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31 OTTOBRE

TARTARUGA MARINA NELLA RETE DEI PESCATORI
Ha rischiato di morire una volta che, molto probabilmente, è rimasta impigliata in un rete da pesca. Coccinella, così è stata chiamata, è una grossa tartaruga marina Caretta caretta, di un metro di lunghezza e 43 chilogrammi di peso. Galleggiava al largo di San Foca, in provincia di Lecce, dove è stata notata da alcuni diportisti che hanno allertato la Capitaneria di Porto. Recuperata non senza difficoltà, Coccinella è stata affidata la Centro recupero tartarughe marine del Museo di Calimera (LE).
Motivo per il quale Coccinella galleggia sempre, l’apnea forzata che probabilmente ha dovuto subire a causa della rete. Le tartarughe marine infatti, variano la profondità di immersione grazie ai polmoni. Quando rimangono bloccate sott’acqua, esaurita la scorta d’aria, iniziano ad inspirare acqua. Evidentemente Coccinella è riusciuta lo stesso a raggiungere la superficie, ma ormai si era instaurato un quadro patologico ai danni dell’apparato respiratorio. Ciò ha alterato non solo la sua capacità di immergersi e risalire, ma anche la stessa capacità di mantenere un assetto corretto in acqua.
"Coccinella ha già iniziato la terapia – ha dichiarato Chiara Caputo, della Rete TartaSalento che si occupa proprio del recupero delle tartarughe - Fortunatamente la sua prognosi è positiva e molto presto potrà tornare nel mare del Salento". Fonte: GeaPress.

DOPO FUKUSHIMA: TONNELLATE DI RIFIUTI SULLA WEST COAST E LE HAWAII
Cominciano a vedersi i primi danni del dopo Fukushima. Questa volta non si tratta, per fortuna, di ulteriori vittime, di alimenti e oggetti contaminati dalle radiazioni, ma di rifiuti, tonnellate di rifiuti che si stanno riversando sulla West Coast e nelle splendide spiagge delle Hawaii. Nel giro di pochi mesi arriverranno lungo le coste degli USA circa 20 milioni di tonnellate di rifiuti tra relitti di barche, frigoriferi, pezzi di abitazioni, milioni di frammenti di detriti che dalle coste del Giappone viaggiano noncuranti verso gli Stati Uniti.
Lo tsunami di rifiuti come è stato ribattezzato il gruppo di macerie del dopo Fukushima, si trova ad oggi a circa 3.200 km dalle coste del Giappone ed è diretto verso le Isole Midway e, arriverà alle Hawaii, nei primi mesi del 2013. I rifiuti di ogni sorta dopo la prima tappa nelle Hawaii faranno rotta nella West Coast. Attesi per il 2014, si riverseranno con ogni probabilità lungo le coste dell’Oregon e dello stato di Washington; le spiagge della California dovrebbero essere escluse dall’infelice corrente oceanica. Fonte: Ecoblog.

MORIA DI VONGOLE IN LAGUNA: IL CASO DEI FRATELLI DORIA
Prosegue l'inchiesta mossa dai coraggiosi fratelli Doria, allevatori di vongole che hanno perso 900 quintali di prodotto dopo l'escavazione per i lavori del MOSE. Giustamente, non hanno investito nuovi capitali con il rischio di perdere nuovamente tutto, poiché la causa della moria di vongole non è stata chiarita. Le motivazione avallate dal Presidente Magistrato alle Acque, proposte ieri sera alla trasmissione Report durante una intervista disponibile qui, sono tanto banali quanto improbabili, mentre risultano più convincenti (ma da dimostrare) le ipotesi di un ingegnere sanitario della locale ASL, che associa la massiva moria dei molluschi alle grandi quantità di ammoniaca liberatasi in seguito alla movimentazione dei sedimenti più profondi e anossici. L'ammoniaca è molto solubile in acqua e, forse in sinergia con altri composti dell'azoto (solfuri) e con la complicità delle correnti locali, avrebbe determinato la moria dell'intero allevamento di vongole. Altri allevatori hanno lamentato la perdita di mitili, sempre in prossimità dei luoghi di escavazione, ma di fatto i fratelli Doria sono rimasti soli nella loro battaglia.
Ora, dopo la rischiesta dell'archiviazione del caso, i fratelli Doria hanno presentato ricorso e l'inchiesta è finita nelle mani di un guidice ancora da nominare.

30 OTTOBRE

BALENA INCAGLIATA AL PORTO DI SAVONA
Continuano gli avvistamenti di balene nel porto di Savona. Dopo le due balenottere avvistate lo scorso 9 ottobre, ieri tre nuovi avvistamenti, uno dei quali, purtroppo, finito male.
Mentre dei primi due cetacei avvistati nel porto ieri pomeriggio, non vi sono stati poi riscontri da parte della Capitaneria di Porto (gli animali si erano già immersi al largo del porto), per la terza balena si è trattato di dovere recuperare il suo copro. Era adagiata sul fondo di otto metri e con la testa intrappolata nella struttura della banchina.
Il recupero, considerata l’ora tarda, è stato effettuato stamane. Un maschio di otto tonnellate e dodici metri di lunghezza. Un giovane di circa due, tre anni al massimo. Forse un’altra balenottera comune, questa volta, però, con un finale tragico. L’esame autoptico chiarirà come è morto il cetaceo. Trattasi, come è noto, di mammiferi. Se i polmoni si troveranno pieni d’acqua, vorrà dire che l’animale è rimasto intrappolato morendo annegato nell’impossibilità di tornare in superficie per respirare.
Sul luogo, oltre che alla Capitaneria di Porto di Savona, anche il personale dell’autorità portuale e dell’ASP.
Savona, come tutta la costa ligure, fa parte del bacino corso-liguro-provenzale, ovvero il famoso santuario dei Cetacei. Fonte: GeaPress.

29 OTTOBRE

BLINKY, IL PESCE CON TRE OCCHI Blinky pesce con tre occhi
Dopo lo squalo ciclope (vedere news del 14 ottobre), arriva il pesce con tre occhi. Subito ribattezzato Blinky, dal nome del pesce transgenico che appare nei Simpsons. Pescato in Argentina, in un lago artificiale chiamato Chorro de Agua Caliente, nei pressi della centrale nucleare di Embalse, in provincia di Córdoba. La notizia la riporta il portale sudamericano Cadena3.
La gente ora è preoccupata di possibili legami tra il pesce a tre occhi ed i livelli di radioattività nell’area. Al momento il pesce si trova nel freezer di uno dei pescatori. Verranno effettuati alcuni esami e poi verrà imbalsamato. Fonte: EcoBlog.

MESSICO: ARRIVA L'URAGANO RINA
L’Uragano Rina è a circa 300 Km dalla penisola dello Yucatan e potrebbe raggiungere le coste caraibiche nelle prossime ore. Migliaia di turisti a rischio sulle assolate spiagge del Messico, ma quello che più preoccupa è il grado di allerta e le possibili consequenze che l’uragano potrebbe avere sulla popolazione locale. Il comitato operativo specializzato ha dato all’uragano Rina la categoria 2 della scala Saffir-Simpson.

28 0TTOBRE

ALLUVIONE LIGURIA E TOSCANA 3: L'INGENUITÀ DEGLI AMMINISTRATORI
Non ci meravigliano, per l'ennesima volta, i commenti di quanti dovrebbero correttamente amministrare il territorio, soprattutto se a rischio idrogeologico come lo sono i territori della Liguria e della Toscana colpiti dalla tragica alluvione. Purtroppo anche ieri sera, in una delle tante trasmissioni televisive dedicate, i sindaci dei paesi colpiti sono intervenuti 'facendo' i geologi e ostentando soluzioni che mai hanno funzionato e che mai funzioneranno. In particolare il sindaco di Brugnato ha parlato di pseudointerventi relativi all'escavazioe dell'alveo del fiume e alla pulizia degli argini. Un fiume con l'alveo più profondo, secondo la logica, non sarebbe esondato. Purtroppo è esattamente il contrario: gli interventi di ingnegneria idraulica come l'escavazione e l'arginatura dei corsi d'acqua sono sempre stati fallimentari. Inutile anche la logica palesata dall'ex sindaco di Aulla, Lucio Barani, che è intervenuto raccontando degli argini realizzati nei primi anni '60 e che furono poi raddoppiati nel 2001, su indicazione e progettazione del Genio Civile. Ancora non si è compreso che argini più alti, di 30 cm o di un metro, servono davvero a poco se si costruisce a pochi metri da un corso d'acqua o adirittura entro il suo alveo. Il fango e i detriti sono arrivati al solaio dei primi piani degli appartamenti, colmando vie e ogni anfratto disponibile; ovviamente un alveo escavato sarebbe stato colmato immediatamente, come sempre accade, vanificando il tempo speso per lavori inutili quanto dannosi e antieconomici.
Purtroppo la polemica non si spegnerà presto, i mancati avvisi alla popolazione di Pontremoli hanno generato sentimenti di rabbia, poiché l'ondata d'acqua sembra abbia impiegato un paio di ore per giungere ad Aulla, il che se è vero, avrebbe permesso di salvare cose e soprattutto la vita di coloro che l'hanno persa.
Inutile anche affermare che mai si era verificato un evento del genere, la storia delle piene è lunga e la memoria si perde facilmente. Inutile affermare che ad Aulla quel giorno non stava piovendo, come è inutile concepire gli interventi sul territorio secondo vecchi schemi costosi, che fanno gola a molti ma che si rivelano sempre e comunque fallimentari.
Diamo la parola a geologi, a esperti di ingegneria naturalistica, a ecologici e per la prima volta tagliamo fuori ingegneri idrauli che concepiscono il fiume come un canale di scolo, atto solo a defluire il più velocemente possibile le acqua che lo alimentano.
E poi basta con i vari Mario Giordano, ce ne sono davvero troppi, e talmente presuntuosi da evocare soluzioni più fallimentari di quelle gia attuate e soprattutto antiscientifiche e basate su logiche vetuste. Diamo voce, per una volta nella storia del nostro paese a quanti davvero sono in grado di proporre soluzioni concrete, basate sullo studio del territorio concepito come ecosistema nella sua globalità. Emarginiamo ignoranza e superficialità a favore di chi ha le risorse culturali per intervenire su un territorio gia compromesso da decenni di malagestione.

27 OTTOBRE

MICROFIBRA DA SPIAGGIA
Un gruppo internazionale diretto da Mark Browne, ha rilevato una concentrazione di fibre sintetiche sulle spiagge di tutti i continenti, Antartide compresa, un inquinamento invisibile il cui impatto sugli ecosistemi costieri resta da chiarire.
Alcuni colleghi che avevano indossato esclusivamente indumenti in fibra naturale per non contaminare i prelievi, hanno inviato a Mark Browne e colleghi dell' University College di Dublino, campioni di sabbia bagnata presi su 18 spiagge rappresentative dei principali ecosistemi costieri tra il polo Nord e il polo Sud, passando dal Dubai. Gli irlandesi hanno separato i granelli dagli altri ingredienti, nella poltiglia rimanente hanno contato il numero di 'microplastiche' presenti e ne hanno identificato la composizione chimica con spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier: dal 65 all’80% erano fibre acriliche o di poliestere.
Siccome la distribuzione di particelle naturali fluttuava poco da un posto all’altro, la concentrazione di microfibre doveva avere un’origine antropica. Per dimostrarlo, sono stati analizzati anche i sedimenti marini prelevati attorno agli sbocchi di fognature urbane, con e senza depuratori. Come da ipotesi, in prossimità delle grandi metropoli la concentrazione arrivava fino a 300 fibre sintetiche per 250 ml di volume, rispetto a due o tre nelle zone poco abitate, e i depuratori facevano poca differenza.
Per fugare gli ultimi dubbi sulle fonti di inquinamento, una serie di esperimenti in 'lavatrici di uso domestico' ha consentito di stabilire che ogni unità di indumenti quali felpe, spugne, camice ecc. rilasciano oltre 1.900 fibre a lavaggio. In precedenza, Mark Browne aveva anche osservato che le microplastiche penetrano nelle cellule di organismi che filtrano l’acqua di mare per cibarsi dei suoi nutrienti come le cozze e le ostriche. Finora non paiono risentirne e nemmeno noi. Fonte: OggiScienza [modificato].

