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28 FEBBRAIO 2011
IL NUOTO SINCRONIZZATO DEI PESCI ROSSI
Ci mancava pure questa. Chissà quale cifra sarebbero disposti a pagare per averlo tra i loro numeri, i nostri "impresari" di elefanti che giocano con la palla o suonano la tromba oppure orsi che vanno in bicicletta e felini che saltano sincronizzati al comando negli sgabelli di un circo. In Cina, dove sono stati chiusi gli zoo con spettacoli circensi, sono salite a ben 53 le organizzazioni non governative che si sono scagliate contro la performance del mago ormai più famoso del mondo.
Secondo gli animalisti cinesi il nuoto sincronizzato dei pesci rossi di Fu Yandong, altro non sarebbe che il trucco di magneti forse addirittura impiantati nei pesci. La TV di Stato cinese sembrava aver ascoltato le proteste seguite alla messa in onda della performance nel corso del "Lanterna Festival Show". Si tratta della trasmissione più popolare della Cina che anticipa di pochi giorni l’inizio del Capodanno cinese. Fonte: GeaPress (modificato).
26 FEBBRAIO 2011
LA CRISI DELLE TARTARUGHE MARINE
Si chiama Lonesome George, letteralmente il solitario George, un esemplare di tartaruga Geochelone nigra spp abingdoni; è l'unico rimasto della sua specie. La 'classifica' delle 25 specie più a rischio è stata stilata dalla Ong Turtle Conservation Coalition nel rapporto 'Turtle in Danger', che ha lanciato l'allarme sulle condizioni di questi animali, sempre più minacciati. "La crisi delle tartarughe è peggiorata molto negli ultimi 15-20 anni - scrivono gli autori - le tartarughe sono sempre state usate in maniera sostenibile, ma non è più così. Ora vengono sempre di più catturate per essere usate come cibo, nella medicina tradizionale asiatica e per il traffico di animali; tutti questi usi sono aumentati a causa della crescente economia cinese. Anche gli habitat sono minacciati dall'inquinamento e dallo sfruttamento umano".
Delle 25 specie in classifica (ma secondo il rapporto metà delle 300 conosciute sono a rischio), 17 vivono in Asia, mentre le altre sono distribuite in Sudamerica, come Lonesome George che vive alle Galàpagos, Africa e Australia. In Asia vive la seconda in classifica, della specie Rafetus swinhoei, di cui sono rimasti solo 4 esemplari, tre maschi e una femmina. "Per salvare le tartarughe serve un lavoro intenso che richiede molte persone e molti fondi - hanno spiegato i ricercatori che hanno stilato il rapporto a Singapore, dove è stato presentato - ma nello stesso tempo l'insaziabile richiesta di tartarughe da parte dell'uomo non accenna a calare".
RIAPERTA LA CACCIA ALLE FOCHE IN CANADA
Dal 21 febbraio è ripresa in Canada la caccia alle foche.
Il Ministro federale della pesca, Gail Shea, conferma tutto. Ricorrerà all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), contro la decisione dell’Unione Europea di sospendere l’importazione dei derivati di foca. Evidentemente non gli basta l’apertura dei mercati cinesi. Questa volta, però, la Signora Ministra è ancor più sprezzante. Per lei, infatti, l’emozione va messa da parte. Il riferimento è alle circa seimila famiglie coinvolte nel business derivato dalla mattanza di cuccioli di foca grigia. Secondo il Ministro, infatti, la caccia è un uso responsabile di una risorsa sostenibile.
Anche quest’anno gli animalisti canadesi filmeranno la mattanza ed è loro intenzione mostrare gli agghiaccianti documenti proprio in coincidenza dei principali appuntamenti organizzati dalle autorità canadesi per promuove il loro mercato di pelle di cucciolo. Ivi compresa la richiesta al WTO. Gail Shea è stata più volte oggetto di dure critiche da parte degli animalisti canadesi. Una torta le fu fatta pervenire … in faccia da una attivista animalista. Tratto da GeaPress, modificato.
CERTIFICARE L'IDROELETTRICO
Nasce l’etichetta europea che certifica l’idroelettrico che rispetta fiumi e ambiente per produrre energia in modo più sostenibile. Il 'bollino' amico dell’ambiente di cui è partner anche il Wwf Italia, presentato al Maxxi, si chiama Ch2oice ed è stato sviluppato per gli impianti che rispettano elevati standard ambientali. "Il bollino – spiega Giulio Conte di Ambiente Italia, coordinatore del progetto – vuole contribuire ad armonizzare gli obiettivi delle due direttive europee", producendo "non solo energia rinnovabile ma anche energia rispettosa degli ecosistemi acquatici, mantenendo le dinamiche naturali dei corsi d’acqua". L’energia idroelettrica è la fonte rinnovabile più importante in Italia: costituisce oltre il 16% della produzione elettrica. "Molti impianti – afferma Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale, partner del progetto – hanno però un notevole impatto sugli ecosistemi fluviali" alterando la portata naturale dei fiumi, interrompendo la loro continuità ecologica, e mangiando habitat e specie. L'eco-certificazione – frutto di tre anni di lavoro tra associazioni ambientaliste, produttori ed esperti di ecologia dei fiumi – è stata testata su 4 impianti tra Trentino Alto-Adige e Veneto e 4 in Slovenia. All'interno di Ch2oice ci sarà un Comitato Scientifico di alto livello e un Comitato di Garanzia, mentre la gestione sarà di Ambiente Italia. Fonte:ansa.
25 FEBBRAIO 2011
DELFINI DI CATTURA IN ARRIVO IN EUROPA?
Dopo l’annuncio dato dal cacciatore di delfini delle Isole Salomone, ovvero che a breve avrebbe ripreso il rifornimento di delfinari anche europei e tedeschi in particolare, arrivano ora confortanti novità. Secondo il rappresentante tedesco di Earth Island, associazione protezionista internazionale molto attenta alla salvaguardia dei cetacei, l’Agenzia Federale tedesca per la Natura e la Conservazione, avrebbe assicurato che non concederà alcun permesso di importazione. Tale Agenzia è equivalente alla Autorità Cites italiana.
Secondo Earth Island, che conferma comunque la ripresa della caccia ai delfini nelle Isole Salomone sospesa alcuni anni addietro, dietro l’annuncio del Sig. Sadu, questo il nome del fornitore, potrebbe esserci un tentativo di depistare l’attenzione da uno dei mercati in forte espansione: la Cina, ma anche i paesi arabi. Sadu, però, aveva affermato che dal Dubai era arrivato un nuovo ordine e che presto si sarebbe recato in quel paese a firmare il contratto. Earth Island, comunque, era stata direttamente tirata in ballo dal Sig. Sadu quale componente di un presunto accordo, poi non rispettato, che sostanzialmente prevedeva un compenso in cambio dello stop alla caccia ai delfini.
Il problema dei delfini di cattura, comunque, consiste nella facile camuffabilità della loro effettiva provenienza. I certificati Cites con i quali viaggiano, infatti, possono essere falsificati con attestazioni mendaci, quali, ad esempio, la nascita in cattività. Già nel passato alcuni delfini catturati nel corso delle mattanze (uso carne) delle marinerie di Taiji, in Giappone, finirono in delfinari centro americani e texani. Chi può dire che quelli poi importati anche in Italia proprio da questi paesi, non avessero a che fare con le catture in mare? La stessa Italia ha del resto, nel passato, importato direttamente da Cuba. Una cosa è certa. La richiesta dei delfini al mondo è di gran lunga superiore alle nascite in cattività. Fonte: GeaPress.
COME LE TARTARUGHE MANTENGONO LA ROTTA
Rilevando due parametri del campo magnetico terrestre, e non solo uno, sono in grado di stabilire - come già si sapeva - non solo la latitudine, ma anche la longitudine.
Il segreto del modo in cui le tartarughe di mare riescono a compiere traversate oceaniche trovando la giusta rotta, stabilendo correttamente non solo la propria posizione nord-sud, ma anche est-ovest, è stato scoperto da un gruppo di ricercatori che lo illustra in un articolo pubblicato su Current Biology.
"Uno dei grandi misteri del comportamento animale è come questi migratori possano navigare in mare aperto dove non ci sono segnali di riferimento visivi", dice Kenneth Lohmann dell'Università del North Carolina a Chapel Hill. News integrale su LeScienze.
AL BANDO IL TONNO ROSSO SULLE NAVI DA CROCIERA
Il tonno rosso rischia di scomparire e le navi da crociera lo mettono al bando dai propri menù. A prendere questa iniziativa è stata in particolare, nei giorni scorsi, MSC Crociere, che ha deciso di escludere la preparazione dei piatti che prevedono l’utilizzo del tonno rosso dai menù dei ristoranti di bordo delle 11 navi della sua flotta, con l’obiettivo di salvaguardare il futuro di una specie a rischio di estinzione. MSC Crociere ha annunciato che, a partire da fine marzo, al posto del tonno rosso saranno serviti, nei vari ristoranti, cibi altrettanto pregiati che valorizzeranno comunque l’eccellenza della gastronomia. In questo modo la compagnia crocieristica conferma l’attenzione verso la tutela dell’ecosistema marino, delle specie che lo popolano e dell’ambiente in generale.
Già in passato, infatti, la compagnia ha ricevuto diversi riconoscimenti ufficiali, a partire dal 6 Golden Pearl del Bureau Veritas, per il suo alto livello di gestione della qualità e della tutela ambientale, anche grazie a un avanzato sistema di trattamento delle acque. Tra gli altri riconoscimenti ufficiali ci sono il Green Planet Award per l’eco-compatibilità e il premio Cial per il riciclo dell’alluminio. MSC è stata anche tra i primi firmatari del Venice Blue Flag, un accordo per la riduzione delle emissioni nella Laguna di Venezia e di altri accordi simili con le Autorità portuali di Civitavecchia e Genova, che limitano le emissioni di zolfo a livelli inferiori rispetto a quelli legalmente richiesti.
Per quanto riguarda il tonno, va aggiunto che lo scorso novembre, a Parigi, i Paesi membri dell’ICCAT - la Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell’Atlantico - hanno deciso di ridurre la quota di tonno pescabile nel 2011 a 12.900 tonnellate, contro le 13.500 del 2010. Per l’Italia, il taglio delle catture è pari al 4.4% rispetto all’anno precedente, scendendo a circa 1.875 tonnellate. La riduzione è stata tuttavia di molto inferiore rispetto alle richieste degli ambientalisti che, supportati da alcuni Stati, avevano chiesto una quota di 6.000 tonnellate per il 2011. Fonte: Zootecnews.
