osservatorio Jellywatch ha realizzato un video in slow motion per spiegare l’evoluzione di questi curiosi animali. Dalla forma più semplice, la medusa Scyphozoa, fino alla più evoluta, il Polychaete, una classe degli anellidi (meglio noto come verme marino). L’albero genealogico finale consente di apprezzare la bio-diversità di questi animali spesso accomunati, ma con differenti caratteristiche molto precise fra di loro".

Dimenticate il piacevole video (visibile nella nostra Home) e leggete, leggete bene: non solo è orrendo giornalismo scientifico, è prima di tutto orrendo italiano. Indulgerò sull’italiano, non è il mio compito qui, voglio invece fare a pezzi la "scienza" che ci viene propinata con così tanta ingenuità: cnidari e policheti NON "sono animali spesso accomunati", hanno piuttosto "caratteristiche molto precise fra di loro".
Per esempio, così, per indicare almeno una differenza su migliaia, gli cnidari sono animali a simmetria raggiata, i policheti bilaterale. Poi, la "medusa Scyphozoa" è in realtà un clade di Cnidari, un intero gruppo di specie, di cui – per inciso – esiste anche il termine italiano "scifozoi" (e non perché il latino sia scorretto, piuttosto perché qui usato a copia carbone dell’inglese del video). Lo stesso discorso vale per "il Polychaete", cioè i "policheti", ovvero un clade di anellidi di cui molti sono vermi marini, ma "verme marino" non è certo il loro nome più comune. Di vermi marini ce ne sono tanti – ma tanti! – e non tutti sono policheti (e non li elencherò di certo).
Se ora vogliamo riprendere in considerazione il video, dobbiamo anche dedurre che l’autore non solo non ha capito nulla di ciò che viene esplicitamente detto nel video, ma tantomeno ha interpretato correttamente gli alberi filogenetici ipersemplificati che vengono man mano mostrati: sono alberi ramificati, non linee rette che attraversano centinaia di milioni di anni di divergenza evolutiva (oltretutto passando per l’antenato comune!). Se solo avesse capito il diagramma ad albero, ne conseguirebbe quindi che gli scifozoi NON sono forme semplici dei policheti.
Facciamo qualcosa per il giornalismo scientifico in Italia. Cominciamo col segnalare qualsiasi obbrobrio si trovi sulle testate più "prestigiose". Grazie. Fonte: Pikaia a cura di Giorgio Tarditi Spagnoli.

MORIA DI PESCI: INDAGATO DIRIGENTE ENEL GREEN POWER
Gestione non autorizzata di rifiuti. E’ il reato che ipotizza la Procura di Modena per Giovanni Rocchi, responsabile di Enel Green Power per il bacino idrico dell’appennino modenese. Nel mirino c’è lo smaltimento di circa 6.000 metri cubi di fanghi su un terreno agricolo vicino alla diga di Riolunato, considerati rifiuti speciali e dunque sequestrati dal Corpo Forestale dello Stato.
La controllata Enel, che sta realizzando lavori di adeguamento della barriera, risalente all’epoca prefascista e da un trentennio collegata alla centrale idroelettrica di Strettara (Lama Mocogno), replica ricordando "l’approvazione del progetto da parte della Regione". E di aver pagato "il canone di estrazione per materia prima che è costituita esclusivamente da terre limose e argillose" non classificabili, ad avviso di Enel Green Power, come "rifiuto". Qui il testo integrale.

06 GIUGNO

DELFINARIO PERDE BATTAGLIA LEGALE
Una decisione che farà storia. Ne è convinta la WDCS (Whale and Dolphin Conservation Society) che ha vinto la sua battaglia legale contro lo zoo di Norimberga. Oggetto della questione è l’accesso agli atti relativi alla detenzione dei delfini. Lo zoo tedesco, infatti, deve ampliarsi con una vasca per i cetacei da 24 milioni di euro e su tale attività era stata montata la solita campagna mediatica sull’utilità di tali strutture per la conservazione della biodiversità. Fatto, evidentemente, che poco convince la WDCS che aveva chiesto l’accesso agli atti, negati, però, dallo zoo. Secondo i legali dello zoo, non si aveva diritto ad accedere alle informazioni sugli animali.
La Corte di Monaco di Baviera, intervenuta in sede di appello, ha dato però ragione alla WDCS ed ora lo zoo dovrà rendere disponibile i documenti finora negati. Si tratta, ad avviso della WDCS, di una decisione storica che dovrà fare scuola in tutti i paesi della UE. Una pietra miliare, insomma, sulle questioni legate alla informazione ambientale e, più specificatamente, alle strutture della cattività animale. Fonte: GeaPress.

