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31 MAGGIO

DAL 3 GIUGNO NIENTE CANNOLLICCHI
Dal 3 giugno prossimo niente cannolicchi in tavola. Diventano, infatti, fuori legge le draghe idrauliche entro le 0.3 miglia dalla costa, le attrezzature con cui si pescano questi molluschi. È l’allarme lanciato dalla Lega Pesca che riguarda la flotta tirrenica, in particolare quella laziale e campana. Il 3 giugno, data di riapertura della pesca dopo il fermo biologico di due mesi, le flottiglie non potranno riprendere l’attività a causa del divieto europeo, con gravi ripercussioni socio-economiche per pescatori e indotto, ristorazione compresa.
" “Siamo di fronte ad un divieto insensato, privo di dignità scientifica e completamente estraneo alle specificità dei litorali tirrenici", lamenta Lega Pesca che aveva già denunciato la situazione lo scorso ottobre. Il problema oggi, spiega l’associazione, è l’assenza di risposte da parte della Commissione Europea chiamata ad approvare il Piano di Gestione proposto dall’Italia e accolto positivamente dal Comitato Scientifico, Tecnico ed Economico per la Pesca (Stecf). La Lega Pesca, quindi, rilancia al Ministero l’urgenza di avere il via libera al Piano e dare seguito alle raccomandazioni del Comitato per avviare un progetto pilota triennale che consentirebbe agli operatori locali di riprendere l’attività di pesca. Fonte: Zootecnews.

CILE, PROTESTA CONTRO LE CINQUE DIGHE DELL'ENEL
Cinque grandi dighe da costruire in Patagonia. A volere il progetto Hidroaysèn (qui altre informazioni) è il Governo cileno. Con il coinvolgimento dell’italiana Enel e della cilena Colbùn. Ma per il terzo fine settimana consecutivo una grande manifestazione ha attraversato il centro di Santiago del Cile per protestare contro un piano energetico, che secondo gli attivisti, causerà danni all’ambiente. Testo integrale qui.

PESCA E TRACCIABILITÀ
Si è svolto il 29 maggio scorso allo Slow Fish, il Laboratorio dell’Acqua dedicato alla vendita diretta e la tracciabilità. Il seminario, moderato da Stefano Masini, Responsabile area Ambiente e territorio della Coldiretti, ha fatto il punto su diverse esperienze in materia in Italia e all’estero.
Luigi Zippo, del Centro Controllo Area Pesca, Capitaneria di Porto - Guardia Costiera di Genova, dopo aver brevemente ricordato la nuova normativa europea che richiede l’obbligatoria etichettatura del pesce con nome commerciale, metodo di produzione e zona di cattura, ha fatto un breve excursus sulle attività del Centro, il cui controllo non si limita ai porti, ma anche ai grandi centri di stoccaggio, ai rivenditori e ai ristoranti.
Tasha Sutcliffe, Direttore Programma Pesca e Aree Marine di Ecotrust Canada, ha illustrato il progetto Thisfish, nato due anni fa da un’idea di alcuni pescatori locali in seguito alla decisione dell’Unione Europea di permettere l’importazione dal Canada soltanto di pesce tracciabile. Sono nati così un sito internet e una app attraverso i quali, inserendo il codice presente nell’etichetta del pesce acquistato, i consumatori possono accedere alle più varie informazioni, dalla tecnica di pesca al nome del pescatore, dalle proprietà nutritive ai consigli gastronomici. Il progetto coinvolge attualmente 172 pescherecci.
Antonio Attorre, Presidente Slow Food Marche, ha raccontato l’esperienza virtuosa del Presidio del Mosciolo di Portonovo, in provincia di Ancona. Un piccolo borgo dove vige una sana economia legata alla pesca e al turismo, un chiaro esempio di filiera corta in cui è saldo il rapporto tra pescatori, ristoratori e consumatori [mosciolo è il nome comune del mitilo].
Di tutt’altro stampo l’intervento di Jann Martinsohn, Ricercatore del Joint Research Centre, che ha affrontato l’argomento da un punto di vista scientifico, ovvero come l’individuazione del dna dei pesci possa essere un utile metodo investigativo per scoprire sofisticazioni alimentari, individuare pesci fuggiti dall’allevamento o pescati in acque diverse da quelle dichiarate. Fonte: Slow Food.

30 MAGGIO

STOP ALLE TRIVELLAZIONI NEL MEDITERRANEO
Allo stand Slow Food della Regione Liguria, è stato presentato ieri il primo rapporto Gli italiani, il mare e la blue economy, curato dalla Fondazione UniVerde e IPR Marketing: un’occasione per raccontare, attraverso un sondaggio piuttosto articolato, qual è il rapporto tra il nostro Paese e i suoi 8.000 km di costa da un punto di vista sentimentale, percettivo e infine economico. Sono così emersi dati piuttosto curiosi: dal fatto che la maggioranza consideri il mare più sporco di qualche anno fa (dato non vero), al fatto che solo il 12% colleghi l’economia marina alla pesca. Il dato su cui riflettere maggiormente, come ha evidenziato il presidente di Slow Food Italia, Roberto Burdese, è però che ben il 64% degli italiani dichiara di essere contrario alle trivellazioni petrolifere in mare: «Sappiamo come spesso in passato siano state date autorizzazioni spericolate. Proprio in questi giorni si sta cercando di ottenere permessi di trivellazioni in zone protette delle isole Tremiti. Dobbiamo pubblicizzare al massimo questo dato, far sapere che la maggioranza degli italiani non ci sta».
Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde, ha rilanciato proponendo una petizione da presentare insieme a Slow Food, che miri a ottenere una moratoria sulle trivellazioni nel Mediterraneo. Proposta ben accolta da Silvio Greco, Presidente del Comitato Scientifico Slow Fish, il quale ha rincarato la dose: «Un altro scempio ambientale è quello degli impianti eolici off shore nel Canale di Sicilia, peraltro inutili visto che in quella zona il vento non soffia». Greco, insieme a Roberto Danovaro, Presidente della Società Italiana di Ecologia, ha poi concluso denunciando l’indifferenza della classe politica nei confronti della ricerca scientifica: non solo non vengono ascoltati i segnali d’allarme, ma non vengono neanche forniti i mezzi e le risorse finanziarie affinché i ricercatori possano svolgere correttamente il proprio lavoro. Fonte: Slow Food.

SLOW FISH...LA MANIFESTAZIONE CONTRO
Imprigionati nelle reti da pesca, senza possibilità di scampo in una lunga agonia, così gli attivisti del Progetto BioViolenza hanno rappresentato davanti agli ingressi della Fiera di Genova, dove si tiene la kermesse Slow Fish, la loro denuncia verso le crudeltà inflitte agli abitanti dei mari. Un centinaio di animalisti e antispecisti provenienti anche da Milano, Brescia, Pisa, e Piemonte hanno così contestato quella che vuole essere l’evento dedicato alla pesca "sostenibile" legata all’organizzazione di Slow Food e sostenuta dalla regione Liguria di cui abbiamo già documentato i contenuti con articolo di ieri.
Una delegazione è potuta entrare nel pomeriggio all’interno inscenando nuovamente la rappresentazione ma anche confrontandosi, sulle cifre del massacro della pesca e sulle ragioni etiche, con gli organizzatori e i visitatori dell’evento.
Dalle prime notizie ufficiose l’afflusso del pubblico a Slow Fish sembra in grande calo rispetto agli anni precedenti, attendiamo i dati ufficiali nei prossimi giorni.
I pesci non sono empatici, purtroppo per loro. Non riescono a smuovere gli stessi sentimenti di un cagnolino, piuttosto che di un gattino. Non è la pesca etica, che salverà il mare. Non può esserlo nel momento in cui non si ha rispetto (innanzi tutto della vita) per ogni essere che lo abita. Il messaggio che viene dato al pesce, rimane purtroppo quello di un piatto da cucinare. Dal sempre più raro tonno sott’olio (pesca non etica…) ai cicciarelli e rossetti (pesca … "etica", o di tradizione, promossa da Slow Fish). Proprio per questi ultimi c’è stato pure chi ha cercato di far passare il messaggio che il divieto di pesca imposto dalle direttive comunitarie sia dovuto ad un errore dell’Unione Europea. Fonte: GeaPress.

28 MAGGIO

SLOW FISH O SLOW DEATH?
Si è aperta ieri la quinta edizione di Slow Fish, presso la Fiera di Genova; fino a lunedì 30 la manifestazione voluta da Slow Food ed enti locali liguri per promuovere la pesca non industriale ma legata alle tradizioni locali. All’inaugurazione era presente la Presidente della Commissione Europea della Pesca Maria Damanaki, che ha condizionato la riapertura della pesca a cicciarelli e rossetti, ad un piano di pesca che l’Italia dovrà presentare. Due attività di pesca per i palati di micropesci, più volte agevolati negli intenti pro-prelievi del Presidente della Regione Liguria, Claudio Burlando e di Carlo Petrini, ovvero il patron di Slow Food. No secco (sempre della Damanaki) per il bianchetto, ovvero i pesci neonati, in genere di sarda, anche qui molto ambiti dai piatti … di tradizione.
Gli animalisti di BioViolenza vogliono però mettere sotto i riflettori la sofferenza silenziosa degli abitanti dei mari, milioni di pesci, crostacei e molluschi vittime anche delle pesche tradizionali, oltretutto anche loro complici del depauperamento dei mari ormai accertato anche dagli organismi internazionali indipendenti. Stamane, le conferenza stampa che hanno annunciato, per domenica mattina alle ore 10.30, un presidio creativo davanti ai cancelli della Fiera di Genova, durante il quale sarà rappresentato il massacro dei pesci. Ma ieri anche l’incontro con Carlo Petrini, il patron di Slow Food, che ha aperto una porta agli animalisti. Domenica gli attivisti di BioViolenza sono stati invitati ad entrare nella Fiera e partecipare ai dibattiti già organizzati, una possibilità in più per sviluppare un confronto soprattutto con il pubblico, quindi con i consumatori.
GeaPress intanto ha visitato Slow Fish, su alcuni banconi degli stand sono esposti con orgoglio i cadaveri di molti pesci, alcuni anche poco comuni, oltre che i soliti astici in acqua con le chele legate, all’interno di piccoli contenitori. La presenza di tante scolaresche dimostra che la strada verso il rispetto di tutti esseri viventi è ancora lunga.
Slow Fish contraddice poi le sue stesse  intenzioni promuovendo anche gli impianti di acquacoltura, ossia allevamento intensivo di pesci in grandi vasche in mare, sotto accusa anche perché inquinanti a causa dell’alimentazione artificiale con farine di pesce e cereali, olio di pesce, utilizzo di farmaci e antibiotici che si disperdono in mare aperto. Fonte: GeaPress.

RIMINI: ACQUE NERE...A MARE
Come spesso accade, ogni volta che il maltempo lo permette (temporale, mare mosso), le fognature si rompono. Succede spesso nelle Mareche (ultimo episodio lo scorso anno ad agosto), in Emilia Romagna, in Abruzzo ecc...L'ultimo episodio ieri a Rimini.
Quando piove, il mare di Rimini si tinge di nero. Una macchia scura avanza graduale sul mare e quando i raggi del sole tornano a splendere emerge staccandosi nettamente dal verde dell’acqua. Non è oro nero, è liquame. Forse non molti lo sanno, al di fuori dei riminesi, ma la città per antonomasia del turismo balneare romagnolo ha un sistema fognario indifferenziato. Acqua nere e bianche terminano nelle stesse condotte e quando piove troppo gli scarichi finiscono a mare. Tredici sono i punti di scarico in zone diverse del litorale riminese, da Torre Pedrera al fiume Marano. Quello delle fogne è il problema strutturale più sentito dai cittadini. Risale ai tempi del boom economico, quando Rimini iniziò a svilupparsi a suon di cemento e opere edilizie spesso discutibili (il cosiddetto modello Rimini ormai vetusto, che molte piccole amministrazioni continuano forzatamente a seguire). La città si espanse, ma il sistema fognario rimase uno e misto. E da allora gli scarichi in mare sono cronaca ordinaria quando, a causa della pioggia, l’acqua in eccesso non riesce a defluire verso il depuratore. In questo quadro, non certamente idilliaco né per i residenti né per i tanti turisti, una speranza di risolvere il problema c’è, anche se "forse ci vorranno 20 anni".
A dirlo è Sergio Giordano del movimento Basta merda in mare. Questo gruppo di persone, "indipendenti da qualsiasi schieramento politico" ha scelto un nome senza eufemismi, per non edulcorare un problema grave, avvertito da tutta la cittadinanza. Un positivo cambio di rotta si è avuto, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 con la vittoria, in consiglio comunale, del fronte che sosteneva lo sdoppiamento della rete fognaria. "L’opera – ricorda Giordano – costerà quasi 1 miliardo di euro", da spalmare in un ventennio. Serviranno così circa 50 milioni di euro all’anno. L’indirizzo comunale di sdoppiamento prevede una modifica all’ultimo piano fognario del 2006. La giunta del sindaco uscente Ravaioli aveva messo in cantiere a Rimini nord, dal porto a Torre Pedrera, lo sdoppiamento delle fogne al 75%, il restante 25 avrebbe continuato a scaricare in mare. Rimini sud invece sarebbe rimasta a rete mista. Testo integrale qui.