24 FEBBRAIO 2011
PRIMA DI AVALON: LA FAUNA DI LANTIAN
Una foresta sottomarina abitata da numerosi invertebrati. Rinvenute le testimonianze del più antico evento di diversificazione morfologica che si conosca sulla terra. Avvenne quasi 600 milioni di anni fa.
L'esplosione avaloniana, che ebbe luogo tra 579 e 565 milioni di anni fa, è considerata la prima esplosione di vita pluricellulare e morfologicamente complessa che si verificò sulla terra. Questa radiazione adattativa diede vita alla cosidetta fauna di Ediacara, che non ha lasciato discendenti fino ai giorni nostri, e precedette di alcune decine di milioni di anni la famosa esplosione del Cambriano (530 milioni di anni fa), da cui derivano tutte le forme di vita attuali.
Un recente ritrovamento, descritto sulle pagine della rivista Nature, indicherebbe invece la presenza di vita complessa a cellule eucariotiche già 600 milioni di anni fa, subito al termine del periodo in cui il nostro pianeta fu interamente ricoperto dai ghiacci, noto come la fase della "terra a palla di neve". Il giacimento fossile, rinvenuto in Cina nei pressi del villaggio di Lantian (motivo per cui la fauna è stata chiamata "the Lantian biota"), ci fornisce uno spaccato della vita acquatica precedente alle esplosioni di Ediacara e del Cambriano, una vita acquatica molto più complessa di quanto ritenuto finora.
Tra i circa 3.000 fossili ben conservati, infatti, i paleontologi sono riusciti ad identificare almeno 15 specie differenti tra alghe marine e invertebrati che vivevano tra le loro fronde natanti, ma non è certo escluso che ne emergeranno delle altre. Queste forme di vita sembrerebbero essere tassonomicamente differenti dalle specie avaloniane e potrebbero rappresentare il più antico esempio di diversificazione morfologica complessa tra gli eucarioti, un primo esempio di radiazione adattativa, sebbene non il primo tentativo di pluricellularità che risale a ben 2,1 miliardi di anni or sono.
Siccome la vita pluricellulare sulla terra è strettamente legata ad un metabolismo aerobico, la scoperta fornisce anche preziose informazioni riguardo la presenza di ossigeno nelle acque. La diversità e l'abbondanza della fauna di Lantian sarebbero infatti possibili solo se supportate da sufficienti concentrazioni di ossigeno, anche se le evidenze biochimiche non lo confermano. E' probabile, concludono i ricercatori, che in alcuni brevi momenti precedenti i grandi eventi di ossigenazione delle acque che favorirono le esplosioni di vita di Ediacara e del Cambriano, le acque del nostro pianeta fossero già ricche di ossigeno e in grado di ospitare organismi con una struttura ed un metabolismo complessi. Fonte: Pikaia, a cura di Andrea Romano.
23 FEBBRAIO 2011
IPOTESI SULLA DIMINUZIONE DELLE ANGUILLE
Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Risorse Acquatiche presso il Politecnico della Danimarca e dell’Istituto Norvegese per la Ricerca sulla Natura sono al lavoro per scoprire perchè il numero di anguille europee sta diminuendo, e se la perdita sia legata a problemi in cui esse si imbattono durante la migrazione verso i luoghi per la deposizione delle uova, nel Mar dei Sargassi. "Le anguille partono dai fiumi in cui vivono in autunno e la prima fase della migrazione verso la costa è molto rischiosa - ha spiegato Kim Aarestrup, autore principale dello studio. -Abbiamo studiato la mortalità delle anguille in questa prima fase seguendo 50 anguille argentate nel momento in cui nuotano attraverso le parti più basse del fiume Gudenaa e nella prima fase della migrazione marina nel fiordo di Randers. Abbiamo esaminato sia il comportamento sia il tasso di sopravvivenza durante questa prima fase della migrazione".
Nonostante la mortalità fosse bassa nelle parti più basse del fiume, i ricercatori hanno scoperto che il 60% delle anguille sparivano nel fiordo di Randers, confermando l’ipotesi secondo cui che le anguille argentate muoiono nelle prime fasi della migrazione in mare. Usando stazioni di ascolto automatiche, gli esperti hanno studiato la migrazione delle 50 anguille femmine a cui erano stati impiantati trasmettitori acustici. Dai dati è emerso che il 21% delle anguille nel fiordo sono state catturate da pescatori (sia con la lenza che commerciali). La pesca è dunque la principale responsabile della sparizione delle anguille nel fiordo. Dopo aver interrogato i pescatori, i ricercatori hanno confermato che le anguille etichettate con i segnali acustici (di cui non si conosce il numero esatto) sono state pescate senza essere denunciate. Il team ha anche scoperto che le anguille sono lente durante la migrazione fuori dal fiume e nel fiordo, tanto che raggiungono il Mar dei Sargassi la primavera dopo la partenza dal fiume. Anche cronometrando la velocità al di sopra della media, solo poche anguille sarebbero comunque riuscite a raggiungere il Mar dei Sargassi la primavera successiva. "Eppure -ha concluso Aarestrup- è importante che le anguille sopravvivano nel sistema fiume-fiordo se si vuole soddisfare il piano di recupero dell’Unione Europea". Fonte: Zootecnews.
22 FEBBRAIO 2011
IL MERLUZZO ADATTATO ALL'INQUINAMENTO
In soli 50 anni, la mutazione di un singolo gene ha reso le popolazioni di merluzzi del fiume Hudson di New York insensibili alle sostanze tossiche disciolte nell’acqua. La scoperta, pubblicata su Science, è di un gruppo di ricerca coordinato da Isaac Wirgin della New York University School of Medicine, negli Usa.
Per 30 anni sono stati riversati nelle acque del fiume Hudson quasi 600 mila chili di policlorobifenili (PCBs), una classe di composti organici altamente tossici, il cui uso industriale e commerciale è stato bandito nel 1979. Le popolazioni di pesci del fiume Hudson sono state decimate da questi inquinanti, con un’unica eccezione: il Microgadus tomcod, comunemente chiamato merluzzo tommy. Nonostante i livelli di PCBs trovati nel fegato di questi pesci siano i più alti mai registrati in un animale, i merluzzi sembrano non risentirne e continuano a sopravvivere e a riprodursi.
Per risolvere il mistero, i ricercatori hanno passato quattro anni catturando merluzzi dal fiume Hudson. Ne hanno quindi analizzato il Dna, prestando particolare attenzione al gene AHR2, che codifica per una proteina coinvolta nella regolazione degli effetti dei PCBs. Si è così scoperto che i merluzzi tommy possiedono una variante del gene diversa dalla copia "normale": manca di sei coppie di basi nucleotidiche (i mattoni del Dna). La proteina sintetizzata, quindi, non interagisce in maniera corretta con i PCBs e questo attenua la tossicità dei composti. I ricercatori parlano di un’evoluzione sorprendentemente veloce, che sino ad oggi era stata dimostrata solo per invertebrati come gli insetti.
Ma ciò che è una buona notizia per i merluzzi tommy, non lo è per i loro predatori. Anche se non muoiono, infatti, questi animali accumulano PCBs nei loro muscoli. Quando vengono mangiati da altri pesci, questi inquinanti finiscono nella rete alimentare, trasferendosi da una specie all’altra fino ad arrivare all’essere umano. Non è escluso, infine, che la mutazione acquisita renda i merluzzi più sensibili ad altri tipi di inquinanti. Fonte: GalileoNet a cura di Martina Saporiti. Altro contributo su Pikaia.
IL PLANCTON ALL'ORIGINE DELLA PRIMA ATMOSFERA
Il plancton fornì un contributo essenziale alla diffusione dell'ossigeno in atmosfera 500 milioni di anni fa: ora un nuovo studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) a firma di Matthew Saltzman, ricercatore della Ohio State University, chiarisce i dettagli del processo.
"Sappiamo che i livelli di ossigeno nell'oceano sono calati drasticamente durante il Periodo Cambriano, compreso all'incirca tra 540 e 480 milioni di anni fa, dando origine a un fenomeno noto come anossia, e che ciò coincide con il periodo dell'estinzione globale", ha spiegato Saltzman, che è professore associato di scienze della Terra all'Ohio State. News intewgrale su LeScienze.
21 FEBBRAIO 20110
IL PETROLIO È TUTTO LI
"Ho visto come si presentano quei fondali" ha dichiarato oggi Samantha Joye dell’Università della Georgia "per il 2012 il dramma del Golfo del Messico non sarà affatto risolto". Arriva così immediata la smentita a un report rilasciato dalla compagnia petrolifera British Petrol (BP) qualche giorno fa secondo cui "tutto sarà ok entro il 2012". Tutto cosa evidentemente non è dato sapere, in un incidente, come quello dell’esplosione della Deepwater Horizon al largo della costa della Luisiana (USA), che rappresenta il peggior disastro petrolifero della storia. A dicembre 2010, la Joye e i suoi colleghi hanno condotto 5 diverse spedizioni prelevando circa 250 campioni dai fondali di un’area di oltre 6.700 chilometri quadrati, al fine di confrontare lo stato del fondale impattato dal petrolio con quello che aveva trovato la scorsa estate.
Secondo quanto precedentemente affermato da alcuni studi finanziati dalla BP sembrava che i batteri mangia-petrolio (batteri in grado di ridurre chimicamente gli inquinanti in composti semplici quali anidride carbonica, acqua e sali inorganici) avessero svolto un lavoro “abbastanza veloce”; il che lasciava certo intuire una massiccia disgregazione del combustibile fossile sversato sui fondali la scorsa primavera. Non è così. Stando alle stime della Joye, ci sarebbe ad oggi una rimozione solo del 10% circa dei residui petroliferi.
Il petrolio, insomma, è ancora li e ha le stesse caratteristiche chimiche di quello fuoriuscito dal pozzo rimasto aperto dopo l’incidente, un dato importante per dimostrare le responsabilità di BP.
A beneficio dei San Tommaso in buona o cattiva fede, la dottoressa Joey ha anche portato in superficie dalle sue esplorazioni sottomarine le immagini di molti animali morti sul fondale, coperti, soffocati o intossicati dal petrolio e dalla fuliggine generata a suo tempo dalla combustione del petrolio, prima misura di emergenza effettuata a ridosso dell’esplosione. Eppure non si tratta solo di questo e delle sue ripercussioni lungo la catena alimentare, ma di un problema molto più complesso.
In uno studio apparso recentemente sulla rivista Nature Geoscience, Joye e colleghi indicano come l’incidente avenuto nel Golfo del Messico ha scaricato in mare non solo petrolio liquido, ma anche quantità ingenti di gas idrocarburi (ad es. metano), l’effetto dei quali sull’ambiente rimane ad oggi sottostimato. Secondo la ricercatrice e i suoi colleghi sarebbe possibile che l’azione di degradazione dei gas da parte di micro-organismi marini porti a una riduzione di ossigeno tale da creare vere e proprie anossie, situazioni cioè in cui l’ossigeno non è più disponibile per tutti gli organismi marini, che quindi muoiono soffocati.