ALLUVIONE LIGURIA E TOSCANA 2
Le immagini che giungono dalla Liguria e dalla Toscana, in particolar modo quelle aeree, mostrano uno scenario drammatico. Ci spiace doverci ripetere, ma situazioni quale la cementificazione selvaggia e la costruzione di edifici quasi a ridosso dei corsi d'acqua hanno amplificato il problema. Le piogge sono state eccezionali, 260 mm di pioggia per sei ore di seguito, significa che in 100 metri quadri in quelle sei ore sono caduti 26 metri cubi di acqua. Una quantità immensa. Purtroppo ancora una volta ci sono delle vittime. Sei in totale, una delle quali ancora da identificare.
In queste ore televisione e giornali ripetono le cose di sempre, la mancata previsione, la mancata prevenzione, il tributo di vite umane e la gestione in emergenza. Ma a parte queste, che sono argomentazioni che son ben conosciute da chi si occupa di ecologia e del territorio, stupisce il fatalismo dei politici che, senza far nomi e, senza che nessuno avesse chiesto spiegazioni in merito, si giustificano e argomentano con dati spesso errati e presi chissà dove. Inutile parlare di fondi FAS che alla fine non possono essere stanziati ne per la prevenzione ne per le emergenze perchè per l'85% sono destinati per legge alle regioni del sud. Ed è completamente antieconomico spendere in emergenza quando la prevenzione costa e costerebbe da 5 a 7 volte in meno. E poi anche i fondi, quando ci sono, sono destinati a certe aree piuttosoto che a tutte quelle che ne hanno una reale necessità. Lo scorso anno, la regione Veneto ricevette i fondi per la ricostruzione, mentre la Toscana e i piccoli comuni di Massa in particolare, anche lo scorso anno interessati dalle alluvioni, non ricevettero nemmeno un euro. Come fare prevenzione in quete condizioni? Praticamente la stessa domanda se la sono posti i sindaci intervenuti ieri sera nella trasmissione Matrix, dove hanno partecipato tra gli altri, il Ministro Castelli, il geologo Mario Tozzi e Ermete Realacci di Lega Ambiente. Le immagini trasmesse e le testimonianze degli abitanti dei luoghi colpiti sono state alquanto drammatiche. Al momento della scrittura, non è stato ancora recuperato il corpo del volontario della protezione civile trascinato via dall'acqua e dai detriti.

SEMINARIO LEGA PESCA PER ADEGUAMENTO A NORME UE
Scatta dal 1 gennaio 2012 la stretta della UE sul controllo e la certificazione delle potenze motore dei pescherecci. Lega Pesca ritiene indispensabile non farsi trovare impreparati ed attrezzarsi per favorire l' adeguamento alle nuove e complesse norme comunitarie, che comporteranno nuovi adempimenti e oneri a carico delle imprese. A tal fine l'Associazione ha organizzato un seminario tecnico-informativo rivolto agli operatori per illustrare modalità, metodologie, parametri e criteri che saranno adottate per la realizzazione dei controlli, cui hanno partecipato tecnici del RINA (l’ing. Lino Ballarin, il dott. Antonio Ferraro, l’ing. Stefano Grigioni e l’ing. Antonio Liguori), del CNR/ISMAR (il dott. Gabriele Buglioni, l’ing. Emilio Notti ed il dott. Antonello Sala).
L'Italia è chiamata a predisporre un piani di campionamento sulla base del quale, a partire dal 1 gennaio 2012, effettuare delle verifiche per controllare l’effettiva potenza massima continua dei motori all’asse. Inoltre, dal 1° gennaio 2013 è obbligatoria la certificazione della potenza motrice massima per i motori di propulsione nuovi, o modificati sotto il profilo tecnico, per i pescherecci la cui potenza è superiore a 120 Kw. Vengono esclusi dalle previsioni della normativa i pescherecci che utilizzano esclusivamente attrezzi fissi o draghe, le navi ausiliarie e le imbarcazioni utilizzate esclusivamente per l’acquacoltura. Eventuali inadempienze sui controlli espongono l'Italia al rischio di sospensione e soppressione dell'aiuto finanziario del FEP.
Dal confronto è emerso che il fenomeno delle irregolarità dovute alla mancata corrispondenza tra valori di potenza reali e valori dichiarati è più diffuso di quanto si presumesse, non solo in Italia ma anche in molti altri Stati membri, ma che per l'irremovibilità della Commissione non vi è alcun margine per ipotizzare qualsiasi intervento di rinvio, deroga o sanatoria. Il seminario ha consentito di focalizzare l'attenzione su alcuni punti, su cui Lega Pesca è pronta a rilanciare un confronto a tutto tondo sia con le Istituzioni nazionali che comunitarie, sia con i ricercatori le Università e gli esperti in materia.

Fonte: LegaPesca.

ALLUVIONE LIGURIA E TOSCANA 1
Purtroppo i geologi avevano previsto da tempo che, in Liguria, si sarebbe verificato un disastro causato dalle alluvioni. Il fiume di fango di Monterosso nella Val di Vara non è la faccia crudele della natura ma della stoltezza umana. Pochi giorni fa, esattamente sabato 22 ottobre, sulla trasmissione Ambiente Italia e proprio dalla Liguria, con una puntata intitolata L’Italia che crolla si parlava di alluvioni e dell'enorme rischio dei versanti liguri.
Dice a JulieNews, Giuliano Antonielli consigliere Nazionale dei Geologi:"Ben 470 chilometri quadrati sono ad elevato rischio idrogeologico e manca un Servizio Geologico . Ancora una volta la Liguria è in ginocchio. Bisogna rendersi conto che questo territorio fragile non è più in grado di sopportare eventi meteorici di una certa portata. La tutela del territorio deve essere una priorità e dunque bisogna cambiare l’approccio , la prospettiva . La tutela del territorio è una questione culturale e bisogna essere consapevoli del fatto che il dissesto idrogeologico ha un costo enorme". Fonte: Ecoblog.

25 OTTOBRE

FOSSA DELLE MARIANNE: FILMATI I PROTOZOI GIGANTI Xxenophyophores
La Fossa delle Marianne, con i suoi 10.902 metri di profondità riserva sempre nuove sorprese.
I ricercatori dello Scripps Institution of Oceanography e del National Geographic hanno installato qualche mese fa alcune dropcams, ovvero delle telecamere ad alta risoluzione, alloggiate entro una camera circolare in vetro (glass bubble) e dotate di fari utilizzati per attirare gli animali delle profondità marine, ideate negli anni '60 dal professore John Isaacs dello Scripps Institution of Oceanography. Le dropcams sono state poi aggiornate dagli ingegneri della National Geographic Society.
Grazie all'ausilio delle dropcams i ricercatori sono riusciti a filmare i protozoi del genere Xxenophyophores, le cui cellule possono raggiungere i 10 cm. di lunghezza. I protozoi sono stati filmati a 10.641 metri all'interno della Sirena Deep of the Mariana Trench.
Si tratta dei primi protozoi di questo genere mai osservati a tali profondità: il record precente era stato registrato nella Fossa delle Nuove Ebridi, in una zona di 7.500 metri di profondità.
I protozoi del genere Xxenophyophores sono poco conosciuti, possono accumulare uranio e mercurio, poiché si presume abbiano sistemi di detossificazione altamente efficaci. Sono dominanti nel loro ambiente e colonizzano il fondale con 2.000 individui circa ogni 100 m2; purtroppo il loro studio è complesso, riportarli in superficie equivale a ucciderli e inoltre si disfano molto facilmente.
I protozoi giganti condividono il loro ambiente con altri protozoi più piccoli e usuali, come i foraminiferi; nel 2005 sono stati recuperati 432 foraminiferi dalla Challenger Deep. Fonte: LiveScience.

NUOVE REGOLE EUROPEE PER LE PERFORAZIONI IN MARE
Nuove regole europee, più rigide e rigorose, dovranno essere rispettate dalle compagnie petrolifere per le perforazioni in mare nei tratti entro le 200 miglia dalle coste europee. Lo ha stabilito la Commissione Europea rompendo la prassi che prevedeva norme che incidevano soltanto nella fascia costiera, entro le 12 miglia. Le compagnie petrolifere che effettuano perforazioni in acque UE dovranno rendere pubbliche le loro procedure di sicurezza dettagliatamente e dimostrare di essere solvibili in caso di incidenti. Lo scopo è quello di verificare se la compagnia X è in possesso delle risorse necessarie per (provare a) ripulire il mare e le coste in seguito ad un incidente su una piattaforma. Una garanzia economica così stringente fino ad ora non era stata mai richiesta, ma non c’è da essere troppo contenti.
Queste regole, presentate dal commissario europeo per l’energia, Guenther Oettinger, non saranno vincolanti per le compagnie europee nel resto del mondo. Tanto per fare un esempio la Shell potrà continuare (se lo vorrà) ad applicare standard di sicurezza ridicoli, con perdite ormai endemiche e non accidentali, nei paesi più poveri e con i governi più corrotti nel sud del mondo, mentre nel Mare del Nord dovrà rispettare le rigide normative europee. Una contraddizione evidente, un’ipocrisia risolvibile con il semplice riconoscimento del fatto che "un europeo" (in questo caso una compagnia petrolifera europea) dovrebbe rispettare le regole europee anche quando opera in altri continenti. Fonte: Ecoblog.

24 OTTOBRE

CACCIA ALLO SQUALO BIANCO IN AUSTRALIA
Il primo 'ordine di uccidere' mai emesso contro uno squalo dalle autorità dell'Australia occidentale, ha fatto scattare un'intensa caccia allo squalo bianco di tre metri che sabato ha ucciso un turista americano che faceva nuoto subacqueo, nel terzo attacco mortale nella zona in meno di due mesi. George Wainright di 32 anni si era tuffato da una barca presso l'isola turistica di Rottnest al largo di Perth. Secondo testimoni, il mare ha cominciato a ribollire e poco dopo è emerso il corpo dilaniato del sub.
Secondo gli scienziati è più probabile che siano stati tre diversi squali i responsabili delle uccisioni. Il Ministro della Pesca Norman Moore, ha ordinato che lo squalo sia catturato e ucciso per la minaccia alla sicurezza pubblica e le autorità marittime hanno disteso lenze con esche al largo dell'isola nella zona dell'attacco.
La caccia continua ma le lenze sono state rimosse per evitare che le esche attirassero altri squali. Il premier dell'Australia occidentale Colin Barnett ha raccomandato di intensificare la sorveglianza aerea e di aumentare il numero di squali che i pescatori sono autorizzati a catturare. ''Molti segni mostrano che il numero di squali e' in aumento'', ha detto Barnett. ''Bagnanti, surfisti e sub devono sapere che questo è il regno della fauna marina e lo squalo è il primo predatore''. Fonte: Ansa.

Mappa attacco squalo in Australia

Sopra, la zona del tragico attacco a George Wainwright, giunto in Australia dal Texas. Era "un appassionato sub e amante del mare", afferma il padre ai giornalisti del Syndey Morning Herald.

Un altro attacco, verificatosi il 20 ottobre scorso, ha invece coinvolto un surfista, Bobby Gumm, di fronte alle coste dell'Oregon (USA).
Nel presunto attacco lo squalo ha fortunatamente mancato Bobby Gumm che, spaventato a morte, è riuscito a nuotare fino a riva e portarsi in salvo. Così hanno fatto anche i compagni che si trovavano a poca distanza. Chis Havel, portavoce del South Beach State Park, ha spiegato che l’avvistamento di squali non è una cosa inusuale in questo periodo dell’anno: "Vengono attirati dai tanti leoni marini e dai salmoni che depongono le uova al largo della costa". Ciò nonostante, precisano gli esperti dell'Oregon Coast Aquarium, "gli incontri ravvicinati sono assai rari". Fonte: Corriere.it

Bobby Gumm

AL VIA NEI MARI ITALIANI IL PROGETTO SHARKLIFE
In occasione della Settimana Europea dello Squalo appena conclusa, prende il via il progetto SharkLife, promosso dalla UE con CTS e un panel di enti e associazioni. Tra le numerose iniziative, si punta sull'informazione: "Negli ultimi 100 anni, si sono verificati meno di 20 attacchi - ricorda Simona Clò, biologa marina e responsabile del settore Conservazione Natura del CTS.
Fondamentale la collaborazione con i pescatori professionali: "Gli ami utilizzati per i pesce spada – spiega Clò – sono molto dannosi per i pescecani e i trigoni che, una volta catturati, non possono essere venduti né rilasciati". Gli ami circolari, già in uso per la salvaguardia delle tartarughe, al contrario potrebbero ridurre l'impatto del 20%. La sperimentazione coinvolgerà 15 imbarcazioni in Puglia, Calabria e Sicilia. Sul fronte sportivo, in collaborazione con la Fipsas, si è riusciti a ottenere la modifica del regolamento: nelle gare, sarà vietata la cattura di tutti i pesci cartilaginei. Non solo: sarà introdotta la pratica tags and release, ovvero la marcatura e il rilascio delle prede per favorire il monitoraggio delle specie.
Sempre in materia di salvaguardia, il Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena testerà un dispositivo elettronico, che funziona come un dinamometro, applicato alle reti da posta: i sensori rilevano lo spostamento di massa, causato dalla presenza di esemplari di grossa taglia e inviano il segnale a una centralina esterna. "In questo modo – spiega il direttore dell'area protetta, Giuseppe Bonanno – gli operatori potranno intervenire per liberare gli squali e altri grandi animali rimasti intrappolati". Il prototipo è tra i punti di forza del progetto: "Il più grande che l'Europa abbia mai dedicato agli squali nel Mediterraneo" sottolinea il vice presidente nazionale di Cts, Stefano Di Marco. Fonte: Corriere.it [modificato].

