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31 AGOSTO

IL CANALE DI SICILIA E LA CORSA ALL'ORO NERO

Formazioni vulcaniche, canyon sottomarini e bassifondi rocciosi unici, ricchi di pesci, ricoperti di praterie di posidonia e coralli. Sono i tesori del Canale di Sicilia oggi minacciati da nuove richieste per esplorazioni petrolifere offshore. Nel nuovo rapporto Le mani sul tesorodocumentiamo il valore biologico dell’area, chiedendo la sua tutela con la creazione di una riserva marina

Il nemico numero uno del Canale di Sicilia è la compagnia petrolifera Audax Energy Ltd (ADX) che sta provando a ottenere permessi di esplorazione i queste acque attraverso una piccola compagnia, l’Audax Energy Srl, di cui è totalmente proprietaria ma con sede legale in Italia e con un capitale sociale assolutamente irrisorio di 120.000 euro. Un modo per evitare ogni tipo di responsabilità in caso di disastro ambientale.
Abbiamo riscontrato, inoltre, chiare violazioni procedurali nelle richieste dei permessi: documentazione incompleta e studio ambientale totalmente insufficiente e inesatto.
Non si tiene minimamente in considerazione l’incredibile biodiversità dell’area né la sua importanza per le risorse ittiche, mentre è chiaro che le attività proposte causeranno seri impatti sulla vita marina.
A bordo della nostra Rainbow Warrior abbiamo effettuato una ricognizione preliminare sui banchi Skerki, Talbot, Avventura e Pantelleria. La notevole documentazione fotografica raccolta conferma come i banchi siano aree spettacolari. Particolarmente ricche di pesci, dalla murena al torpedo comune e di habitat chiave, come le praterie di Posidonia, ospitano anche importanti aree di riproduzione di specie commerciali come il nasello e la triglia. Bellissime le grotte e le pareti rocciose ricoperte da organismi filtratori come il corallo arancione Astroides calycularis.
Al piano delle compagnie petrolifere che vogliono trasformare il Canale di Sicilia in un nuovo Golfo del Messico, noi contrapponiamo la proposta di una riserva marina, che vieti nelle aree più sensibili ogni attività estrattiva, compresa la pesca.
Purtroppo, a causa dell’eccessivo e distruttivo saccheggio da parte dell’uomo, le risorse sono in crisi e solo con la tutela di aree chiave si potranno ripopolare i nostri mari. I banchi per la loro ricchezza in biodiversità sono l’ultima speranza per ridare una chance al settore. È fondamentale che in questo momento comunità locali e pescatori facciano sentire le loro ragioni non solo per lottare contro l'imminente minaccia delle perforazioni ma per tutelarli in maniera duratura. Chiediamo con urgenza al Ministro dell’Ambiente, l’On. Prestigiacomo, di bloccare ogni folle progetto di esplorazione petrolifera nel Canale di Sicilia e di attivarsi immediatamente per garantire la dovuta tutela per le aree più vulnerabili. Proprio oggi i comitati locali, di cui Greenpeace fa parte, presentano al Ministero dell’Ambiente la propria opposizione al progetto di esplorazioni petrolifere nel Canale. Fonte: GreenPeace - Rapporto Le Mani sul tesoro.

30 AGOSTO

ACQUE POTABILI ALL'ARSENICO: ARRIVANO LE ENNESIME DEROGHE. INTERESSATE LAZIO, TOSCANA, CAMPANIA, LOMBARDIA E TRENTINO ALTRO ADIGE
Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le ennesime nuove deroghe sulle caratteristiche di qualità dell'acqua potabile. Riguardano soprattutto la presenza di arsenico e interessano numerosi comuni del Lazio (nelle province di Latina, Roma e Viterbo), la Toscana, alcune zone della Lombardia e di Trento e la provincia di Napoli. Il decreto, pubblicato nella GU del 1° luglio, è dell'11 maggio 2011. Il ministero della Salute autorizza a deroghe in merito al contenuto di arsenico nell'acqua: livello massimo 20 microgrammi per litro contro i 10 previsti.
L’acqua "in deroga", però, non deve essere utilizzata per il consumo potabile dei neonati e dei bambini fino a 3 anni e non può essere usata dalle imprese alimentari che devono attenersi al limite della concentrazione di arsenico non superiore a 10 mcg per litro. Lo ha stabilito la Commissione europea, lo ha ribadito il ministero della Salute e confermato la Regione Lazio.
Secondo il documento, "l'acqua contenente concentrazioni di arsenico superiori a quelle stabilite dalla legge non deve essere utilizzata per il consumo potabile dei neonati e dei bambini fino all'età di 3 anni . È rimessa all'Autorità Regionale la verifica che le industrie alimentari, nel territorio interessato dal provvedimento di deroga, attuino i necessari provvedimenti, anche nell'ambito del piano di autocontrollo affinché l'acqua introdotta come componente nei prodotti finali non presenti concentrazioni dei parametri in deroga superiori ai limiti stabiliti dal decreto legislativo 31 del 2 febbraio 2001".
Ma c'è di più: "Le Regioni devono provvedere a informare la popolazione interessata relativamente alle elevate concentrazioni dei predetti valori nell'acqua erogata quale che ne sia l'utilizzo, compreso quello per la produzione, preparazione o trattamento degli alimenti". News integrale su Il Fatto Alimentare.