AL VIA IERI LA QUINTA EDIZIONE DI SLOW FISH
Ospite d’onore della quinta edizione di Slow Fish, il Commissario Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca, Maria Damanaki, che ha aperto ieri mattina la manifestazione.
Secondo il Commissario, per risolvere i problemi legati al mondo della pesca occorre una grande riforma che preveda decisioni a lungo termine, le uniche che possano davvero incidere sul quadro generale; decisioni che riguardino nuove modalità di pesca rispettose delle aree e degli animali sensibili o a rischio. L’Unione Europea ha chiesto a ciascun Paese membro di presentare un proprio piano nazionale sulla pesca, in modo poi da poter valutare l’opportunità di deroghe alla normativa europea in favore dei piccoli pescatori. Deroghe che però non riguarderanno, in nessun caso, il novellame. Il Commissario ha poi spostato l’attenzione sulla pesca illegale, che oltre a essere deleteria dal punto di vista ambientale, distorce i mercati e danneggia i pescatori onesti: per contrastarla, l’anno scorso si è provveduto alla tracciabilità elettronica del pesce. Vige inoltre un sistema a punti in base al quale, i pescatori illegali scoperti grazie ai controlli degli ispettori dell’Unione Europea, se ricevono una serie di multe possono perdere la licenza.
Per quello che riguarda l’acquacoltura, quando questa è sostenibile può essere un’ottima soluzione sia per combattere l’overfishing sia per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Quanto agli stock la cui pesca è ritenuta sostenibile, oggi sono 37, nove in più rispetto a due anni fa, mentre quelli la cui pesca era assolutamente vietata sono passati da 14 a 11: due segnali sicuramente incoraggianti. A fronte di un discreto ottimismo, la Damanaki ha però ricordato che le proposte della Commissione che presiede devono essere votate dai parlamentari europei. Così si deve spesso scontarsi con l’immobilismo, l’opposizione legata a interessi politici o economici. Ecco perché è importante che la società civile venga coinvolta in queste tematiche: citando Rita Levi Montalcini, «una società civile globale può creare le condizioni per ridurre l’impatto ambientale».
Roberto Burdese all’apertura della cerimonia ha voluto ringraziare il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che anche quest’anno ha patrocinato la manifestazione.
Carlo Petrini ha sottolineato quanto il Commissario Europeo stia facendo nella difesa del mondo della pesca sostenibile e nella promozione del consumo responsabile. Il presidente di Slow Food inoltre ha voluto esprimere la sua solidarietà ai lavoratori di Fincantieri che rischiano il posto di lavoro. Petrini ha ricordato che il 16 settembre 1972 era il varo della Mihelangelo e quanto fosse orgogliosa allora la Liguria e l'Italia intera. Un raffronto con il mondo dei piccoli pescatori, anch'essi in questo momento non sufficientemente tutelati rispetto a un disastro ambientale che li condanna ad una lenta estinzione. «Un’assurda politica consumistica non è più sostenibile» ha concluso Petrini.
Il Presidente della Regione Liguria Claudio Burlando: «L'apertura di questa quinta edizione di Slow Fish coincide con una drammatica vicenda industriale che potrebbe mettere a rischio molti posti di lavoro. Mi viene in mente perché pensare una Liguria senza cantieri e senza piccole realtà della pesca è inimmaginabile. L'educazione alla pesca sostenibile è una delle vocazioni più importanti di Slow Fish e noi abbiamo imparato molto da questa esperienza comune con Slow Food e Carlo Petrini. In questa regione nessuno ha pescato un rossetto, un bianchetto o un cicciarello. È stato già difficile perdere una stagione, ma pensare di perderne due è per noi impossibile. Qui si tratta di rinunciare a tradizioni e culture di intere generazioni. La Liguria è una regione in cui c'è meno pescosità rispetto a altre realtà, ma registriamo un ritorno ad attività quali pesca e agricoltura. I liguri sono gente seria che ama il mare e lo rispetta e che accetta anche dei no, ma è necessario salvare le realtà che rispettano le regole».
Pierluigi Vinai, Vice Presidente di Fondazione Carige, ha sottolineato come MareTerra di Liguria, progetto di Fondazione Carige realizzato da Slow Food Liguria, persegua gli stessi obbiettivi dell’associazione della chiocciola: preservazione del territorio e formazione delle nuove generazioni con Presìdi, Mercati della Terra, Orti in Condotta. Da: SlowFish.it.

12 TONNELLATE DI TONNO ROSSO SEQUESTRATE A CHIOGGIA
Un gigantesco traffico illegale di tonni rossi è stato scoperto dai militari del nucleo di Polizia Marittima della Capitaneria di porto di Chioggia. Almeno dodici tonnellate, per un valore di seicentomila euro, di questa specie protetta, sono state commercializzate illegalmente partendo da Sicilia e Sardegna, attraverso un centro di distribuzione di Parma, per arrivare ai mercati all'ingrosso di Milano e Chioggia e, da qui, alle destinazioni finali. Un traffico scoperto grazie alle nuove norme europee sulla tracciabilità dei prodotti ittici. Tutto è iniziato con i controlli di routine al mercato ittico di Chioggia.
A più riprese gli uomini della guardia costiera avevano trovato partite di tonno rosso fuori regola.
In un caso avevano addirittura seguito un carico destinato al mercato svizzero fino alla frontiera di Chiasso. Ma il quantitativo più grosso è stato scoperto lunedì: una tonnellata, pari a una trentina di esemplari, molti dei quali sottomisura, cioè allo stadio giovanile, la cui cattura, vietata per legge, danneggia seriamente la capacità riproduttiva della specie. Il tutto accompagnato da falsi documenti di cattura (BCD). Questo certificato, da poco introdotto dalla legislazione europea, serve a seguire dal luogo di pesca al consumo finale ogni esemplare della specie, in modo da controllare che ne vanga prelevato il numero consentito ogni anno. Il confronto con i BCD originali rilasciati a Marsala ha permesso di svelare i falsi. Ma la quantità ha insospettito i militari che hanno seguito la pista della ditta di trasporto fino ad arrivare al centro di distribuzione di Parma. Qui, l'altra notte, hanno fermato i Tir della ditta (una grossa azienda italiana) e hanno sequestrato 12 tonnellate di tonno rosso che è stato necessario stoccare in un magazzino messo a disposizione dalla Nestlè. Da Parma le tracce del traffico conducevano a Chioggia e a Milano. Qui, ieri mattina, insieme ai colleghi della Capitaneria di Genova, competente per territorio, i militari di Chioggia hanno sequestrato altro tonno. In tutto una trentina di tonnellate, ma solo le prime 12 sono già state convalidate dal magistrato.
Cinque gli autotrasportatori denunciati, tra cui uno che era scappato dal camion, a Milano, lasciando il frigo acceso e le porte chiuse, ma che è stato rintracciato poco dopo. L'indagine continua anche per individuare i potenziali acquirenti.
Tra l'altro, ad alcuni dei tonni, erano state tagliate le pinne, per poterli spacciare per tonni ala lunga, specie meno pregiata il cui prelievo non è, però, contingentato come per il tonno rosso che, proprio dal 23 maggio, non si può più pescare. Fonte: Sindacato Italiano Veterinari Medicina Pubblica.

27 MAGGIO

LE FRODI E LE FURBERIE DEL SETTORE ITTICO
Filetti di lupo di mare di poco pregio venduti per costosi filetti di sogliola, oppure merluzzo pescato nel Mare del Nord che viene fatto passare per merluzzo del Mar Baltico: ecco due esempi di frode nel settore della pesca. Un rapporto della Commissione Europea pubblicato oggi segnala come le tecnologie molecolari, basate sulla genetica, la genomica, la chimica e la medicina legale, possano dare risposte precise a domande come "da che specie di pesce viene questo prodotto, dove è stato pescato, è di allevamento o no?".
La relazione del Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione, dal titolo "Lotta alle attività illegali nel settore della pesca" (Deterring illegal activities in the fisheries sector) spiega in che modo queste tecnologie possono contribuire alla lotta contro le pratiche illegali e rafforzare la tracciabilità - anche per i prodotti trasformati come il pesce in scatola — "dal mare alla tavola".
"Nel presentare la relazione alla manifestazione Slow Fish a Genova, Maria Damanaki, commissaria europea responsabile degli Affari Marittimi e della Pesca, ha affermato: "La pesca illegale raggiunge un valore di 10 miliardi di euro all’anno in tutto il mondo. Si tratta di un’attività criminale con effetti nefasti per tutta l’economia, distruttivi per l’ecosistema marino e dannosi per le collettività dei pescatori e i consumatori. Non vi può essere pesca sostenibile se le regole non sono rispettate, nelle acque dell’Unione europea e fuori di esse. Da oggi entriamo in una nuova era: la sfida sarà trasporre questa nuova scienza nella pratica quotidiana in tutta Europa".
Le tecniche fraudolente più diffuse sono l’indicazione in etichetta di un falso nome della specie oppure la dichiarazione di una falsa origine. Oggi però grazie alle analisi molecolari basate sulla tecnologia del DNA, è possibile identificare le specie anche nei prodotti trasformati e individuare la frode.
Il CCR sollecita l’Unione europea a  promuovere un dialogo consapevole tra le parti interessate e  propone:

Per migliorare la tracciabilità dei prodotti della pesca e lottare contro la pesca illegale, la Commissione sta investendo nell’attuazione del Regolamento INN (v. MEMO/09/2002), a norma del quale tutti i prodotti della pesca marina devono essere accompagnati da certificati di cattura validati. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri il compito di validare i certificati. Possono contribuire a questo processo le tecnologie di controllo più avanzate, come quelle descritte nella nuova relazione del CCR.

PESCA IN MAURITANIA: ACCORDO PER EVITARE IL COLLASSO DEGLI STOCK ITTICI
Il 12 maggio il Parlamento Europeo ha adottato in seduta plenaria una risoluzione sul rinnovo dell’Accordo di Pesca con la Mauritania (EU-Mauritania Fisheries Partnership Agreement, FPA). Lo spirito della risoluzione è stato ben espresso da un intervento dell’eurodeputato Guido Milana, vicepresidente della Commissione Pesca: "bisogna sottolineare la misurazione degli effetti degli accordi di pesca, perché questi non siano solo meri accordi commerciali attraverso i quali andiamo a comperare cefalopodi a 1 €/kg in Mauritania".
Sulla base di un precedente accordo (Reg. CE n. 1801/06) valido fino al 2012, l’Europa ha versato 305 milioni di euro in quattro anni per poter pescare nelle acque territoriali del paese africano. Per rendersi conto di quanto sia considerevole l’importo, basti pensare che il contributo rappresenta circa un terzo del bilancio della Mauritania, uno degli stati più poveri del continente.
L’obiettivo dell’accordo non deve essere solo business: bisogna misurare la sostenibilità, l'impatto nei confronti dell'economia, capire i risvolti sull’occupazione e coem saranno utilizzate queste risorse. In particolare, si pone il problema di esaurire le riserve ittiche locali a causa della pesca intensiva di alcune specie, come il polipo. Bisogna quindi concentrarsi sulla sostenibilità, focalizzando l’attenzione su tre punti:

Fonte: IlFattoAlimentare.

26 MAGGIO

SEQUESTRATE SETTE TONNELLATE DI TONNO ROSSO
Ammonta ad oltre 7 tonnellate la quantità di tonno rosso pescato illegalmente in Sicilia, e parliamo solo dei sequestri degli ultimi giorni. A Marsala, la locale Guardia Costiera,  in un’operazione coordinata dal Reparto Operativo della Direzione Marittima di Palermo, ha bloccato un peschereccio di rientro da una battuta di pesca con 6 tonnellate di tonno rosso. Dai controlli effettuati a bordo dai militari, è emerso che il motopesca non aveva le autorizzazioni ministeriali necessarie per tale tipo di pesca. Così il natante è stato fatto rientrare nel porto di Marsala, e al comandante sono state elevate 2000 euro di multa.
Nel porto di Palermo, invece, la Guardia di Finanza ha sequestrato 13 tonni rossi risultati sottomisura. I tonni erano trasportati all’interno di un furgone con cella refrigerata appena sbarcato da un traghetto proveniente da Ustica. Il conducente, un uomo palermitano, è stato denunciato a piede libero, mentre il pescato è stato sequestrato.
Un’altra tonnellata di tonno rosso è stata sequestrata dalla Squadra di Polizia Marittima della Guardia Costiera di Porto Empedocle (AG). In questo caso, l’intervento dei militari è avvenuto a seguito di una segnalazione dei colleghi dell’ Ufficio Circondariale Marittimo di Lampedusa. Dall’isola, infatti, si era avuto il sospetto che si fossero imbarcati su un traghetto alcuni camion contenenti il frutto della pesca illegale.
Ed in effetti, durante i controlli effettuati a Porto Empedocle su una decina di mezzi sbarcati, la Guardia Costiera ha individuato due camion frigo che trasportavano rispettivamente 7 e 12 tonni rossi, privi dei documenti obbligatori sulla tracciabilità del pescato. Ai due conducenti dei camion sono state elevate in totale 4.000 euro di multa.
Il tonno rosso è una specie particolarmente protetta dalla Comunità Europea proprio perché la pesca selvaggia ed indiscriminata ha messo a serio rischio la sua stessa sopravvivenza. La sua cattura è prevista all’interno di quote di prelievo fissate per ciascun paese. L’Italia ha già superato tale quota, tanto che il Ministero delle Politiche Agricole con apposito Decreto ha sancito la chiusura della pesca al tonno rosso lo scorso 23 maggio. Fonte: Geapress.