A detta degli esperti dovremo aspettare ancora una decina d’anni per avere le prove visibili degli effetti del disastro che "non sarebbe mai potuto succedere", in barca alle visioni ottimistiche dei portavoce della BP. Fonte: OggiScienza a cura di Marta Picciulin.
17 FEBBRAIO 2011
SEA SHEPHERD: IL GIORNO DELLA VITTORIA PER LE BALENE
È ufficiale: la flotta baleniera giapponese ha deciso di abbandonare l'Oceano Antartico, almeno per questa stagione. E, se ritorneranno la prossima stagione, la Sea Shepherd Conservation Society sarà pronta a riprendere i propri sforzi per ostacolare e fermare le attività illegali di caccia alla balena condotte dai giapponesi.
"La Nisshin Maru ha effettuato un significativo cambiamento di rotta subito dopo l'annuncio ufficiale da parte del governo giapponese che dichiarava che la flotta baleniera era stata richiamata in porto" ha dichiarato il Capitano Alex Cornelissen dalla Bob Barker. "Sembra che stia tornando a casa!"
La nave di Sea Shepherd Bob Barker tallona la nave stabilimento giapponese, la Nisshin Maru, dal 9 febbraio, impedendo ai balenieri di continuare le loro operazioni illegali di caccia alla balena.
"Ho un equipaggio di 88 persone molto felici che provengono da 23 Paesi diversi, incluso il Giappone, e queste persone sono assolutamente entusiaste del fatto che i balenieri stiano facendo rotta verso casa e che il Santuario delle Balene dell'Oceano Antartico sia ora un vero e proprio santuario" ha affermato il Capitano Paul Watson.
Le navi di Sea Shepherd Steve Irwin, Bob Barker, e Gojira rimarranno nell'Oceano Australe per scortare le navi giapponesi verso nord. "Non lasceremo il santuario delle balene fino a che l'ultima nave baleniera non se ne sarà andata" ha dichiarato Locky MacLean, il capitano della Gojira.
"Questa è una grande vittoria per le balene" ha affermato il Capitano Watson "ma non l'abbiamo raggiunta da soli. Senza il sostegno del popolo australiano e neozelandese non saremmo riusciti a fare iniziare le nostre spedizioni dai porti dell'Australia e della Nuova Zelanda per sette stagioni. Siamo grati al Senatore Bob Brown e al Greens Party (Partito dei Verdi, nota di traduzione) australiano. Siamo molto grati a Bob Barker per averci donato la nave che ha fatto la differenza fondamentale nei nostri sforzi di scacciare la flotta giapponese da queste acque. Siamo grati a tutto lo staff e i volontari che lavorano a terra, ai nostri sostenitori e agli equipaggi delle navi. Siamo grati alla Marina e al governo del Cile e al governo francese per il loro sostegno. In tutto il mondo questo è un giorno molto felice per le persone che amano le balene i nostri oceani."
È ufficiale: l'uccisione delle balene nel Santuario delle Balene dell'Oceano Antartico è finita per questa stagione, e i balenieri non hanno raggiunto neppure il 10% della loro quota. Sea Shepherd stima che quest'anno siano state salvate più di 900 balene.
"È un grande giorno per le balene" ha dichiarato Laura Dakin, Prima Cuoca di Sea Shepherd a bordo della Steve Irwin e proveniente da Canberra, in Australia "ed è un grande giorno per l'umanità!" Tratto da SeaShepherd.it.
LA MORTE DI UNA RARA BALENA FRANCA
Era rimasta avviluppata in oltre 60 metri di corda al largo della Florida. I primi tentativi di salvarla erano avvenuti in dicembre, seguiti da altri interventi a gennaio. Purtroppo non c’è stato niente da fare e la rarissima balena franca nordatlantica è morta di debolezza e probabilmente a causa dei morsi degli squali attratti dalle ferite lasciate dalla corda. Inoltre, non era stato possiible togliere alcuni pezzi di corda dalla bocca dell’animale, fatto che potrebbe aver provocato la morte per denutrizione. La lunga corda era utilizzata per le trappole a gabbia calate sul fondo del mare. Un sistema di pesca vietato che ha causato, però, la morte di una delle ultime balene franca nordatlantica ancora viventi. Non più di 300-400, secondo gli esperti.
In quest’ultimo caso si trattava di una giovane femmina di non più di due anni. La sua carcassa è stata osservata al largo delle coste della florida. Quella di galleggiare, una volta morta, è una delle caratteristiche che ha agevolato le mattanze, nei secoli scorsi, dei balenieri. Il 40% del peso corporeo della balena franca nordatlantica è infatti costituito da sego,un grasso a bassa densità. I balenieri non solo avevano un sicuro introito ma potevano tenerla a galla per tutto il tempo necessario prima della macellazione. Era, dal loro punto di vista, la balena perfetta.
Proprio ieri è stata diffusa la notizia che la marineria giapponese starebbe valutando la possibilità di interrompere la caccia "scientifica" alle balene, a causa dei continui disturbi di Sea Shepherd. Di fatto, con la scusa di doverle studiare, i giapponesi aggirano il divieto di cacciare i grandi cetacei. Un concetto, quello dello studio, molto simile alle motivazioni con le quali i delfinari, anche italiani, giustificano la detenzione dei delfini nei loro circhi d’acqua. Fonte: GeaPress.
14 FEBBRAIO 2011
SQUALI DALLA PELLE ASETTICA?
In un articolo firmato da David Pogue apparso sul The New York Times, si afferma per l'ennesima volta che gli squali non si ammalano. Questa volta l'argomento riguarda la pelle, che sarebbe immune a qualsiasi infezione e libera da parassiti. Si parla naturalmente delle possibili applicazioni in campo medico. Un ulteriore motivo per continuare a uccidere gli squali? La presenza di parassiti sulla pelle degli squali, ricordiamolo, è stata descritta da tempo.
Speriamo prevalga il buon senso e che non si ripeta la strage di squali che seguì la pubblicazione del libro Sharks Don’t Get Cancer, argomento, quello dei tumori degli squali, gia trattato qui.
13 FEBBRAIO 2011
NUOVA SPECIE DI ASTICE
Altro successo per il Census of Marine Life, che in 10 anni ha sponsorizzato ben 540 missioni scientifiche, coinvolgendo oltre 2700 scienziati di 80 paesi. La nuova scoperta riguarda un astice di profondità assegnato al nuovo genere Dinochelus. La specie è stata scoperta nelle profondità delle acque delle Filippine ed è stata chiamata D. ausubeli, in onore di Jesse Ausubel, della Rockefeller University. Fonte: Rockeffeler.edu.
ANCORA SEQUESTRI DI NOVELLAME
In poche ore 170 chili di novellame di sarda ed in minor misura di boga. In tutto tre sequestri operati dalla Capitaneria di Porto di Roccella Jonica (RC) e di Reggio Calabria. Nel primo caso i militari hanno fermato un'autovettura dove venivano trasportati ben 90 kg di novellame di sarda. Alla periferia di Melito Porto Salvo, invece, la Guardia Costiera di Reggio Calabria, unitamente alle delegazioni di spiaggia di Bianco e di Melito, hanno provveduto al sequestro di altre ottanta chilogrammi. Di questi, circa 20 chili di novellame di sarda e di bova sono stati rinvenuti all’interno di una pescheria di Melito Porto Salvo. Altri sessanta chili, invece, sono stati trovati all’interno di una autovettura che transitava nello stesso paese di Melito.
Si tratta di sequestri ormai quotidiani e tutti di parecchi chili di pescato. Se consideriamo l'estensione delle coste italiane da tenere sotto controllo, è facile supporre come il quantitativo di pescato (vietato dalle recenti direttive impartite dall’Unione Europea) sia di molto superiore a quello intercettato dalle Forze dell'Ordine. I pescatori di frodo, peraltro, utilizzano per lo sbarco porti minori e imbarcazioni di copertura che trasportano sotto costa quanto depredato. Proprio ieri GeaPress aveva riportato la notizia di un altro grosso sequestro avvenuto a Corigliano Calabro (CS), operato dalla locale Capitaneria di porto, ed a Trappeto, vicino Palermo. In quest'ultimo caso ad intervenire sono stati gli Agenti della Squadra Nautica della Questura di Palermo. In tutto, ad essere sequestrati, sono stati ben 115 chilogrammi di novellame di sarda. Teoricamente, considerato il bando totale, nei banchi delle pescherie non dovrebbe comparire neanche un grammo di novellame. Fonte: GeaPress.
11 FEBBRAIO 2011
COME DISTINGUERE IL TONNO ROSSO DAL PINNA GIALLA
Come si distingue il tonno rosso (Thunnus Thynnus) dal tonno a pinne gialle, il cui nome nella nomenclatura binomiale è Thunnus albacares?
Certamente se entrambi li trovate in una scatoletta del supermercato la questione si fa complicata. Ma se li vedete sotto forma di tranci, pezzi o filetti è relativamente semplice: la carne del tonno rosso è rossa-brunastra mentre quella del tonno a pinne gialle è rosata.
Come ben spiega Bressanini nel suo articolo ‘Tranci prelibati di tonno rosso’ apparso sull’ultimo numero di Le Scienze, la differenza si riferisce al contenuto di mioglobina nelle carni, che ne conferisce la tipica colorazione e – insieme – la tipica appetibilità da parte del genere umano (con conseguente overfishing sulle specie che ne posseggono molta nei muscoli, tranci di tonno o di balena che siano).
Lo stesso Bressanini ben dice quando afferma che "la pesca del tonno è sottoposta a una stretta regolamentazione, allo scopo di evitarne l’estinzione" e che quindi "con ogni probabilità se state acquistando un trancio di tonno fresco al supermercato state acquistando un tonno pinna gialla".
Peccato che il chimico, divulgatore e 'aspirante cuoco' – come lui stesso si definisce sulle pagine della rubrica 'la scienza in cucina' – Bressanini prosegua l’articolo declamando proprietà nutritive che inequivocabilmente si riferiscono alle carni di quello stesso tonno rosso di cui associazioni ambientaliste e non sconsigliano il consumo, per le evidenti ricadute sulla sopravvivenza della specie.
Non bastasse si premura di offrire suggerimenti sulle corrette modalità di preparazione dei filetti. Che bisognasse cuocere il tonno senza superare i 45-50 gradi non lo sapevo. Similmente ignoravo che bastasse la spiegazione scientifica del ruolo della mioglobina nella muscolatura di specie animali per trasformare alcune dritte culinarie in un articolo di divulgazione scientifica. Fonte: Oggi Scienza a cura di Marta Picciulin.
