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Cod Art 0013 | Rev 01 del 30 Mag 09 | Data 28 Dic 2009 | Autore: Giovanni Pierfederici

 

   

 

LA PRODUZIONE PRIMARIA IN MARE, LA PRODUTTIVITÀ E IL RAPPORTO PRODUZIONE/BIOMASSA

Gli organismi fotosintetizzanti (photosyntetic organisms, micro e macro alghe, alcuni batteri e piante superiori) e in minor misura quelli chemiosintetici (batteri), hanno la capacità di sintetizzare composti organici ad elevato contenuto energetico (carboidrati) rispettivamente dalla luce, dall’acqua e dalla CO2 o da molecole inorganiche. Nel complesso questi organismi sono definiti produttori primari ed occupano il livello trofico di base. La quantità totale di materia organica (o carbonio organico) prodotta attraverso la fotosintesi, per unità di area o di volume e per unità di tempo è definita produzione primaria (primary productivity). Si può esprimere in mg di carbonio/dm3, mg di carbonio/m3 o gr di carbonio/m2. L’unità di tempo solitamente utilizzata è l’anno. In altri termini la PP rappresenta la velocità con la quale il carbonio inorganico è trasformato in prodotto cellulare. Si fa quindi riferimento alla massa totale e non a quella di un singolo individuo. La produzione primaria (PP) indica quindi una variazione di biomassa (B) per unità di spazio (mq. metri quadri) e di tempo (t):

PP = ΔB / Δt  (che si misura in grammi di Carbonio per mq / tempo)

La produttività (productivity) rappresenta il tasso istantaneo della PP per t→0, cioè indica il tasso al quale determinati organismi producono una data quantità di materia organica. In altri termini, la produttività è la derivata rispetto al tempo della PP. Come sinonimo è molto utilizzato il tempo di turnover (turnover time) o rapporto produzione/biomassa che indica appunto il tempo in cui una unità di biomassa rinnova se stessa. In tal caso basta considerare un valore prestabilito della PP per determinarci il tempo di duplicazione. Negli ambienti terrestri le piante delle zone tropicali sono i maggiori produttori di biomassa, mentre gli oceani producono, con i 2/3 della superficie che occupano, circa 1/3 della PP totale del globo. I valori stimati con diverse metodiche sono riportati in uno dei prossimi paragrafi. E’ importante distinguere tra PP lorda (gross primary production), che indica la quantità totale di materia organica prodotta attraverso la fotosintesi (fotoassimilazione autotrofa, autotrophic photoassimilation) per unità di area o volume e per unità di tempo, e tra PP netta (net primary production), che indica la PP lorda al netto della respirazione autotrofa.

PRODUZIONE NUOVA E PRODUZIONE RIGENERATA

La materia organica nelle acque può essere di origine alloctona (allochtonous), esterna al sistema e immessa per esempio in mare attraverso corsi d’acqua, la pioggia, l’atmosfera o dall’uomo, oppure può essere autoctona (autochtonous), interna al sistema. Torneremo sulla classificazione della materia organica presente in mare. Quanto detto serve per distinguere tra produzione nuova, dovuta quindi all’organicazione di materia alloctona, e produzione rigenerata, dovuta all’organicazione di materia autoctona. All’interno della colonna d’acqua, nella zona eufotica (vedi definizione), si ha un ricircolo della materia organica autoctona e quindi il tasso di PP rigenerata è elevato. Nelle zone di upwelling, che sono zone di risalita di acque profonde, si ha invece non un ricircolo bensì un imput di materia organica, sopratutto NO3, che giunge dal fondo marino. In tal caso tale imput è da considerarsi alloctono e per questo in tali zone il tasso di PP nuova è sempre molto elevato.
Nel complesso i tassi di PP sono così suddivisi:

Distribuzione acqua

Produzione Primaria totale

Oceani

81%

50%

Aree costiere

18%

Zone di UpWelling

0.5%

50%

Questo dato è importantissimo, evidenzia che lo 0.5% del totale della superficie degli oceani produce da sola il 50% della PP. Non a caso le aree più pescose del mondo sono le aree costiere di upwelling del Cile, del Sud Africa e della costa Atlantica del Nord America. Gli oceani, immaginati erroneamente come pescosissimi, sono in realtà deserti biologici, proprio perchè la PP è molto bassa. Tassi di PP molto elevati si hanno durante la breve estate Artica e Antartica, anche in questo caso fondamentali sono le acque di risalita ricchissime di nutrienti e la luce solare.