29 AGOSTO

CONTRO IL PETROLIO 'ETICO'

Da sabato scorso al 3 settembre, manifestanti si fanno arrestare davanti alla Casa Bianca per chiedere al presidente Obama di non approvare la costruzione del pipeline Keystone XL che dovrebbe portare il greggio – estratto da sabbie bituminose – dal Canada alle raffinerie statunitensi.

Contro il cosiddetto 'petrolio etico' è iniziata la protesta di Bill McKibben, l’autore di Terraa, del movimento 350.org e di Tar Sands Action. Da un lato, escludono che il nuovo pipeline commissionato alla TransCanada si guasti meno di quelli precedenti: è soggetto alle stesse norme di sicurezza di cui nessuno controlla il rispetto, si veda l’incidente alla Deepwater Horizon. Dall’altro, la tecnologia per il 'petrolio etico' richiede enormi quantità di acqua ed energia, e ancora prima della trasformazione del bitume in benzina emette più gas serra di quello che succede con il petrolio normale.
Prima di separare il bitume dal terreno con vapore a temperatura elevata e solventi, bisogna prelevare strisce di suolo spesse fino a sei metri e ripetere l’operazione per decine di chilometri quadrati. Le dimensioni dei macchinari sono impressionanti e quelle dello scempio evidenti nelle immagini satellitari. Nelle distese dell'Alberta "scrostate" dalle loro praterie e foreste boreali , l’acqua delle lagune artificiali – così vaste da essere visibili dallo spazio – è colorata di blu da cadmio, mercurio, arsenico e idrocarburi pesanti. Le agenzie per la protezione dell’ambiente di Canada e Stati Uniti hanno chiesto una moratoria. Il governo canadese ha risposto con nuove concessioni, quello americano preferisce importare greggio da un paese amico. Ma le Prime Nazioni si oppongono e anche gli abitanti degli stati americani lungo il percorso del pipeline.
A Washington, i manifestanti si ritrovano ogni giorno a due passi del Memorial di Martin Luther King in un centinaio e praticano la disubbidienza civile, come ai tempi della lotta contro la segregazione razziale. Giovani e vecchi sono fermati, i primi sono anche stati arrestati e rilasciati dopo un giorno o due contro una cauzione di 100 dollari, rimandati a casa in attesa del processo e sostituiti da un altro gruppo. È l’inizio, ci sono ancora mille volontari in lista di attesa.

Ma le altre Ong ambientaliste cosa fanno?

Tutte si oppongono allo sfruttamento dell’Alberta, dopotutto, e non solo 350.org, che vuole innanzitutto limitare le emissioni di gas serra  a 350 molecole di anidride carbonica su un milione di molecole presenti in un dato volume di atmosfera, ma è già troppo tardi.
I responsabili delle ONG ambientaliste americane rispondono che l’obiettivo della protesta è di coinvolgere anche chi è contrario alla protezione della natura. Non significa che il Sierra Club, Greenpeace o WWF non metterà risorse e l’ufficio legale a disposizione degli arrestati, non appena lo chiederanno. Ma sanno di essere invisi a chi teme il pipeline, ranchers del Texas, agricoltori dell’Illinois e dell’Oklahoma, chi lungo il percorso ha comprato una casa che varrà ancora meno. Gente che li considera dei comunisti, infatti li chiama i “watermelons”: verdi fuori e rossi dentro.
Però McKibben e i suoi compagni di galera potrebbero aver colto il fastidio crescente suscitato dalle misure favorevoli all’inquinamento chieste della destra repubblicana anche fra l’elettorato conservatore, oltre a quello suscitato dai compromessi del presidente Obama fra i giovani democratici. Se è così, l’appoggio della Harry Potter Alliance conta più di quello di Al Gore.