8 GIUGNO: SI FESTEGGIA LA GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI
Scopo del World Oceans Day è puntare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’importanza degli oceani mondiali e della loro biodiversità, come fattori rilevanti per l’evoluzione climatica e la produzione di ossigeno, nonché per la sopravvivenza di tutte le specie presenti sul pianeta. Tema dell’edizione 2011: "Our oceans: greening our future". In occasione delle celebrazioni ufficiali per il World Oceans Day Italia 2011, che si svolgeranno a Trapani, saranno organizzati una serie di incontri e dibattiti sulla tutela e la promozione dell’area del Mediterraneo. I temi, grazie al contributo di esponenti del mondo scientifico, della cultura e della comunicazione, verranno affrontati in chiave divulgativa e con particolare attenzione al mondo delle scuole, attraverso la presentazione di progetti originali ed innovativi. Nella prestigiosa sede di Palazzo Milo, in via Garibaldi, saranno attrezzati tre spazi utili per la proiezione dei filmati e per l’esposizione di una parte della mostra fotografica PELAGOS - Festival Internazionale del Mare, con particolare riferimento al Reportage Mediterraneo degli anni 2010 e 2011. Durante il pomeriggio dell'8 giugno, si svolgerà un convegno che avrà per tema: "Il Mediterraneo: storia , cultura e ambiente da tramandare". Durante la stessa giornata saranno coinvolte scolaresche e cittadini per un mini torneo di tiro alla fune, al fine di mantenere vive le antiche tradizioni marinare cittadine. Fonte: Aqva.com.

LEZIONE PER BAMBINI AL CRITICAL FISH
Insegnare ai bambini che non tutte le specie di pesci sono uguali, la loro stagionalità, i rischi d’estinzione e anche come provare a consumarlo responsabilmente. Questo l’obiettivo di Critical Fish, un’iniziativa che ha ricevuto la patrocinio della Regione Lazio e della Provincia di Roma è che anima la pescheria "didattica" di Via Ancona 34, in zona Porta Pia a Roma.
Qualche giorno fa i locali di Critical Fish hanno accolto il primo gruppo di bambini di una quarta elementare della capitale dove la biologa marina Annachiara Gozzi li ha guidati alla scoperta delle diverse specie di pesci che popolano il Mediterraneo dividendoli per stagionalità. La Gozzi ha raccontato: "Bambini davvero super preparati erano tutti entusiasti e per niente annoiati. La curiosità e i giochi li hanno fatti concentrare sul mare e sui suoi abitanti lasciando naturalmente spazio alla fantasia e alla creatività, tipiche dei più piccoli. Hanno ribattezzato il pesce illustrato nel materiale informativo il pesce matto, perché non hanno trovato un’immediata somiglianza con le specie conosciute".
Un’iniziativa lodevole per far crescere consumatori informati. Fonte: Ecoblog.

CONTINUANO I SEQUESTRI DI TONNO ROSSO
Forse una soffiata. Di sicuro i porti minori, continuano ad essere utilizzati per il trasbordo a terra di tonno, pescato illegalmente (ovvero da barche non autorizzate) e spesso sotto peso.
Ieri pomeriggio, la Squadra Nautica della Questura di Palermo, l’ha "pescato" in mare, nascosto sotto le barche del porticciolo turistico dell’Acquasanta, attiguo ai cantieri navali del porto del capoluogo siciliano. Quel peschereccio dentro un porto turistico deve avere dato nell’occhio ed all’arrivo della Polizia, che è dovuta ricorrere al suo nucleo sommozzatori, qualcuno ha velocemente calato in mare otto tonni, di cui tre sotto misura. La speranza era che la Polizia potesse non accorgersi del pescato.
Ottocento i chili di tonno individuati dai sommozzatori ed issati a riva nella stessa banchina dove, verosimilmente, doveva esserci stato anche il mezzo che aveva il compito di caricare il tonno. Tra barche a vela e yacht di lusso, è stato così "pescato" il tonno rosso. Il tonno è stato posto sotto sequestro amministrativo (sequestro penale, invece, per quello sotto misura) e, dopo il nulla osta dei Veterinari, donato in beneficienza. Fonte: GeaPress.