FATTORI CHE INFLUENZANO LA PRODUZIONE PRIMARIA

I fattori responsabili delle variazioni temporali e spaziali del plancton sono detti fattori critici (critical factor) e tra questi, il più importante è il movimento dell’acqua (dominant factor). Tale movimento è responsabile del rimescolamento (mixing) e quindi del trasporto dei nutrienti in profondità e della distribuzione nella colonna della componente fitoplanctonica. Altrettanto importante è la radiazione luminosa. Complessivamente negli ecosistemi acquatici i fattori che influenzano la PP sono la luce e i nutrienti inorganici come fosforo, potassio o silice. Sono quindi diversi da quelli degli ecosistemi terrestri che sono, ricordiamolo, la temperatura e l’umidità. Per quanto riguarda tutta la parte descrittiva della radiazione luminosa in acqua, si rimanda ad uno dei prossimi articoli. Ricordiamo che la profondità alla quale giunge l’1% della radiazione solare incidente in superficie, corrisponde alla zona fotica o eufotica. In tale zona, caratterizzata da valori di temperatura e salinità abbastanza variabili, il fitoplancton è responsabile dell’intera produzione primaria. Nel caso in cui la stratificazione è assente, il plancton vegetale è ben distribuito nella colonna d’acqua, se si ha stratificazione esso risulta confinato negli strati superficiali per la presenza del termoclino che impedisce il rimescolamento. Sappiamo gia che la penetrazione della luce nell’acqua diminuisce in modo esponenziale con la profondità, questo determina una zonazione degli organismi marini che hanno evoluto precisi meccanismi fisiologici e biochimici. Per esempio le alghe adattate a basse intensità luminose sono dette sciafile, quelle adattate ad elevate intensità sono invece dette fotofile, e popolano gli strati superficiali. Per descrivere come la luce influenza la produzione primaria, possiamo esaminare la curva fotosintesi-luce (fig. 1):

Grafico1

Fig. 1. Andamento dell’attività fotosintetica (pa) in funzione dell’intensità luminosa Ic (mW / cm²)

Si osserva che la curva ha un andamento non lineare, con valori iniziali che salgono fino al raggiungimento di un plateau a cui corrisponde un valore, detto Intensità di saturazione. Per ulteriori aumenti dell’intensità Ic, si osserva un decremento più o meno pronunciato dell’attività fotosintetica, e che si manifesta con alterazioni fisiologiche dei cloroplasti delle cellule vegetali. Si parla in tal caso di fotoinibizione. Le risposte dei diversi produttori primari alle variazione dell’intensità Ic sono diverse. Le alghe verdi tollerano intensità luminose non particolarmente alti, mentre le dinoflagellate tollerano valori decisamente più elevati. Le diatomee si collocano in una posizione intermedia. Nell’asse verticale è possibile sostituire il valore dell’attività fotosintetica con il valore della produzione per unità di clorofilla. L’andamento delle curve per i diversi gruppi algali non cambia. Da tale andamento è possibile ricavare il rapporto ΔP / ΔIc, che per valori degli incrementi tendenti a zero, rappresenta la derivata e quindi la pendenza della curva in questione (fig. 2).

Grafico2

Fig. 2. Andamento della produzione per unità di clorofilla (cup) in funzione dell’intensità Ic