Cosa possiamo fare noi?

Risparmiare. Prendere i mezzi pubblici, invece di comprare benzina dall’ Eni o dalle sue sorelle; mettere il condizionatore su 25 gradi e in notturna anche di giorno; comprare albicocche, fichi e susine invece di ciliege del Canada a 19 euro al chilo. Firmare l’appello al presidente Obama e, cosa che ai manifestanti fa molto piacere, allegare una propria foto e mandarla photos@350.org con in oggetto Tar Sands Action Solidarity from (la città dove abitiamo), Italy. Se avanzano 35 euro (50 dollari), usare la carta di credito perché arrestati e arrestandi hanno bisogno di soldi per la cauzione, il viaggio a Washington, il sostentamento in città finché non sono nutriti dallo Stato federale.

E pure dopo, in carcere si mangia poco e male. Bill McKibben ne è uscito ottimista, ma affamato. Fonte: OggiScienza.

BALENOTTERE PRESSO LE BOCCHE DI BONIFACIO E TURSIOPI A PESARO
Dopo le mante nelle acque della Calabria, lo squalo a Capraia ora è il turno delle balenottere di finire nell’occhio di chi in questa calda estate guarda il mare ed i suoi abitanti. Le balenottere sono state avvistate nello Stretto di Bonifacio, in un’area che si trova all’interno del Santuario Pelagos, tanto protetta quanto ahinoi trafficata tanto che è stata da sempre al centro di polemiche tra gli animalisti e le autorità, in conflitto sul transito continuo di navi, da garantire a tutela del commercio o da privare o comunque arginare a vantaggio dei cetacei.
Il monitoraggio era partito a giugno da parte dell’Accademia del Leviatano e del BDRI (Bottlenose Dolphin Research Institute) ed aveva dato come risultato finora solo l’avvistamento di tursiopi ovvero delfini costieri. L’area è un' Area Marina Particolarmente Sensibile su volere dell’International Maritime Organization e grazie all’impegno dei Ministeri dell’Ambiente di Francia ed Italia.
Come ci spiega il dottor Luca Marini, responsabile scientifico dell’Accademia del Leviatano: "Grazie alla collaborazione al network di diversi enti si può avere una visione simultanea della presenza dei cetacei dal Mar Ligure allo Ionio; l’utilizzo di traghetti di linea, che offrono il passaggio gratuito ai ricercatori, permette poi di avere informazioni a basso costo. Dai risultati ottenuti dagli ultimi anni, ad esempio, è confermata la presenza di aree ad alta frequenza di balenottere al di fuori del Santuario Pelagos. In questo contesto, il monitoraggio sistematico dello Stretto di Bonifacio ci permette di avere informazioni sia sulla migrazione della balenottera nel Mediterraneo sia la relazione con il traffico marittimo. Le informazioni così ottenute sono preziose per mettere in atto misure di conservazione di questo grande cetaceo protetto da leggi nazionali ed internazionali. Speriamo presto, aggiunge il dott. Marini, che qualche compagnia di traghetti o navi sia disposta a collaborare al progetto aiutandoci così a ridurre i costi della ricerca anche nell’area Stretto così come già avviene sulle altre rotte grazie all’accordo con diverse compagnie di traghetti". Fonte: Ecologiae.

Intanto arriva da Pesaro la notizia di un avvistamento di tre esemplari di tursiopi, precisamente nella zona di Gabicce Monte a meno di 400 metri dalla riva.

28 AGOSTO

QUANTE SPECIE SULLA TERRA?
Il 24 agosto scorso il Census of Marine Life ha elaborato, attraverso nuovi sistemi di classificazione e tecniche di analisi, la nuova stima dellle specie che popolano la Terra. Le conclusioni sono state pubblicate su PLoS Biology. Lo studio 'precisa' che l'86% delle specie terrestri e il 91% di quelle dei mari sono gia state scoperte, descritte e catalogate.
Afferma Camilo Mora, della University of Hawaii e della Dalhousie University di Halifax, Canada: "La questione del numero delle specie che popolano il pianeta ha intrigato gli scienziati per secoli. Oggi più che mai è importante sapere quante effettivamente ce ne sono, come sono distribuite e quale è la loro abbondanza, perchè il disturbo da parte della popolazione umana sta amplificando e accellerando il tasso di estinzione. E molte specie rischiano di scomparire prima di essere catalogate".

Quante specie sulla Terra?