03 GIUGNO

MARE ADRIATICO E CALO DELLA BIODIVESITA'
Le specie ittiche nell’alto Adriatico stanno diminuendo. E sul banco degli imputati ci sono l’inquinamento, i numerosi ripascimenti e le grandi opere. Una conferma della crisi che attraversa il bacino giunge anche dal mondo accademico: "La situazione delle risorse ittiche nel medio e alto Adriatico non è buona e diverse specie sono ai minimi degli ultimi 17 anni" riporta un recente studio del Laboratorio di Biologia e Pesca di Fano, dell’Università di Bologna. Ma l’allarme raccolto dalla Nuova Ecologia arriva soprattutto dai pescatori. "Il nostro mare sta diventando sterile" denuncia Michele Marchi Boscolo, presidente del Consorzio di Gestione delle Vongole di Chioggia (Cogevo). Ribadisce Antonio Gottardo, rappresentante di Lega Pesca Veneto: "L’alto Adriatico è sotto stress e per alcune specie, come le vongole, non si può nemmeno parlare di sovrasfruttamento: ha influito un insieme di cause, guarda caso proprio nel momento in cui si è iniziata a praticare una corretta gestione dei prelievi sono partiti i cantiere delle grandi infrastrutture".
L'inchiesta di Nicola Cappello e Francesco Loiacono pubblicata su La Nuova Ecologia racconta gli elementi che stressano l'Adriatico e traccia delle ipotesi sulla contrazione della biodiversità. Alla vigilia di una nuova stagione balneare che rischia di aumentare il carico antropico sul bacino. Fonte: Nuova Ecologia.

SPECIE ALIENE
Si chiama Lagocephalus sceleratus, ma è più noto come pesce palla argenteo: vive nelle fasce tropicali dell’oceano Atlantico e di quello Pacifico. Ma da qualche anno, complice l’innalzamento della temperatura, ha varcato le Colonne d’Ercole del Canale di Suez, e dal Mar Rosso ha colonizzato il Mediterraneo orientale: oggi si trova di frequente, anche vicino riva, nei pressi dell’isola di Rodi, sulle coste turche, egiziane e israeliane.
Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalla sua espressione un po' assente. L’animale in questione è pericolosissimo: perché il suo organismo produce una sostanza altamente tossica (tetrodotossina) in grado di provocare paralisi muscolari, fino alla morte, anche nella specie umana.
Quella del Lagocephalus è solo una delle oltre 900 specie aliene provenienti da habitat più caldi che stanno lentamente prendendo piede anche nel mare nostrum. Dell’avanzata tropicale fanno parte, per esempio, anche il barracuda o il pesce flauto (Fistularia commersonii). Un’invasione biologica che ha gravi conseguenze anche a livello della catena alimentare di piante e pesci locali, che ne risulta sconvolta, soprattutto quando gli invasori sono velenosi o carnivori, e diventano specie dominanti rispetto a quelle indigene. Lo conferma uno studio condotto nell’arco di quattro anni lungo le zone costiere dell’isola di Rodi da Stefan Kalogirou, del dipartimento di ecologia marina dell’Università di Goteborg.
Purtroppo, ammette Kalogirou, non è semplice definire nel breve periodo quali potrebbero essere le reali ripercussioni sul territorio: studi del genere hanno bisogno di essere valutati sul lungo periodo, e fino ad ora nessuno ha dato troppa importanza a questi fenomeni in atto nel Mediterraneo. Così il ricercatore, oltre a interpretare gli effetti di questi fenomeni, lancia un monito a livello europeo sull’importanza della valutazione dell’impatto ambientale di queste nuove specie, la cui presenza, oltre ad interferire sul presente ecosistema, potrebbe ripercuotersi sullo sviluppo socioeconomico delle popolazioni costiere. Fonte: GalileoNet.

LO SVARIONE SCIENTIFICO DI CANALE 5
In una nota trasmissione di Canale 5 andata in onda qualche giorno fa, si è detto che lo squalo bianco, in Adriatico, è una novità ed è classificabile come una specie aliena. La notizia è totalmente priva di fondamento. Lo squalo bianco un tempo era molto numeroso e seguiva i grandi banchi di tonno che nuotavano sino al Golfo di Trieste. Oggi, purtroppo, sono scomparsi sia i tonni che gli squali.