NAUTILUS, PRIMA COOPERATIVA A CERTIFICARE L'ACQUACOLTURA BIOLOGICA
Obiettivo raggiunto per Nautilus, la cooperativa calabrese di ricerca, tecnologia e servizi aderente a Lega Pesca, che ha ricevuto il nulla osta dalla Regione Calabria per la certificazione biologica del prodotto ittico. Primo caso a norma in Italia, la cooperativa può ora commercializzare i propri prodotti di acquacoltura (spigole e orate) con il marchio biologico, non più su base volontaria ma in armonia con il recente Regolamento Comunitario.
L’impianto di maricoltura, realizzato da Nautilus in un territorio non facile come la Calabria, segue i principi delle produzioni ittiche biologiche. Già certificato dall’ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale), cioè da un ente terzo, riconosciuto e accreditato dal ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il sistema si basa sull’applicazione di un disciplinare dell’Associazione Italiana Agricoltura Biologica (AIAB), basato sul protocollo-guida approvato dall’International Federation of Organic Agriculture Movements (Ifoam), l’organismo internazionale di riferimento per le produzioni biologiche. Il protocollo produttivo si fonda sul divieto di utilizzo di prodotti chimici di sintesi, sull’impiego di mangimi biologici e, in generale, su una nuova filosofia produttiva incentrata sul benessere degli animali allevati, sul rispetto e la tutela dell’ambiente, sul monitoraggio e la sorveglianza degli aspetti del processo produttivo ritenuti critici. Lega Pesca è impegnata da oltre un decennio, direttamente come Associazione e tramite le proprie strutture di ricerca e produttive, a promuovere, accanto alla trasparenza e legalità, pratiche biologiche ed ecosostenibili nel settore dell’acquacoltura, spesso anticipando norme e parametri nei Paesi dell’Unione Europea. In questo contesto si colloca la convenzione, firmata lo scorso dicembre, tra Icea e Ama, Associazione Mediterranea Acquacoltori, per la certificazione di prodotti ittici. "La certificazione biologica -sottolinea il presidente di Lega Pesca Ettore Ianì- è una risposta a quei consumatori più esigenti che sono attenti anche alle caratteristiche del prodotto oltre che alla qualità". Fonte: Zootecnews.
APPROVATO IL DECRETO SUL BIANCHETTO
"Positiva l’approvazione dello schema di decreto che prevede aiuti in regime de minimis alle imprese di pesca impossibilitate in questa stagione all’attività di prelievo di rossetto e bianchetto". Lo affermano l’AGCI Agrital, la Federcoopesca-Confcooperative e Lega Pesca al termine della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura. Le tre associazioni sottolineano come i contributi previsti dal decreto saranno indirizzati a sostegno delle imprese di pesca che nel 2010 erano state autorizzate alle pesca speciale del novellame da consumo e del rossetto.
Tra gli altri temi all’ordine del giorno c’è stato il via libera della Commissione al riconoscimento, come Istituto Scientifico, del consorzio Unimar, che opera nel settore della pesca e dell’acquacoltura. Riconosciute anche due nuove organizzazioni di produttori, operative nella zona di Goro e Gorino. La prossima riunione della Commissione consultiva, che esaminerà la ripartizione tra i diversi sistemi di pesca delle quote tonno 2011, è prevista per venerdì 18 febbraio. Fonte: (AGCI Agrital. Federcoopesca, Lega Pesca)
10 FEBBRAIO 2011
BALENA, TI ADDORMENTO PER SALVARTI
Come riuscire a togliere una cima di 15 metri impigliata nella bocca di una balena lunga quasi 10 metri? I ricercatori del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) l’hanno sedata. L’animale, una giovane femmina di balena franca nord-atlantica nata durante la stagione riproduttiva del 2008, appartiene a una specie minacciata di estinzione, di cui rimangono poche centinaia di esemplari (300-350 secondo le stime più ottimistiche).
La giovane balena fu osservata per la prima volta da alcuni ricercatori durante un transetto aereo il giorno di Natale con una lenza da pesca simile a un palamito lunga 50 metri arrotolata intorno al corpo. Cin que giorni più tardi alcuni uomini del Dipartimento delle Risorse naturali della Georgia raggiunsero la balena e riuscirono a tagliare parte della lenza, ma un pezzo rimase attaccato all’animale.
Gli esperti del NOAA hanno continuato a monitorare l’animale tramite un tag satellitare per cercare di capire se sarebbe stata in grado di riuscire a liberarsi, salvo poi aspettare il 15 gennaio per intervenire, quando l’animale si trovava al largo delle coste di Cape Canaveral. Dopo aver somministrato il sedativo, rimosso la lenza da pesca, i ricercatori hanno iniettato una dose di antibiotico e attaccato all’animale un tag digitale di nuova generazione che ha registrato tempo d’immersione e profondità d’immersione dopo la sedazione. Questi due dati sono necessari per valutare il profilo d’immersione dell’animale e valutarne il comportamento dopo una sedazione chimica. Questi dati saranno utili nel caso di altri interventi di questo tipo.
Il team che ha condotto le operazioni comprendeva ricercatori, cetologi e veterinari di 6 istituti diversi, una specie di Dream Team che comprendeva tra gli altri il Woods Hole Oceanographic e EcoHealth Alliance. Secondo Jamison Smith, coordinatore del progetto di Salvataggio Grandi Balene del NOAA, questa è stata la ragione per cui un’operazione così complessa e delicata ha avuto successo. Questa è la seconda volta che un intervento di questo tipo, con un animale selvatico di queste dimensioni, finisce con la “liberazione” dell’animale; la prima volta fu nel marzo del 2009 nelle acque della Florida.
Rimane da capire l’origine del materiale che era attaccato alla balena. Tutto fa pensare che si tratti di qualcosa di simile a quello utilizzato dai pescatori delle coste nord-orientali degli Stati uniti e in Canada per la pesca di aragoste e granchi. Ma gli esperti del NOAA sono già al lavoro per valutare la possibilità che si tratti di lenze da pesca illegali. Fonte: OggiScienza a cura di Mauro Colla.
ALTRO SEQUESTRO DI BIANCHETTO A PALERMO
60 kg di novellame, ovvero un … mare di sarde, catturate ancora neonate per essere cucinate. Il nuovo sequestro della Squadra Nautica della Questura di Palermo evidenzia, ancora un volta, come i piccoli approdi siano preferiti dai pescatori di frodo. Sperando, forse, in un minore controllo, i pescatori tentano così di aggirare il bando imposto dall’Unione Europea all’Italia sulla pesca del novellame.
Gli Agenti della Squadra Nautica si erano appostati nei pressi dell’approdo di Trappeto (PA) quando hanno notato un furgone guidato da un uomo non conosciuto come pescatore del luogo. Stava uscendo dall’area portuale dove sicuramente aveva caricato i 60 Kg di novellame di sarda. L’uomo era di Terrasini, un paese, come Trappeto, del Golfo di Castellammare. Pochi giorni addietro, sempre la Squadra Nautica della Questura di Palermo aveva rintracciato un carico di 20 Kg di neonata sbarcata nel porto industriale di Termini Imerese, nella parte orientale della costa della provincia di Palermo. Anche in questo caso era stato scelto un porto minore, così come un approdo secondario era stato utilizzato lo scorso gennaio per sbarcare 600 Kg di tonno rosso. Si trattava del porto di Balestrate, di nuovo nel Golfo di Castellammare. Ad intervenire sempre la Squadra Nautica della Questura di Palermo.
Appena poche ore addietro (vedi news qui sotto, la Guardia Costiera di Corigliano Calabro (CS), aveva sequestrato 55 chili di novellame. Veramente un mare di sarde da finire in pochi bocconi. Fonte:GeaPress.
COME SI DEPREDA IL MARE
Nel palmo della mano, almeno di quelli più piccoli, ve ne potrebbero stare alcune centinaia. In tal maniera, la Guardia Costiera di Corigliano Calabro (CS,) evidenzia ancor di più la giusta motivazione che ha portato la Comunità Europea a vietare nei nostri mari la pesca del cosiddetto bianchetto, ovvero il novellame di sarda. I militari della Capitaneria di porto di Corigliano ne hanno sequestrato ben 55 chili. Il novellame era pronto per la vendita nella spiaggia di Salice, ed era esposto da due pescatori ora denunciati e deferiti all’Autorità Giudiziaria. La Guarda Costiera continuerà nei prossimi giorni l’azione di vigilanza al fine di prevenire e nel caso reprimere, la pesca del novellame. Solo dall’inizio dell’anno sono ottanta i chili di bianchetto sequestrati dalla Guardia Costiera di Corigliano.
Diverse centinaia in tutta Italia.
Salerno, invece, inizia la sequela dei …pugliesi. Di fatto come un clan criminale, messo in opera per depredare il riccio di mare, purtroppo molto in uso nelle pietanze, specie nella provincia di Bari. I pescatori di frodo pugliesi, per pescarlo, non esitano a spingersi nelle Marche e, nel mar Tirreno, anche in Toscana. Questa volta si erano fermati nel Cilento, dove la Capitaneria di Porto di Salerno ha sequestrato oltre 2000 ricci. Questo dopo un altro recente sequestro, sempre contro pescatori pugliesi, colti in flagranza con altri 3000 ricci. Non avevano invece bisogno di cambiare regione, bensì solo provincia, i tre baresi fermati nella loro macchina dagli Agenti della Squadra nautica della Questura di Taranto. Sono stati trovati in "compagnia" di duemila ricci, oltre che della attrezzatura subacquea prontamente sequestrata.
Proprio da Taranto arriva però la notizia più incredibile. Ad intervenire la Guardia Costiera cittadina ed il NAS dei Carabinieri. In un locale fatiscente, posto sotto sequestro, erano conservati in pessime condizioni igieniche 200 chilogrammi di molluschi e cozze nere. Si ricorda che solo l’anno scorso, in due distinte operazioni, la stessa Capitaneria ebbe a sequestrate ben cinque tonnellate di cozze nere. Il particolare che più colpisce nella notizia di oggi riguarda però lo scongelamento del pescato. L’acqua veniva infatti prelevata direttamente da una banchina della città vecchia di Taranto. Non solo, con la stessa acqua inquinata venivano stabulate le cozze che in tal maniera continuavano ad inquinarsi prima di essere vendute. Di esse, infatti, mancava ogni documentazione. Ignoto il luogo di origine, ignoto il tragitto percorso e gli eventuali trattamenti subiti. Unica certezza era che venivano "depurate" con l’acqua inquinata del porto.