Lo studio pubblicato su PLoS Biology riporta che il numero stimato delle specie eucariote che popolano la terra ammonta a 8.740.000. Ovvero:

Maggiori informazioni: Camilo Mora, Derek P. Tittensor, Sina Adl, Alastair G. B. Simpson, Boris Worm. How Many Species Are There on Earth and in the Ocean? PLoS Biology, 2011; 9 (8).

26 AGOSTO

AMAZZONIA: SCOPERTO FIUME SOTTERRANEO DI 6.000 KM
Un fiume che scorre a 4.000 metri di profondità sotto il Rio delle Amazzoni è stato scoperto dopo oltre 6 anni di ricerche e il carotaggio di 241 pozzi scavati per trovare gas e petrolio lungo il fiume che scorre in America meridionale. Il fiume è stato chiamato Rio Hamza dal nome dello scienziato indiano che ha guidato la scoperta. Il fiume è lungo oltre 6.000 km, quasi quanto il Rio delle Amazzoni che scorre in superficie, e largo più di 200 metri; ha un flusso medio di 3.000 metri cubi di acqua al secondo, pari alla portata del fiume Nilo; e correnti quasi nulle.
Dopo oltre 6 anni di ricerche, iniziate nell'analizzare i carotaggi per l’esplorazione dei pozzi petroliferi realizzati negli anni '70 - '80 dalla compagnia Petrobras, il team di scienziati brasiliani, guidato dallo studioso Valiya Hamza dell’Osservatorio Nazionale brasiliano, ha scoperto un gigantesco fiume sotterraneo. La scoperta è stata presentata alcuni giorni fa a Rio de Janeiro durante una riunione della Società Brasiliana di Geofisica. L’esistenza del fiume che scorre da ovest a est e sfocia nell’Oceano Atlantico, come il Rio delle Amazzoni, fa ipotizzare che la foresta pluviale ha due sistemi di scarico delle acque: il Rio delle Amazzoni e il Rio Hamza.
Il fiume sotterraneo dovrebbe essere poco più corto del Rio delle Amazzoni che ha una lunghezza di 6.800 km mentre la sua portata è di molto inferiore rispetto al fiume che scorre in superficie, raggiungendo circa il 3% del flusso del Rio delle Amazzoni.
La portata della scoperta potrebbe aprire a nuove soluzioni per combattere la siccità che si sta abbattendo sull’Amazzonia. Il gruppo di ricerca di Hamza ha chiarito che gli studi sono ancora agli inizi e solo entro il 2014 si potranno fornire dati più sicuri. Fonte: Gaia News.

25 AGOSTO

PESCA SPORTIVA E ILLEGALITÀ
Pescatori da diporto sempre in attività con danno aggiunto, oltre che al pesce, anche per i cosiddetti 'professionisti', quelli cioè che pescano in base ai permessi concessi. Eppure i diportisti, altresì definiti pescatori sportivi, sono molto diffusi. Operano a volte con strumentazione professionale e vendono, ovviamente illegalmente, soprattutto nel settore della ristorazione. Nessuna garanzia sanitaria, non potendovi essere, ovviamente, la rintracciabilità del pescato. Gli ultimi interventi riguardano il sequestro di pesce spada, uno squaletto, un tonno, più altro pesce e molluschi…da diporto.
Lo squaletto, il pesce spada e ben 100 kg di cozze illegalmente commerciate, sono state sequestrate in due distinte operazioni della Guardia Costiera di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. Le cozze sono state rinvenute nel mercato ittico a due operatori che non hanno fornito alcuna documentazione sulla provenienza. Per loro la sanzione di 3.000 euro. Lo squaletto e gli altri pesci, invece, sono stati trovati a due diportisti individuati al largo di Cariati. Contestata la sanzione di 2.000 euro.
Il sequestro del tonno è avvenuto ieri, in provincia di Siracusa. Ad intervenire, nella spiaggia di Marzamemi, vicino Portopalo di Capo Passero, è stata la Guardia Costiera. Il diportista stava scaricando un tonno di 55 chili. Per i diportisti vige, dallo scorso 7 agosto, il divieto di pesca del tonno. Al trasgressone una sanzione di 4000 euro. Fonte: GeaPress.