GLI ITALIANI E I DELFINARI: SONDAGGIO DELL'IPSOS
Il 68% degli italiani vorrebbe proibire i delfinari in Italia, ritenendo che non contribuiscano minimamente alla conservazione della biodiversità e dell'ambiente: questo quanto risulta da un recente sondaggio commissionato da One Voice, associazione animalista francese con la quale la LAV collabora da anni per porre fine alla cattura dei delfini allo scopo di segregarli in parchi acquatici per il divertimento umano. Il sondaggio, diffuso ad aprile in Italia dalla LAV, è stato realizzato da IPSOS e ha visto coinvolti i cittadini di quattro Paesi europei: Italia, Francia, Spagna e Germania. "I risultati emersi dal sondaggio fanno chiaramente trasparire, da parte degli intervistati, la consapevolezza che i delfini costretti a esibirsi nelle strutture sparse in tutto il mondo sono animali sofferenti – commenta Nadia Masutti, responsabile LAV Acquari e delfinari – La larga maggioranza degli intervistati, infatti, ha riconosciuto i gravi pericoli in cui incorrono gli animali, confinati in spazi ridotti: l’82% degli italiani ha dichiarato che i delfini possono subire forti stress a causa degli spettacoli e dei rumori degli spettatori, fino a mostrare gravi depressioni che, in vari casi, hanno portato ad automutilazioni e suicidi".
L’81% degli italiani intervistati ha ammesso che i delfini sono più felici in natura (84% del totale degli intervistati) e il 73% (78% del totale) si è dichiarato contrario alla cattura dei delfini in natura per destinarli ad una vita in cattività nei delfinari o nei parchi di divertimento, fino ad arrivare al 96% degli italiani che si augura che in futuro la cattura dei delfini per essere esibiti nei delfinari e nei parchi di divertimento sia proibita o strettamente regolamentata (95% del totale del campione). Secondo gli intervistati, inoltre, la cattività aumenta il tasso di mortalità dei delfini (66% degli italiani, 63% del totale) e il 71% degli italiani pensa che i delfinari non permettano di comprendere come gli animali vivano in natura. La maggior parte degli intervistati, infine, ha visitato un delfinario o assistito ad un’esibizione di delfini in un parco di attrazioni (65% in Italia), il 58% dei quali negli ultimi 5 anni. In Italia, la possibilità di detenzione dei delfini tursiopi, la specie normalmente utilizzata nei delfinari per la sua intelligenza, è regolamentata dal D.M. 469 del 2001 che stabilisce precisi criteri in merito al loro "utilizzo", in quanto specie gravemente minacciata di estinzione e particolarmente protetta da norme internazionali. "Di fatto – prosegue Nadia Masutti – tali criteri, sia pure inadeguati, non sono minimamente rispettati in nessuna delle strutture in cui delfini vengono detenuti, contribuendo ad aggravarne il tasso di mortalità, peraltro molto elevato in Italia sia per incidenti sia per le gravi conseguenze dovute allo stress a cui questi sensibilissimi animali sono quotidianamente sottoposti". Fonti varie. Vedi il sondaggio: IPSOS, Gli europei e i delfinari (pdf 1.29 M).

24 MAGGIO

BRAVI PADRI....CON LE PINNE
Esiste un mondo in cui sono le femmine a scegliere i partner e i maschi (o maschi e femmine) ad accudire la prole. Le femmine soltanto, mai. È il mondo dei pesci, anzi, a dirla tutta, neanche di tutti i pesci, ma solo di alcuni di quelli che vivono nelle aree costiere, legati al fondale, che molto probabilmente avrete sfiorato più di una volta durante i bagni in mare, ma di cui si sa tipicamente molto poco.
Eppure il comportamento riproduttivo degli animali marini è un vero e proprio universo di diversità, come ha dimostrato in maniera intrigante la professoressa Maria Berica Rasotto dell’Università di Padova nell’incontro "Genitori nel blu" organizzato a Gorizia nell’ambito della mostra L’albero della vita.
"C’è una altissima varietà nel comportamento riproduttivo degli organismi marini, che varia in funzione delle condizioni ambientali e del contesto ” ha esordito la biologa. Se è vero che le femmine di gran parte dei crostacei portano con sé le proprie uova fino alla schiusa, è raro vedere un mollusco che fa altrettanto. Ciononostante le immagini catturate casualmente ad elevate profondità da un ROV subacqueo parlano chiaro: la femmina del calamaro di profondità Gonatus onyx si prende cura delle uova fecondate, come a dire che l’immaginazione della natura supera spesso di molto la nostra.
Nei pesci – ha quindi raccontato la Rasotto – "i costi delle cure parentali sono divisi tra maschi e femmine solo in quelle specie che vivono in isole", siano esse rappresentate da piccole chiazze di sabbia in mezzo alla barriera corallina o – più semplicemente – da un anemone, casa-universo per i piccoli pesci pagliaccio. Molto più tipicamente, invece, sono i maschi a sopportare la fatica di ventilare e pulire le proprie uova e difenderle dai predatori. E non è tutto. Ci sono predatori invisibili, finora poco investigati dai ricercatori, che possono avere conseguenze letali per l’intera prole: sono gli organismi patogeni responsabili delle infezioni, in particolare quelle a carico delle fasi embrionali. Ma può un bravo padre difendere i propri piccoli da simili aggressioni? Sembra proprio di si!
Rasotto e collaboratori, per primi, hanno scoperto l’esistenza di composti antimicrobici che vengono prodotti dalla ghiandola anale dei maschi di una piccola bavosa, Salaria pavo, diffusa negli anfratti costieri di basse profondità in tutto il Mediterraneo. Si tratta di sostanze che inibiscono la crescita di batteri marini, tanto che in loro assenza le uova della bavosa hanno una significativa riduzione della probabilità di schiudersi.
Che il segreto di un buon padre risieda (anche) nelle dimensioni delle sue ghiandole anali non è invece un mistero per le femmine della specie: quest’ultime – spiega la biologa Rasotto – se libere di scegliere, presentano una spiccata preferenza per i maschi con grosse ghiandole, poiché esse sottendono un’alta probabilità di sopravvivenza della propria prole futura.
Concludendo il suo intervento, la biologa Rasotto ha però spiegato come i maschi non si accollino i costi delle cure parentali (tra cui una riduzione dell’alimentazione, un aumento del rischio di predazione ed un alto consumo energetico) per… libera scelta; al contrario essi sarebbero di fatto "incastrati" dalle femmine.
Secondo le teorie più recenti, le cure parentali sono a carico del sesso che per ultimo emette i propri gameti nell’atto riproduttivo. Per le specie ittiche costiere, lo scarto di tempo che intercorre tra il rilascio delle uova da parte della femmina e la loro fertilizzazione da parte del maschio, consente alla prima di andarsene alla chetichella dal nido, costringendo di fatto il partner a prendersi cura delle nidiata, pena la perdita della propria discendenza. Una volta di più la natura ci ricorda che nel mondo (animale) ci sono molti stili di vita, ognuno dei quali rappresenta – evolutivamente parlando – la soluzione ottimale alle pressioni create dall’ambiente; in questo sta il loro essere ‘giusti’, cerchiamo di ricordarcene. Fonte: OggiScienza a cura di Marta Picciulin.

LA TRASPARENZA DI TONNO MARE BLU
Su tutte le lattine Mareblu prodotte dal 1 gennaio 2011 ci sono due nuove importanti informazioni sulla  specie di tonno e sulla zona in cui è stato pescato (forse le campagne di stampo ecologista a favore della sostenibilità della pesca cominciano a dare qualche frutto).
lfattoalimentare.it ha seguito con attenzione l’impegno di Greenpeace diretto a una maggiore trasparenza dell’etichetta, per consentire al consumatore una scelta consapevole e per spingere i produttori di tonno ad adottare criteri di pesca rispettosi della specie.
Mareblu, società del gruppo MWBrands, è la terza marca nel mercato italiano delle conserve ittiche, annuncia una nuova iniziativa caratterizzata dall'attenzione per le problematiche ambientali. In effetti, già nel rapporto Tonno in trappola redatto da Greenpeace, dove gran parte delle aziende produttrici uscivano con le ossa rotte, per scarsezza di informazione e mancata adozione di criteri di approvvigionamento sostenibili, Mareblu era tra i pochi marchi (insieme a Coop e ASdoMAR) a ottenere un risultato accettabile.
Le informazioni sulla nuova lattina "trasparente" non saranno criptate in codici e sigle di difficile interpretazione per il consumatore, ma si troveranno scritte per esteso. E si aggiungeranno a quelle già presenti: data di scadenza, stabilimento, lotto di produzione e barca che ha effettuato la battuta di pesca. Da gennaio, quindi, il tonno Mareblu sarà totalmente tracciabile.
La varietà utilizzata è la pinna gialla, pescata secondo gli standard dettati dalle organizzazioni internazionali di tutela delle specie marine. I tonni sono lavorati direttamente nelle zone di pesca, nello stabilimento con sede nelle isole Seychelles.
L’innovazione è l’ultima di una serie di iniziative del marchio Mareblu a favore della pesca sostenibile. Il gruppo MWBrands è socio fondatore della fondazione Issf – International Seafood Sustaniability Foundation - un’organizzazione indipendente non governativa che riunisce ricerca scientifica, associazioni ambientaliste e aziende del tonno per elaborare un piano strategico per una gestione responsabile delle risorse degli oceani. Fonte: IlFattoAlimentare.

PRELUDE, IL COLOSSO DEI MARI
L’ Australia e la Shell puntano tutto sul gas naturale, e lo fanno pensando decisamente in grande. È di venerdì scorso, infatti, la firma ufficiale della Royal Dutch Shell sulle carte del Prelude Flng Project: la realizzazione della Prelude, enorme nave-impianto di gas naturale liquido per lo sfruttamento dei ricchissimi fondali australiani, nonché più grande oggetto galleggiante mai costruito.
Questo vero gigante del mare sarà lungo 488 metri – più di quanto le Petronas Towers di Kuala Lampur siano alte, tanto per capirsi - largo 75 metri e peserà circa 600.000 tonnellate (il peso di sei portaerei e di tre Oasis of the Seas, la più grande nave passeggeri del mondo).
La Prelude sarà costruita nel cantiere navale delle Samsung Heavy Industries presso le Geoje Island in Corea del Sud e, una volta completata, sarà ancorata a circa 400 chilometri dalle coste di Broome, nella parte nordoccidentale dell’Australia, in corrispondenza del giacimento scoperto dalla Shell nel 2007. Resterà lì per 25 anni, prima di essere revisionata e destinata ad altri giacimenti. Secondo i progetti sarà in grado di resistere ai tifoni più prorompenti. A fare più impressione delle dimensioni della nave è quello che l'impianto riuscirà a fare: secondo le stime della compagnia, a partire dal 2017 (quando sarà operativo), questo mostro produrrà l’equivalente di 110.000 barili di petrolio al giorno, ovvero 5.3 milioni di tonnellate annue tra gas naturale liquido, condensato e Gpl.
"La nostra decisione di andare avanti con questo progetto rappresenta un progresso per l’industria del gas naturale liquido ed è una significativa risposta alla crescente richiesta di energia pulita" spiega Malcolm Brinded, direttore esecutivo Upstream International della Shell. Tutta questa energia è destinata soprattutto alle grandi economie emergenti, come la Cina. La nave, infatti, raffredderà in loco il gas naturale a un temperatura di -162° C per ridurne il volume di circa 600 volte e trasportarlo in Asia, navigando lontano dalle rotte migratorie delle balene, assicurano dalla compagnia. La Shell non ha dichiarato ufficialmente i costi dell’intera operazione, stimati lo scorso anno a poco meno di 4 miliardi dollari. Trenta, invece, sono i miliardi che la compagnia intende investire in Australia entro i prossimi 5 anni. Nelle prospettive del colosso anglo-olandese, infatti, oltre al progetto Prelude – che creerà almeno 350 nuovi posti di lavoro diretti – c’è anche il progetto Gorgon e diversi studi esplorativi e di fattibilità. Fonte: Galileonet.