Tale pendenza coincide con la pendenza della curva fotosintesi-luce, e mostra come la PP, correlata alla cup, è dipendente unicamente dall’intensità luminosa. Mostra inoltre che in corrispondenza del plateau si ha per un certo range di Ic, un valore della pendenza e quindi della PP, che rimane costante. Questo significa che rimane costante il tasso di assimilazione. La pendenza iniziale definisce quella che è detta zona fotosintetica chiara, mentre in corrispondenza del plateau si parla di zona fotosintetica scura. In altri testi spesso si tratta questo argomento riportando sull’asse verticale il tasso netto fotosintetico (net) e sull’asse orizzontale l’intensità Ic. Questo permette di determinare il punto di compensazione, cioè il valore di Ic per cui il tasso netto fotosintetico è nullo. Le alghe sciafile hanno un basso valore del punto di compensazione, al contrario delle alghe fotofile. Il ruolo dei nutrienti è altrettanto importante. Il fitoplancton richiede nitriti, nitrati o ammonio come fonte di azoto, fosfati come fonte di fosforo, e nel caso delle diatomee silicati come fonte di silicee. Tratteremo nel dettaglio il ciclo dei nutrienti in un altro articolo, per ora ci limitiamo alle seguenti considerazioni. Gli oceani a differenza degli ecosistemi terrestri sono deserti biologici per la mancanza dei nutrienti elencati, con l’eccezione delle zone costiere, delle aree di upwelling e degli ambienti di transizione. Se ciò che limita la diffusione del fitoplancton alle maggiori profondità è la mancanza di luce, ciò che limita la sua diffusione in mare aperto è la mancanza di nutrienti. La diffusione di questi ultimi nella colonna d’acqua dipende poi da fattori quali il rimescolamento o la presenza del termoclino (vedere prossimo paragrafo), la stratificazione infatti determina la separazione dei nutrienti in parte in superficie ove sono rapidamente utilizzati, e in parte in profondità ove costituiscono una riserva che sarà disponibile alla scomparsa della stratificazione. Nella Fig.3 è riportato l’andamento della produzione lorda in funzione della profondità e dell’intensità luminosa:

Grafico3

Fig. 3. Andamento della PP lorda in funzione dell’intensità luminosa Ic (%) e della profondità.

Per concludere, ricordiamo che anche la velocità dell’acqua può indirettamente influenzare la PP perchè agisce quest’ultima sul net. Questo è importante sopratutto nei fiumi o nel caso dell’ambiente marino, in prossimità di quelle zone sottoposte a elevate regimi di corrente. Come può accadere questo? Ebbene l’acqua trasporta i nutrienti che sono captati e distribuiti con maggior efficienza dagli organismi bentonici man mano che sale la velocità dell’acqua. Solitamente con l’incremento della velocità dell’acqua si ha un incremento del net, anche se valori eccessivi possono avere effetti stressanti sugli organismi. Quindi i fattori che influenzano il net sono numerosi e calcolare i valori di PP sul lungo periodo è sempre difficoltoso (W. K. Dodds, Freshwater Ecology).

IL RAPPORTO F-ratio

Il rapporto F-ratio indica la frazione della produzione nuova sul totale della produzione, si ha:

F-ratio = produzione nuova / (produzione nuova + produzione rigenerata)

Nelle aree di upwelling altamente produttive tale rapporto può essere maggiore di 0.8, ossia l’80% della produzione è rappresentato dalla produzione nuova.  Gli ambienti costieri in generale hanno valori compresi tra 0.3 e 0.7, mentre negli ambienti oceanici F-ratio è sempre inferiore a 0.3.
Un caso particolare è rappresentato dalle zone tropicali, in molti casi questi ambienti non ricevono elevati apporti fluviali, inoltre l’intensità luminosa è sempre elevata e la stratificazione con presenza del termoclino è permanente. La conseguenza è che la totalità della produzione è quasi del tutto rappresentata da produzione rigenerata, nulla può essere perso altrimenti non è più recuperabile. Dal punto di vista ecologico questo è evidente osservando la taglia degli organismi. Le diatomee tropicali sono piccole, così come lo sono gli altri produttori primari, questo perchè in tal modo la sedimentazione è più lenta e, inoltre sono di minori dimensioni le particelle fecali (fecal pellets). La PP influenza quindi anche la taglia degli organismi fitoplanctonici.