P
er concludere con la Puglia, la Guardia Costiera di Brindisi ha comunicato oggi di avere posto sotto sequestro penale un chilometro di rete da pesca. Era stata calata nello specchio d’acqua dell’area marina protetta di Torre Guaceto. Fonte: GeaPress.
09 FEBBRAIO 2011
DUE CETACEI SALVATI DALLA GUARDIA COSTIERA
Due balenottere, rispettivamente di 6 e 8 metri di lunghezza, sono state soccorse ieri dagli uomini della Guardia Costiera di Siracusa. Il primo dei due cetacei è stato avvistato in località Onmia, verso le 10 del mattino, da alcune persone che da terra lo hanno notato mentre si dibatteva tra gli scogli, dove era andato a incagliarsi. Avvisata, la Capitaneria ha inviato sul luogo una motovedetta che, con l’aiuto di una pattuglia giunta da terra, riusciva a liberare l’animale, imbragarlo e trasportarlo a largo. Verso mezzogiorno un’altra segnalazione, sempre di un balenottero in difficoltà, proveniva ai militari della Guardia Costiera. Il secondo cetaceo, più grande del primo, si era arenato a circa venti metri dalla costa di Fontane Bianche.
A questo salvataggio hanno partecipato, oltre all’equipaggio del precedente intervento, anche personale della vicina area marina protetta del Plemmirio che, con un gommone si sono avvicinati al giovane cetaceo e – insieme all’equipaggio della motovedetta – hanno imbracato l’animale per poi condurlo in acque più profonde dove la giovane. Fonte: GeaPress.
TORNA IL CAVIALE NERO SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI
Torna nel mercato europeo il caviale nero russo: dopo un bando durato nove anni, Mosca ha deciso di riaprire l'export con una prima fornitura "simbolica" per il 2011 di 150 kg di "ciornaia ikra”, proveniente però da allevamenti ittici. Lo ha annunciato il capo dell'agenzia federale per la pesca Andrei Kraini, come riferisce la stampa russa. Forse già nel giro di cinque anni, l'esportazione potrebbe arrivare sino a 10-15 tonnellate all'anno, grazie al rapido sviluppo di aziende ittiche ad Astrakhan, la capitale del caviale, Rostov, ma anche Kaluga e Novosibirsk. "Nove anni fa la Russia fu costretta a mettere al bando la pesca degli storioni per scongiurare la loro estinzione e per contrastare la pesca di frodo", ha spiegato Kraini. Ma il divieto ha favorito i bracconieri, protagonisti di un fiorente mercato illegale valutato di poco inferiore ad un miliardo di euro. Con questa mossa, le autorità russe sperano di mettere fuori gioco i pescatori di frodo, ma il costo delle preziosa uova di storione, il "pesce dello zar", non dovrebbe diminuire: secondo Izvestia, i consumatori europei sono pronti a sborsare sino a 5.000 euro per un kg di caviale nero, anche se all'ingrosso il costo si aggira intorno agli 800 euro.
In epoca sovietica, l'Urss esportava sino a 1.500 tonnellate di caviale nero all'anno, soprattutto nei paesi dell'Europa occidentale. Durante il lungo periodo di bando, la Russia consentiva solo la vendita di nove tonnellate all'anno di caviale nero di storione selvaggio nel mercato domestico: quasi tutti i migliori hotel moscoviti ne fanno sfoggio nel menu. La maggiore riserva mondiale di storioni selvaggi è il Caspio, da dove arriva il 90% della produzione mondiale di caviale: solo Russia e Iran avevano regolamentato finora la pesca di questo pesce prezioso, ma recentemente gli stati che si affacciano sul Caspio hanno trovato un accordo per limitare le quote di pesca e vietare comunque l'export del caviale nero.
A minacciare gli storioni, che impiegano da 5 a 7 anni per diventare maturi, sono la pesca incontrollata e l'inquinamento provocato dallo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio. Fondamentalmente sono tre le tipologie di caviale nero più note, da non confondere con quello rosso (uova di salmone), molto più abbordabile (50 euro circa al kg). Il più raro e costoso è il beluga, dal nome dello storione che impiega 20 anni per arrivare a maturità raggiungendo anche i 4 metri: produce un caviale a grana grossa (oltre 3 mm di diametro), con un colore variante dal grigio perla al grigio scuro, ed è venduto in confezioni dall'etichetta blu. L'etichetta rossa è riservata al caviale ossietra, ricavato da storioni di media taglia: granatura media, color marrone scuro o nocciola, gusto morbido, è considerato da molti il più raffinato. Il sevruga, venduto in barattoli dall'etichetta gialla, proviene da storioni piccoli, con uova quindi microscopiche (1 m di diametro): varia dal grigio chiaro al grigio antracite e ha un sapore aromatico. Paradossalmente, il pregio del caviale nero è tanto maggiore quanto più chiaro è il colore delle uova. Fonte: TG1OnLine.
FIN DAL PALEOZOICO L'ESOSCHELETRO DEGLI ARTROPODI
Il complesso chitina-proteina è presente in abbondanza nei fossili di artropodi dell’era Paleozoica: questa la sorprendente conclusione di uno studio della Carnegie Institution coordinato da George Cody, che smentisce l’ipotesi finora accreditata secondo cui esso sarebbe il frutto di una fase successiva dell’evoluzione.
Finora, i più antichi segni del complesso chitina-proteina era stato scoperto nei fossili del Cenozoico risalenti a 25 milioni di anni fa mentre i resti di proteine strutturali sono stati scoperti anche in fossili del Mesozoico di 80 milioni di anni fa. La scoperta della presenza anche in fossili dell’era paleozoica, illustrata sulla rivista Geology potrebbe avere profonde implicazioni per la comprensione di tutte le registrazioni fossili organiche. Testo integrale su LeScienze.
08 FEBBRAIO 2011
A RISCHIO LA FOCA MONACA IN MAURITANIA
Ricercatori catalani hanno studiato l'impatto della pesca lungo le coste della Mauritania. La foca monaca (Monachus monachus), gia a rischio per l'eseguità della popolazione in Mediterraneo, insieme ad altri mammiferi marini come la susa (Sousa teuszii), subiscono l'impatto della pesca industriale che negli ultimi anni ha visto una crescita notevolissima e senza precedenti,che si affianca a quella tradizionale. "La biodiversità delle coste della Mauritania si sta riducendo", afferma Ana M. Pinela della University of Barcelona (UB), "occorre con assoluta priorità, monitorare e proteggere le aree costiere e quelle delle acque profonde antistante il paese, prima che sia troppo tardi". Fonte: Monachus Guardian.
Ricordiamo che la foca monaca è a rischio estinzione, a causa delle attività antropiche che nel Mediterraneo hanno determinato la scomparsa degli ambienti naturali costieri, esattamente come è avvenuto per la foca caraibica, ormai estinta.
Articolo: Pinela, A.M., A. Borrell, L. Cardona and A. Aguilar. 2010. Stable isotope analysis reveals habitat partitioning among marine mammals off the NW African coast and unique trophic niches for two globally threatened species. Marine Ecology-Progress Series 416: 295-306. [Abstract].
RASFF. ALLERTA PRODOTTI ITTICI CONTAMINATI
I prodotti ittici sono ancora al centro delle segnalazioni del Sistema di Allerta Rapido dell’Unione Europea (RASFF). Lunedì 31 gennaio l’allerta è scattata per la presenza di mercurio in filetti di squalo mako scongelati (Isurus oxyrhincus), provenienti dalla Spagna, e per l’importazione dal Vietnam di tranci si pescespada sottovuoto sottoposti ad un trattamento al monossido di carbonio.
Questo tipo di trattamento, vietato nell’Unione Europea, ha sollevato un vero e proprio polverone allarmando i consumatori, dopo che la trasmissione (...) ha segnalato, intorno alla metà di gennaio, l’importazione in Italia di grossi quantitativi di tonno trattati al monossido di carbonio (circa 150.000 kg al mese), che sarebbero poi stati messi in commercio presso la Grande Distribuzione o nei ristoranti.
Nella giornata di martedì 1 febbraio, le autorità doganali hanno segnalato la presenza di istamina in filetti di tonno fresco dallo Sri Lanka, ancora un trattamento al monossido di carbonio in filetti di tilapia congelati di origine italiana, e la presenza di cadmio in calamari interi congelati (Loligo divaucelli) dall’India. Mercoledì 2 febbraio le autorità hanno bloccato l’importazione di tonno sottovuoto (Thunnus albacares) con istamina dallo Sri Lanka, quella di vongole in guscio precotte congelate (Meretrix lyrata) sottoposte a irradiazioni non autorizzate provenienti dal Vietnam, e ancora quella di filetti di tonno a pinna gialla sottovuoto con istamina provenienti dalle Maldive. Giovedì 3 febbraio il RASFF ha segnalato la presenza di Salmonella in farine di pollo dalla Spagna, mentre nella giornata di venerdì 4 febbraio, le autorità hanno bloccato l’ingresso nel nostro Paese di anatra congelata contaminata da Salmonella proveniente dalla Germania, e quello di tranci di ricciola congelati contaminati da mercurio importati dalla Spagna. Fonte: Zootecnews.
ALLARME PER LE OSTRICHE NATURALI
È allarme sopravvivenza per le ostriche naturali, che negli ultimi anni sono diminuite a livello mondiale di circa l’85-90%. A lanciare l’allarme sono i ricercatori dell’American Institute of Biological Science che, in un articolo pubblicato di recente sulla rivista BioScience, hanno avvertito che questi apprezzati molluschi sono ormai "funzionalmente estinti" anche in quelle zone che un tempo ne erano ricche, come il Wattenmeer (tra Germania e Paesi Bassi), e la Baia di Narragansett (nel Rhode Island). La causa sarebbe ancora una volta il sovrasfruttamento delle risorse che, in combinazione con la degradazione delle coste, avrebbe esaurito i banchi nativi di ostriche.
I ricercatori hanno analizzato le barriere presenti in 144 baie e 44 ecoregioni sparse per il mondo ed hanno riscontrato ovunque la stessa tendenza all’estinzione. "Le ostriche hanno supportato le popolazioni costiere per millenni, dagli antichi romani ai lavoratori delle ferrovie californiane -hanno spiegato gli studiosi- ma negli ultimi tempi abbiamo perso più dell’85% delle barriere naturali, e in alcune regioni dell’Europa, del Nord America e dell’Australia la perdita arriva al 99%".