21 OTTOBRE

MASSACRO DI SQUALI IN COLOMBIA
Una bruttissima notizia arriva dalle coste della Colombia: circa 2.000 squali martello sono stati uccisi per le loro preziose pinne. Ad annunciarlo sono state le stesse autorità ambientali colombiane che hanno parlato di uno dei più grandi massacri della storia, il quale fa ancora più male sapendo che è avvenuto in un'area protetta, il "santuario" della Fauna Selvatica Malpelo, nelle acque del Pacifico.
Oltre agli squali martello, tra le vittime di questa barbarie sono rientrati anche alcuni squali delle Galàpagos e squali seta. Sandra Bessudo, consigliere del presidente colombiano sulle questioni ambientali e biologa marina, ha raccontato che una squadra di subacquei russi stava studiando gli squali nella regione. Ed è stato proprio questo gruppo a denunciare l’uccisione avvenuta a circa 500 km dalla terraferma. Secondo il loro rapporto, alcuni pescherecci battenti bandiera costaricana sono entrati illegalmente nella zona e dei sommozzatori su 10 barche hanno compiuto il massacro. Ancora più atroce è l’immagine che segue: i sub hanno trovato centinaia di squali ancora vivi che cercavano di nuotare senza le pinne, oltre che un numero scandaloso di animali morti sul fondo dell’oceano.
Il santuario copre un’area di 8.570 chilometri quadrati marini e fornisce un habitat per le specie minacciate. Quest’area protetta aveva funzionato visto che concentrazioni così alte di squali seta non si vedono in nessun’altra area del mondo, tanto che nel 2006 l’Unesco ha inserito il parco nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Purtroppo, nonostante il riconoscimento, gli unici a lottare per mantenere inalterata la zona sono rimasti i biologi marini, visto che la polizia costiera non effettua alcun tipo di controllo, se non sporadicamente.
Come detto, gli squali vengono catturati, vengono estirpate loro le pinne e poi ributtati in mare. Queste poi rientrano in alcuni metodi della medicina tradizionale cinese, anche se per la maggior parte vanno a rifornire i ristoranti in cui la zuppa di pinna di squalo è uno dei piatti più prelibati. Basti pensare che una ciotola ad Hong Kong può arrivare a costare circa 70 euro! Il Governo del Costa Rica ha condannato l’accaduto, ed ha deciso di aumentare i controlli, anche se il primo passo lo devono fare tutti i consumatori che, se non consumassero più questo piatto brutale, non correrebbero il rischio di veder sparire questi bellissimi animali. Fonte: Ecologiae.
La notizia è riportata da numerose testate straniere, come Oceana e The Guardian, per citarne alcune. Mentre nella Settimana Europea dello Squalo sembra tacere la stampa italiana.

TONNO ROSSO: NUOVO STUDIO PEW SULLE CATTURE
Il tonno rosso proveniente dal Mar Mediterraneo e molto apprezzato nei ristoranti di sushi e sashimi giapponesi e cinesi, rischia, come molti di voi gia sapranno, di estinguersi molto presto.. Ora un'associazione ambientalista lancia l’allarme sull’efficacia delle misure prese qualche anno fa per proteggere la specie. Commissionata dal gruppo ambientale PEW, una ricerca rileva che l’anno scorso il tonno rosso nel Mar Mediterraneo è stato messo in commercio in quantità molto superiori a quelle dichiarate dai paesi aderenti al sistema di quote, ben il 140 % in più.
Nel 2008, i governi membri dell’ICCAT hanno accettato di implementare un registro con i dati sulle catture, che dovrebbe permettere di tenere traccia del pescato dalle reti fino alla loro destinazione finale. Questo metodo doveva servire a porre rimedio ai gravi difetti del sistema che erano stati individuati in una serie di relazioni, tra cui quella del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ). Ma l’indagine PEW ha trovato diversi modi in cui i numeri possono ancora essere truccati.
La ricerca ha coinvolto l’analisi dei dati commerciali disponibili al pubblico – le esportazioni dai paesi dell’Unione Europea, i documenti doganali giapponesi e americani – dati che sono stati confrontati con le dichiarazioni di cattura da parte dei governi membri dell’ICCAT.
PEW sostiene che probabilmente i dati ancora sottostimano la portata del problema, in quanto non includono le catture mediante semplici operazioni di pesca illegale, per le quali non esistono, per definizione, dati.
Nel 2010, la quota era stata ridotto a 13.525 tonnellate, ma PEW stima che le catture non sono scese sotto le 35.000 tonnellate. Fonte: GaiaNews.

19 OTTOBRE

LA PORTACONTAINER RENA SI STA SPEZZANDO IN DUE TRONCONI
Il destino della Rena sta tenendo con il fiato sospeso i neozelandesi quanto l’imminente finale del Campionato Mondiale di Rugby. La situazione della nave portacontainer, incagliatasi al largo della Nuova Zelanda per un errore umano, potrebbe rapidamente peggiorare. Nonostante le 350 tonnellate di petrolio disperse in mare abbiano già provocato la morte di 1.250 uccelli marini e gravissimi danni nel tratto di mare coinvolto, il peggio dovrebbe ancora venire. Il lavoro di svuotamento dei serbatoi è stato reso difficile dalle avverse condizioni meteorologiche e i timori iniziali sembrano confermarsi: la nave è destinata a spezzarsi in due liberando in acqua altre 1.000 tonnellate di carburante. Secondo quanto riferisce il New Zealand Herald gli stessi venti e le onde che impediscono alle squadre di soccorso di liberare la nave dal suo carico (11 dei container trasportano sostanze pericolose) stanno mettendo a dura prova l’integrità strutturale dello scafo già gravemente danneggiato dall’urto con la barriera corallina. Tutto il lavoro fatto dai volontari sulle spiagge di Tauranga potrebbe rivelarsi inutile se lo scafo dovesse effettivamente spezzarsi in due. Se questo scenario dovesse avverarsi i danni ambientali sarebbero di portata drammatica. Fonte: Ecoblog.

SETTIMANA EUROPEA DELLO SQUALO. MANZATO: OCCASIONE PER LA EPSCA SOSTENIBILE
"Questa 5ª edizione della Settimana Europea dello Squalo, lanciata da Shark Alliance, va colta come ulteriore occasione per agire assieme ai pescatori in funzione di una pesca concretamente sostenibile, al di là dei tecnicismi della burocrazia europea".
Lo ha ribadito l’Assessore alla Pesca del Veneto, Franco Manzato, secondo il quale la settimana corrente non dovrebbe limitarsi al solo problema dei selaci, "così come della pesca non si dovrebbe parlare occasionalmente", perchè "occorre razionalizzare il modo in cui l’umanità si rapporta alle risorse del mare in generale".
"Il declino delle popolazioni di squali in Mediterraneo, e anche in Adriatico, va certo evidenziato, ma va anche visto in un ottica molto più ampia – ha ribadito Manzato – rispetto ad un sistema marino che appare ovunque in difficoltà. Il fermo biologico dà risultati positivi, ma dovrebbe riguardare interi bacini marini, non solo singoli Paesi, mentre vanno date regole diverse ad un mercato dove la stagionalità spinge a forti condizionamenti tra redditività e peso della pesca, con fughe in avanti in diverse aree del mondo".
" “In ogni caso – ha concluso l’assessore Veneto – in un Paese come l’Italia, al quarto posto nel mondo per le importazioni di carne di squalo, l’iniziativa della Settimana Europea dello Squalo dello squalo è assolutamente encomiabile; nello stesso tempo sarebbe utile, per non dire indispensabile, una più corretta informazione sul consumo dei prodotti del mare per limitare l’impoverimento di questa e di altre specie". Fonte: Giunta Regionale - Veneto.

IL "CICLO DI VIOLENZA" DELLA SULA DI NAZCA
La vita di un piccolo di sula di Nazca (Sula granti) è una vita difficile: questa specie depone due sole uova, ma ogni coppia è in grado di allevare un solo pulcino, lasciando morire di fame e di stenti il secondogenito che viene espulso dal nido dal fratello maggiore.
Ma anche per il primogenito non è tutto rose e fiori. Infatti, un comportamento tipico della specie è il cosiddetto NPAV (Non Parental Adult Visitor): è noto infatti che gli adulti di questa specie sono soliti visitare i nidi altrui e maltrattare i pulcini in essi contenuti con violenti colpi di becco e morsi. Il significato di questo comportamento violento, che in molti casi può portare anche alla morte del piccolo, non è ancora stato pienamente compreso, ma un nuovo studio, pubblicato sulla rivista The Auk, ha scoperto un risvolto interessante legato ai maltrattamenti.
Dopo oltre 20 anni di osservazioni delle colonie di sule nidificanti sull'isola di Española, nell'arcipelago delle Galàpagos, un gruppo di ricercatori guidato da Davida Anderson della Wake Forest University ha mostrato che gli individui che da piccoli hanno subito questo tipo di violenza, infatti, risultano più propensi a perpetrare gli stessi maltrattamenti in età adulta. Gli autori chiamano questo fenomeno "il ciclo di violenza" e sottolineano come questo sia il primo caso di maltrattamenti socialmente trasmessi nei confronti di giovani individui non imparentati (e non legati alla competizione per le risorse o per la conqista di un partner) in una specie diversa dall'uomo. Fonte: Pikaia a cura di Andrea Romano.

MEGATTERE DEL PACIFICO: UNA NUOVA STIMA
Secondo uno studio pubblicato su Marine Mammal Science, sono in aumento le megattere nel Pacifico settentrionale. Tale incremento segue una raffinata analisi statistica dei dati raccolti nel 2008. Il numero e la salute delle megattere, o SPLASH (Structure of Populations, Levels of Abundance and Status of Humpbacks), è stato stimato in poco meno di 20.000 sulla base di uno sguardo preliminare dei dati. Questa nuova ricerca indica che la popolazione sia di oltre 21.000 e, forse, anche più – un significativo miglioramento rispetto alla stima di 1.400 megattere nel Pacifico settentrionale alla fine della caccia commerciale alle balene nel 1966.
"Questi miglioramento dei numeri è incoraggiante, soprattutto dopo che abbiamo ridotto la maggior parte dei pregiudizi inerenti a qualsiasi modello statistico", ha dichiarato Jay Barlow, biologo marino del NOAAs Fisheries Service del Southwest Fisheries Science Center in La Jolla, Calif. "Riteniamo che i numeri possano anche essere più grandi in quanto ci sono stati aumenti generalizzati che riguardano anche aree che non sono state considerate nella ricerca".
La ricerca SPLASH è un progetto triennale iniziato nel 2004 che coinvolge scienziati del NOAA e centinaia di altri ricercatori provenienti da Stati Uniti, Giappone, Russia, Messico, Canada, Filippine, Costa Rica, Panama, Nicaragua e Guatemala ed è stata la prima indagine sistematica mai tentata prima volta a determinare la popolazione delle balene megattere.
I ricercatori sono stati in grado di quantificare il numero di balene megattere fotografando e catalogando oltre 18.000 immagini delle coda degli animali, perché i modelli di pigmentazione sulla coda sono come un’impronta digitale e sono unici per ogni individuo.
"Questo nuovo aggiornamento fornisce una stima accurata delle megattere in un oceano intero, cosa che non sarebbe stata possibile senza la collaborazione fra i ricercatori - ha dichiarato John Calambokidis, biologo alla Cascadia Research - mentre le popolazioni di alcune specie di balene rimangono poco numerose questo studio dimostra che le megattere sono tra quelli che hanno maggiormente beneficiato dallo stop alla caccia alle balene". Fonte: GaiaNews.