ANGUILLE E DIOSSINA: LA LOMBARDIA NON EMANA NESSUN DIVIETO DI PESCA
Relativamente alla notizia comparsa su alcuni organi di informazione in data 17 agosto 2011, si precisa che il Ministero della Salute ha già emanato, con Ordinanza Ministeriale 17 maggio 2011, disposizioni concernenti il divieto di immissione sul mercato e commercializzazione delle anguille provenienti dal Lago di Garda.
Gli Assessorati provinciali competenti, per quanto concerne l’autoconsumo ovvero la possibilità di pesca, per garantire la massima sicurezza dei consumatori, sono stati invitati a valutare l’opportunità di promuovere idonee disposizioni che prevedessero specifici divieti di pesca, limitati alle anguille. Infatti, provvedimenti integrativi della sopraccitata Ordinanza Ministeriale a livello locale, tendono a diffondere maggiore consapevolezza anche per coloro che cedono pescato occasionalmente.
La Provincia di Verona, accogliendo quanto indicato, si è prontamente attivata nell’adozione di un provvedimento di divieto di pesca a tutela della salute pubblica.
La Direzione Generale della Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione del Ministero della Salute interverrà sull’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, affinché si faccia promotore e portavoce delle esigenze della Sanità pubblica presso l’Assessorato della caccia e della pesca della Provincia di Brescia, sollecitandolo all’adozione di un provvedimento di divieto di pesca fino ad un chiarimento delle problematiche relative alle contaminazioni delle acque del lago. Fonte: Ministero della Salute.

ARRIVA IL Plastic Disclosure Project PER SENSIBILIZZARE LE AZIENDE
Quanta plastica viaggia nei nostri mari? Tanta, troppa, stando alle stime dell'Unep, che paragona le dimensioni della macchia formata dalla plastica disciolta nell'acqua a quelle del Texas. Sono più di 7.000 le tonnellate di immondizia che ogni anno raggiungono il mare, l'80% delle quali proviene proprio dalla terra: tutta la plastica che non affonda viene scomposta dal sole e dal movimento ondoso in piccoli polimeri che vanno a depositarsi sulla superficie delle acque, diventando pericolosissima per l'intero ecosistema marino.
Buste, contenitori, oggetti e scarti industriali: il mondo moderno produce oggi sempre più plastica anche là dove un tempo questo materiale era poco o per niente utilizzato. Il 90% della plastica prodotta e utilizzata, inoltre, non viene riciclata e questo fà sì che il fenomeno dell'inquinamento marino assuma giorno dopo giorno proporzioni enormi.
Per questo la Clinton Global Initiative ha lanciato nel 2010 il Plastic Disclosure Project (PDP) con lo scopo di sensibilizzare le aziende circa il loro impatto ambientale dovuto a plastica ed emissioni di carbonio, che contribuiscono in maniera pesante al riscaldamento globale. L'idea è quella di invogliare imprese, ospedali, università e grosse società a risparmiare sull'utilizzo della plastica e a sostituirla via via con altri materiali, in cambio di riconoscimenti da parte degli investitori, che si dicono sempre più attenti alle tematiche ambientali.
Attraverso un questionario, le aziende verranno monitorate circa la quantità di plastica utilizzata e i metodi di riciclaggio, in modo da trovare soluzioni alternative che vengano incontro sia alle esigenze di business che all'ambiente. Il sistema è simile all'attuale report che molte aziende fanno, volontariamente, per calcolare e contenere il loro carbon footprint e l'intento è di far capire quanto l'impatto della plastica sia altrettanto dannoso e pericoloso per l'ambiente, le specie e la nostra salute.
Le stime parlano di 300 milioni di tonnellate di plastica vergine realizzate ogni anno. Ebbene, se solo l'1% venisse salvato attraverso una maggiore efficienza e un corretto riciclo, sarebbero già 3 milioni le tonnellate in meno nei nostri mari, che è più o meno la quantità che attualmente galleggia nell'Oceano Pacifico. Il progetto, pensato dall'imprenditore ambientale di Hong Kong Doug Woodring sarà lanciato ufficialmente, secondo il New York Times e in base a quanto appare nel sito ufficiale, a settembre. Fonte: GreenMe.