Allarmi simili erano già stati lanciati negli anni scorsi, ma mai a questi livelli. Negli anni Venti e Settanta, ad esempio, le coltivazioni francesi furono spazzate via da un virus e rimpiazzate con ostriche provenienti dall’Oceano Pacifico. Oggi, però, l’introduzione di specie non native è considerata una delle cause principali della perdita della biodiversità, insieme al riscaldamento delle acque, alle monocolture intensive, all’inquinamento e all’uso eccessivo di fertilizzanti. Secondo Federpesca, anzi, il pericolo di estinzione sarebbe determinato non solo da una raccolta sregolata, ma anche da patologie causate principalmente dall’introduzione di specie di ostriche non autoctone. Nell’articolo di BioScience, gli studiosi hanno raccomandato di prendere misure adeguate nel più breve tempo possibile, se non si vuol dire definitivamente addio alle ostriche naturali, di cui, tra l’altro, l’Italia è il maggior importatore a livello mondiale. Per arginare i danni è necessario un approccio globale con interventi complementari che vanno dalla protezione delle barriere naturali al recupero degli ecosistemi, passando per la promozione di tecniche di pesca e raccolta più sostenibili. Tra le proposte più curiose c’è anche quella della ricercatrice Selina Stead, della Newcastle University, che ha ipotizzato di sostituire le ostriche con i cetrioli di mare (allevarli è piuttosto semplice in quanto necessita soltanto di acqua pulita e di molto materiale organico di scarto, solitamente prodotto in abbondanza negli impianti di acquacoltura in mare aperto), animali che agiscono come vermi di terra, strisciano sui fondali, puliscono le acque e forse un giorno potrebbero conquistare anche i palati dei consumatori. Fonte: Zootecnews.
07 FEBBRAIO 2011
SCOPERTE SETTE NUOVE SPECIE DI PESCI
Gli scienziati dello Smithsonian Institution e dell'Ocean Science Foundation, hanno scoperto, attraverso studi genetici e morfologici, sette nuove specie di pesci. La notizia sarà inserita nel numero di Febbraio della rivista ZooKeys.
Le specie descritte riguardano i Blennidi del genere Starksia, che vivono a profondità modeste tra i reef corallini dell'Atlantico occidentale, in particolare nel mar dei Caraibi.
Carole Baldwin, zoologo allo Smithsonian's National Museum of Natural History, afferma che le tecniche utilizzate (DNA barcoding) permettono di ottenere dati tali da risolvere il problema delle specie criptiche, come quelle appunto appartenenti al genere Starksia. Tuttavia, i dati ottenuti dalle analisi genetiche necessitano ancora dell' integrazione di dati di tipo morfologico, come la pigmentazione, il numero e la disposizione dei raggi delle pinne ecc.
Una delle specie studiate, è stata suddivisa su base geografica, in tre specie a est (Bahamas/Turks e Caicos), una a sud (Curacao, Antille olandesi), e infine in un'altra a ovest (Belize e America centrale). Fonte: Smithsonian Institution.
Foto: Smithsonian Institution.
SEQUENZIATO IL GENOMA DELLA PULCE D'ACQUA
Arruolata da decenni come sentinella nel monitoraggio degli ecostistemi acquatici, la minuscola pulce d’acqua promette ora di essere di aiuto anche alla ricerca biomedica. Il sequenziamento del genoma della Daphnia pulex, annunciato su Science da un team internazionale di ricerca, mette infatti a disposizione dei biologi un nuovo organismo modello per una gran varietà di studi. Trasparente, facilmente clonabile, con un ciclo di vita breve e molti geni in comune con la specie umana, il minuscolo crostaceo permetterà di integrare la ricerca ambientale con quella biomedica, per una sempre maggiore comprensione dei complessi rapporti tra ambiente e salute.
Secondo la ricerca, coordinata dall'Università di Basilea, il genoma di questo animale è il più ricco di geni conosciuto a oggi e ha relativamente poco Dna non codificante. Molti geni sono duplicati e più di un terzo sembra essere specie-specifico: molte di queste sequenze non sono mai state incontrate prima dagli scienziati e potrebbero essere la chiave per comprendere la capacità di adattamento all'ambiente della pulce d'acqua. Fonte: GalileoNet.
IL FUTURO DEL MAR ROSSO
Il Marine Science Group (MSG) del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Bolognaa ha ancora bisogno dell’aiuto di tutti i cittadini per il monitoraggio del Mar Rosso nell’ambito del progetto: STE,Scuba Tourism for the Environment, il più grande "controllo" delle barriere coralline mai realizzato nella zona.
È appena partita la seconda fase del progetto STE. Dopo l’enorme successo ottenuto nei primi 4 anni (oltre 17.500 schede registrate, e oltre 80 milioni di contatti mediatici prodotti), il progetto andrà avanti, con l'obiettivo di monitorare l'intero Mar Rosso. Testo integrale su Aqva.
04 FEBBRAIO 2011
MILLENIUM ECOSYSTEM ASSESSMENT
Due giorni fa (40esimo anniversario della Convenzione Internazionale sulle Zone Umide, siglata il 2 febbraio del 1971 a Ramsar, Iran), si è celebrata la Giornata Mondiale delle Zone Umide, ma gli eventi dedicati si svolgeranno in Italia da oggi sino a domenica 6 febbraio.
"Le zone umide sono tra gli ecosistemi più a rischio del Pianeta – ha dichiarato Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente – e per questo è necessario un maggiore sforzo da parte di tutti gli Stati per preservare lo straordinario patrimonio di biodiversità che in queste è racchiuso. Le oasi, gli stagni e le torbiere sono infatti eccellenti depositi di stoccaggio per l’anidride carbonica (ogni volta che si bonifica vengono rilasciati enormi quantità di gas serra), dove vivono esemplari unici e preziosi per l’intero ecosistema. Senza considerare che sono anche territori dal consistente valore economico che, se valorizzati adeguatamente, sono in grado di riattivare o sostenere anche le economie locali"
Nonostante l’Italia ospiti 52 siti, la Commissione Europea ha segnalato che in Europa tra il 1950 e il 1985 si sono registrate le perdite maggiori con particolare danno in Francia, dove è andato perduto il 67% del patrimonio, a seguire l'Italia (66%), la Grecia (63%), la Germania (57%) e l'Olanda (55%) con danni che hanno portato all’estinzione di numerose specie animali e vegetali.
In un rapporto del WWF Internazionale, The Economic Value of the World’s Wetlands, sono stati analizzati 89 casi studio, ed elaborati dati per una superficie ad area umida di circa 630.000 kmq: si è calcolato che il valore economico di queste aree sottoposte a tutela, è pari a 3.4 miliardi di dollari l’anno. Se si estende questo valore alla superficie delle zone umide d’importanza internazionale, le cosiddette aree Ramsar, stimato allora intorno ai 134 milioni di kmq, l’annuale valore globale è di 70 miliardi di dollari.
Ma le zone umide sono anche siti sui quali incombono numerose minacce: la cementificazione dei fiumi e il prelievo d'acqua, le attività agricole, la caccia, con migliaia di tonnellate di pallini di piombo lasciati sul terreno o negli stagni, che finiscono nella catena alimentare tramite uccelli e pesci; l'immissione di specie esotiche e l'inquinamento da attività industriali. Tutti fattori che hanno contribuito negli ultimi 50 anni al dimezzamento delle zone umide nel mondo. In Italia due su tre sono andate perse lo scorso secolo, infatti in 2000 anni, dei circa 3 milioni di ettari originari, all’inizio del XX secolo ne restavano 1.300.000 ettari, fino a precipitare ai 300.000 ettari nel 1991. Oggi ne sopravvivono appena lo 0.2%, tra aree interne e marittime. Fonte: Web e Unimondo.
L'ITALIA CHIEDE (ANCORA) DEROGHE SULLA PESCA
"Grazie a un'azione congiunta, quella che sembrava una partita persa potrebbe risolversi per il meglio". Lo afferma Massimo Coccia, presidente della Federcoopesca-Confcooperative, in merito all’attesa deroga per le pesche speciali, in particolare quella del bianchetto e quella del rossetto. "Non possiamo ancora abbassare la guardia, ma qualcosa inizia a muoversi verso una risoluzione del problema", continua Coccia.
In sintesi, è stato chiesto di separare i destini del rossetto e del bianchetto, in modo da poter riprendere la pesca di queste due specie, grazie ad una doppia deroga avallata da Bruxelles. La delegazione italiana bipartisan, composta dagli eurodeputati Guido Milana, Paolo de Castro, Barbara Matera, Antonello Antinoro, Mario Pirillo e Rosario Crocetta, hanno incontrato il 2 febbraio il commissario Damanaki, e sembra che si otterrà, per il rossetto, una autorizzazione di pesca, che dovrebbe arrivare a breve. Più complicata la questione del bianchetto, poiché si tratta di novellame.
Ricordiamo che è in vigore dal 1 Giugno 2010 il Regolamento 1967/2006, che impone il divieto della pesca del rossetto (Aphya minut, famiglia Gobiidae, pesce marino che anche da adulto rimane molto piccolo, e quindi non assimilabile al novellame), e del bianchetto (novellame di alici e sarde). In entrambi i casi si tratta di pesca tradizionale che si svolge da sempre in molte regioni del sud Italia (in Puglia sono circa un centinaio le imbarcazioni attrezzate per la pesca del bianchetto, importante anche in Sicilia e in Calabria; il rossetto è economicamente rilevante in Liguria), e proprio dal compartimento di Manfredonia sono arrivate le proteste più vigorose.
Ricordiamo, che sia Aphya minut che le alici (Engraulis encrasicolus), sono specie a bassa vulnerabilità, mentre Sardina pilchardus (è di oggi la notizia di un sequestro da parte del personale appartenente all’Ufficio Locale Marittimo di Terrasini), è classificata come moderatamente vulnerabile.
03 FEBBRAIO 2011
DISASTRO DELLA E.ON IN SARDEGNA - 6
Il disastro ambientale verificatosi in Sardegna qualche settimana fa non è notizia da prima pagina, e neppure da ultima. Per cercare le news, occorre ancora rivolgersi ai giornali sardi, a Facebook, ai blogs.
Questi gli ultimi avvenimenti:
- Come nel Golfo del Messico, si scopre ora che l'allarme è stato dato in ritardo. Dalle immagini satellitari, infatti, si evince che già alle 10 dell'11 Gennaio era visibile una chiazza scura nel porto di Porto Torres. Se l'allarme fosse partito immediatamente, e subito fosse scattato l'intervento, forse si sarebbe potuto contenere il danno all'interno del porto.
- L'oleodotto è ora stato posto sotto sequestro dalla magistratura, ed un dipendente è sotto inchiesta.
- I volontari vengono scoraggiati in ogni modo, mentre gli "addetti" ufficiali alla pulizia non sembrano manifestare molto zelo nei loro interventi. Qui un bel resoconto.