18 OTTOBRE

GIGANTESCHE FRANE SOTTOMARINE NEL PASSATO DELLA TERRA
Tre fra le più grandi frane sottomarine di cui si abbia testimonianza - avvenute al largo delle coste del Cile meridionale fra i 500.000 e i 200.000 anni fa sono state individuate da ricercatori dell'Istituto Leibniz per le Scienze Marine (IFM-GEOMAR) a Kiel e dell'Istituto Federale di Scienze Geologiche ad Hannover, entrambi in Germania.
Queste frane gigantiesche - che hanno coinvolto, rispettivamente, 253, 388 e 472 chilometri cubi di sedimenti - si sono verificate in corrispondenza delle zone in cui la placca di Nazca si sta immergendo sotto la placca del Sud America (subduzione). La pendenza del fondale marino in quei punti arriva fino a 30 gradi, un'inclinazione che secondo i ricercatori sarebbe la causa principale delle frane. News integrale su LeScienze.

17 OTTOBRE

TONNO ROSSO AUSTRALE: IL GIOCO SPORCO DELL'AUSTRALIA E DEL GIAPPONE
È molto simile al tonno rosso nostrano, ma è diffuso nei mari australi tanto da chiamarsi tonno del sud o tonno australe Thunnus maccoyii (Castelnau, 1872). Ugualmente patisce palangari, pesca a circuizione, sushi ed analogie giapponesi velocemente assimilate dalla cucina occidentale. La conseguenza più diretta è il crollo del tasso di riproduzione di questo animale, risultante del 95% inferiore rispetto ai livelli storici. Depongono meno, perchè sono molti di meno. Fin qui tutto normale, ovvero, pur non conoscendo il livello storico, sentir dire di una diminuizione del 95% (uova deposte) da già l’idea del dramma.
Le cose si complicano, però, quando si analizzano le speranze di ripresa. Anzi, occorrerebbe un piccolo manuale di calcolo statistico associato alla composizione di un problemino da scuola elementare. Problema: a quanto equivale numericamente lo stock di tonno del sud nel 2035 se, a partire da quella data, si è verificata la probabilità, pari al 70%, di un aumento dal 5 al 20% calcolato sui livelli storici? Risposta: siccome non è stata fornita la stima dei livelli storici, inutile stare ad arrovellarsi su una previsione statistica che sa un pò di azzardo.
Eppure l’arzigogolato risultato è saltato fuori nel corso del meeting tenutosi a Bali la scorsa settimana con l’ambizione di decidere il futuro del tonno del sud. Futuro che però, a ben guardare i dati forniti nel corso dello stesso meeting, dipende apparentemente in minor misura dal Giappone rispetto ad altri paesi pescatori, quali, ad esempio, Australia e Nuova Zelanda. Il primo di questi due paesi in particolare, ha una quota teorica di prelievo del tutto identica a quella del Giappone. I prelievi reali, ovvero dopo le riduzioni imposte di anno in anno, sono però quasi il doppio della quota reale dello stesso Giappone. Sorprende il fatto che l’Australia sia uno dei paesi che più ha criticato, ad esempio, la caccia alle balene praticata dai giapponesi. La lieve (per modo di dire) contraddizione, non finisce però qui. Una buona parte dei tonni pescati dagli australiani vengono venduti proprio al Giappone. Commercio, questo, che si è incrementato proprio a seguito della riduzione delle quote di pesca nipponiche.
l Giappone, privato della sua quota "tonno nominale", la ottiene di fatto acquistando da quella reale di altri paesi, tra cui l’Australia. È pur vero che se entrambi i paesi pescassero secondo la quota nominale, sarebbe molto peggio. Il totale del pescato, cioè, sarebbe maggiore. L’impressione, però, che dietro l’angolo vi sia un sistema per aggirare l’ostacolo sembra, comunque, potersi ugualmente prospettare. Un sistema, quello dell’acquisto delle quote, comune per altri paesi e per altri prodotti se non addirittura per i rifiuti. CO2, protocollo di Kyoto e compravendita delle quote di emissione, docet. Fonte: GeaPress.

PLASTICA DALLE DIATOMEE

Le diatomee che la potrebbero produrre sono in grado di crescere quasi solo con luce e acqua, con grandi vantaggi rispetto alle precedenti metodiche che sfruttano piante.

Troppo costoso da sintetizzare con metodi tradizionali, il poliestere termoplastico poli-3-idrossibutirato (PHB) prodotto naturalmente dai microrganismi Ralstonia eutropha e Bacillus megaterium, offre due notevoli vantaggi: è biodegradabile e non dipende dalle risorse fossili. Ora una nuova metodica di produzione del PHB, descritta sulla rivista Microbial Cell Factories, potrebbe cambiare le cose.
Il PHB viene sintetizzato nei batteri a partire dall'acetil-CoA e utilizza gli enzimi ß-ketotiolasi, acetoacetil-CoA reduttasi e PHB sintetasi. I geni che codificano per queste proteine sono stati inseriti in una diatomea della specie Phaeodactylum tricornutum, che ha mostrato successivamente l'espressione degli enzimi e la sintesi di PHB in alte dosi nei granuli presenti nel citosol: dopo soli sette giorni, il 10 per cento circa del peso secco delle diatomee era dovuto a PHB.
Franziska Hempel e Uwe Maier del LOEWE Center for Synthetic Microbiology (SYNMIKRO) di Marburg, in Germania, e Alexander Steinbüchel della Westfälische Wilhelms-Universität, hanno spiegato: "Ogni giorno nel mondo vengono prodotti milioni di tonnellate di plastica derivata dal petrolio, causando un'immensa quantità di rifiuti che impiegano migliaia di anni a essere biodegradati".
La fermentazione batterica è costosa e sebbene alcuni gruppi di ricerca abbiano già introdotto un sistema simile nelle piante, queste ultime sono relativamente lente a crescere e lo spazio dedicato alle coltivazioni rappresenta un problema notevole. P. tricornutum, per contro, ha bisogno di poco più che l'acqua e luce per crescere e può produrre quantità di PHB simili a quelle del sistema basato sulle piante nel giro di settimane invece che di mesi. Fonte: LeScienze.

16 OTTOBRE

IL CORALLO CHE SI ILLUMINA
Nel Mediterraneo esiste un corallo nero che si illumina al tocco, una specie che finora era stata segnalata soltanto nell’Oceano Pacifico, attorno ai 700 metri di profondità, lungo la costa californiana. Si chiama Savalia lucifica ed è stata rinvenuta nelle acque di Capo San Vito, parte ovest della Sicilia, durante una campagna di ricerca effettuata con la nave oceanografica Astrea dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).
Il corallo è stato trovato a una profondità di 270 metri da un sofisticato robot sottomarino e si distingue da specie simili, come la Savalia savaglia - il cosiddetto falso corallo nero - non solo per il substrato che parassita (la gorgonia di profondità Callogorgia verticillata), ma anche perché si illumina quando viene stimolata dal contatto fisico. La rarissima specie fa parte del gruppo degli Zoantidei e non era mai stata segnalata prima nel Mar Mediterraneo.
La scoperta è avvenuta nel corso di una campagna di ricerca mirata allo studio delle popolazioni profonde di corallo rosso nell’arcipelago delle Egadi, finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. A questa campagna hanno partecipato i ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche, l’Università di Pisa, gli atenei di Napoli "Parthenope" e Bologna e i ricercatori dell’Ispra, che hanno condiviso questo ritrovamento. Fonte: Galileonet.

TORNA ALLA RIBALTA LA BRITISH PETROLEUM
In una sorta di gioco macabro, in cui l’assassino una volta libero torna sul luogo del delitto, ad accertarsi se c’è rimasto ancora qualcosa di vivo da finire, la BP potrebbe fare nuovamente capolino nel Golfo del Messico, armata di trivelle e munita, ce lo auguriamo, di piani per usarle nel migliore dei modi. La notizia che la compagnia petrolifera, rea della marea nera, parteciperà alla gara per aggiudicarsi i diritti di trivellazione in quell’area, arriva dal Bureau of Safety and Environmental Enforcement.
Michael Bromwich, a capo dell’organo, motiva questa decisione con una dichiarazione che ha fatto inorridire gli ambientalisti, e rabbrividire il resto dell’opinione pubblica americana:"Non si concede la pena di morte sulla base di un solo incidente. Nemmeno se quell’incidente è un ecocidio tra i più devastanti nella storia dei disastri petroliferi, che è costato la vita ad undici persone, ha contaminato le spiagge di numerosi Stati nel Sud degli USA, ha ucciso centinaia di animali della fauna marina e avrà conseguenze a lungo termine sugli ecosistemi dell’area?".
In tanti sono rimasti delusi da questa decisione alquanto discutibile. Dopo la marea nera, si dava per scontato che la BP sarebbe stata esclusa dalla gara. Friends of the Earth si dice allibita dalle parole di Bromwich.
D’altra parte, non è solo una questione etica, escludendo la BP che ha già dimostrato la sua incapacità di far fronte alle emergenze e di elaborare piani di sicurezza validi, non c’è una sola compagnia petrolifera che sia in grado di affermare di riuscire a trivellare senza rischi a quelle profondità. Per non parlare delle garanzie nulle offerte per la gestione di eventualità simili. Fonte: Ecologiae.

CAVE SOTTOMARINE: AFFAIRE SABBIA DAI FONDALI IBLEI, LA DITTA ARENARIA FA MARCIA INDIETRO

Una lettera con cui si ufficializza la rinuncia all'indirizzo della Guardia di Finanza

Vittoria - L’ Arenaria S.R.L., in via cautelativa, ha inviato una memoria difensiva alla Procura di Ragusa e al comando provinciale della Guardia di Finanza, rinunciando formalmente, ed in via definitiva, alla concessione demaniale precedentemente richiesta. La motivazione addotta fa riferimento agli esiti di una ricerca integrativa, che – confermando la presenza di sabbie relitte nelle aree oggetto di concessione – ha tuttavia stabilito che il materiale risulta depositato ad una profondità tale da renderne impossibile l’estrazione.
L’istanza, presentata nel novembre 2010 dalla società emiliana, era finalizzata ad ottenere l’autorizzazione ad estrarre sabbia e ghiaia dai fondali iblei su tre aree estese, in totale, oltre 216 kmq.
La motivazione principale della richiesta era il ripascimento delle spiagge ragusane, afflitte dal perenne fenomeno dell’erosione, come gran parte delle restanti coste siciliane.
La notevole ed inconsueta estensione delle zone interessate dal progetto ed il conseguente, inevitabile impatto ambientale che ne sarebbe derivato, hanno determinato, da subito, numerose problematiche al relativo iter autorizzativo, attirando l’attenzione delle associazioni ambientaliste locali.
I medesimi studi del CNR hanno motivato, peraltro, il parere negativo al rilascio della concessione da parte dell’ARPA di Ragusa, interessata al riguardo, dall’assessorato tutela e ambiente della regione di Palermo, unitamente al servizio V.i.a. - V.a.s. della regione di Palermo, al genio civile di Ragusa, all’agenzia delle dogane di Siracusa ed alla soprintendenza del mare di Palermo.
L’Arenaria S.R.L., però, appariva ormai intenzionata ad investire ingenti capitali in provincia, risultando peraltro già titolare di una analoga concessione sul litorale palermitano, come appurato anche dalla Guardia di Finanza, nel corso delle indagini. L’eco mediatica di tali eventi, pertanto, ha interessato la Procura di Ragusa, nella persona del procuratore, dott. Carmelo Petralia, il quale, volendo vederci chiaro, ha ritenuto opportuno delegare la Guardia di Finanza di Ragusa, al fine di espletare tutti gli accertamenti del caso.
La vicenda, infatti, appariva connotata da molteplici aspetti, potenzialmente riconducibili a condotte di rilevanza penale, nell’ottica di un significativo, anche se non ancora concretizzato, danno ambientale. Pertanto, nel prosieguo delle indagini, pochi giorni prima di ferragosto, i finanzieri si sono recati presso gli uffici della capitaneria di porto di pozzallo, acquisendo la documentazione inerente il carteggio dell’istanza.
Nei giorni successivi, è stato possibile reperire ulteriore ed importante documentazione presso l’Assessorato Tutela e Ambiente della Regione di Palermo. Per le fiamme gialle era necessario accertare, infatti, la rigorosa applicazione delle procedure, dettate in via principale dal codice della navigazione e del suo regolamento di attuazione.
Espletati comunque tutti gli accertamenti richiesti dalla magistratura, in questi giorni, i finanzieri del comando provinciale di ragusa hanno depositato la relazione finale delle indagini, sul cui contenuto, al vaglio ora dell’ a.g. inquirente, vige il più assoluto riserbo. E' recente ed ormai nota, invece, la notizia che la fase istruttoria dell’istanza di concessione si è conclusa e la capitaneria di Pozzallo ha rimesso gli atti all’assessorato tutela e ambiente della regione di Palermo.
In ultimo l’Arenaria S.R.L. ha formalmente rinunciato. Fonte: RagusaNews.