PRODUZIONE PRIMARIA E VARIAZIONI TEMPORALI E SPAZIALI DEL PLANCTON

Le variazioni del plancton possono essere: -a breve termine: i periodi di sviluppo e di vita del fitoplancton sono generalmente brevi. I tassi di riproduzione (double time o tempo di duplicazione) del batterioplancton sono compresi tra 3 e 24 ore, quelli del fitoplancton vanno da 1,2 giorni a –in casi rari- 5 o 6 giorni, con il ciclo vitale che termina dopo una settimana. -a medio lungo termine: i tassi di duplicazione dello zooplancton sono variabili, si va da 1 settimana per i Protozoi, 2 o 3 mesi per i Copepodi, fino a 2 anni per gli Eufasiacei antartici. Ciò che condiziona l’inizio di ogni ciclo come ormai sappiamo, è la disponibilità dei nutrienti e la radiazione luminosa. Soddisfatte queste condizioni ciò che si intende valutare è il rapporto produzione/biomassa. Sia il batterioplancton che il fitoplancton hanno rapporti P/B o tempi di turnover molto alti, quindi hanno elevati tassi di crescita. Lo zooplancton invece ha tassi di riproduzione correlati alla taglia. Maggiori sono le dimensioni e minore è il rapporto P/B con conseguente maggior lunghezza del ciclo vitale. In termini empirici la PP è inversamente proporzionale alla taglia, ma non esiste nessuna relazione matematica e nessuna legge per relazionare queste osservazioni.

ANDAMENTO DELLA PP NELLE ZONE TEMPERATE

Nelle zone temperate i cicli che regolano l’andamento della produzione primaria sono in sintonia con le stagioni. Durante la stagione invernale i nutrienti, per assenza di stratificazione, sono distribuiti in modo omogeneo nella colonna d’acqua, anche se è possibile riscontrare un massimo di concentrazione a determinate profondità. In primavera con l’aumento della radiazione solare si ha il primo bloom fitoplanctonico seguito da quello dello zooplancton. Con l’avvento dell’estate lo strato superficiale è impoverito dei nutrienti per la presenza del termoclino, che impedisce il rimescolamento e quindi il rifornimento dal fondo del materiale inorganico. Nel frattempo lo zooplancton riduce la massa fitoplanctonica e diviene dominante nella stagione estiva. Con l’autunno inizia il rimescolamento della colonna d’acqua, che viene rifornita dei nutrienti, si ha così il secondo bloom fitoplanctonico. Questo è quello che accade, descritto con argomenti semplici, nelle zone temperate. Il Mediterraneo è sostanzialmente un bacino oligotrofico nonostante alcune aree costiere siano eutrofiche, perchè l’acqua che penetra attraverso lo stretto di Gibilterra è povera di nutrienti. Le stesse acque dopo un periodo più o meno lungo se ne escono dallo stretto con un 10% di sale in più (si passa dal 35.0 al 38.5 per mille) a causa della evaporazione intensa e dello scarso apporto di acque dolci, poiché sono trascurabili i contributi dei fiumi (Nilo, Danubio). Da ricordare che il Rodano apporta notevoli quantità di nutrienti. Nel bacino Mediterraneo ci sono anche alcune aree di upwelling come quelle dello stretto di Messina e nel mare di Alboran. A causa di una situazione come quella descritta, nel Mediterraneo si ha un andamento della concentrazione dei nutrienti in calo da ovest verso est, in minor misura da nord verso sud. L’eccezione riguarda il mare Adriatico che, con una produzione media annuale di 250 gr C / m², con valori massimi di 600-700 gr C / m², è uno dei mari più produttivi al mondo (valori più recenti ridimensionano i valori di PP a 60-70 gr C / m² all’anno, che sono inferiori di 5 o 6 volte a quelli stimati fino ad ora). Un altro caso da ricordare è la produzione del mar Ligure, che presenta differenze marcate tra levante e ponente a causa della differente conformazione, a occidente, del fondo marino. Vi è infatti un canyon sottomarino che provoca upwelling e quindi distribuzione a patch dei nutrienti, con maggior PP nel versante di ponente. Tornando al Mediterraneo a oriente la PP scende fino a 20-30 gr C / m² all’anno. Responsabile di questo è la distribuzione a patch dei nutrienti che frammenta conseguentemente anche la PP. Margaret e la sua allieva Estrada dimostrarono che i massimi valori di PP sono subsuperficiali, fino a 10 m sotto la superficie del mare. L’accumulo di masse fitoplanctoniche negli strati subsuperficiali è detto DCM (deep chlorophyll maximus). La DCM si trova in profondità nei mari limpidi, si arriva anche a 100-150 m dei bacini orientali, mentre è collocata intorno a 60-110 m nei bacini occidentali. Dunque la PP è limitata dai nutrienti, ma a parità di biomassa è importante il differente utilizzo dei nutrienti (nel Mediterraneo a parità di biomassa, la PP è circa 3 volte maggiore a occidente perchè risulta 3 volte maggiore l’efficienza fitoplanctonica di utilizzo dei nutrienti). Tale efficienza (PE, planctonic efficient) è un indicatore di N-limitazione.