- Tanto per non farsi mancare niente, tre container radioattivi sono stati sequestrati a Portovesme. In fin dei conti, la Sardegna è un postaccio orrendo e possiamo anche usarla come discarica, nevvero?
Invece di preoccuparsi della sostanza, ci si preoccupa dell'apparenza.
Così, ecco affrettarsi la Regione a lanciare una bella campagna pubblicitaria per tranquillizzare i turisti per la prossima stagione balneare. Chi finanzia? Che domande: la E.On. Tanta generosità, però, non è gratuita: in cambio, a Fiume Santo si chiuderanno le inquinanti centrali a olio combustibile e si realizzeranno finalmente quelle... a carbone "pulito". Evviva! Fonte: Blogosfere.
STOP ALLE TRIVELLAZIONI NEI FONDALI SICILIANI
Biodiversità Canale di Sicilia, il progetto finanziato dal ministero dell'Ambiente e partito nel 2009 sotto la supervisione dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), sta portando alla luce un patrimonio naturale unico nascosto nei fondali siciliani. Nel Canale di Sicilia, a circa 350 metri di profondità, infatti, sono stati scoperti reef di corallo fossile appartenenti alle specie Lophelia pertusa e Madrepora oculata. Inoltre, le acque intorno a Pantelleria, Lampedusa e Linosa sono paradisi di biodiversità che custodiscono importanti siti di riproduzione per tartarughe marine e squali bianchi. La particolare posizione geografica delle isole, infine, rende i fondali di questa zona unici, ricchi di specie sia di origine antlantica, sia provenienti dal canale di Suez. Questa oasi di biodiversità è però minacciata dalle trivellazioni petrolifere da quando sono stati individuati ricchi giacimenti intorno a Pantelleria e in altre zone del Canale. Il Ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo afferma che il Ministero si sta muovendo per delimitare un'area protetta a Pantelleria. Le trivellazioni sarebbero già proibite nel raggio di 12 miglia dalle Aree Marine Protette (AMP) e l’istituzione di un AMP a Pantelleria, affiancata da una zona di tutela in alto mare, fermerebbe la “caccia” agli idrocarburi che sta causando la distruzione dei meravigliosi fondali siciliani. Fonte: Natura.
A PESCA DI RICCI E BIANCHETTO
Nuovi interventi della Guardia Costiera di Taranto in difesa del mare. In tre distinte operazioni svolte dai militari in questi giorni in località Saturo, nel Comune di Leporano (TA), sono stati fermati due subacquei originari della provincia di Bari. I due, muniti di attrezzatura per la pesca subacquea avevano raccolto ben 1200 ricci di mare. Il pescato, ancora vivo, è stato reimmesso in mare mentre ai due è stata sequestrata l’attrezzatura ed elevata una sanzione amministrativa di 2000 euro.
Il primo di gennaio, invece, nel mar grande di Taranto, venivano sequestrati a dei pescatori di frodo ben otto chili di novellame di sarda (bianchetto) protetto dalle direttive comunitarie. In una successiva operazione si provvedeva a sequestrare anche sette chilogrammi di palamita. Il pesce era stato catturato mediante l’illecito utilizzo di una rete di fondo. Al trasgressore veniva elevata una sanzione di mille euro.
La pesca del cosiddetto bianchetto è da tempo vietata dall’Unione Europea a causa dell’eccessivo sfruttamento e del pesante impatto sulla ricostituzione della fauna ittica. Ad essere vietata è anche la sola detenzione.
Già nello scorso anno, tra le numerose operazioni portate a termine dalla Guardia Costiera della Capitaneria di Porto di Taranto, erano stati operati sequestri di cosiddetti “frutti di mare” e novellame. Tra i primi si ricordano le due notizie di reato relative a due sequestri di datteri di mare e a ben cinque tonnellate di cozze nere. Singolare, poi, il ritrovamento di uno squalo smeriglio, venduto come pesce spada. Fonte: GeaPress a cura di di Leda Giordano.
02 FEBBRAIO 2011
RANE RE-VOLUTION
I biologi evoluzionisti conoscono bene la legge di Dollo, secondo la quale una struttura o un organo scomparso durante il processo evolutivo di una specie, non riapparirà mai più (almeno non tale e quale). Si dice infatti, che l’evoluzione procede in un senso solo, e non può tornare indietro. Le rane dell’Ecuador e della Columbia della specie Gastrotheca guentheri, però, sembrano ignorare questa legge.
La presenza in questa rana di denti non solo superiori, ma anche sulla mandibola inferiore, assenti in tutte le altre specie, ha infatti destato la curiosità di diversi studiosi. I ricercatori della Stony Brook University di New York, guidati da John Wiens, hanno quindi deciso di indagare su questa eccezionale caratteristica, riportando le loro osservazioni su Evolution.
Combinando i dati rinvenuti dai fossili e le sequenze di DNA attraverso nuovi metodi statistici, Wiens ha scoperto che le rane hanno perso i denti inferiori più di 230 milioni di anni fa, e che G. guentheri li ha "ri-evoluti" solo negli ultimi 20 milioni di anni.
Questi dati hanno innescato un antico dibattito sulla possibilità di perdere e riacquistare tratti anatomici così complessi come i denti. La perdita dei denti inferiori negli antenati delle moderne rane e la loro ricomparsa in G. Guentheri fornisce infatti una prova evidente alla controversa idea secondo la quale tratti anatomici completamente persi possano ri-evolvere, anche se assenti per centinaia di milioni di anni.
Wiens, però, suggerisce un compromesso: secondo il ricercatori, quanto scoperto proverebbe l’esistenza di una sorta di scorciatoia nella legge di Dollo: poiché le rane hanno sempre mantenuto la dentatura superiore, il meccanismo per lo sviluppo di nuovi denti sarebbe stato conservato in questi animali. Le rane G. guentheri si sarebbero quindi semplicemente limitate ad aggiungere di nuovo altri i denti nella parte inferiore. Il processo è infatti più "economico" che non sviluppare da zero un meccanismo per la crescita di nuove strutture con la stessa finzione. Questa teoria può essere applicata in altri casi in cui un tratto anatomico sembra essersi ri-evoluto: basti pensare alle dita delle lucertole, alla conchiglia a spirale delle patelle e agli stadi larvali delle salamandre. Fonte: GalileoNet.
BALENOTTERA DI SAN ROSSORE 2
I risultati preliminari dell’autopsia sulla balenottera comune spiaggiata a San Rossore, in provincia di Pisa, sono noti. A coordinare le operazioni, Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, già presente in Puglia per lo spiaggiamento di 7 capodogli nel dicembre 2009. La lunghezza esatta dell’animale sarebbe di 16.80 metri, è un maschio denutrito, con un peso di 16 tonnellate. Da quanto emerso è possibile stabilire che l’animale non era in buone condizioni. Nell’apparato digerente non sono state trovate tracce di cibo ed è stata rilevata un’esigua quantità di feci. L’animale presentava una scarsa quantità di grasso sottocutaneo. Un animale di queste dimensioni dovrebbe avere uno strato di grasso di almeno 10 cm, mentre in questo caso il grasso aveva uno spessore di 6 cm. La fame però non è la causa diretta della morte dell’animale. "Al momento – afferma Mazzariol – possiamo dire che non sono evidenti cause legate ad attività umane". Nessuna frattura ne emorragia interna, è quindi possibile escludere una collisione con un’imbarcazione, che per questa specie rappresenta la prima causa di morte in mar Mediterraneo.
Occorrerà attendere i risultati degli esami biologici e tossicologici effettuati sui tessuti per fare ulteriori ipotesi. È escluso un collegamento tra ciò che è accaduto le scorse settimane in Sardegna (lo sversamento in mare di petrolio nella zona di Porto Torres) e la morte della balenottera. Da alcune foto di avvistamenti in mare, è possibile confermare che la balenottera era la stessa fotografata il 16 gennaio al largo di Follonica, ed è la stessa ripresa davanti al porto di Viareggio il 23 gennaio dall’Associazione Cetus.
Proseguono nel frattempo le operazioni per decidere il destino della carcassa della balenottera. Le proposte di Stefano Dominici del Museo di Storia Naturale di Firenze, essendo questo il primo tentativo in Italia, sono tutte da verificare. Nel caso di animali di queste dimensioni (tra i 15-20 metri), il peso da applicare per far affondare la carcassa (che in acqua tende a galleggiare) può arrivare fino a 2000 kg. Le zavorre (acciaio di recupero come vecchi binari) dovranno essere attaccate al corpo con funi o cavi d’acciaio; i punti migliori sono la coda e gli arti. Si deve escludere la testa che in caso di carcasse si potrebbe staccare. Di sicuro l’affondamento in mare è la soluzione migliore: relativamente economica, sicura e sostenibile da un punto di vista ambientale. Fonte: OggiScienza a cura di Mauro Colla.
MORIA DI PESCI NEL LAGO DI COMO
Per evitare che ne continuino a morire hanno fatto arrivare, solo ora, delle pompe. Getteranno l’acqua nella paludina del lago di Como che si è formata dopo la sistemazione delle parancole. Questo per evitare che continuino a morire i pesci del lago rimasti imprigionati dopo la posa delle palancole, ovvero le strutture piatte di contenimento che sono state disposte innanzi (l’ex) lungolago, ora ridotto ad un muro di cemento oggetto di infuocate polemiche.
A protestare ora, non sono più i commercianti arrabbiati ed i cittadini privati della vista del loro lago. Di quest’ultimo le palancole ne hanno isolato un tratto ove è precipitato il contenuto di ossigeno. Migliaia di pesci sono morti. Cavedani e di altre specie. Se non immediatamente recuperati e rigettati nel lago, almeno fino all’arrivo delle pompe, muoiono per mancanza di ossigeno.
Asl, comune, guardie volontarie, tutti al capezzale di uno degli interventi (ovvero quello antiesondazione), tanto discussi per le sue modalità di esecuzione. Un muro di cemento che ha privato della vista del lago, ed ora anche dei suoi pesci. A maggior motivo viene da chiedersi chi, potendolo fare, non ha pensato alla fauna ittica del lago. Possibile che occorre tanto a capire che i pesci nell’acqua stagnante senza più ossigeno, muoiono? Fonte: GeaPress.
01 FEBBRAIO 2011
BALENOTTERA DI SAN ROSSORE 1
La balenottera comune che si è spiaggiata a San Rossore lo scorso 26 gennaio, forse verrà portata in mare, così come accade negli Stati Uniti. In Italia una soluzione del genere non è stata mai attuata e sarebbe, quindi, un utilissimo case study per scoprire come funzionano esattamente in Mediterraneo i processi di decomposizione e soprattutto, studiare la fauna delle comunità di decompositori che si formeranno attorno alla carcassa.