14 OTTOBRE

UNO SQUALO CICLOPE TROVATO IN MESSICO

Squalo ciclope Squalo ciclope
Si tratta di un feto di squalo bruno con una rara anomalia congenita, la ciclopia. Ha un solo occhio centrale ed è affetto da albinismo. Per i ricercatori non sarebbe sopravvissuto a lungo. Se fosse venuto al mondo, dice il biologo Galván-Magaña: "lo squalo ciclope non sarebbe vissuto a lungo: il suo colore lo avrebbe reso particolarmente evidente per i predatori e la malformazione alla pinna caudale non gli avrebbe consentito di nuotare bene". Fonte: National Geographic.

PESCA: LA RIFORMA DELLA POLITICA COMUNE PROPOSTA DALLA CE IN MEDITERRANEO SAREBBE PEGGIO DI UNO TSUNAMI
La Cooperazione nelle audizioni delle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato evidenzia i rischi di una riforma inapplicabile nei nostri mari.
Introduzione obbligatoria di un sistema di Concessioni di Pesca Trasferibili (leggi licenze di pesca vendibili), con collegata introduzione delle quote di pesca annuali per gruppi di specie (oggi esiste solo per il tonno rosso), obbligo di portare a terra tutte le catture indesiderate e non commercializzabili per la eliminazione dei rigetti in mare, raggiungimento della 'massima cattura sostenibile' per specie o gruppi di specie entro il 2015, quando non si hanno dati scientifici sufficienti per valutare lo stato di salute della maggior parte degli stock. Questi i principali aspetti critici della riforma della PCP che figurano nella proposta presentata il 13 luglio scorso dalla Commissaria alla Pesca e agli Affari Marittimi, Maria Damanaki, ed al centro delle audizioni delle Organizzazioni della Pesca nelle Commissioni Agricoltura tenute ieri alla Camera ed oggi al Senato.
"La proposta di riforma, che la CE ha formulato senza tenere in minima considerazione quanto espresso dalla pesca europea nella lunga fase di consultazione preparatoria, presenta per il Mediterraneo aspetti tutti da chiarire sulla effettiva possibilità di gestione, che vengono rinviati agli Stati membri con numerosi problemi giuridici e applicativi irrisolti" hanno dichiarato i Presidenti delle Associazioni dell’ACI (Alleanza delle Cooperative Italiane), che rappresentano l’80% della pesca nazionale. "Se nel processo di co-decisione tra Parlamento Europeo e Consiglio UE non saranno apportati significativi cambiamenti, la ennesima riforma europea della pesca - nata più da motivi politici che da esigenze del settore - avrà in Mediterraneo effetti devastanti, ed in Italia danneggerà irrimediabilmente la struttura generale del settore, compromettendo l’operatività di interi comparti e creando ulteriore disoccupazione. Un vero e proprio tsunami che sarà probabilmente aggravato dalla eliminazione di qualsiasi contributo alla flotta, e quindi anche per le demolizioni, nel nuovo strumento finanziario che la CE presenterà il mese prossimo".
I componenti delle Commissioni Agricoltura di entrambi i rami del Parlamento hanno da parte loro condiviso le preoccupazioni espresse dalle Associazioni nazionali dimostrando particolare sensibilità per le problematiche della pesca, ed hanno assicurato la loro attenzione ed il loro impegno nel seguire la fase di negoziato avviata tra Commissione, Stati membri e Parlamento Europeo. La proposta di riforma dovrebbe approdare in Consiglio UE nell’autunno 2012.
Fonte: Federcoopesca [nota di biologiamarina.eu: al solito ogni riforma è stroncata sul nascere dalle associazioni e dai loro rappresentanti che palesemente non accettano cambiamenti significativi nella gestione dell'attività di pesca. Se oggi siamo nella situazione drammatica in cui versa l'intero comparto ittico è anche imputabile alle enormi resistenze e pressioni delle categorie dei pescatori e di chi li rappresenta; non è certo con l'ostruzionismo e con il mantenimento di vetuste regole che può essere salvato un settore economicamente importante come quello della pesca in Italia].

FERMO PESCA: NUOVA INTERROGAZIONE DELL'IDV
Gli onorevoli IdV Antonio Di Pietro e Anita Di Giuseppe hanno presentato un’interrogazione al ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali circa la grave situazione in cui versa il settore pesca, in particolare molisano, fortemente penalizzato dall’attuale sistema che regola il fermo biologico. Di Pietro e Di Giuseppe intendono sapere se e quali provvedimenti intenda assumere il Governo a tutela del comparto della pesca molisano ma, più in generale, anche delle marinerie interessate nel bacino adriatico centro settentrionale, al fine di effettuare il fermo biologico in tempi e zone diverse, anticipandolo ai mesi primaverili.
Il fermo biologico rappresenta certamente una misura indispensabile per la tutela del mare e della fauna marina, ma il risultato più evidente della paralisi nel mar Adriatico è il venir meno del pescato di quelle acque, che costituisce circa la metà della produzione nazionale.
Il Decreto Ministeriale del 14 luglio 2011 stabilisce, per quanto riguarda le imbarcazioni iscritte nei compartimenti marittimi da Trieste a Bari, un periodo di arresto temporaneo alle attività di pesca di 60 giorni, decorrente dal 1 agosto 2011, con possibilità, demandata alle regioni di prolungare il fermo, ma non di variarlo a seconda delle diverse specificità territoriali ed ambientali.
Il malcontento, tra gli operatori ittici si è fatto sentire anche quest'anno, non solo per il modo in cui viene effettuato il fermo biologico, ma anche perché, ancora una volta, non sono stati inseriti all'interno del riparto per gli indennizzi. Da tempo infatti la marineria termolese e gli operatori ittici protestano contro il provvedimento rivendicando un fermo biologico effettuato in tempi e zone diverse. Il fermo biologico così come effettuato arreca danni economici, lasciando anche il territorio a corto di prodotti ittici nel periodo di maggiore richiesta, proprio nel periodo di maggiore afflusso turistico. Succede così, che anche i grossisti vanno alla ricerca di altri mercati e comperando pesce in Albania e in Croazia. Tutto ciò a danno dell'economia locale.
Molto più opportuno sarebbe invece poter effettuare, per il tratto di mare delle coste termolesi, il fermo nei periodi effettivi di riproduzione delle specie di prodotto locale, anticipandolo quindi nei mesi primaverili.
Fonte: FuturoMolise [nota di biologiamarina.eu: è ancora poco diffuso, se non adirittura incomprensibile, il concetto di 'disponibilità del pescato legato alla stagionalità'. Non è possibile, in altre parole, non calendarizzare la disponibilità del pescato dell'Adriatico, in funzione di quello che è il periodo di riproduzione della maggioranza delle specie ittiche. Speriamo che il concetto subentri quanto prima a livello politico e gestionale].

AMI DEBOLI PER I PALANGARI PELAGICI NEL GOLFO DEL MESSICO Ami deboli
Dal 5 maggio scorso tutte le imbarcazioni che pescano specie 'altamente migratorie' nel Golfo del Messico con palangari pelagici sono obbligate a detenere ed usare solo ami circle come descritti al Titolo 50 del Codice Federeale USA (CFR) § 635.21(c) e che siano realizzati in metallo a sezione rotonda di diametro non superiore a 3.65 mm. Il provvedimanto è finalizzato alla riduzione del bycatch (mortalità accidentale) di tonno rosso.
Nella zona interessata è vietato lo sbarco di tonni rossi di grande taglia, che devono essere obbligatoriamente rilasciati. Le sperimentazioni effettuate hanno dimostrato una riduzione del bycatch del 56% e nessuna significativa riduzione delle catture di altre principali specie bersaglio. Fonte: PescaRicreativa. Nella figura a lato, amo debole a destra, e amo tradizionale (circle) a sinistra.
Originale in pdf: The Atlantic Highly Migratory Species Management Division of the National Marine Fisheries Service.

12 OTTOBRE

SOS TARTARUGHE IN PERICOLO
I maggiori esperti mondiali di tartarughe marine hanno annunciato i risultati della prima valutazione a livello globale dello stato di salute delle popolazioni di tartarughe marine in un articolo pubblicato sulla rivista PLoS ONE.
La ricerca ha individuato le 11 popolazioni più a rischio e le 12 invece più in salute. Il rapporto è stato promosso dalle più importanti organizzazioni internazionali che si occupano di salvaguardia ambientale: International Union for the Conservation of Nature (IUCN), Conservation International (CI) e National Fish and Wildlife Foundation (NFWF). La ricerca è stata possibile grazie alla collaborazione di più di 30 esperti e di numerosi enti che si occupano di biologia marina e conservazione delle tartarughe marine.
Le popolazioni più a rischio si concentrano nelle acque delle Oceano Indiano. Tra i siti scelti per la riproduzione, quelli più minacciati si trovano proprio in India, Sri Lanka e Bangladesh. "Questo rapporto conferma che l’India ospita le popolazioni di tartarughe più a rischio del mondo - spiega B. C. Choudhury, uno degli autori dello studio - questo articolo deve suonare come un campanello d’allarme per le autorità indiane affinché si attivino per salvaguardare le tartarughe e i loro habitat".
Le sette specie di tartarughe marine comprendono 58 popolazioni differenti dal punto di vista biologico che vengono definite RMU (Regional Management Unit). Testo integrale su National Geographic Italia.

CRESCE IL PACIFIC TRASH VORTEX
Cresce costantemente il Pacific Trash Vortex, l’isola di rifiuti di plastica che galleggia nell’Oceano Pacifico. Con decine di milioni di tonnellate di detriti che fluttuano tra le coste giapponesi e quelle statunitensi, si tratta di fatto della più grande discarica del pianeta. Secondo scienziati ed oceanografi intervistati dal giornale britannico The Independent, la sua estensione ha ormai raggiunto 'livelli allarmanti': il doppio di quella degli Stati Uniti d’America. Fra i rimedi consigliati dagli esperti, spicca la necessità di abbandonare globalmente i sacchetti di plastica usa e getta. Una scelta già fatta dall’Italia, che adesso tutta l’Europa vuole imitare. Palloni da calcio e da football, mattoncini di Lego, scarpe, borse, Kayak e milioni di sacchetti usa e getta. Sono questi gli ingredienti della 'zuppa di plastica' che anno dopo anno si sta impossessando del Pacifico. Un quinto di essi, secondo gli studiosi, proviene da oggetti gettati da navi o piattaforme petrolifere, il resto dalla terraferma. Testo integrale su IlFattoQuotidiano.

IL 15% DEL PESCATO MONDIALE È ILLEGALE
Da 11 a 26 milioni di tonnellate di pescato annuo nel mondo, sono illegali. Ovvero una percentuale che può arrivare fino al 15% del totale. Questo secondo la Commissione sulla Pesca dell’Unione Europea, che ieri ha votato all’unanimità una risoluzione che sarà sottoposta agli europarlamentari nella sessione che si terrà a Strasburgo il prossimo 14-17 novembre.
Il problema sollevato riguarda le tecniche di pesca illegali e non quelle già in opera ed autorizzate nonostante gli effetti devastanti sull’ecosistema marino.
Secondo l’europarlamentare relatore della proposta, la svedese Isabella Lövin, Gruppo dei Verdi, vi sono armatori che per continuare la loro attività cambiano semplicemente bandiera, sfuggendo, così, dalle loro responsabilità.
"Con molti degli stock ittici già pericolosamente minacciati nel mondo – ha riferito l’europarlamentare Lövin – la pesca illegale potrebbe rappresentare il colpo finale".
La Commissione pesca sottoporrà così al Parlamento europeo un’azione congiunta degli Stati della UE, ivi compresa la chiusura dei mercati illegali ed ispezioni. Azione, quella della UE, che potrebbe essere, sempre secondo la Commissione, ancora più incisiva dal momento in cui l’Europa è il più grande importatore di prodotti della pesca. Una responsabilità, questa, che è anche sanitaria, visto che nessuno può garantire, in un mercato illegale, l’esenzione da seri rischi sanitari. Testo integrale su GeaPress.