23 MAGGIO

PESCE RITROVATO
In occasione di SlowFish, l’Acquario di Genova presenta Pesce ritrovato, il progetto di sensibilizzazione sul consumo ittico consapevole. Obiettivo del progetto è quello di aumentare la conoscenza e l’apprezzamento di specie ittiche usualmente trascurate, estendendo questa attitudine a livello nazionale e creare una rete che raggruppi tutti gli operatori del settore: dal singolo pescatore alle cooperative di pesca, dalla vendita al dettaglio alla grande distribuzione, dai ristoratori alle catene di alberghi, fino a coinvolgere operatori turistici che propongano itinerari tematici e iniziative legate al turismo sostenibile. Si intende, così, incrementare la richiesta e il valore commerciale delle specie promosse dal progetto, riducendo così scarti, pressioni di pesca su alcune specie e preservare la biodiversità marina. Fonte: Aqva.com. Programma completo (pdf).

22 MAGGIO

CONCESSIONI BALNEARI
Diritto di sfruttamento delle spiagge non più per 90 anni ma per 20. E concessione degli arenili attraverso una regolare asta pubblica, aperta anche a concorrenti europei dal 2015. Il governo, accogliendo i rilievi del capo dello Stato, ha modificato il punto del Decreto Sviluppo che introduce il nuovo regime di concessione delle spiagge. Del resto, così come formulata inizialmente, la norma si scontrava palesemente con la legislazione comunitaria che obbliga a mettere a gara le concessioni al massimo ogni sei anni. Con il nuovo limite di 20 anni e il metodo delle aste pubbliche, l’Italia può sperare di non incorrere nelle sanzioni europee. Fai e Wwf temono però che questo non basti. Le due associazioni sostengono che "la trasformazione del diritto di concessione in diritto di superficie mette a rischio cementificazione le spiagge. Si vuole infatti separare la proprietà del terreno da quello che viene edificato e questo significa garantire ai privati la proprietà degli immobili, già realizzati o futuri sul demani marittimo". Fonte: il Salvagente n. 20 maggio 2011.

21 MAGGIO

LA GREONLANDIA APRE LA CACCIA ALLE BALENE
La Groenlandia aprirà, il prossimo giungo, la sua caccia alle balene. Fermerà il bel salto e il suono delle megattere, che solo da poco tempo stanno lentamente recuperando, dopo i massacri dei secoli scorsi che le avevano portate sull’orlo dell’estinzione.
Purtroppo questi cetacei pagano a caro prezzo la scarsa diffidenza nei confronti delle imbarcazioni dell’uomo. Più a sud, quando ancora si trovano nei Caraibi, si fanno accarezzare dai turisti, ma appena si iniziano a spingere verso l’Europa (almeno quella politica) finiscono arpionate.Strane abitudini e strane alleanze. Mentre gli Stati Uniti hanno richiamato l’Islanda sulla sua caccia alle balene, quella della Groenlandia non gli fa, poi, molto schifo. Chissà cosa si nasconde dietro. Fonte: GeaPress [modificato].

20 MAGGIO

DIOSSINA NELLE ANGUILLE DEL GARDA
Il Ministero della Salute il 17 maggio ha vietato la commercializzazione  delle anguille provenienti dal lago di Garda, perchè sono risultate contaminate da diossina. Nel provvedimento si dice che il divieto durerà un anno e  si invitano le Regioni e le Province interessate ad informare i consumatori sui rischi per la salute.
La decisione è stata assunta in seguito ad analisi condotte su 102 campioni di vari pesci  (anguilla, agone, coregone, luccio, pesce persico e tinca) prelevati in 10 località. I laboratori hanno individuato la presenza di una quantità di diossine, furani e PCB superiore ai livelli di legge solo nelle anguille di lago. Questa specie è stata penalizzata perchè le diossine si accumulano nel grasso degli animali e le anguille hanno un elevato contenuto di lipidi.
La seconda precisazione da fare riguarda i valori di diossina, PCB e diosisne simili riscontrati che sono del 15-20 % superiori rispetto a quelli previsti dall’Unione Europea (14 picogrammi/g è il valore medio trovato, mentre 12 piogrammi/g è il valore massimo della norma) e in questi casi il provvedimento di divieto di commercializzazione scatta automaticamente. Per tranquillizzare la popolazione, il Ministero assicura che le acque del lago di Garda sono assolutamente sicure per la balneazione, e non si rileva alcun problema sulla qualità dell'acqua potabile. Secondo alcuni esperti addetti ai lavori il provvedimento del ministero giunge tardi e dovrebbe essere più preciso. La presenza di diossina nei laghi non è una novità. Le autorità sanitarie Svizzere del Canton Ticino, che inglobano nel loro territorio la parte alta del lago Maggiore, già nel gennaio 2008 ponevano l’accento sul problema della diossina nei pesci (vedi allegato). Nel gennaio 2009 le stesse autorità svizzere hanno deciso il divieto di commercializzazione di anguille e agoni (un pesce grasso chiamato anche alosa, o sardina di lago) proprio per l’eccesso di diossina. In Italia non è stato preso alcun provvedimento perchè non si fanno le analisi e quindi il problema risulta inesistente. Nell’autunno del 2010 però i laboratori si sono attivati e si è scoperto che il problema della diossina è comune a molti laghi compreso il lago di Garda. Sulla base di queste indicazioni il Ministero ha deciso di vietare la vendita di anguille come era lecito aspettarsi. Testo integrale su IlFattoAlimentare.

19 MAGGIO

MEETING DI MARSIGLIA: OCCORRE PROTEGGERE (DAVVERO) GLI SQUALI
A Marsiglia è cominciato il 17 maggio il Meeting della Convenzione di Barcellona, al quale partecipano diverse organizzazioni, il cui compito è quello di stabilire i piani di conservazione di dieci specie del Mediterraneo. Oceana, organizzazione internazionale che si occupa della conservazione dell'ambiente marino, afferma che squali e razze del Mediterraneo sono seriamente in pericolo.
"La situazione è disperata per gli squali e le razze del Mediterraneo - dice Ricardo Aguilar, direttore della ricerca per Oceana in Europa - l’UE e i 21 paesi firmatari della Convenzione di Barcellona hanno l’opportunità e la responsabilità di decidere il futuro di queste specie".
Le popolazioni mediterranee di smerigli, mako e pesci martello si sono ridotte del 99.9%, mentre alcune specie di razze sono praticamente scomparse.
"Lo stato di queste specie, considerando il fatto che continuano ad essere pescate, mostra che le attuali misure di conservazione e di gestione della pesca sono insufficienti" aggiunge Allison Perry, scienziato esperto in fauna marina per Oceana in Europa. "È necessaria una maggiore protezione ed è necessario inserire le specie di squali e razze a rischio, nell’Annesso II della Convenzione di Barcellona, per responsabilizzare i paesi europei e garantire il recupero delle specie in quesatione". Fonte: Oceana.

UN CALAMARO A BORDO DELLO SHUTTLE
Non sono solo sei i passeggeri dello shuttle Endeavour, finalmente partito ieri dal Kennedy Space Center alla volta della Stazione spaziale internazionale. A bordo infatti, oltre agli astronauti della Nasa e al nostro Roberto Vittori, ci sono anche sei diversi tipi di microrganismi (tra cui uno soprannominato Conan il batterio), parte del Living Interplanetary Flight Experiment (Life) della Planetary Society, e un piccolo calamaretto, un esemplare di Sepiola atlantica per la precisione.
Obiettivo: dimostrare quali tipi di organismi, privi delle attrezzature degli astronauti, possono viaggiare nello spazio e sopravvivere all'assenza di gravità e alle radiazioni, e verificare la validità dell'ipotesi della transpermia, secondo la quale la vita sulla Terra potrebbe essere arrivata attraverso meteoriti provenienti dalla superficie di altri pianeti come Marte e Venere.
Quella a bordo della navicella, più che una manciata di microrganismi, sembra una squadra di supereroi della Marvel. Il team è composto da estremofili come i tardigradi (soprannominati orsi d'acqua), piccolissimi invertebrati in grado di sopportare temperature vicine allo zero assoluto o, al contrario, ai 150°C; poi ci sono i batteri Deinococcus radiodurans (il nostro Conan) che possono sopravvivere anche se esposti a una radiazione di15mila Gy, gli archeobatteri Haloarcula marismortui che vivono a livelli di salinità insostenibili per qualunque altro organismo, e i cosiddetti mangiatori di fuoco, Pyrococcus furiosus, resistenti al calore. A chiudere questa sfilata di super poteri ci pensano alcuni esemplari di Cupriavidus metallidurans, bacillo responsabile della formazione di pepite d'oro, e di Bacillus subtilis, organismo modello in molti laboratori; è già stato portato nello spazio diverse volte e fungerà da controllo.
Questa squadra ha fondamentalmente la funzione di apripista per progetti ben più ambiziosi del Life. La prossima missione, infatti, prevede di spedire un nutrito gruppetto di microrganismi su Phobos, la polverosa luna di Marte. A novembre, invece, un altro team di questo tipo partirà con destinazione Pianeta Rosso, a bordo del  Fobos-Grunt lander, per poi tornare a Terra nell'estate del 2014.
Certo e amaro è il destino che aspetta il povero calamaro: non è lui il vero oggetto dello studio, ma alcuni benefici batteri ospiti del suo organismo come i Vibrio fischeri, usati dal mollusco per generare luce. Gli scienziati della Nasa, infatti, vogliono verificare se a questi batteri buoni capiti quanto osservato in quelli cattivi: nelle condizioni estreme di temperatura e radiazioni, questi ultimi diventano ancora più nocivi. Quindi, una volta raggiunta la Stazione spaziale, il piccolo calamaro sarà colonizzato con i batteri esposti allo Spazio, ucciso e conservato per poter poi essere analizzato una volta di ritorno sulla Terra. Così anche lui andrà ad aggiungersi alla lunga lista di animali morti in missione, da Laika a oggi. Fonte: Galileonet.

18 MAGGIO

ADDITIVI NEI PRODOTTI ITTICI ED ETICHETTE INGANNEVOLI
Un’inchiesta della rivista Eurofishmarket denuncia l'uso generalizato di sostanze chimiche e additivi alimentari per mascherare i processi di alterazione del pesce, per migliorare l'aspetto e aumentare in modo artificioso il peso. Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute, perchè si tratta di additivi autorizzati utilizzati in modo scorretto. La legge infatti autorizza nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati) alcuni additivi: quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute. Purtroppo una norma così semplice e chiara (regolamento CE 1333/2008) non sempre viene applicata in modo regolare. Gli esempi non mancano, basta citare il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del tonno e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti. Le tecniche sono varie: spesso si effettua l'iniezione di una soluzione contenente l'additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che il principio attivo venga assorbito.
Quando il pesce fresco viene "trattato" con additivi leciti deve essere classificato come prodotto alimentare "trasformato" e, quindi, non si può scrivere sull'etichetta la parola fresco "fresco" e non si deve lasciare credere al consumatore che sia tale. Ci sono poi altre questioni colelgate alle false scritte in etichetta come: il rischio di allergie per le persone sensibili, la possibile frode commerciale dovuta alla vendita di acqua al posto (o allo stesso prezzo) del pesce, l’utilizzo di sostanze che non sono registrate come additivi come l’acqua ossigenata. Non si tratta di casi isolati visto che secondo il rapporto del Sistema di Allerta Rapida Europeo (RASFF) le frodi e le furberie nel settore ittico sono in crescita. In particolare nel 2009, 32 segnalazioni su 712 (il 4.5%) hanno riguardato irregolarità nell’uso degli additivi nel pesce. Gli esperti di Eurofishmarket hanno prelevato dal mercato e esaminato in laboratorio numerose specie di pesce alla ricerca di polifosfati, citrati e acqua ossigenata. Le analisi di hanno constatato che:

In particolare, i polifosfati hanno azione legante e si usano per impedire al pesce di perdere l’acqua. Si tratta di un rallentamento del processo naturale che ermette al pesce di mantenere un aspetto "fresco" più a lungo. Questo trattamento è forse un po’ ingannevole, ma è permesso dalla legge e va indicato sull'etichetta. Se per i polifosfati è prevista una dose massima di impiego (5 gr/kg per i filetti), per la maggior parte degli altri additivi utilizzati nel settore ittico la norma stabilisce solo la frase "quanto basta".
Nel corso delle analisi di laboratorio, Eurofishmarket ha trovato possibili segni dei polifosfati (fosfato bibasico, che potrebbe essere un prodotto finale della degradazione dei polifosfati) in 7 campioni su 17, in una seconda campionatura le positività hanno interessato 9 dei 14 campioni analizzati e, in una terza serie di pesci, 17 su 22. L'aspetto curioso è che sulle etichette nessun campione citava la presenza di polifosfati. Alla fine nel 62% dei campioni esaminati sono stati trovati polifosfati non dichiarati in etichetta. La percentuale arriva all'84% per i filetti di pesce (21 casi positivi su 25). Le percentuali più elevate di additivi sono state trovate proprio nel prodotto venduto come "fresco". Se per i polifosfati non c’è la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta e il fosfato bibasico che si riscontra nelle analisi potrebbe in linea teorica derivare da cause fisiologiche o da altri coadiuvanti tecnologici, la presenza di citrati è invece sicuramente indice di un'aggiunta artificiale (l’acido citrico è totalmente assente nel pesce). Questa sostanza viene utilizzata per prolungare la conservazione proteggendo il pesce dall’ossidazione, riducendo così l'irrancidimento dei grassi e le modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l'acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20 mg/kg. Il testo integrale si trova su IlFattoAlimentare.it.