PECULIARITÀ DEL MEDITERRANEO

Il Mediterraneo è in generale un bacino oligotrofico e trasparente al pari di un mare tropicale, con un’elevata componente autotrofa di piccola taglia (picofitoplancton). Il picofitoplancton da solo costituisce il 31% della componente autotrofa, che sale al 44% nelle acque neritiche e al 71% nelle acque lontane dalle coste (nel mar Ionio si arriva fino al 92%). Sono abbondanti cianobatteri e cellule eucariote (tra 100.000 e 1 milione di cellule per litro), in equilibrio intorno a questi valori durante tutto l’anno.

LA PRODUZIONE PRIMARIA NEGLI OCEANI

Negli oceani la PP è variabile e i fattori generali che ne influenzano l’andamento sono diversi. Molto importanti, oltre alla latitudine, sono l’andamento delle correnti oceaniche e i profili dei continenti che ne influenzano l’andamento. In ogni caso le acque maggiormente produttive sono quelle in prossimità delle coste, soprattutto se ricevono gli apporti dei grandi fiumi. Al contrario poco produttive sono le acque centrali di tutti gli oceani. Oceano Atlantico: È caratterizzato a sud dell’equatore e alle medie latitudini da una circolazione antioraria, mentre a nord in prossimità del Mar dei Sargassi da una circolazione oraria. In quest’ultimo caso si ha una produzione primaria di circa 100 mg. C / m.quadro al giorno. Molto produttive sono le zone del sud Africa a causa di correnti di upwelling fredde e ricche di nutrienti, nonché alcune aree orientali delle coste nord americane. Oceano Pacifico: Il nord Pacifico risulta meno produttivo del nord Atlantico. Alcuni biologi hanno suggerito che in tale zona il pascolo ad opera dello zooplancton sia tale da impedire bloom fitoplanctonici, ma ricerche recenti hanno proposto che in realtà il fattore limitante sia il ferro, poco disponibile in tali zone. Molto elevata la produzione delle zone di upwelling delle coste occidentali sud americane (Perù, Cile). Nel complesso il Pacifico è più produttivo dell’Atlantico. Oceano Indiano: Le zone maggiormente produttive sono quelle delle coste della Somalia, dell’India e nel mare di Arabia. Sono le zone di maggior apporto da parte dei monsoni stagionali che scendono dall’Himayala. Nelle acque centrali la produzione è invece molto bassa. Oceano Antartico: Per circa 100 giorni all’anno è l’oceano con il più alto valore di produzione primaria, fino a 1 gr. di carbonio per metro quadro al giorno. Questo dipende oltre che dalla stagione, al forte apporto di nutrienti delle correnti di upwelling che lambiscono le coste del continente. Oceano Artico: Durante l’estate la produzione può eguagliare quella dell’oceano Antartico. Produzione globale: La stima reale della produzione primaria in tutto il globo è stata ottenuta con diversi metodi di indagine e i risultati ottenuti non sono concordanti. Riassumiamo i valori attualmente disponibili e ottenuti con diverse metodiche:

100-200
50
140
125

gr. C /m² anno
gr. C /m² anno
gr. C /m² anno
gr. C /m² anno

per estrapolazione con il C14-method
secondo Ryther 1969
Satellite Color Scanning method
secondo Krebs, 1972

Una caratteristica degli ambienti marini, come gia detto, è quella di avere PP elevate in prossimità di determinate aree costiere, mentre risultano essere dei veri deserti biologici in aree lontano dalle masse continentali. Inoltre, dato molto importante, gli oceani hanno il più elevato rapporto tra PP netta e biomassa, questo perchè gli organismi fitoplanctonici marini non hanno le strutture di sostegno propri della vegetazione della terraferma. Nel complesso gli ambienti terrestri sono più produttivi ma l’estensione degli oceani è maggiore e da soli concorrono ad una produzione globale che corrisponde alla metà dell’intera PP del pianeta. Ogni anno sono organicati circa 170 x10 (exp19) joules di energia, che equivalgono a 100 x (10 exp9) tonnellate di C equivalente. Anche questi dati sono comunque non definitivi, secondo Harte (1985) la PP ammonterebbe a 300 x (10 exp9) joules, la differenza tra le due stime è a dir poco enorme. Del totale, solo l’1% è utilizzato dall’uomo a scopo alimentare.