11 OTTOBRE

LA DANIMARCA HA DEBELLATO LA SETTICEMIA EMORRAGICA VIRALE DELLA TROTA
La Setticemia Virale Emorragica (VHS) è una grave malattia sistemica delle trote d’allevamento, descritta in Europa a partire dal 1938, e conosciuta sotto vari sinonimi. Secondo l’O.I.E. tutti questi sinonimi vanno ricondotti ad un'unica malattia causata dal virus di Egtved ed ufficialmente denominata Setticemia Emorragica Virale. La Danimarca è ora ufficialmente libera da questa malattia, un problema riconosciuto e combattuto fino dagli anni '50. Nel periodo di massima diffusione la metà di tutti gli allevamenti di trote in Danimarca ne erano affetti.
Afferma il Professor Niels Jørgen Olesen: "Questo eccellente risultato è dovuto alla nostra stretta collaborazione con l'industria della piscicoltura e l'Agenzia per i Prodotti Alimentari [Fødevarestyrelsen]. Vorremmo trasmettere le nostre conoscenze agli altri. Molti paesi quali ad esempio Francia, Italia e Germania sono ancora in lotta contro la malattia". Fonte: PescaRicreativa.

10 OTTOBRE

TRE BALENOTTERE AL PORTO DI SAVONA
Sono state scortate dalla Capitaneria di Porto di Savona e da una imbarcazione degli ormeggiatori. Poi i tre grossi cetacei hanno deciso di riprendere il largo. E che cetacei, poi. Si trattava, infatti, di tre balenottere comuni, tra un giovane e due adulti lunghi una quindicina di metri.
Le tre balenottere hanno fatto capolino stamani nelle acque profonde del porto di Savona, tra le gru, i grandi silos e le navi alla banchina. A notarle per primi, ormeggiatori e piloti del porto, i quali, con una certa meraviglia, hanno osservato per circa mezz’ora le evoluzioni dei tre grandi animali. Un fatto insolito, ma non eccezionale, specie se si pensa che tutta la costa ligure fa parte del bacino corso-liguro-provenzale, ovvero il santuario dei Cetacei che dovrebbe ospitare un quarto della popolazione mediterranea di balenottera comune.
Un animale enorme, che può raggiungere i 24 metri di lunghezza e le ottanta tonnellate di peso. Un mastodontico abitatore dei mari che nel mediterraneo è presente con una popolazione di circa 900 individui, geneticamente separata dalla balenottera comune che vive nell’Atlantico (baleniere islandesi permettendo). Una barriera riproduttiva le separa. Le due popolazioni, cioè, non sono più in contatto tra di loro. Fonte: GeaPress.

MAREA NERA IN NUOVA ZELANDA
È lunga oltre 6 chilometri la striscia nera di petrolio lasciata al largo della Nuova Zelanda dalla nave container Rena, dell’armatore greco Costamare Inc. ma registrata in Liberia. L’imbarcazione, lunga 236 metri e di 47.230 tonnellate di stazza, si è arenata due giorni fa nella baia dell’Abbondanza (Bay of Plenty) sulla barriera corallina Astrolabe a 22 km dal porto di Tauranga, nell’isola del Nord. Il ministro neozelandese dell’Ambiente, Nick Smith, ha detto che potrebbe "diventare la peggiore catastrofe ecologica marittima degli ultimi decenni in Nuova Zelanda".
La Rena trasporta 2.100 container e nelle stive ha 1.700 tonnellate di olio pesante. Nessuno dei 25 membri dell'equipaggio è rimasto ferito, ma si è aperta una falla nello scafo e la nave si è inclinata di 12 gradi. La barriera corallina è ricoperta di anemoni di mare e spugne multicolori. La baia di Plenty è una delle destinazioni turistiche più rinomate della Nuova Zelanda; ospita infatti una ricca fauna di pesci, oltre a pinguini, foche, balene, delfini e procellarie.
Non è ancora chiaro quanto carburante si sia disperso in mare, ha detto un funzionario del Servizio Marittimo neozelandese. "Non sembra vi siano falle nei serbatoi, ma i danni sono estesi ed è ancora difficile determinarli accuratamente e decidere come disincagliarla, un’operazione che comunque richiederà tempo".
Il ministro dei Trasporti, Steven Joyce, ha riferito che, secondo le sue informazioni, "vi è il rischio che la nave si spezzi in due e affondi". Fonte: BioEcoGeo.

CHI GESTISCE LE AREE MARINE PROTTETTE?
Discutendo di parchi, in questi giorni abbiamo accennato anche alla situazione particolarmente critica delle aree protette marine, contro cui si accanisce ulteriormente e sorprendentemente la legge in discussione al Senato. Ma non tutti sembrano preoccuparsene più di tanto preferendo forse rimandare ad altro momento, ma se non ora quando? Aree protette marine significa anche Santuario dei cetacei che peggio non potrebbe essere gestito.
Ma per qualcuno anche di questo non dovremmo preoccuparci più di tanto, almeno al momento. Poi però all’orizzonte spunta il progetto di un impianto eolico a mare di fronte al parco di San Rossore e allora non puoi far finta di niente.
L’idea di cui neppure il parco che deve gestire la riserva marina della Meloria, né i sindaci sapevano qualcosa, ha suscitato ovviamente immediate reazioni. Si è subito aperta una discussione se le torri vanno sostenute o no. Un pò meno però è stato colto e valutato in tutta una serie di dichiarazioni anche di parlamentari, che il progetto arriva con il parere favorevole della Capitaneria di Porto di Livorno, ma non da quella della cabina di regia del Santuario, le cui ultime notizie risalgono ad un parere striminzito dato a suo tempo e clandestinamente per il rigassificatore. In questo caso la clandestinità è assoluta. Eppure proprio in questi giorni per iniziativa della regione Toscana, si è tornati a discuterne anche al Salone Nautico a Genova, senza naturalmente alcun rappresentante del Ministero che pure proprio nel capoluogo ligure ha la sua sede, criticata sonoramente dal governo francese per la sua totale latitanza. Potrebbe insomma essere anche affittata a ombrelloni inclusi. Testo integrale su GaiaNews.

Scoperto il 'killer' delle vongole nelle acque dell'Alto Adriatico. Secondo l'Università di Trieste il colpevole è Murex trunculus (era il maggior ma non l'unico sospettato), un mollusco Gasteropode predatore di bivalvi. A risolvere il giallo, dopo le denunce dei pescatori dello scorso agosto, è stata una spedizione coordinata dalla ricercatrice Donatella Del Piero. "Non abbiamo mai osservato così tanti Murex - conferma l'esperta - e soprattutto tutti quelli che abbiamo trovato avevano all'interno una vongola appena catturata, a vari stadi di crescita". Lo scorso agosto, dopo diversi mesi di fermo biologico, i pescatori avevano notato un calo del pescato superiore al 90%, che ha costituito solo l'ultimo segno di una crisi in corso da anni. Il fenomeno aveva stupito gli stessi ricercatori, soprattutto perche' le analisi fatte nei mesi precedenti, a marzo e a giugno, avevano mostrato delle colonie in discreta salute, e, dopo il fermo pesca, ci si aspettava una raccolta abbondante. Anche se il responsabile sembra essere il Murex, il mistero della scomparsa delle vongole non è però pienamente risolto: "Il problema è che le vongole non dovrebbero stare così in superficie - spiega Del Piero - potrebbe esserci un'anossia dei fondali che spinge i molluschi a salire, come successo già molti anni fa, oppure qualche forma di stress". Una soluzione 'tampone', secondo gli esperti, potrebbe essere quella di catturare direttamente i Murex. Fonte: NuovaVenezia.

08 OTTOBRE

SONO DUE LE SPECIE DI COCCODRILLO DEL NILO
Un interessante studio ha recentemente dimostrato che il coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus) non è un specie. Cioè, sì, il coccodrillo è una specie, ma l’Africa non è abitata da una specie sola. Secondo analisi genetiche che hanno implicato anche il sequenziamento del Dna di mummie di coccodrillo (mummie egiziane, sì), sembra che esistano come minimo due specie di questo rettilone. Una abita l’Africa dell’est, l’altra, quella più rara, sta all’ovest.
La cosa bella di questo studio è che le conclusioni sono assolutamente controintuitive. Prima di tutto le due specie non sono neppure sister taxa, cioè non hanno un progenitore comune. Anche se abitano negli stessi posti, o sono molto vicini. I parenti più prossimi di (quello che era considerato il) coccodrillo del Nilo sono infatti le specie sudamericane, come Crocodylus rhombifer, C. moreletii, C. acutus e C. intermedius. Ma non è finita: la specie più vicina ai sudamericani non è quella che abita l’ovest dell’Africa, come sarebbe logico, ma quella che sta a est, cioè in Egitto, in Uganda, in Kenya fino al Madagascar.
Ma non è finita: i coccodrilli mummificati trovati in un paio di grotte di Thebes and Samoun, sono identici a quelli dell’ovest Africa (Uganda, Gambia, Senegal, Congo). Il che significa che le due specie convivevano nel territorio del fiume africano fino a qualche migliaio di anni fa. Tutto ciò è in accordo con quello che dicono gli antichi papiri, in cui si racconta che i sacerdoti egiziani sapevano della differenza tra le due forme e cercavano di avere a che fare solo con quella più piccola e 'trattabile'. Forse anche per questa ragione una delle due forme si è estinta, anche se era presente sul Nilo fino al 1920. Visto che c’era già stata una descrizione di un’altra specie, da parte di Geoffroy Saint-Hilaire’s nel 1807, si è deciso di farla rivivere e quindi chiamare l’altro coccodrillo Crocodylus suchus (suchus in greco vuol dire coccodrillo). L’articolo si addentra poi in considerazioni biogeografiche estremamente interessanti, perché si cerca di delineare cosa accadde circa 8.13 milioni di anni fa, quando le due specie si separarono. Da una popolazione-base nel bacino del Congo, la dispersione portò il rettile verso nord e poi lungo un asse est-ovest a popolare le savane attorno al Sahara (o dentro, quando il Sahara era verde). Anche il coccodrillo dl Nilo vero e proprio si sarebbe separato in due popolazioni distinte, se capisco bene una verso nord e l’altra verso sud. Anche se entrambe sono della stessa specie.
Conseguenze di tutto ciò? Il fatto che i programmi di protezione dei coccodrilli in Africa si basano sul fatto che c’è una sola specie, appunto C. niloticus, e quindi se ci sono piani di 'sfruttamento' del coccodrillo africano (qui l’action plan del Crocodile Specialist Group dell’IUCN, con mappa a destra che ha la diffusione del coccodrillo del Nilo) questi non tengono presente che un’altra specie decisamente distinta, confusa con la prima, potrebbe fare la fine dei coccodrilli che abitavano assieme agli altri nella valle del Nilo. Essendo più docili, sono oggetto di caccia più facile e nel giro di qualche anno possono totalmente scomparire dalla faccia della Terra. Ecco perché: major national and international conservation agreements intended to promote sustainable harvest of Nile crocodiles may instead accelerate extirpation because quotas and translocation policies are based on erroneous taxonomy and assumptions of genetic homogeneity. Fonte: Pikaia a cura di Marco Ferrari.

07 OTTOBRE

STOP ALLA PESCA: COME CONTINUA IL FERMO
Giro di boa per il fermo biologico; a fine settembre sono gia tornati in mare i pescherecci adriatici, fermi dal 1 agosto, e inizia, invece, lo stop obbligatorio della pesca a strascico e volante nel Tirreno (30 settembre - 29 ottobre). Stesso periodo per la Sicilia, ad eccezione della pesca oltre le 20 miglia di Mazara del Vallo (30 giorni dal 10 agosto), mentre la Sardegna ha stabilito l'avvio delle interruzioni temporanee dal 1 settembre fino al 15 ottobre.
Successivamente alla conclusione del fermo vero e proprio, sono previste ulteriori misure tecniche per la limitazione dello sforzo di pesca in Adriatico. In particolare, nei due mesi successivi al fermo l'attività di pesca di strascico e volante sarà vietata da Trieste a Bari anche il venerdì ed un altro giorno settimanale definito dall'armatore. Fino al 13 novembre, inoltre, vige, eccezion fatta per i compartimenti di Monfalcone, Trieste e dello Ionio, il divieto di pesca entro le 4 miglia dalla costa ovvero ad una profondità inferiore a 60 metri.
Discussa nella Commissione consultiva il 23 settembre scorso la richiesta di alcune Regioni (Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia) di modificare le misure tecniche post fermo per il piccolo strascico, prevedendo la possibilità di recupero, nel giorno di fermo tecnico a scelta dell'impresa, le giornate perse per maltempo.