RETI ILLEGALI: A PONZA ARRIVANO GLI ISPETTORI DI BRUXELLES
C'è preoccupazione tra i pescatori dell'isola di Ponza: dopo l'arrivo degli ispettori dell'Unione Europea ed il sequestro di diversi chilometri di reti illegali, almeno dieci pescherecci sono fermi al porto indecisi sul da farsi. Usare le "ferrettare" secondo i dettami (l'Italia agisce in deroga e sono consentite lunghezze massime di 2.5 chilometri), oppure rischiare multe e confische portando a casa, in cambio, molto più pesce?
I marinai ponzesi, orgogliosi di aver portato l'arte della pesca ovunque siano andati nel mondo, sentono troppo strette le maglie dell'Unione Europea: 120 famiglie ed un indotto di circa 700 persone hanno gli occhi della Capitaneria di Porto costantemente puntati per via dei controlli sempre più stringenti, in questa stagione di battute interminabili nel Tirreno e oltre. Tornano agli onori della cronaca gli abusi compiuti da spadare e ferrettare che nel Lazio con Ponza, ma anche nelle più importanti marinerie siciliane e calabresi, continuano a superare i limiti consentiti dalla legge pur avendo ricevuto ingenti fondi pubblici per la riconversione e l'ammodernamento dei pescherecci.
Il porto dell’isola lunata è finito nella black list italiana per la maggiore concentrazione di pescherecci dediti all’attività illegale, dando lo spunto al dossier che Marevivo, Lav e Legambiente hanno stilato sull’abuso delle reti derivanti in Italia. Un lavoro che ha documentato, per quanto possibile, la presenza di 300 barche sanzionate e il flusso di finanziamenti europei finiti nelle mani di imprenditori che hanno però continuato ad operare con i sistemi tradizionali.
In Italia cento pescherecci, tra il 1999 ed il 2010, hanno ricevuto aiuti per 13.8 milioni di euro. Ed una fetta di questi aiuti sono finiti anche nell’arcipelago pontino, pur non arrivando a toccare le vette di Calabria e Sicilia - solo per ovvi motivi di dimensione del settore - dove i pescherecci sanzionati hanno ricevuto centinaia di migliaia di euro per i piani riconversione in barba alle multe ricevute.
Nonostante le quattro infrazioni tra il 2005 ed il 2009, il motopescehreccio Noè ha ricevuto nel nell'anno 2000 ben 127.000 euro per il piano di riconversione spadare. Oppure il peschereccio San Francesco, pizzicato dalle autorità per ben tre volte con reti illegali (nel 2005, 2007 e 2009), avendo intascato 139.064 euro per il piano di riconversione spadare. Gli altri beneficiari hanno intascato contributi dai 12 ai 30.000 euro pur avendo operato con chilometri e chilometri di ferrettare illegali. Una situazione che, per gli osservatori, viene troppo tollerata dalle autorità locali.
Tempi difficili per tonni e pescespada, come è difficile il controllo per le autorità preposte. Ogni barca fermata, di solito, dispone di ulteriori attrezzature come il palangaro. Basta dichiarare di aver usato quello e inserire manualmente nella bocca dei pesci gli ami. Così sarà impossibile, per gli inquirenti affermare che la preda è stata catturata illegalmente con la ferrettara, spiega il dossier di Marevivo.
Dopo la ribellione dei bracconieri contro le sentinelle ambientaliste e i noti problemi di carattere ambientale derivanti dall'assenza di fogne e l'economia in bilico per la giungla dei pontili, anche la pesca diventa per Ponza un problema da affrontare senza cercare scorciatoie. L'amministrazione isolana raccoglie le preoccupazione degli operatori del settore promettendo di interessare il governo mentre, a livello nazionale, nessuno ha ancora aperto seriamente il dibattito sui fondi europei finiti nelle mani sbagliate. Nella pesca come in altri settori economici. Fonte: Corriere della Sera.

ANTICORPI PER IL BIOMONITORAGGIO DELLE MAREE NERE
Un biosensore che usa una tecnologia basata sugli anticorpi. È il risultato di una ricerca svolta dal Virginia Institute of Marine Science (VIMS - Gloucester Point, USA) per la localizzazione di contaminazioni ambientali. Tale sensore ha mostrato la capacità di identificare inquinanti marini come il petrolio in modo più economico e rapido delle tecnologie attualmente disponibili. I risultati dei primi test, pubblicati su Environmental Toxicology and Chemistry, rivelano come il biosensore potrebbe essere utilizzato per il rapido rilevamento e il monitoraggio delle maree nere. Gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario degli organismi quando vengono "attaccati" da elementi estranei. Tali proteine sono in grado di riconoscere virus e altre molecole organiche, ai quali si legano in modo specifico. Gli scienziati del VIMS hanno pensato quindi di sfruttare questa importante capacità degli organismi per produrre anticorpi in grado di riconoscere alcuni inquinanti ambientali. Per ottenere gli anticorpi, i ricercatori hanno "vaccinato" dei topi contro i contaminanti, somministrando loro un composto di proteine e IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici, sostanze presenti nel petrolio). Quando i linfociti del loro sistema immunitario hanno iniziato a produrre gli anticorpi IPA-specifici, gli scienziati li hanno isolati, prelevati e fatti crescere in coltura, in modo da ottenere una quantità sufficiente di anticorpi da inserire in un sensore elettronico sviluppato appositamente. Gli esperimenti condotti dai ricercatori nel fiume Elizabeth, in Virginia, hanno dimostrato che il biosensore è in grado di processare campioni di acqua in meno di 10 minuti, e di rilevare livelli estremamente bassi di inquinanti. Inoltre, l’analisi dei campioni direttamente sul campo (e non in laboratorio) ha permesso una diminuzione significativa dei tempi e dei costi di analisi, pur mantenendo lo stesso livello di accuratezza delle tecnologie attuali. "Se questi biosensori fossero posizionati vicino a uno stabilimento petrolifero e se ci fosse una perdita, lo sapremmo immediatamente" ha concluso Stephen Kaattari, uno degli autori dello studio. "E siccome potremmo identificare concentrazioni crescenti o decrescenti, potremmo anche seguire la dispersione della perdita in tempo reale". Fonte: GalileoNet.

OCEANO E GAS SERRA: LA LEZIONE CHE VIENE DAL CRETACEO
L’estinzione di massa della vita marina nei nostri oceani durante il Tardo Creataceo può valere come avvertimento circa il rischio che lo stesso evento possa ripetersi per effetto degli alti livelli dei gas serra: è quanto sostengono sulle pagine della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) Martin Kennedy della School of Earth & Environmental Sciences dell’Università di Adelaide e Thomas Wagner della Newcastle University, nel Regno Unito.
I due ricercatori hanno infatti studiato i cosiddetti "oceani a effetto serra", ovvero quelli deprivati di ossigeno, con un’alta concentrazione di biossido di carbonio e un’alta temperatura.
Utilizzando carotaggi del fondo oceanico delle coste dell’Africa occidentale, i geologi hanno analizzato strati di sedimenti risalenti a circa 85 milioni anni fa che coprono un periodo di circa 400.000 anni. Hanno così riscontrato un significativo incremento di materiali organici sepolti sotto strati di sedimenti privi di ossigeno.
"Ciò che appare più allarmante è che si verificarono solo cambiamenti naturali limitati che diedero come risultato l’ipossia nell’oceano profondo", ha commentato Kennedy. "Il processo ebbe un decorso assai rapido, della durata di qualche centinaio di anni o anche meno, e non graduale su scale temporali geologiche: questa circostanza porta a ipotizzare che in condizioni di effetto serra gli oceani della Terra si reggano su un equilibrio più delicato di quanto finora ritenuto, e possano rispondere in modo più brusco anche a lievi variazioni di temperatura e di livelli di CO2".
Il confronto con le condizioni presenti attualmente sulla Terra sorge in qualche modo naturale.
"Aver raddoppiato la quantità di CO2 nella nostra atmosfera negli ultimi 50 anni è come aver colpito il nostro ecosistema con un enorme martello, se si fa un confronto con le lievi variazioni nella radiazione incidente che caratterizzarono questi eventi del passato", ha sottolineato Kennedy. "Ciò potrebbe avere un impatto catastrofico sulla sostenibilità della vita nell’oceano, che a sua volta avrebbe conseguenze enormi sulla sostenibilità della vita di molte specie che vivono sulla terraferma, compreso l’essere umano". Fonte: LeScienze.

17 MAGGIO

QUATTRO ESEMPLARI DI Caretta caretta LIBERATE A RIPOSTO (CT)
Libere e sotto l’occhio vigile dell’Etna ancora innevato. Questa volta il gigante di lava, che nella sua storia chissà quante ne ha viste, registra un evento positivo, ovvero il ritorno in mare di quattro tartarughe marine Caretta caretta. Avevano ingoiato plastica, scambiata verosimilmente per meduse, ma anche un accendino. Pescate nel mare delle Eolie e recuperate grazie al Centro Recupero Regionale Fauna Selvatica e Tartarughe marine di Comiso (RG) gestito dal Fondo Siciliano per la Natura. Sabato scorso la liberazione, grazie ai volontari del Centro e la disponibilità della Lega Navale e della Capitaneria di Porto di Riposto (CT). A salutare le barche che portavano al largo le tartarughe, i bambini delle scuole. Fonte: GeaPress.

PROBLEMI PER GLI ALLEVATORI DI OSTRICHE GIAPPONESI
Il devastante terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone l'11 marzo 2011 ha quasi cancellato completamente le attrezzature per l'allevamento delle ostriche. In particolare, la prefettura di Miyagi che forniva ben il 70% del seme di ostriche è al collasso. Ora si teme per la produzione del prossimo anno, che sarà fortemente penalizzata in tutti i distretti colpiti del paese. Fonte: Seafoodsource.

BALENIERE ISLANDESI: CHIUSURA ANTICIPATA DELLA CACCIA?
Potrebbe chiudersi con molto anticipo la stagione di caccia alla balenottera comune in Islanda. La quota corrispondente a 216 esemplari di balene, più una parte restante della quota del 2010 non sarà probabilmente raggiunta.
La stagione, iniziata lo scorso aprile, non sta proseguendo come previsto e dal Giappone (dove la carne di balena viene in buona parte esportata e lavorata) riferiscono ormai di un vero e proprio crollo del mercato. La causa è da ricercarsi nel disastroso terremoto che ha colpito il paese.  Questo nonostante le marinerie baleniere giapponesi abbiano cercato di riorganizzarsi, una volta ospitate in città scampate agli effetti devastanti del sisma.
Ancora poco convinta delle reali intenzioni dell’industria baleniera islandese è la WDCS (Whale and Dolphin Conservation Society) la quale ricorda come circa il 5% degli islandesi continui a consumare carne di balena. Non solo, sempre secondo la WDCS, la stessa industria della pesca islandese è strettamente legata a quella baleniera. Un intreccio che allunga i suoi interessi anche nella  lavorazione e distribuzione del pescato che, specie tramite paesi terzi, arriva poi anche in molti paesi della UE, tra cui l’Italia.
E dire che l’Islanda è pronta ad entrare nell’Unione Europea. Critichiamo (giustamente) i giapponesi per la caccia alla balena, ma poi li abbiamo a casa nostra. Sebbene non candidato alla UE, l’altro stato europeo della caccia alle balene è la Norvegia mentre, sebbene autonoma, vi sarebbe pure la Groenlandia; di fatto (anche se non formalmente) una sorta di filiazione danese. Fonte: GeaPress.

16 MAGGIO

SEA SHEPHERD ENTRERÀ NELLE ACQUE LIBICHE IN DIFESA DEL TONNO ROSSO
A partire dal prossimo mese, due navi di Sea Shepherd Conservation Society si addentreranno nelle acque al largo della costa libica, un'area dichiarata in stato di guerra, con l'obiettivo di intercettare i pescatori di frodo di tonno rosso e di liberare tutto il pescato preso illegalmente cercando in questo modo di preservare la specie ormai vicina all'estinzione.
Le acquae territoriali libiche sono state dichiarate dalla NATO "no-fly zone", quindi i pescatori di frodo saranno soggetti  a meno controlli. La NATO non è interessata alle operazioni di pesca illegale e a nessun ispettore dell' Unione Europea o della Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell'Atlantico (ICCAT) sarà permesso entrare nell'area.
Lo scorso 6 maggio, la Presidente di Sea Shepherd Francia, Lamya Essemlali, ha preso parte all'incontro con la Commissione Europea-Generale degli Affari Marittimi e della Pesca e ne è scaturito che la Commissione seguirà le attività di Sea Shepherd durante la campagna di giugno; Sea Shepherd preparerà inoltre un report completo con tutte le fasi alla fine della campagna. Prima di procedere con la liberazione di pescati illegali, Sea Shepherd conferirà con la Commissione sulla potenziale illegalità delle barche intercetatte.
Quest'anno, il tonno rosso avrà una piccola tregua poiché circa metà della flotta di pescherecci francesi resteranno in porto a causa della cancellazione di tutti i permessi di pesca nelle acquae libiche per tutte le barche registrate in Francia con proprietari libici. Dieci delle imbarcazioni per la pesca al tonno operanti nel Porto di Sete nel Mediterraneo, a circa 185 km dalla città di Tolosa, saranno confinate in porto poiché appartenenti a società libiche. News completa sul sito di Sea Shepherd Italia.