METODI DI MISURA DELLA PRODUZIONE PRIMARIA

Sono diverse le metodiche utilizzate:

1 - valutazione gravimetrica, si isolano meccanicamente da un volume noto di acqua gli organismi ivi contenuti, per poi misurarne la massa ed estrapolarne il risultato. La separazione non è tale da consentire la dissociazione tra organismi vivi e detrito organico, per cui si ha sempre una sovrastima della produzione primaria.

2 - conteggio diretto, metodo tedioso e dispendioso, si basa sul conteggio al microscopio delle cellule del fitoplancton per determinarne il rispettivo biovolume. Non è possibile conteggiare la componente picoplanctonica, per cui i risultati sono delle sottostime rispetto ai reali valori. Le cellule visibili sono disposte su un reticolo microscopio e si contano quelle contenute all’interno di alcuni riquadri del reticolo e statisticamente tramite fattori di conversione si stabilisce il numero totale di cellule.

3 - misure del contenuto di ATP (AdenosinTriFosfato), il metodo si basa sul calcolo del contenuto di ATP presente all’interno di un volume noto. Nonostante sia possibile eliminare dal conteggio l’ATP derivato da organismi eterotrofi, anche se non è così semplice, il risultato è anche in tal caso una sovrastima del reale valore della produzione. Occorre un fattore di conversione per passare dal contenuto di ATP al contenuto di carbonio. Un’altro svantaggio è che la quantità di ATP è variabile con l’attività metabolica degli organismi. In genere il rapporto in peso si determina dalla proporzione C:ATP=1:250.

4 - misure del contenuto del DNA, tale contenuto è, all’interno delle cellule, indipendente dall’attività metabolica e questo è senza dubbio un vantaggio, ma non è possibile distinguere il DNA detritiale o di organismi eterotrofi che è presente nei campioni sempre in abbondanza, con valori che possono arrivare anche all’80% del totale. Con l’RNA non è possibile fare altrettanto perchè la sua concentrazione dipende dall’attività metabolica delle cellule (sintesi proteica).

5 - misure di clorofilla a, tale metodo è molto utilizzato, necessita però di un fattore di correzione variabile con l’attività metabolica delle cellule. Il rapporto C/clorofilla è compreso infatti tra 21 e 154 (valori espressi in termini di peso).

I metodi del DNA e dell’ATP sono utili per determinare in un volume noto e ad un tempo determinato la totalità della biomassa autotrofa e eterotrofa, definita dagli anglosassoni con il termine di standing crop.
Il metodo della clorofilla a, approssimativamente ci fornisce invece una stima dello standing crop autotrofo. La misura di questo parametro è difficoltosa nell’oceano perchè la distribuzione del fitoplancton è a chiazze (patch), così le stime di laboratorio si riferiscono non ad una distribuzione media della biomassa ma ad una data zona di campionamento.