Dottor Ferruccio Maltagliati, cosa può essere successo? "È ancora troppo presto per dirlo. Quello che sappiamo è che si tratta di un esemplare di maschio adulto di balenottera comune, della lunghezza di 17-18 metri, presente in tutti i mari del mondo ma con una popolazione di pochissimi individui. È per questo che si tratta di un caso raro. Che io ricordi, negli ultimi 30 anni, sulle nostre coste non si è mai arenato nessun esemplare di questo tipo. Generalmente, infatti, le balenottere comuni nuotano in mare aperto. Soltanto a Livorno qualche tempo fa ci fu un episodio simile, ma in quell’occasione la balena che perse la vita e si arenò sulla battigia aveva urtato una nave. Fu, come si dice, un incidente".
E allora? Potrebbe aver ingerito plastica o qualche altra sostanza inquinante? "Dobbiamo aspettare tutti gli esami per capire, ma non credo che la plastica possa essere responsabile. Di solito questo tipo di animali si avvicina alla costa in cerca di cibo, in questo caso, però, la balena potrebbe essersi diretta a riva proprio per un problema, una malattia, che l’ha condotta poi alla morte. Di ferite evidenti e significative non ne abbiamo infatti viste, anche se — va detto — la balena era sdraiata sul dorso e non possiamo quindi avere la certezza al 100%".
Quali analisi sono state fatte per ora? "Prelievi e campionamenti. Noi del dipartimento di biologia marina dell’Ateneo ci siamo, per esempio, occupati di prelevare alcuni brandelli di tessuto per condurre studi genetici. Faremo, cioè, sequenze del dna".
Che fine farà Regina? "L’ipotesi più probabile è che venga trascinata a largo, in mare aperta, e lasciata affondare. L’idea potrebbe essere quella di ‘sfruttare’ la balenottera per studiare i processi di decomposizione in mare". Da: La Nazione.
ALLARME DELLA FAO: RISORSE ITTICHE A RISCHIO
Il 31 gennaio la FAO ha presentato a Roma l’ultimo rapporto del suo Department on Fisheries and Aquaculture sulla situazione globale di pesce e acquacoltura nel 2010. I consumi hanno superato ogni record, al punto da creare allarme sulla disponibilità e la preservazione delle risorse ittiche planetarie.
Il rapporto, The State of World Fisheries and Aquaculture, 2010, inaugura la 29esima sessione dei lavori del Committee on Fisheries(COFI), un organismo a latere del Consiglio FAO che oggi costituisce l’unico Forum inter-governativo ove sono periodicamente esaminate e discusse le questioni internazionali relative alla pesca e all’acquacoltura; sono condivise raccomandazioni da trasmettere ai governi, agli organismi regionali per la pesca, alle ONG, ai lavoratori del settore, alla FAO e alla comunità internazionale; sono negoziati accordi globali e strumenti non vincolanti.
Secondo il nuovo rapporto, il contributo dei prodotti ittici alle diete delle popolazioni ha raggiunto nel 2010 un livello senza precedenti, circa 17 chili per abitante nel 2010. In pratica, 3 miliardi di persone hanno soddisfatto con il pesce almeno il 15% del loro fabbisogno medio di proteine animali. "Questa crescita si spiega principalmente con lo sviluppo dell’acquacoltura, che si prevede supererà la pesca" in quanto fonte primaria di approvvigionamento dei prodotti ittici. Tuttavia, la FAO rileva che "nessun miglioramento è stato osservato sulla situazione delle riserve ittiche". In poche parole il consumo di pesce è aumentato a dismisura ma l’offerta degli allevamenti ittici, se pure incrementata, non è comunque sufficiente a impedire una situazione di iper-sfruttamento dei giacimenti naturali. Le riserve naturali sono in fase di lenta ricostituzione - hanno infatti di poco superato i livelli minimi raggiunti nel 2006 - ma questo recupero viene eroso da un più rapido tasso di crescita dei consumi.
La situazione è insostenibile, e c’è bisogno di un intervento urgente per ristabilire al più presto le riserve marine, sottolinea il rapporto. "Il fatto che la situazione delle riserve non è migliorata in misura apprezzabile desta una grave preoccupazione", ha dichiarato Richard Grainger, uno dei responsabili editoriali del rapporto FAO. "L’iper sfruttamento deve diminuire, a prescindere dai livelli che abbiamo sinora stabilito".
Gli autori del rapporto suggeriscono perciò di aumentare gli sforzi per il rafforzamento dei controlli. Sottolineano l’esigenza di affrontare con apposite misure, anche di tipo commerciale, i problemi legati alla pesca illegale, alla pesca non dichiarata e a quella non regolamentata (IUUF, Illegal, Unreported and Unregulated Fishing). Misure quali l’interdizione dei mercati internazionali ai prodotti che derivano da queste pratiche, nell’ottica di migliorare la gestione del settore e ridurre i livelli di iper-sfruttamento.
Uno studio pubblicato il 22 novembre scorso dal Comitato Tecnico FAO che si occupa di IUUF, già citato anche dal Fatto Alimentare, stima il valore annuale delle attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata tra i 10 e i 23.5 miliardi di dollari US. Il nuovo rapporto FAO ribadisce quindi la necessità di dar vita al Global Record, un registro mondiale delle imbarcazioni impiegate nella pesca. L’idea è quella di attribuire un "numero unico d’identificazione" a ciascuna imbarcazione, un codice unitario che prescinde da passaggi di proprietà e da cambi di bandiera. Il Global Record sarà accessibile a tutte le autorità nazionali e internazionali deputate ai controlli, grazie a un portale web, nell’auspicio di favorire il contrasto alle attività criminose che minacciano la sopravvivenza dei nostri mari e dei loro eco-sistemi.
Al di là e al di fuori dell’emergenza, il rapporto incoraggia l’adozione di un approccio alla pesca "per ecosistemi": dato atto della rapida crescita della domanda di prodotti ittici, bisogna definire su scala locale appositi modelli di gestione sostenibile delle risorse acquatiche. Contemperando le esigenze sociali, di consumo, con i contesti ambientali e lavorativi ove la pesca si svolge. Nel complesso, le attività di pesca e acquacoltura danno da vivere a 540 milioni di persone, l’8 % della popolazione mondiale. I cittadini del pianeta non hanno mai consumato tanto pesce, e l’occupazione nella filiera produttiva è aumentata considerevolmente.
"Il pesce è un alimento di buona qualità e ricco in proteine, e il settore contribuisce in misura rilevante alla sicurezza degli approvvigionamenti mondiali di cibo", ricorda Grainger. Ma tutto ciò potrebbe finire presto, in assenza di regole condivise e di controlli. Fonte: IlFattoAlimentare a cura di Dario Dongo.
OSTRICHE TOSSICHE
Nei giorni scorsi l’Agenzia britannica per la Sicurezza Alimentare (FSA) ha ricordato ai consumatori di stare attenti ai possibili rischi legati al consumo di ostriche crude contaminate da norovirus, l’agente responsabile della patologia denominata anche del “vomito invernale” (dal periodo nel quale si verifica maggiormente).
Mangiare ostriche crude comporta un certo rischio di intossicazione alimentare dal momento che i molluschi possono contenere batteri e virus pericolosi: le ostriche, infatti, filtrano grandi volumi di acqua per prelevare il cibo, permettendo a virus e batteri eventualmente presenti nell’acqua, di accumularsi al loro interno.
I controlli effettuati prima e dopo la raccolta commerciale garantiscono un buon livello di protezione contro questi temibili batteri, ma può essere difficile rimuoverli dai molluschi vivi. La cottura distrugge gran parte dei patogeni, ma molti molluschi vengono consumati crudi o poco cotti, aumentando il rischio di intossicazione nell’uomo. Le infezioni da norovirus tendono ad essere più frequenti in inverno; l’ultimo anno ha fatto registrare, in Gran Bretagna, un aumento nel numero di intossicazioni, connesse proprio al consumo di ostriche crude. Questo ha spinto l’FSA a scrivere alle aziende alimentari che distribuiscono ostriche e alle autorità locali che hanno impianti di lavorazione, invitandole a prendere maggiori misure per ridurre il rischio di norovirus; fino all’appello che nei giorni scorsi l’Agenzia ha rivolto direttamente ai consumatori invitandoli a non abbassare la guardia.
Va detto che, lo scorso novembre, gli esperti dell’EFSA hanno pubblicato un parere nel quale raccomandavano di adottare misure urgenti per migliorare il livello di biosicurezza negli allevamenti di acquacoltura in Europa: per evitare la contaminazione, per esempio, gli esperti hanno raccomandato di rilevare lo stato sanitario delle ostriche alla fonte, attraverso regolari analisi di laboratorio e una valutazione epidemiologica. Hanno raccomandato inoltre di implementare i metodi diagnostici per rilevare la presenza di OsHV 1 µvar e altri ceppi, che sono tra i principali agenti responsabili della contaminazione, ed hanno invitato a irrobustire il sistema di monitoraggio per individuare problemi sanitari esistenti o emergenti. Fonte: Zootecnews.
FORSE 500.000 I CUCCIOLI DI FOCA ANNEGATI
Sono 500 mila i cuccioli annegati a causa dello scioglimento dei ghiacci provocato dal riscaldamento del Pianeta: la foca della Groenlandia è diventata la prima specie di mammiferi vittima in massa dell’effetto serra.
Il Sunday Times lancia l’allarme: i cuccioli di foca hanno bisogno di restare sul ghiaccio almeno quattro settimane prima di avere le risorse sufficienti per sopravvivere a lungo in acqua. Ma il riscaldamento dei mari nelle zone del Nord Atlantico dove le foche si riproducono hanno impedito la formazione del pack che contiene le onde e offre riparo dal vento, col risultato che in condizioni di mare in tempesta i cuccioli sono stati sbattuti in acqua o travolti da grandi onde. "L’impatto sulla foca della Groenlandia è stato impressionante", ha detto al giornale Garry Stenson, capo della sezione Mammiferi Marini del Ministero della Pesca e delle Risorse Oceaniche del Canada: "Quest’anno le temperature dell’ acqua sono salite di 2-4 °C sopra la media, mentre la temperatura dell’aria è stata più alta di 10 °Ci: per il 45% dei cuccioli è stato letale".
La cifra di mezzo milione di cuccioli di foca annegati è il risultato di un rilevamento condotto da Stenson e dai suoi colleghi al largo di Terranova e nel Golfo di San Lorenzo. Il numero di piccoli di foca morti a causa indiretta dell’effetto serra è superiore di centomila a quello delle foche vittima ogni anno della caccia in Canada e Groenlandia. Fonte: Ansa.
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