VEGLIA SULLE UOVA DI TARTARUGHE MARINE IN CALABRIA
Adottare una spiaggia in cui le uova delle tartarughe marine  si stanno schiudendo e presidiarla per evitare fonti di disturbo, in un periodo delicato per la sopravvivenza e l’equilibrio riproduttivo della specie: un gesto protettivo che in Calabria sta accomunando diverse associazioni ambientaliste e volontari, uniti nell’intento di difendere le tartarughe marine Caretta caretta che vengono a deporre le loro uova  sui lidi calabresi, come avviene da decenni ormai sulla costa jonica, dai molteplici rischi e pericoli per gli animali neonati imputabili alcuni alla natura stessa altri all’invadenza dell’uomo. Ed è su questo ultimo fronte che operano i volontari.
A Bova Marina, a Palizzi e in diverse altre località, i volontari sono impegnati nella sensibilizzazione dei cittadini e dei bagnanti. Come spiega Beatrice Barillaro, presidente del WWF Calabria: "di giorno facciamo opera di sensibilizzazione tra i pescatori, i bagnanti, tutti gli attori interessati in qualche modo alla problematica dei nidi delle tartarughe. E anche di sera le nostre attività continuano con tante iniziative. Siamo partiti il 3 agosto e la schiusa continuerà fino a settembre e anche ottobre".
Ci sono dei campi di volontariato del WWF organizzati a protezione delle tartarughe e della schiusa delle uova: "abbiamo organizzato turni settimanali e i volontari, una quarantina circa, sono tutti del centro e del nord Italia - spiega ancora la Barillaro - questo è il veicolo per fare turismo. La gente viene qui per godere di questo spettacolo naturale, non per guardare gli ecomostri o i depuratori che non funzionano". Fonte: Ecologiae.

24 AGOSTO

ZOONOSI INVERSA

Se si chiamano zoonosi le malattie che ci trasmettono gli animali, come si chiamano quelle che trasmettiamo loro?

Dalla fine degli anni Novanta l’Acropora palmata forma l’ossatura delle grandi barriere coralline nei Caraibi e davanti alle coste della Florida, soffre di una necrosi a chiazze causata dal batterio Serratia marcescens. L’ha scoperto nel 1819 il farmacista padovano Bartolomeo Rizzo in macchie rosso sangue sopra della polenta ammuffita e l’ha chiamato così in onore di Serafino Serrati, il monaco toscano inventore di un battello a vapore. Fino agli anni Settanta del secolo scorso era ritenuto innocuo per gli esseri umani, di solito portatori sani. Poi è stata isolato in diverse infezioni, più pericolose quelle contratte negli ospedali, che si curano con gli antibiotici.
Dal 2003 si sapeva che quel batterio era letale per l’Acropora. Nel frattempo l’80% ne è morto e il resto è classificato fra le specie a rischio di estinzione. Quello che non si sapeva è da dove provenisse il batterio. Da un lato ne esistono diversi ceppi, dall’altro è presente anche nella Coralliophila abbreviata, un gasteropode che bruca l’Acropora, nella Siderastrea siderea, un corallo meno appariscente di quanto prometta il nome, e nelle acque fognarie riversate nel mare dei Caraibi in quantità crescenti di pari passo con lo sviluppo turistico.
In una serie di esperimenti in acquari chiusi, Kathryn Patterson Sutherland del Rollins College, in Florida, e i suoi colleghi dell’università della Georgia, hanno usato i batteri isolati da ciascuno di questi ambienti per verificare quale ceppo era in grado di infettare un’Acropora sana. Pubblicano i risultati su PLoS One: Il ceppo PDR60 trovato nelle acque fognarie e quello trovato nell’A. palmata provocavano sintomi di necrosi nel corallo sano in appena quattro e cinque giorni, rispettivamente, dimostrando che le acque fognarie sono proprio all’origine della necrosi.
Invece lo stesso ceppo proveniente dall’altro corallo era poco virulento e solo dopo 13 giorni, mentre quello del gasterope ci metteva 20 giorni a provocare le prime chiazze bianche. Né l’uno né l’altro possono essere all’origine della moria, concludono i ricercatori, semmai fanno da serbatoio, portatori sani come la maggior parte di noi.
È la prima volta che viene identificata una malattia dovuta a un patogeno trasmesso dagli esseri umani a un invertebrato marino, ma è difficile che sia l’unica. Come scrivono i biologi, adesso è ancora più chiara "l’interazione tra prassi sanitarie pubbliche e indici di salute ambientale". Come sempre su PLoS One l’articolo è in open access, si può scaricare e mandare ai sindaci delle località costiere italiane ancora prive di un depuratore. Fonte: OggiScienza - Consigliamo anche il database Coralpedia.