IL CICLO DELL'UREA SCOPERTO IN UNA DIATOMEA
Nonostante la loro onnipresenza e i diversi ruoli, le diatomee, la componente principale del fitoplancton che si trova in abbondanza nell’oceano e quindi la base della catena alimentare marina, rimangono un mistero. Recentemente un consorzio internazionale di scienziati finanziato dall’UE ha scoperto che almeno una delle specie di diatomee, la Phaeodactylum tricornutum, usa una via metabolica che era stata trovata solo nei mammiferi: il ciclo dell’urea. La loro ricerca, pubblicata sulla rivista Nature il 12 maggio, è stata in parte finanziata dal progetto DIATOMICS (Understanding Diatom Biology by Functional Genomics Approaches), che ha ricevuto 1.8 milioni di euro nell’ambito del Sesto Programma Quadro (6° PQ) della Commissione Europea.
Il ciclo dell’urea è la via metabolica usata dai mammiferi per incorporare eccessi di azoto nell’urea e rimuoverli dal corpo. Sembra che però abbia un ruolo molto più ampio nelle diatomee. Il ciclo dell’urea è la chiave per la distribuzione e il riciclaggio di carbonio inorganico e azoto e aiuta le diatomee a riprendersi da deficit nutritivi. In laboratorio, gli scienziati hanno ricostruito il cosiddetto fenomeno dell'upwelling, cioè la risalita dell’acqua ricca di nutrienti dalle profondità dell’oceano in superficie, dove le diatomee sono abbondantemente distribuite. Le diatomee hanno risposto immediatamente alla disponibilità di una maggiore quantità di cibo aumentando i loro ritmi metabolici e di crescita. Fonte: Liquidarea.it.

13 MAGGIO

NEL COLLASSO DEGLI STOCK ITTICI LE DIMENSIONI NON CONTANO
Negli ultimi sessant'anni, le specie più piccole pescate a livello commerciale, hanno registrato anche il doppio dei collassi delle scorte rispetto ai pesci che occupano un gradino più alto della rete alimentare, secondo uno studio pubblicato il 2 maggio scorso sulla rivista americana Proceedings of the National Academy of Sciences. I pesci di grandi dimensioni sono sensibili alla pesca su scala industriale e, proprio per questo motivo, i dirigenti del settore tendono a tutelarne l'esistenza imponendo norme estremamente rigorose. Pesci più piccoli altamente produttivi sono ritenuti essere più resistenti e, quindi, vengono catturati a un ritmo più sostenuto.
Sebbene le scorte di alcune specie di pesci di piccole dimensioni siano crollate – come, per esempio, le sardine del Pacifico negli anni quaranta – pescatori e dirigenti di aziende ittiche hanno, in passato, considerato questi casi come fenomeni isolati, sottolinea lo studio. «Non ci si era resi conto che tutti questi singoli collassi tra i pesci di piccole dimensioni producono un forte impatto», dice l’ecologo Malin Pinsky, coautore della ricerca: «Tutti i pesci, anche quelli piccoli, che ritenevamo avere un'incredibile resistenza, sono, in realtà, vulnerabili al sovrasfruttamento ittico».
Pinsky e i suoi colleghi hanno cercato la prova dei collassi delle scorte ittiche in un database, rilevando, a partire dal 1950, la consistenza numerica delle specie di pesce catturate commercialmente nei Paesi industrializzati e riportando anche i dati concernenti il quantitativo di pesce scaricato nei porti da tutto il mondo. Con loro grande sorpresa, i ricercatori hanno scoperto che la percentuale dei collassi delle popolazioni di pesci di piccole dimensioni è stata doppia rispetto a quella dei pesci di grandi dimensioni. Allo stesso modo, le specie che occupano gli ultimi anelli della catena alimentare registrano una percentuale di collassi doppia rispetto a quelle che si trovano al vertice.
Le specie che sono state pescate in modo più massiccio sono quelle più soggette ad easurimento degli stock. La pesca è la principale causa del declino della popolazione marina e l'attività ittica viene regolamentata per ogni singola specie.
«Peschiamo maggiormente le specie più produttive e meno le specie meno produttive», sottolinea Pinsky. «Da quanto detto, si evince che ogni popolazione ittica ha la stessa probabilità di collassare». Dalle valutazioni concernenti la consistenza numerica degli stock si evince come i dirigenti delle aziende ittiche già riconoscano i rischi per molte specie di pesci di piccole dimensioni, ma il problema fondamentale è, come e dove indirizzare gli ulteriori sforzi valutativi, sostiene Simon Jennings, ricercatore e consigliere scientifico del Centre for Environment, Fisheries and Aquaculture Science di Lowestoft, nel Regno Unito. Le limitate risorse per una gestione efficiente delle specie più grandi non dovrebbero necessariamente essere deviate verso le specie di piccole dimensioni. Fonte: SlowFood.

STOP AL TONNO ROSSO DALLA LIBIA
L’Europa sta preparando una sorta di "cordone di protezione" attorno alle acqua libiche per prevenire il trasporto di tonno rosso attraverso le acque internazionali. Questo renderà praticamente impossibile il rifornimento di tonni da ingrassare negli impianti di Malta.
La riuscita di questo controllo è vista come un test per la credibilità dell’ICCAT e per la legislazione europea. La Libia è stata ripetutamente accusata sia da organizzazioni non governative sia da chi si occupa di overfishing e di tonno in particolare, come la principale fonte di tonno rosso illegale, con catture che spesso hanno superato le quote assegnate. Fonte: Atuna.

L'APNEA DEL PINGUINO IMPERATORE
In Antartide i pinguini imperatore (Aptenodytes forsteri) si tuffano alla ricerca del cibo e nuotano a lungo sotto la superficie del mare, senza mai emergere per respirare. Nemmeno quando le scorte di ossigeno nei muscoli sono terminate. Come fanno? Alla Scripps Institution of Oceanography (University of California, San Diego) alcuni ricercatori hanno scoperto l’esistenza di due meccanismi fisiologici alternativi e una grande efficienza nel consumo dell’ossigeno.
I pinguini, prima di immergersi, fanno scorta di ossigeno che il loro organismo immagazzina nei polmoni, nel sangue e nei muscoli. Quest’ultima riserva contribuirà alla produzione dell’energia muscolare necessaria al nuoto, attraverso una via metabolica aerobica. Quando l’ossigeno finisce, l’organismo è in grado di produrre ancora energia, attraverso una via metabolica anaerobica: una sorta di strategia di riserva, la cui messa in atto è segnalata dalla presenza di lattato nel circolo sanguigno.
Nel caso del pinguino imperatore, il lattato compare 5-6 minuti dopo l’inizio dell’immersione (cioè ben prima che l’animale riemerga), mentre però l’ossigeno è ancora presente sia nel sangue che nei polmoni. Cosa innesca dunque il cambiamento di metabolismo? Nello studio presentato sul Journal of Experimental Biology, gli scienziati hanno dimostrato che è l’assenza di ossigeno nei muscoli ad attivare la respirazione anaerobica: il che vuol dire che questi uccelli nuotano, per la maggior parte del tempo, senza avere la fonte principale di energia proprio lì dove servirebbe.
Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno misurato i livelli di ossigeno nei muscoli pettorali (quelli deputati al nuoto) di un pinguino imperatore, utilizzando uno spettrometro con lunghezza d’onda nel vicino infrarosso, impiantato nei muscoli stessi. Inoltre, per poter controllare le tipologie di immersione, hanno inserito sul dorso dell’animale un misuratore di tempo e profondità.
I dati registrati hanno mostrato che in 31 delle 50 immersioni, nel metabolismo dell’animale si era innescata la respirazione anaerobica. Si è visto inoltre che la diminuzione dell’ossigeno nei muscoli del nuoto segue due andamenti diversi: in alcuni casi è costantemente decrescente e il gas è completamente esaurito nel momento in cui si innesca la respirazione anaerobica; nel secondo caso invece, a metà dell’immersione, la diminuzione di ossigeno si arresta per un breve periodo di tempo, prima di ricominciare a scendere. In questo secondo modello, quindi, nella fase intermedia dell’immersione il muscolo viene rifornito di ossigeno proveniente dalle altre scorte, e ritarda l’inizio della respirazione anaerobica.
Nello studio gli scienziati hanno misurato anche l’efficienza metabolica di questo animale, rilevando un tasso di consumo di ossigeno nel tessuto muscolare estremamente basso, pari a un decimo di quello riscontrato in ambiente artificiale, e solo due volte il valore misurato a riposo. Fonte: Galileonet.

12 MAGGIO

NUOVA AREA MARINA PROTETTA A COCO ISLAND
Una nuova e vasta area marina protetta è stata creata recentemente intorno a Isla del Coco (o Cocos Island), isola situata a sud-ovest del Costa Rica. Esteso su una superficie di quasi un milione di ettari, il nuovo parco marino proteggerà specie in via di estinzione, come gli squali martello e le tartarughe liuto, e darà alle riserve ittiche locali la possibilità di riprendersi dalle conseguenze della pesca intensiva. Il parco, che si chiama Área Marina de Manejo Montes Submarinos (o Seamounts Marine Management Area) è simile, per dimensioni, al Parco di Yellowstone negli Stati Uniti e, in quanto area marina protetta, è seconda per importanza solo al Parco Nazionale delle Galápagos, in Ecuador.
Il Decreto che formalizza l'istituzione del nuovo parco marino è stato firmato dal Presidente del Costa Rica, Laura Chinchilla Miranda, lo scorso 3 marzo 2011 ed ha lo scopo di preservare un intero ecosistema marino, comprendente anche una catena montuosa sottomarina. La riserva sarà cinque volte più grande dell'attuale Parco Nazionale che circonda Isla del Coco - parco che è già patrimonio mondiale dell'Unesco e nel quale la pesca intensiva è già vietata. Situata nell’Oceano Pacifico a circa 550 km al largo delle coste del Costa Rica, Isla del Coco ha un perimetro di soli 20 km e le acque che la circondano ospitano più di 30 specie marine autoctone uniche al mondo.
Spesso viene chiamata anche Shark Island per l’abbondante presenza di squali, tra i quali anche lo squalo pinna bianca di scogliera (o del reef), lo squalo balena e lo squalo martello. Ma da quest’anno, grazie al suddetto Decreto, la pesca intensiva sarà vietata su tutta la nuova estensione pari a circa un milione di ettari.
Conservation International, organizzazione non governativa che si occupa di sviluppo ecosostenibile a livello globale e di salvaguardia della biodiversità, ha collaborato alla realizzazione del progetto ed ha affermato che questo Decreto getta "una luce di speranza sulla salute dell’oceano e sul benessere delle popolazioni del Pacifico orientale tropicale".
"Il Costa Rica e le sue acque territoriali sono zone estremamente importanti per la biodiversità marina". Descrivendo la firma del Decreto come una giornata storica per la nazione, il coordinatore del programma marino del Costa Rica, Marco Quesada, ha dichiarato: "La creazione di un’area protetta riguardante una catena montuosa sottomarina stabilisce un precedente importante. Le montagne sottomarine ospitano specie autoctone e le acque profonde che risalgono verso l’alto lungo i pendii montuosi forniscono le sostanze nutrienti che, a loro volta, sostentano le ricche riserve alimentari necessarie per la vita marina in superficie. Le catene montuose sottomarine servono da approvvigionamento per le specie migratorie che coprono lunghe distanze, come squali, tartarughe, balene e tonni".
L’estensione dell’area protetta è destinata ad incentivare la gestione sostenibile delle risorse ittiche e, in particolare, a proteggere gli squali martello e le tartarughe liuto. Queste due specie, che si concentrano e si alimentano nel nuovo parco marino, sono seriamente minacciate e sono considerate da Conservation International il "fiore all’occhiello" della regione del Pacifico orientale tropicale. Marco Quesada ha elogiato la leadership del Presidente Chincilla Miranda e dei Ministri dell’ambiente del Costa Rica - nonché la cooperazione tra Conservation International e le associazioni ambientaliste e le comunità locali durante gli ultimi sei anni - per aver consentito che il decreto diventasse realtà. "Abbiamo lavorato insieme ad una serie di organizzazioni di ricerca nazionale, di conservazione e di pesca al fine di individuare le zone di espansione dell’area protetta che fossero le più eque e le più responsabili dal punto di vista ambientale" ha detto Quesada. Scott Anderson, infine, responsabile della conservazione marina regionale per Conservation International ha aggiunto: "Il Costa Rica e le sue acque territoriali sono zone estremamente importanti per la biodiversità marina e per la grande quantità di specie, che favoriscono sia le preziose riserve ittiche che le imprese turistiche. L’attuale Decreto sottolinea il ruolo del Costa Rica di leader regionale nello sviluppo economico ecosostenibile". Fonte: SlowFood.