6 - metodo della bottiglia (light-dark bottle method), in mare si utilizza spesso questo metodo, che consiste nel calare una fune con attaccate ai lati una bottiglia chiara ed una scura. Ogni coppia di bottiglie dista da un’altra coppia di un valore preciso predeterminato, in modo tale da poter campionare a profondità differenti. La fune viene così calata e le bottiglie, di volume compreso tra 0.1 e 1 litro, aperte a profondità nota. Poi esse vengono recuperate e poste in incubazione per un periodo variabile da 1 a 24 ore. In laboratorio l’intensità di luce per l’incubazione è tale da eguagliare l’intensità della profondità di campionamento. Nelle bottiglie scure la fotosintesi non può avvenire, mentre prosegue in quelle chiare, quindi basterebbe teoricamente determinare la differenza di concentrazione tra bottiglie chiare e bottiglie scure, al netto della quantità di ossigeno consumato con la respirazione. A questo punto per determinare la concentrazione di ossigeno esistono metodi diversi. In passato era molto utilizzato il metodo di Winkler, che è un metodo chimico, oppure si forniva al campione raccolto della CO2 o NaHCO3 (bicarbonato) marcati con Carbonio 14 radioattivo (C14-method), che viene incorporato dagli organismi e che può essere misurato tramite uno scintillatore. La PP è proporzionale alla percentuale del livello di radioattività. Il risultato ottenuto lo si confronta con quello dei campioni contenuti nelle bottiglie scure al fine di determinarne la differenza. Un piccolo problema nasce dal fatto che il carbonio 14 viene incorporato più lentamente del normale carbonio 12 e quindi è necessario un fattore di conversione. Studi di qualche anno fa hanno evidenziato che nel caso del metodo del C14 i valori ottenuti della PP sono in realtà sottostime dei reali valori, questo in particolare avviene quando si applica il metodo in acque povere di nutrienti e con basse concentrazioni di fitoplancton. Se indichiamo con Oi la concentrazione iniziale di ossigeno nelle bottiglie chiare e scure contenenti materiale campionato alla medesima profondità, con Or l’ossigeno consumato attraverso la respirazione, e infine con Of quello ottenuto attraverso la fotosintesi, allora dopo un certo tempo di incubazione, nella bottiglia chiara la quantità di ossigeno Obc vale:

Obc = Oi + Of – Or

mentre l’ossigeno contenuto nella bottiglia scura Obs, dopo il periodo di incubazione vale:

Obs = Oi – Or

sottraendo i due valori si ottiene:

Obc – Obs = (Oi + Of – Or) – (Oi – Or) = Of

Essendo noti i valori Oi, Obc  e Obs prima e dopo l’incubazione, risalire agli altri valori è semplice. Generalmente il termine Of è indicato nei testi di biologia ed ecologia marina con la lettera P (P = photosyntesis). A questo punto è necessario convertire i valori ottenuti in termini di biomassa, cioè è necessario trasformare le unità di ossigeno ottenute, che da sole sono ancora poco informative,  in unità di carbonio. L’unità di conversione è detta quoziente fotosintetico (photosynthetic quotient), e ha i seguenti valori:

photosynthetic quotient

se ci si riferisce a:

1

esosi

1.05

proteine (se la fonte è ammonio)

1.4

lipidi

1.6

proteine (se la fonte è nitrato)

 

7 - Satellite Color Scanning, su scala maggiore le metodiche per la misura della PP si avvalgono dell’aiuto dei satelliti (Satellite Color Scanning, SCS). La componente della radiazione visibile dello spettro solare che colpisce la superficie dell’oceano è detta irradianza (irradiance), mentre la componente ritrasmessa è detta radianza (radiance). Quest’ultima viene misurata dai satelliti attraverso il color scanner. In tal modo semplificando, è possibile risalire alla PP netta:

NPP = APAR  e

dove NPP è la produzione primaria netta, APAR è la componente assorbita della radiazione solare fotosinteticamente attiva, e è il tasso di efficienza di utilizzazione. Per conoscere quest’ultimo termine occorrerebbe teoricamente conoscere in ogni luogo la relazione tra concentrazione dei pigmenti e PP, così i valori ottenuti con questo metodo sono una media del reale valore della PP. In tal caso il metodo ci informa indirettamente sul valore della PP, mentre risulta reale la stima dello standing crop.

8 - PPF (Pump and Probe Fluorometer). Attraverso speciali fluorometri detti PAM (pulse amplitude modulated) è possibile misurare l’attività fotosintetica. Attraverso varianti dette FRR (fast repetition rate) è possibile invece misurare il tasso istantaneo fotosintetico. Il principio nei due casi si basa sul fatto che i pigmenti divengono fluorescenti se esposti in sequenza a luce ultravioletta. L’ammontare della fluorescenza ci da informazioni sul totale dei pigmenti presenti in un dato campione, ma non è necessariamente proporzionale all'attività fotosintetica e quindi al valore della PP. Si tratta di un metodo rapido e facile da mettere in praitica.