SHELL OTTIENE L'AUTORIZZAZIONE PER TRIVELLARE IN ALASKA
Gli appelli provenienti da tutto il mondo, compreso quello autorevole del New York Times, non sono serviti a nulla. Servono soldi all’America, ed il presidente Barack Obama non ha potuto fare altro che dare l’autorizzazione alla Royal Dutch Shell per trivellare quattro pozzi esplorativi in Alaska. Dopo il disastro nel Mare del Nord, che ancora non è risolto del tutto, si pensava che il presidente americano, così attento all’ambiente, ci pensasse su prima di concedere questo pericolosissimo via libera alla compagnia petrolifera, ed invece non ha perso un secondo prima di porre la sua firma.
Ciò che in molti temono è un altro disastro ambientale a cui ormai il mondo è preparato. Non meno di un mese fa la Shell si è resa protagonista del peggiore disastro accaduto nel Mare del Nord negli ultimi 10 anni per due valvole difettose che hanno fatto fuoriuscire circa 1.300 barili di petrolio che sono andati a contaminare le acque vicino la Scozia. Un evento agghiacciante se si pensa che le acque del Mare del Nord sono relativamente calme. Per questo viene da chiedersi cosa saranno in grado di combinare in condizioni estreme come quelle che si presentano in Alaska, dove il ghiaccio e le temperature costantemente sotto lo zero possono danneggiare le attrezzature e rendere più facili anche gli errori umani. Inoltre, secondo alcune associazioni contrarie all’iniziativa, le aree in cui la Shell andrà ad operare sono molto pericolose perché esposte ai venti più potenti della Terra e molto esposti a tempeste violente. Senza contare che le stazioni di soccorso più vicine sono eccessivamente distanti (la più vicina è a 1.600 chilometri).
Il timore è che, di fronte ad un’altra perdita di petrolio, non si riescano a contenere i danni, e quell’ecosistema, che già di per se è in precario equilibrio, potrebbe ricevere il colpo di grazia. Le trivellazioni cominceranno la prossima estate, in seguito alle autorizzazioni delle altre autorità federali che però di solito seguono sempre la volontà del loro presidente. La decisione è stata presa in seguito alla crisi petrolifera in quanto si stima che in Alaska ci siano riserve di petrolio tali da alimentare 25 milioni di automobili per 35 anni, in modo da abbattere il costo del carburante proprio a ridosso delle prossime elezioni presidenziali. Una mossa che se da un lato toglierà i consensi degli ambientalisti, dall’altro farà guadagnare ad Obama il voto di milioni di americani che devono fare i conti con il prezzo della benzina.
Noi ovviamente speriamo che non accada nulla, ma dopo che il comandate della guardia costiera americana, l’ammiraglio Robert Papp, ha ammesso che, in caso di incidente la loro capacità di intervento è pari a zero, non ci sentiamo affatto tranquilli. Fonte: Ecologiae.

23 AGOSTO

VORTICE DI PLASTICA
È appena tornato da una spedizione attraverso il Pacifico settentrionale Tim Silverwood, l’ambientalista australiano, che ha preso a cuore l’isola di spazzatura più grande al mondo, il North Pacific Gyre, o vertice di immondizia, come viene denominato l’accumulo di rifiuti costituito principalmente di plastica, che le correnti oceaniche hanno convogliato nel Pacifico settentrionale. L’isola di plastica, purtroppo non l’unica che galleggia nei nostri mari, ha raggiunto le dimensioni di quasi un milione di km2, pari circa al doppio della Francia.
Il vortice rotante di plastica si accumula dove le correnti oceaniche si incontrano e continua a crescere in misura esponenziale. Se fosse un’isola si potrebbe andare lì e pulirla, ma è fisicamente impossibile da pulire.
E di frammenti di plastica ne sono stati trovati molti. L’area di monitoraggio analizzata da Silverwood e la sua equipe di ricerca ha interessato circa 5.000 km2 di superficie e rifiuti in materia plastica sono stati trovati anche sotto la superficie marina. La situazione non è preoccupante solo per l’ecosistema marino, ma anche per la nostra salute perché, chiaramente, quei rifiuti ingeriti dalle specie ittiche finiscono anche sulle nostre tavole, come spiega Silverwood: "È sempre più preoccupante pensare a cosa questo possa significare per noi, perché queste particelle, che contengono costanze chimiche tossiche e cancerogene, vengono consumate da ogni forma di vita, comprese le specie che fanno parte del nostro cibo". Fonte: Ansa.