LA CRISI NON INTACCA IL SALMONE SCOZZESE
Si è da poco concluso a Bruxelles l'European SeaFood Exposition dove si è fatto il punto su molte realtà legate al mondo della pesca e dell'acquacoltura. L'’Organizzazione dei Produttori di Salmone Scozzese (SSPO) ha sottolineato che la crisi che ha toccato molti comparti, compreso quello dell'acquacoltura, non ha per nulla scalfito quello del salmone scozzese, anzi il trend di crescita è nettamente positivio. Le previsioni che parlano di ben 200.000 tonnellate di prodotto previste per il 2020; nel 2009 la produzione si è aggirata attorno alle 140.000 tonnellate. Secondo la SSPO la riorganizzazione dei siti di produzione esistenti e i nuovi impianti in mare aperto sono risultati determinanti per far fronte alla crisi di richieste del mercato europeo, ampliamente compensate da quelle dei paesi emergenti (Cina, Sud Africa e paesi Arabi). Tuttavia l'Inghilterra rimane ancora il paese con le più alte richieste di salmone scozzese. Fonte: SeaFoodSource.

10 MAGGIO

PESCA: FERMO TEMPORANEO
"Nel prossimo autunno organizzeremo un Forum della pesca che coinvolgerà tutti i soggetti interessati, comprese le Regioni, per fare il punto sulla situazione attuale del settore. Inoltre, per quanto riguarda le misure da adottare a breve termine, il Ministero delle Politiche Agricole intende introdurre una proposta normativa, in approvazione nei prossimi giorni, allo scopo di avviare un fermo temporaneo dell'attività di pesca per un massimo di 45 giorni. L'arresto temporaneo obbligatorio della pesca a strascico e volante costituisce la principale misura di gestione delle risorse ittiche, finalizzata a incidere sullo sforzo di pesca e a garantire la sostenibilità dell'attività nel medio e nel lungo periodo. Questa misura ha come obiettivo principale quello di fronteggiare la crisi in cui versa oggi il settore, causata anche dallo stato di sovrasfruttamento delle risorse". Lo ha dichiarato il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Saverio Romano, in occasione dell'insediamento del tavolo per la pesca, che si è tenuto questa mattina presso il Mipaaf. All'incontro hanno preso parte anche il Capo di Gabinetto, Antonello Colosimo, il Capo del Dipartimento delle politiche europee e internazionali, Mario Catania, il Direttore Generale della Pesca e Acquacultura, Francesco Saverio Abate, e i rappresentanti di tutte le associazioni di settore e delle organizzazioni sindacali di categoria: AGCI Pesca; Federpesca; Federcoopesca; Legapesca; ANAPI pesca; UNCI pesca; UN.I.COOP; Marinerie d'Italia e d'Europa; Impresapesca; API; Osservatorio nazionale della pesca; Flai CGIL; Fai CISL; Uila-UIL. "Contestualmente al fermo temporaneo - ha proseguito Romano - il Ministero delle Politiche agricole intende promuovere anche un'iniziativa, che consideriamo di grandissimo valore sociale e in favore dell'ambiente, che prevede un'operazione di pulizia dei fondali marini, proprio nel periodo in cui le spiagge sono più affollate. Vale a dire che, d'accordo con le Capitanerie di porto, i pescatori potranno lavorare a un progetto di pulizia dei fondali, teso a favorire anche il ripascimento. Tale progetto - come ha spiegato il Ministro - si inserisce in una prospettiva più ampia, volta a sensibilizzare l'opinione pubblica al rispetto nei confronti del mare, restituendo ai pescatori il ruolo e l'immagine di custodi di questo insostituibile patrimonio". Infine, dopo aver ascoltato attentamente i rappresentanti presenti al tavolo, che hanno espresso soddisfazione per la disponibilità manifestata nei confronti di tutti gli attori del settore, il Ministro ha annunciato la volontà di istituire un dialogo tra il Ministero e i soggetti interessati sulle tematiche di maggiore rilievo emerse durante l'incontro odierno. In questa prospettiva, il Ministro Romano si è impegnato anche a stabilire, insieme al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, un tavolo sulle problematiche relative al lavoro nel settore della pesca. Fonte: Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

09 MAGGIO

TONNO ROSSO: I SEQUESTRI DEGLI ULTIMI GIORNI
I pescatori cosiddetti sportivi potrebbero pescarlo solo dopo il 15 giugno e previa comunicazione alle autorità marittime. I pescatori di mestiere dovrebbero invece attenersi alle misure del pescato stabilite dalla Comunità Europea; le barche debbono essere autorizzate e solo in alcuni porti può avvenire lo sbarco. Ed invece in questi giorni è successo di tutto.
Il protagonista, suo malgrado, è sempre lui, il tonno rosso. Sempre più raro e sempre pescato, per un mare di ricette che non sanno più cosa proporre pur di arrivare alla sua estinzione.
Il 6 maggio si è avuta notizia dell’intervento della Capitaneria di Porto di Siracusa. Il sequestro di tre tonni è stato operato ai danni di un diportista che stava rientrando nel porticciolo di Marzamemi. Più particolare l’intervento operato a Palermo. Riguarda infatti direttamente l’uso di porti minori per il trasbordo a terra del tonno. Nessuna piccola isola del basso tirreno è ad esempio autorizzata al accogliere il pescato, ma non è un segreto che a Ustica, come nelle Eolie, tonni e pesce spada vengono portati a terra grazie all’appoggio di barche di isolani. Viene spesso adagiato in spiagge fuorimano per essere caricato sui camion che viaggeranno, poi, in un normale traghetto di linea come quello proveniente da Ustica (PA). Il camion è stato fermato appena sbarcato nel porto del capoluogo siciliano. In tutto 15 tonni per un totale di 350 chilogrammi che portano, dall’inizio dell’anno, ad una tonnellata il totale sequestrato dalla Capitaneria di Porto di Palermo.
Non solo Sicilia, comunque, visto che sempre il 7 maggio si è avuta notizia dell’inseguimento nel porto canale di Pescara, già oggetto, peraltro, di altro recente sequestro. L’inseguito era un gommone di un pescarese che cercava di raggiungere il mare con due tonni rossi. Non c’è riuscito. La motovedetta della Guardia di Finanza l’ha raggiunto prima. Di nuovo Sicilia, invece, nella giornata di ieri. A fermare un peschereccio che stava entrando in porto con due tonni, la Guardia Costiera della Capitaneria di Porto di Marsala (TP). Entrambi i tonni erano sotto misura. Fonte: GeaPress.

08 MAGGIO

UN MESE IN PIÙ PER UCCIDERE I DELFINI
The CoveVengono spinti all’interno delle baie di quattro porti giapponesi specializzati in questo tipo di caccia. Sono delfini, come tursiopi o globicefali. Le barche li captano al largo e li spingono con sollecitazioni sonore che li disturbano. All’entrata della baia viene poi issata una rete. Possono stare così bloccati, finchè i pescatori non decidono di intervenire. Il porto più famoso è sicuramente quello di Taiji più volte documentato di Richard O’Barry, l’ex addestratore di delfini americano che dopo la morte di uno dei cetacei filmato per la serie del delfino Flipper, mollò il suo lavoro denunciando il mondo dei delfinari. A Taiji, oltre ai macellai, ci sono gli emissari dei delfinari. Mentre dalle barche si porta avanti la mattanza, gli asettici signori dello spettacolo dei circhi d’acqua scelgono le loro prede, sempre più richieste dal boom dei parchi di divertimento, specie nel sud est asiatico.
Richard O’Barry è l’autore del documentario The Cove, quello criticato dai delfinari, anche italiani, come un mucchio di falsità. I delfini a Taiji si cacciano da settembre ad aprile. Se ne ammazzano a migliaia e quest’anno le autorità locali hanno deciso di prolungare di un mese l’attività dei macellai. Questa settimana sono stati già uccisi 60 globicefali. Taiji si trova, sebbene ad alcune centinaia di chilometri più a sud, sulla stessa costa delle centrali nucleari di Fukushima. Finora il problema per le carni di delfino consumate dall’uomo, è stato il mercurio. Chissà dopo il disastro nucleare. Fonte: Geapress.

07 MAGGIO

IL BIOLOGY AWARD 2010 AL PROFESSOR ROBERTO DANOVARO
Il prestigioso Biology Award 2010 della BioMedCentral è stato assegnato per la prima volta a un gruppo di lavoro di ricercatori italiani: all’équipe diretta dal professor Roberto Danovaro, direttore del Dipartimento di Scienze del Mare presso l’Università Politecnica delle Marche dal 2005, vice-presidente della Federazione Europea di Scienze e Tecnologie del Mare (EFMS), presidente della Sede Italiana dell’Unione Eco-Etica Internazionale, presidente dell’Associazione Italiana d’Oceanologia e Limnologia e vice-presidente della Società Italiana di Ecologia.
Complimenti dallo staff di Biologiamarina.eu.

06 MAGGIO

XyloplaxNOVITÀ SU Xyloplax medusiformis
Xyloplax medusiformis è una piccola creatura poco conosciuta, scoperta nelle profonde acque neozelandesi e delle Bahamas agli inizi degli anni '80. L'unica specie, nel 1986, venne inclusa in una nuova classe, quella dei Concentrocicloidei (phylum Echinodermata). La morfologia di questo strano organismo è semplice, si presenta rotondo, con un diametro di circa 1 cm, schiacciata al polo orale e leggermente rigonfio al polo aborale. Presenta delle piccole placche su tutto il corpo e, in alcune parti, delle piccole spine cave. Vive tra le cavità e le fessure di detriti cosparsi sul fondale, mediamente a profondità elevate.
Un nuovo studio che risale al 2008, ma che è stato pubblicato online solo nell'aprile scorso, descrive meglio la filogenesi di questo strano organismo. Daniel Janies, biologo al Department of Biomedical Informatics della Ohio State University (OSU), sfruttando le potenzialità dell'Ohio Supercomputer Center (OSC), è riuscito con il suo team a ricostruire i rapporti filogenetici di Xyloplax, collocandolo vicino alla famiglia Pterasteridae. Il team di ricercatori, non potendo disporre del DNA dei due campioni raccolti negli anni '80, si è avvalso di alcuni esemplari catturati nell'area nord orientale del Pacifico. Da questi si è provveduto all'estrazione del DNA e a compararlo con 87 specie rappresentative del phylum PseudopaxillaEchinodermata. Ebbene il "responso" colloca Xyloplax molto vicino alla famiglia Pterasteridae. Questa famiglia comprende delle stelle marine con delle pseudopaxille contornate da piccole spine che supportano una piccola membrana, formano una sorta di camera nidamentale. Al centro di tale superficie è presente un osculo, mentre attorno sono presenti dei piccoli pori detti spiracoli. Ad ogni lato, sulla membrana actinolaterale, sono presenti lunghe spine tra le quali si aprono piccoli fori attraverso i quali l'acqua entra, per poi uscire dall'osculo. Il che è necessario per ossigenare le larve durante la crescita. In altri termini le appartenenti alla famiglia Pterasteridae sono stelle marine incubatrici, caso raro tra gli Echinodermi; la stessa cosa è osservabile in Xyloplax. Inoltre le larve di quest'ultimo, raggiunto uno stadio giovanile, abbandonano la camera nidamentale e sviluppano le gonadi senza tuttavia svilupparsi morfologicamente nella forma adulta. Crescono solo in termini di diametro e di circonferenza, ma mai sviluppano le caratteristiche braccia delle comuni Pterasteridae. Vedremo cosa accadrà, dopo questa analisi, nella riclassificazione del phylum Echinodermata. Fonte: Systematic Biology: Echinoderm Phylogeny Including Xyloplax, a Progenetic Asteroid.