NEI MOSAICI LA STORIA DELLE SPECIE MARINE
Pescare una cernia bruna (Epinephelus marginatus) di mezzo metro è il sogno di molti pescatori ricreativi, mentre vedere una cernia bruna di un metro durante un visual census in una riserva marina è il sogno di molti biologi. Ma di certo essere inghiottiti da una cernia bruna mentre si fa snorkeling lungo le coste del Mediterraneo non è il sogno (o meglio, l’incubo) di nessuno, tanto è raro questo pesce.
In una lettera pubblicata su Frontiers in Ecology and the Environment, due ricercatori italiani (il primo, Paolo Guidetti, lavora presso l’Università del Salento a Lecce; la seconda, Fiorenza Micheli, lavora presso l’Università di Stanford, Stati Uniti) ci fanno sapere che per quanto nelle riserve marine italiane le cernie brune stiano meglio che nelle aree non protette in passato questa specie era decisamente più abbondante e raggiungeva dimensioni molto maggiori. Lo studio si basa sull’analisi di più di settanta mosaici romani che si trovano in Tunisia, Inghilterra, Francia, Spagna, Italia, Grecia e Libano, risalenti al periodo tra il primo e il quinto secolo dopo Cristo: raffigurazioni di cernie enormi, così grandi da poter inghiottire un uomo (tranquilli, le cernie non attaccano l’uomo, si tratta probabilmente di una licenza artistica), pescate in abbondanza sotto costa con arpioni e canne. Osservazioni corroborate da alcuni scritti di Plinio il Vecchio (Historia Naturalis) e Ovidio (Halieuticon Liber), che narrano di cernie pescate dalla costa, così tenaci da spezzare le lenze, così grandi da essere descritte come "mostri marini".
Oggi invece la cernia bruna è inscritta nella lista rossa dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature), in quanto specie in pericolo d’estinzione e, in Mediterraneo, è molto rara e si pesca solo in acque profonde. Si tratta di una specie molto vulnerabile nei confronti della pesca, perché cresce lentamente, ha un basso tasso di riproduzione e raggiunge la maturità sessuale tardi (quando misura circa 40-50 centimetri). Inoltre, si tratta di una specie proteroginica, cioè che cambia sesso con l’età, e le femmine si trasformano in maschio quando misurano tra gli ottanta e i novanta centimetri. Per questi motivi la struttura di taglia delle popolazioni di cernia bruna è molto importante, perché il potenziale riproduttivo dipende dalla presenza di individui di grandi dimensioni. Che oggi sono molto rari, malgrado i tentativi di proteggere questa specie, mettendone a repentaglio la sopravvivenza. E oltre ad essere storicamente molto ricercata dai pescatori – reperti ossei sono stati ritrovati in insediamenti che risalgono a più di 100.000 anni fa, la cernia bruna riveste un ruolo primario in mare, essendo un predatore apicale. La sua estinzione, anche a livello locale, potrebbe quindi avere conseguenze molto gravi sugli equilibri degli ecosistemi marini.
Ricostruire lo stato 'vergine' degli ecosistemi e delle risorse è fondamentale per stabilire obiettivi gestionali di conservazione e ripristino ambientale. L’arte ci può aiutare a capire com’è cambiato il mare, e può rappresentare il collegamento tra la paleontologia e le evidenze scientifiche moderne. "Ignorare le informazioni ecologiche fornite da fonti storiche, anche qualitative, pone il rischio di avere una visione distorta di com’era l’ambiente prima che le attività umane lo deteriorassero e impoverissero, facendoci perdere i punti di riferimento cui tendere nella gestione degli ecosistemi", conclude Fiorenza Micheli. Fonte: OggiScienza.

ACQUACOLTURA E PESCA SOTENIBILE: LE MANCANZE DELL'ITALIA E ALTRI PROBLEMI...
L’ecosistema marino europeo è rarefatto a causa dell'ipersfruttamento degli ultimi decenni. È ora di adottare una drastica riforma della politica UE sulla pesca oppure rassegnarsi al progressivo spopolamento delle nostre acque. Maria Damanaki, commissario europeo, è stata molto chiara. In un simile contesto la Commissione Europea minaccia di avviare una procedura di infrazione contro l'Italia, per aver fallito la lotta alla pesca a strascico illegale.
Già nel 2009 l'Italia era stata condannata dalla Corte di Giustizia per non aver dato effettiva attuazione al divieto di impiego di reti a strascico più lunghe di 2.5 km, introdotto in Europa sin dal 1992. Ne è derivato l'ipersfruttamento di specie a rischio di estinzione, il tonno rosso e il pesce spada: secondo i dati Iccat, un terzo della cattura italiana di pesce spada nel 2006-2007 (4.300 tonnellate su 14.000) arriva da attività di pesca illegale che continua ancora.
Quest'anno gli ispettori europei hanno eseguito alcune visite in incognito, in Sicilia e a Ponza, annotando l'inammissibile indulgenza delle autorità locali verso l'uso di reti proibite. Il 17 maggio il commissario per la pesca Maria Damanaki, nel suo primo incontro con il ministro Saverio Romano, aveva perciò chiesto spiegazioni. Ma le spiegazioni forse non sono giunte, o comunque non sono bastate. Oltre al danno, la beffa: circa 700 pescherecci italiani dal 1998 a oggi hanno ricevuto 97 milioni di euro, proprio a titolo di compensazione per l'abbandono delle reti a strascico vietate. In attesa del 6 ottobre e dell'annuncio della Commissione, che potrebbe deferire nuovamente l'Italia alla Corte di Giustizia per la condanna a sanzione di entità stimata in 100 - 120 milioni di euro, IlFattoAlimentare.it ha parlato della riforma della pesca in Europa con Guido Milana, vicepresidente della Commissione Pesca al Parlamento Eu. Testo integrale su IlFattoAlimentare.

LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI NON CONOSCONO LE MOTIVAZIONI DEL FERMO PESCA
Sembra incredibile, ma la maggioranza degli italiani associa il fermo pesca ad un periodo di ferie da parte degli addetti all pesca e di tutto l'indotto. Questo è il risultato che emerge da un indagine condotta in alcuni supermercati della grande distribuzione.
Oltre alla grande confusione legata al consumo dei prodotti ittici (la maggior parte dei consumatori non conosce se non poche specie di pesce), emerge anche questo dato che in un certo senso non ci meraviglia. Gli italiani, insieme a molti vicini europei, sono i più disinformati in termine di nutrizione e corretta alimentazione. Inoltre una cospicua quota di intervistati non conosce neanche i nomi dei mari che bagnano la nostra penisola. In sintesi: il 55% degli intervistati associa il fermo pesca ad un periodo di ferie; il 10% non sa rispondere; il 30% risponde correttamente; il restante 5% sbaglia risposta.

06 OTTOBRE

GLASS BEACH, LA SPIAGGIA DI VETRO Glass beach
Glass Beach a Fort Bragg, in California non è uno scherzo della natura, ma l’esempio di come la natura possa sopravvivere all’uomo. Fort Bragg sin dal 1949 ha ospitato una discarica pubblica poi dismessa nel 1967, quando il North Coast Water Quality Board intervenne vietando l’abbandono di rifiuti. Oggi Glass Beach fa parte dell’area protetta del MacKerricher California State Park. Tra i materiali abbandonati anche tantissimo vetro, accarezzato e levigato dal mare per circa 45 anni. Il risultato è spettacolare: non c’è sabbia ma una battigia fatta di piccoli sassolini di vetro. Fonte: Ecoblog.

ULTIMA ERA GLACIALE: IL PACIFICO NON ERA UN POZZO DI ANIDRIDE CARBONICA
Alla fine dell'ultima Era glaciale, i livelli di biossido di carbonio in atmosfera aumentarono rapidamente in corrispondenza del riscaldamento del pianeta: da molto tempo si ipotizza che la CO2 sia stata rilasciata dall'oceano profondo. Ma un nuovo studio basato sulla datazione al radiocarbonio di foraminiferi trovati in carote di sedimenti della dorsale oceanica di Gorda, al largo delle coste dell'Oregon, rivela ora che il Pacifico nord-orientale non poteva essere un'importante riserva di carbonio durante le Ere glaciali. News integrale su LeScienze.

05 OTTOBRE

DEROGA UE PER ROSSETTO: VITTORIA TARDIVA, MA IMPORTANTE, ORA RISOLVERE ALTRE QUESTIONI APERTE

Il Regolamento EU n. 988/2011 deroga l’art 13 paragrafo 1 del Reg. 1967/2006 per quanto riguarda le acque territoriali dell’Italia adiacenti alla costa della Liguria e della Toscana solo per la pesca del rossetto (Aphia minuta) effettuata con sciabiche da natante utilizzate da navi rispondenti a determinati requisiti

Una vittoria tardiva e parziale, ma molto importante perché riafferma la specificità del Mediterraneo, dimostrando che la tutela dei mestieri di pesca tradizionali è pienamente compatibile con la sostenibilità ambientale. Si tratta inoltre di una vera e propria boccata d'ossigeno per le marinerie coinvolte, che lo scorso anno hanno perso la campagna di pesca e che fanno i conti con una crisi economica ogni giorno più grave. Così Ettore Ianì, presidente di Lega Pesca, ha accolto l'autorizzazione alla deroga per la pesca del rossetto in Liguria e Toscana giunta oggi dalla UE a conclusione di una lunga vertenza, aperta con l'entrata in vigore del Regolamento Mediterraneo e che ha causato pesanti ripercussioni socio-economiche sul settore.
Circa 150 le imbarcazioni coinvolte (48 in Toscana e 94 in Liguria) per complessivi 350 addetti, la cui attività potrà proseguire nell'ambito di un apposito Piano di Gestione presentato dalle Regioni per la stretta regolamentazione dell'attività.
La positiva conclusione della vicenda del rossetto per Liguria e Toscana non chiude, purtroppo, la serie di problemi ancora aperti a livello comunitario, rilancia Lega Pesca: lo stesso iter deve essere intrapreso per tutelare la pesca tradizionale di rossetto, cicerello, lattarino e bianchetto nelle Regioni meridionali, così come rimane ancora del tutto aperto il problema della pesca dei molluschi, per correggere il tiro rispetto a divieti insensati, come quello della distanza minima dalla costa che spinge il prelievo dove la risorsa è assente. Fonte: LegaPesca.

IL GIAPPONE TORNA A CACCIARE LE BALENE
Riprenderà a dicembre l'attività predatoria delle baleniere Giapponesi, sia nel Pacifico nord occidentale sia nel Mare Antartico.
La decisione è stata presa in questi giorni da parte delle autorità sulla pesca del sol levante. Fino a dora sono state cacciate 30.000 balene dalla riapertura della caccia, in nome di una pseudo-ricerca scientifica.
I Giapponesi ritengono la carne di balena un piatto prelibato e ricco di folclore; per cui continuano a consumarlo regolarmente, soprattutto i ceti più facoltosi.
Da un recente sondaggio svolto tra la popolazione giapponese, risulta che la comunità dei giovani è riluttante a mangiare carne di balena ed è favorevole alla loro salvaguardia; anche tra la popolazione adulta il mito della carne di balena sembra incrinarsi rapidamente. Sui banchi del pesce e nei congelatori dei market, i vassoi contenenti carne di balena rimangono spesso invenduti. Allora tutto ciò viene perpetuato a nome solo della ricerca scientifica, o l' economia della pesca e la cantieristica che produce tali imbarcazioni è più importante della salvaguardia dei cetacei, se pur non più apprezzati da una grande maggioranza di giapponesi?
In realtà anche la scusante del piatto tradizionale e quella della ricerca non reggono più, anche perchè, è noto, sui prodotti derivati dalla lavorazione delle carni di balena, esistono centinaia di brevetti in attesa di approvazione e che potrebbero valere una fortuna.
Le associazioni ambientaliste sono sul piede di guerra e si stanno organizzando per protestare nei confronti delle autorità giapponesi, che nel frattempo stanno pianificando di rafforzare il supporto di navi appoggio alla protezione delle baleniere, che subiranno un 'attacco' da parte delle navi di Sea Shepherd.
Siamo sicuri che le associazioni ambientaliste faranno di tutto per contrastare le baleniere e scongiurare l' ennesimo massacro. Naturalmente noi appoggeremo il loro sforzo e saremo da parte di chi protegge indistintamente la natura dei luoghi, e chiediamo ai Giapponesi di inviarci un loro franco parere su quello che fra breve accadrà alle latitudini artiche.