PESCA: DAMANAKI TIRA DIRITTO SULLA RIFORMA PCP E SUI RIGETTI IN MARE
"Non c’è più tempo, le risorse ittiche sono al collasso ed i consumatori europei ci chiedono provvedimenti immediati, quindi assumerò la responsabilità politica di una scelta coraggiosa che sarà presentata al Collegio dei Commissari il prossimo 13 Luglio".
Queste sono state le parole con cui il Commissario Europeo alla Pesca ed Affari Marittimi, Maria Damanaki ha annunciato ieri, dietro pressioni ambientaliste – in una audizione degli stakeholders tenuta a Bruxelles - una forte e decisa azione in tema di rigetti in mare, un argomento su cui tutte le organizzazioni della pesca nazionali ed europee si sono da sempre dimostrate sensibili ma che per la sua complessità richiederebbe un approccio graduale e specifico per zona e tipi di pesca.
La Commissaria ha però dichiarato di voler bruciare i tempi, senza attendere il risultato di ulteriori azioni pilota, studi e ricerche, ed arrivare non ad una progressiva riduzione, ma ad un vero e proprio bando dei rigetti in mare. Una posizione, questa, che preoccupa molto la cooperazione italiana, che dopo il regolamento sul controllo teme la emanazione di ulteriori norme poco adatte se non inapplicabili nella realtà italiana e mediterranea. È un timore peraltro esteso alla intera proposta di riforma della Politica Comune della Pesca in cui, secondo le prime indiscrezioni, non si intravedrebbero tracce delle tante istanze e posizioni espresse dalle organizzazioni europee Europêche e COGECA durante le varie consultazioni.
"I rigetti in mare riguardano specie non commerciabili perchè non apprezzate sul mercato, sottotaglia o, nei Paesi soggetti al regime di TAC e Quote, quantitativi eccedenti la quota della imbarcazione, ed è una pratica che varia sostanzialmente tra i diversi sistemi di cattura e da zona a zona di pesca. Pensare ad un bando generale dei rigetti e, come sembra si voglia fare, all’obbligo di portare tutto a terra per considerare e valorizzare in qualche modo il non commercializzabile è, in mancanza di sperimentazioni ed azioni pilota, tanto complicato da essere inapplicabile - affermano le tre Associazioni AGCI Agrital, Federcoopesca/Confcooperative e Lega Pesca - Ci auguriamo che nel Parlamento Europeo e presso il Ministro Romano, a cui ci rivolgeremo, queste difficoltà e la esigenza di un approccio più graduale ed attento alle specificità dei diversi mari europei trovino maggiore considerazione, e che la procedura della codecisione europea tra Consiglio e Parlamento ci dia la possibilità di stemperare il pregiudizio ideologico con cui a Bruxelles si stanno da tempo affrontando i problemi della pesca". Fonte: Federcoopesca.

03 MAGGIO

OCCHIO IN FONDO AL MARE
Ecco cosa succede quando si osservano le cose dalla distanza sbagliata, si rischia di non vedere qualcosa di "grosso". Nel caso del riccio di mare gli scienziati per anni si sono dannati a cercarne gli occhi, senza rendersi conto che probabilmente era l’intero animale ad essere un unico grande occhio. Ora grazie al recente sequenziamento del genoma del riccio di mare atlantico (Strongylocentrotus purpuratus) un gruppo di scienziati (fra i quali anche Maria Ina Arnone della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli) hanno raccolto dati che indicherebbero che il riccio non ha gli occhi, ma sarebbe lui stesso un unico grande occhio.
Da anni era noto che i ricci di mare reagiscono alla luce attraverso il loro comportamento (cambiano colore, si muovono, si coprono ecc.), ma gli scienziati non sono mai riusciti a identificare delle strutture che fungessero da occhi. L’ipotesi migliore fino ad oggi era che in tutta l’epidermide dell’echinoderma fossero diffusi degli elementi in grado di registrare la radiazione, ma quest’ipotesi non è mai stata provata.
Ora lo studio su PNAS propone una nuova affascinante ipotesi. Era già noto da tempo che l’organismo di questi animali (o meglio il loro DNA) esprime delle proteine fotosensibili, le opsine. Ora gli scienziati, attraverso l’analisi del Dna (grazie alla reazione all’anticorpo specificamente generato contro una di queste opsine, la Sp-Opsin4) hanno identificato un nuovo tipo di cellula fotorecettore(PRC) localizzato nelle estroflessioni alla base dell’animale, dette pedicelli ambulacrali, principalmente utilizzate per il movimento e l’ancoraggio al substrato.
Secondo Arnone e colleghi (che hanno anche caratterizzato strutturalmente i presunti fotorecettori) il riccio userebbe le cellule fotosensibili sulla punta dei tubuli come una vera e propria retina (la struttura che negli esseri umani e in molti altri vertebrati funziona come recettore della luce), mentre il resto del corpo dell’animale fungerebbe da schermo. Non sono ancora chiari i dettagli, ma uno dei raggruppamenti di cellule fotosensibili identificate nei pedicelli potrebbe avere una vista "direzionale" (in grado di estrarre l’informazione sulla direzione di provenienza della radiazione), proprio grazie all’ombra gettata dal corpo del riccio su di esse.
Nell’articolo gli autori propongono dunque un modello dove "l’intero riccio di mare, usando il proprio scheletro come un mezzo per schermare le cellule fotorecettive, funziona come un grande occhio composto". Fonte OggiScienza a cura di Federica Sgorbissa.

DALL'ALASKA L'AVORIO DI TRICHECO
Un baratto vero e proprio in una terra dove a non tutti servono i soldi. Se poi questa terra è un’ isola a nord del mare di Bering, è anche più probabile che tali scambi possono avvenire. Come ai tempi delle guerre indiane. Alcool e armi in cambio di pelli di animali selvatici da rivendere a prezzi stratosferici.
Ad essere arrestati tre cittadini di Glennallen, nell’entroterra di Anchorage, il principale porto dell’Alaska. L’accusa è di avere contrabbandato avorio di tricheco, pelli di orso polare ed altri animali selvatici, esportando il tutto anche fuori dai confini americani. I tre trafficanti si rifornivano però da nativi dell’ isola di Savoonga, pagavano in denaro ma anche con droga, alcool, armi e slitte da neve.
I tre americani sono stati arrestati, dal momento in cui (a differenza dell’Italia), questi reati sono duramente puniti. Non è stato possibile risalire agli autori del bracconaggio e le autorità americane hanno comunque preferito concordare con i nativi dell’isola di Savoonga un approccio più educativo. Ovvero degli incontri ove si è cercato di spiegare il danno causato al patrimonio faunistico in cambio, tra l’altro, di beni quanto meno discutibili.
In America alcuni reati di bracconaggio e quelli di traffico di specie protette, sono duramente puniti. In Italia, entrambe le tipologie, sono giudicate in base alla debole categoria dei reati contravvenzionali.  L’inchiesta americana è stata condotta da Agenti sotto copertura dell’Agenzia federale Fish and Wildlife Service. Fonte: GeaPress.

BUSTE DI PLASTICA: OBBLIGO DI RICICLO
Gli shopper non biodegradabili devono essere definitivamente messi al bando. L’ordinanza emessa il 18 aprile scorso dal Consiglio di Stato è la pietra tombale sui sacchetti di plastica inquinanti: con questa sentenza si conferma, infatti, il rigetto del ricorso con cui Unionplast (Unione Nazionale Industrie Trasformatrici Materie Plastiche) insieme a quattro aziende produttrici di shopper chiedevano la sospensione del divieto alla commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili, così come invece previsto dalla legge Finanziaria 2007 in vigore dal il 1° gennaio 2011.
Legambiente è intervenuta ad opponendum contro il ricorso dei produttori di plastica, sostenendo le ragioni del Ministero dell’Ambiente. E per l’occasione ha compilato un ampio dossier sul tema, che ne testimonia l’impegno in questi anni. In Italia si consumano annualmente circa 20 miliardi di sacchetti di plastica, 300 a testa.
La produzione e lo spreco massiccio della classica busta generano una quantità abnorme di anidride carbonica: l'Agenzia per l'Ambiente del governo australiano ha stimato che si tratta di 2.109 chilogrammi di CO2 per ogni chilo di sacchetti di plastica, ovvero quasi 10 chili di CO2 a famiglia all'anno. Ciò detto, lo smaltimento finale e la dispersione dei sacchetti nell'ambiente restano la maggior incognita, a causa della loro volatilità e della loro persistenza (per decenni, se non per secoli) nell'ambiente. Il divieto di commercializzazione è ormai operativo per legge ed alcuni colossi della grande distribuzione si sono adattati promuovendo l’uso di sacchetti di carta o di scatole di cartone, anche se il fenomeno riguarda, per ora, solo alcune zone del paese.
Legambiente, grazie al concorso annuale “Comuni ricicloni”, ha appurato che sono più di un centinaio i comuni che hanno bandito o comunque limitato l’uso del sacchetto di plastica. In testa c’è Torino, con una popolazione di 900.000 abitanti: dopo qualche settimana di stand by, il Consiglio comunale ha recentemente votato all'unanimità il divieto di distribuzione degli shopper a canottiera, sia a titolo oneroso che gratuito. Ma non è tutto. Anche sindaco di Bari si è dato da fare, firmando un’ordinanza che introduce una multa fino a 500 euro per scoraggiare la circolazione dei sacchetti illegali. “Non ci sono più attenuanti e bisognerà far rispettare il divieto di commercializzazione delle buste di plastica, e questo apre uno spazio interessante sulle necessarie modifiche da apportare al nostro modello di consumo”, scrive Tommaso Sodano, ex presidente della Commissione Territorio, Ambiente e Beni Ambientali del Senato, nel suo blog. "Non si tratterà solo di cambiare la plastica con prodotto biodegradabile ma di ridurre il consumo di imballaggi. Bisogna prevenire la produzione dei rifiuti. Si tratta di una rivoluzione epocale e questa sentenza è un piccolo mattone". Fonte: GalileoNet a cura di Marina Bisogno.

LA CINA PUBBLICA UN ELENCO DEI CIBI CONTAMINATI
Il 23 aprile, la Commissione per la Sicurezza Alimentare del Consiglio di Stato Cinese, ha affermato che i dipartimenti relativi hanno già pubblicato una lista dei cibi e dei mangimi con additivi illegali. L'obiettivo è reprimere la somministrazione di sostanze e additivi illegali nei prodotti alimentari e l'utilizzo di droghe vietate nei mangimi e nei prodotti per l'acquacoltura.
Secondo la Commissione, lo scopo della pubblicazione della lista è ricordare agli organismi e al personale del settore alimentare di rispettare i rigidi standard di produzione, ammonire i criminali e incoraggiare nel contempo la delazione di qualsiasi organizzazione o individuo sugli atti di somministrazione degli additivi illetici.
Ricordiamo che molti prodotti ittici cinesi arrivano in Italia passando attraverso paesi autorizzati che marchiano poi i loro prodotti come locali.

02 MAGGIO

MEDUSE CHE NAVIGANO A...VISTA
Quando si dice navigare a vista. Proprio quello che la medusa Tripedali Cystophora fa nelle acque melmose delle paludi tropicali di mangrovie dove vive, usando gli alberi come riferimento. Per fare questo, hanno scoperto di recente gli scienziati, usa quella porzione dei suoi 24 occhi che sta sempre puntata verso l’alto, non importa in quale posizione sia il corpo del celenterato.
ome si legge su Current biology nella struttura che sostiene questi occhi sono contenuti dei cristalli di gesso che per le loro caratteristiche di peso e densità fanno sì che l’occhio sia sempre puntato verso l’alto.
Dan-Eric Nilsson biologo della Lund University in Svezia, ha provato a spostare una cisterna contenente le meduse in una zona con gli alberi e in una in mare aperto: nel primo caso le meduse si muovevano verso gli alberi, mentre nella zona aperta si muovevano in tutte le direzioni. Secondo Nilsson questo dimostra che data la poca visibilità delle acque in cui normalmente vivono le meduse per spostarsi usano gli elementi visivi in prossimità della superficie dell’acqua, le mangrovie appunto.
Nilsson e colleghi usando un set di fotografie prese a pelo d’acqua hanno anche creato dei modelli di cosa effettivamente vede una medusa. Nonostante questi occhi così sofisticati, la medusa è un animale privo di cervello. Fonte: OggiScienza a cura di Federici Sgorbissa.

CRISI DELLA PESCA
"Il Veneto è stata la prima Regione a dichiarare ufficialmente lo stato di crisi, ma il settore è in difficoltà a livello nazionale e anche altre regioni si stanno preparando ad adottare analoghi provvedimenti".
Lo ha ricordato l’assessore veneto alla pesca, Franco Manzato, a margine della riunione del comitato di crisi, nel corso della quale i rappresentanti dei pescatori hanno chiesto l’anticipazione e il prolungamento del fermo pesca 2011. Lo stato di crisi è stato formalizzato con firma del Presidente Zaia e dell’assessore Manzato il 12 aprile scorso.
Un incontro a cui hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni e del mondo della pesca: Direzione Marittima di Venezia, Capitaneria di Porto di Chioggia, Comune di Venezia, Provincia di Rovigo, associazioni di categoria, Cogevo di Chioggia e Venezia, Agriteco, OP.
La maggior preoccupazione portata all’attenzione dell’assessore Manzato ha riguardato la condizione del fondale marino. Sono stati i pescatori stessi, infatti, a richiedere l’anticipazione da luglio a maggio del fermo obbligatorio per tutti i pescatori, al fine di concedere respiro alla flora e fauna marina. I rappresentanti degli operatori del settore hanno rilevato la forte precarietà, chiedendo alla Regione del Veneto di adoperarsi per reperire le risorse necessarie a compensare l’alleggerimento dello sforzo di pesca e il relativo mancato reddito. Per queste ragioni è stato convocato dall’assessore Manzato un incontro con la Direzione Lavoro che si terrà il prossimo 3 maggio, per valutare tutte le possibili fonti di supporto economico. Fonte: IlPesce.