FERMO PESCA PER IL PESCE SPADA
Anche quest’ anno nel periodo 1 ottobre – 30 novembre è fatto divieto di pescare con qualsiasi sistema di pesca (catture bersaglio e/o accessorie), detenere a bordo, trasbordare e sbarcare esemplari di pesce spada in tutti i Paesi dell’ UE. L'obbligo è imposto dalla Raccomandazione ICCAT 04-09 attuaua in Italia con il Decreto Direttoriale MIPAAF n. 33780 del 3 ottobre scorso. Fonte: Eurofishmarket.

03 OTTOBRE

FERMO PESCA PESCE SPADA
Fugare ogni dubbio sulla presunta illeggittimità del provvedimento relativo al fermo stagionale (1 ottobre - 30 novembre) per la pesca del pesce spada. L'urgente richiesta dell'Assessore siciliano alla pesca, D'Antrassi, al MIPAAF, a fronte delle forti perplessità che suscita l'attuazione di questa misura, adombrata da una non limpidissima procedura di recepimento nel diritto comunitario. Stabilita in sede internazionale dall'ICCAT e adottata anche dal GCPM/FAO, la misura, introdotta lo scorso anno con pesanti ricadute socioeconomiche, ha dato adito a numerosi ricorsi amministrativi ancora pendenti. Fonte: LegaPesca.

COMMISSIONE PESCA: L'EUROPA CHIEDE ALL'ITALIA DI CONFORMARSI ALLE SENTENZE SULL'USO ILLEGALE DELLE RETI DA POSTA E DERIVANTI
La Commissione Europea invita l’Italia ad adottare opportuni provvedimenti per conformarsi a una sentenza pronunciata nell’ottobre 2009 dalla Corte di Giustizia concernente il persistere del ricorso illegale alle reti da posta derivanti da parte dei pescherecci italiani. Secondo la Corte, l’Italia non ha adeguatamente adempiuto ai propri obblighi in materia di controllo e applicazione del divieto dell’UE concernente l’uso di questi attrezzi. La salvaguardia degli stock ittici e l’eradicazione delle pratiche di pesca illegali costituiscono priorità fondamentali per l’UE; per questo motivo la Commissione e, in particolare, la Commissaria per gli Affari Marittimi e la Pesca, Maria Damanaki, deplorano che l’Italia continui a violare il divieto relativo alle reti da posta derivanti, vigente dal 1992. Se non saranno adottati opportuni provvedimenti entro due mesi dal ricevimento della lettera della Commissione, la Commissione potrà nuovamente adire la Corte di Giustizia chiedendo che all’Italia siano applicate pesanti sanzioni finanziarie in conformità delle disposizioni del trattato.
L’uso di attrezzi illegali quali le reti da posta derivanti ha un impatto devastante sull’ambiente, in quanto danneggia gli habitat e la fauna marina e mette a repentaglio la sostenibilità delle attività alieutiche. Le pratiche di pesca illegali costituiscono una minaccia per il reddito dei pescatori onesti e delle comunità costiere e per il futuro della pesca in generale. Per questo motivo, nell’interesse di tutti, l’attuazione e il rispetto delle norme sono al centro delle priorità della Commissione.
Nonostante i ripetuti richiami rivolti all’Italia circa la necessità di adempiere correttamente agli obblighi di controllo e di garantire l’applicazione delle norme, recenti ispezioni in loco non hanno rivelato segni di miglioramento significativi rispetto alla situazione esistente prima della sentenza della Corte. Le verifiche effettuate dalla Commissione indicano che l’uso illegale delle reti da posta derivanti è assai diffuso in Italia e che i provvedimenti adottati dalle autorità nazionali non sono sufficienti né abbastanza efficaci per scoraggiare il ricorso a questo metodo di pesca.

Contesto
La controversia risale al 1992, quando l’UE ha vietato l’uso delle reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2.5 km (in risposta a una moratoria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1991 all’uso di grandi reti da posta derivanti).
Da allora l’Unione Europea ha reso via via più rigorose le restrizioni applicabili a questo tipo di attrezzi per far fronte alle crescenti preoccupazioni suscitate da una tecnica di pesca che, essendo assai poco selettiva e comportando quindi ingenti catture accessorie di specie non bersaglio, costituisce una minaccia per la conservazione di numerosi stock ittici e mammiferi marini. Dal gennaio 2002 l’UE ha completamente vietato l’uso di reti da posta derivanti destinate alla cattura di stock ittici quali il tonno bianco, il tonno rosso e il pesce spada, a prescindere dalla loro lunghezza. Fonte: Il Pesce.

PALERMO: LOTTA ALLA PESCA ILLEGALE
Venerdì 30 settembre 2011, durante i controlli in materia di pesca, personale del Centro di Controllo Area Pesca della Capitaneria di Porto di Palermo ha proceduto, in località Bonagia, al sequestro di 13 esemplari di pesce spada sotto misura. Alle soglie del periodo di fermo (01 ottobre – 30 novembre), gli esemplari, pescati la notte prima, avevano un peso tra 1.2 e 2.6 chilogrammi, per un totale complessivo di circa 26 chilogrammi. Sequestrati inoltre 3 esemplari di tonno, sempre sotto taglia minima, di circa mezzo chilogrammo ciascuno, in violazione del piano di ricostituzione di specie ittiche previsto dai regolamenti vigenti in materia.
Gli uomini della Capitaneria di Porto hanno deferito il trasgressore all’Autorità Giudiziaria in violazione dell’art. 15 lett.c della L. 963/65 cd. "Disciplina della Pesca Marittima". Il pescato sequestrato, preventivamente sottoposto a visita veterinaria, è stato giudicato non idoneo al consumo umano ed è stata quindi disposta l’immediata distruzione da parte della Procura di Palermo.
Nel corso della stessa mattinata, i militari della Guardia Costiera hanno, inoltre, proceduto in località Aspra-Ficarazzi, al sequestro di 283 esemplari di riccio di mare e 2 polpi pescati sotto costa da un sub con l’ausilio di apparati di respirazione, la cui pratica ad oggi è assolutamente vietata a causa della consistente minaccia che la stessa rappresenta nell’habitat marino e costiero. Intervenuto via terra, il personale della Capitaneria ha immediatamente sequestrato, oltre al pescato, anche tutta l’attrezzatura da pesca utilizzata. I ricci ed i polpi sequestrati ancora vivi sono stati nuovamente rigettati in mare in piena Area Marina Protetta di Capo Gallo. Fonte: Eurofishmarket.

01 OTTOBRE

C'È VITA NEL MAR MORTO
Seconda una nuova ricerca, il Mar Morto non è così morto come dice il suo nome: nel suo fondale sono state trovate decine di crateri giganti dai quali fuoriesce acqua dolce ricca di nuove specie di batteri.
Nel 2010, spiega Danny Ionescu, microbiologo del Max Planck Institute, una prima missione di ricerca ha scoperto che queste sorgenti di acqua dolce rappresentano un vero e proprio "punto caldo per la vita" del lago che si trova al confine tra Israele e Giordania. Il gruppo di ricercatori ha individuato numerosi crateri, larghi circa 10 metri e profondi 13, sul fondo del bacino a una profondità di 30 metri. Ionescu racconta che i crateri sono ricoperti da un sottilissimo film e, a volte, anche da strati molto più spessi, di batteri appartenenti a specie sconosciute.
Queste microscopiche comunità vivono vicine ai sottili pennacchi di acqua dolce che escono dalle sorgenti sottomarine, la cui presenza era già stata ipotizzata dai ricercatori visto le particolari onde che si osservano sulla superficie del Mar Morto. Per riuscire a individuare queste sorgenti, i sommozzatori hanno dovuto scandagliare "a vista", con una visibilità minima, il fondo del Mar Morto, alla ricerca di ripidi strapiombi. "Quando metti la testa dentro un cratere, non vedi niente, devi solo avere fede e voglia di esplorare - racconta Ionescu - ma una volta che l'acqua torna trasparente alla base del cratere, vedere questi sbuffi di acqua che zampillano dalla terra è una cosa affascinante". Testo integrale su National Geographic.

MAR MORTO: I PIANI PER SALVARLO DA MORTE CERTA
Il nome di molti mari talvolta è legato alle caratteristiche cromatiche che assume, mentre il Mar Morto si chiama in quanto modo perché le sue acque godono di un tasso di salinità talmente elevato da non permettere la vita: sono infatti presenti solo microrganismi, alghe e un'unica specie di gamberetto. Nei documenti storici si trovano altri nomi per definirlo fra cui Mare Salato, Mare Aggressivo e Mare del Destino. Questo mare è in realtà un grande bacino lacustre, che ha la peculiarità di essere situato nel punto più basso della Terra, quasi 400 metri al di sotto del livello marino: si tratta di un lago terminale, ovvero privo di emissari, alimentato unicamente dalle acque del fiume Giordano e qualche altro corso d'acqua minore. Testo integrale su Meteogiornale.

MUCILLAGINE E/O SCHIUMA? L'ADRIATICO DIVENTA MARRONE Parte II
La schiuma marrone e persistente che ha interessato le acque dell'intero tratto costiero di Romagna e Marche, è innocua e non pericolosa per la salute. "Non si tratta di mucillagine, è una semplice fioritura algale che è naturale si verifichi a questo punto della stagione". Assicura il direttore riminese dell’Arpa, Mauro Stambazzi, che stronca sul nascere ogni allarmismo. "Non c’è nessuna tossicità, né per i pesci né per le persone - mette in chiaro - si tratta di un normale ciclo vitale. Queste microalghe sono già state analizzate dal nostro centro Daphne e la fioritura risulta già esaurita, quindi il fenomeno è già in calo".
In questi giorni noi di biologiamarina.eu abbiamo ricevuto diverse segnalazioni e siamo stati invitati a documentare il fenomeno che, a tratti, si presentava imponente e molto esteso. Lo strato di schiuma, che persiste sulla battigia anche per diversi giorni prima di decomporsi, in certe zone era spesso diversi centimentri.
Troppo spesso il fenomeno è spiegato in termini troppo semplicistici, e il fiume Po sembra essere il maggior imputato che, con il suo carico di azoto, fertilizzerebbe l'Adriatico sino a determinare fenomeni eutrofici come quello di questi giorni. La questione eutrofia dell'Adriatico meriterebbe secondo noi studi dettagliati e spiegazioni meno superficiali.

Fioriture algali Fioriture algali

NUOVO MAXI SEQUESTRO DI PRODOTTI ITTICI ADULTERATI
Nuovo maxi sequestro del Nas di Milano ai danni di chi, disonestamente, opera nella filiera del pesce. Questa volta a finire nella rete del Nucleo antisosfisticazioni sono state ben 30.000 confezioni di surimi pari a tre tonnellate, più due quintali di salmone, etichette, bilancia elettronica di precisione, prodotti smacchianti per le etichette. Il tutto funzionale a riciclare prodotti acquistati all’ingrosso, posticipandone falsamente la data di scadenza. Una macchina del riciclaggio, in particolare, di surimi scaduti da distribuire nei supermercati del nord Italia. Valore dell’intera struttura: tre milioni di euro.
Se questo era il riciclato, c’è da chiedersi cosa lo componeva, visto che il surimi altro non è che il frutto della lavorazione di pesce, spesso, nella tradizione popolare giapponese, derivato da scarti. Un misto di cucina povera e di abilità nel conservare il pesce. Nei casi più comuni dovrebbe essere merluzzo, ma non vi è un protocollo da seguire nella sua preparazione, ammesso che venga rispettato. Del resto, lo stesso prodotto ora sequestrato dai militari del NAS, riportava, nell’etichetta con scadenza posticipata, "surimi al sapore di granchio precotto e surgelato".
L’attività era priva di autorizzazione sanitaria e si svolgeva in locali con sporcizia diffusa e materiali non attinenti, come pneumatici e vecchi letti. Non veniva, inoltre, rispettata alcuna procedura sul rispetto della catena del freddo, non poteva cioè essere garantita la corretta conservazione del prodotto surgelato.
Il surimi è diventato una moda e tutti se ne ingozzano avidamente come del resto succede con il sushi, di fatto pesce crudo, specie di tonno. Quest’ultimo, così mangiato rischia di inglobare, se prelevato da pescatori da diporto (ovvero non passato dai mercati ittici), pure l’anisakis, pericoloso nematode che infesta la carne del pesce e che può provocare finanche perforazioni intestinali. Per elimarlo, dovrebbe essere congelato. Almeno, in questo caso, il surimi (congelato) non ha colpa. Fonte: GeaPress.