22 AGOSTO

SHELL: CHIUSA LA VALVOLA DELLA GANNET ALPHA, MA È ANCORA EMERGENZA
Nella vicenda della marea nera in Scozia, ieri sono arrivate due notizie, una buona ed una cattiva. La buona è che la Shell è riuscita a chiudere la valvola che perdeva e che ha sversato in mare 218 tonnellate di petrolio. La cattiva è che per ripulire l’area ci vorranno ancora diverse settimane, anche perché c’è un secondo pozzo che perde, anche se quantità decisamente minori. Ma almeno è un buon inizio.
Le dichiarazioni iniziali della compagnia ("non sappiamo dov’è la perdita") hanno fatto preoccupare il mondo, ed hanno fatto tornare il pensiero ad un anno fa, quando di questi tempi al largo delle coste americane i tecnici stavano combattendo contro la marea nera più devastante della storia. Quindi già il fatto che la valvola difettosa sia stata trovata e chiusa ci deve far tirare un sospiro di sollievo.
Sperare poi che la situazione si risolva in breve tempo, è davvero troppo. Le 218 tonnellate disperse (o 1.300 barili) infatti sono la stima dell’azienda, e non ci sorprenderemmo se fossero calcolate al ribasso. Per questo quel "ci vorrà tempo" annunciato dai tecnici per ripulire l’area un pò ce lo aspettavamo. L’incidente, avvenuto nel fine settimana di ferragosto, si calcola sia il peggiore degli ultimi 10 anni nella zona del Mare del Nord. Ma nonostante questo i portavoce del colosso anglo-olandese hanno affermato:
"la macchia dovrebbe disperdersi naturalmente, senza arrivare sulle coste [...] non ha avuto un impatto significativo sull’ambiente".
Di certo non ci si poteva attendere un’ammissione di colpa, le azioni legali partiranno senza dubbio e quindi l’azienda tende ad alleggerire la propria posizione di fronte all’opinione pubblica. Anche perché adesso dovrà impegnarsi nella chiusura del secondo pozzo  che, dicono, rilasci “appena” 5 barili di petrolio al giorno, meno del precedente, ma sempre di un’azione devastante si tratta, anche perché dai primi dati pare che sia in una posizione più difficile da raggiungere. Intanto i primi effetti di questa chiazza nera di 31 km di lunghezza si sono già avuti: blocco della pesca nelle vicinanze e danni ancora incalcolabili alle diverse specie di uccelli migratori che, denunciano dalla Reale Società Britannica per la Protezione degli Uccelli (Rspb), proprio in questi giorni solcano quei mari. Fonte: Ecologiae.

20 AGOSTO

DELFINI DEL MEKONG: NE RIMANGONO SOLAMENTE 85 ESEMPLARI
I delfini del Mekong, il fiume rosso della Cambogia, sono a rischio estinzione. A lanciare l’allarme è il WWF che dal 2007 al 2010 ha monitorato le acque del fiume e la continua moria dei cuccioli di delfino dell’Irrawaddy. Gli esemplari di delfino, ridotti ormai a 85, sono considerati sacri dalle popolazioni Khem e Lao e sono una fonte di guardagno per il turismo ecologico e il dolphin-watching.
A causare la moria di cuccioli e di esemplari adulti è la pesca con le reti, a cui si aggiungono le modifiche ambientali dovute alla costruzione di centrali idroelettriche e sbarramenti fluviali. I delfini dell’Irrawaddy vivono solamente nelle acque del fiume Mekong, dell’Ayeyarwady in Birmania e presso il Mahakam, nel Borneo indonesiano. Fonte: Ecologiae.it.

Nota di Biologiamarina.eu: il delfino del Mekong (Orcaella brevirotris) è una specie rara e poco conosciuta, che vive nei fiumi sopra elencati, oltre che nelle acque del Gange. La specie è stata segnalata anche nelle acque dell'Australia e delle Filippine, soprattutto in prossimità di estuari e mangrovieti, dove riesce meglio a nascondersi, a causa della torbidità delle acque. È una specie molto diffidente, non nuota a prua delle imbarcazioni e non mostra molto di se fuori dal'acqua. Può eseguire, raramente, lo spyhopping (emersione della testa e successiva immersione senza spruzzi), il lobtailing (energica botta sulla superficie dell'acqua con la pinna caudale) e il breaching (termine che indica la fuoriusita dall'acqua, ma che comprende il range da una semplice e timida emersione, sino ad un salto completo).

ALTRO PETROLIO DISPERSO NEL GOLFO DEL MESSICO
Una grande patina luccicante è stata avvistata nel Golfo del Messico nelle ultime ore, e già molti stanno dando la colpa alla BP. Ancora non si sa molto né delle cause né di quanto sia estesa la chiazza, ma il timore principale è che il tappo che lo scorso anno fu posto sulla perdita che causò la marea nera si sia corroso, lasciando nuovamente fuoriuscire del petrolio. Immediatamente la compagnia, per evitare un altro danno d’immagine ed economico, si è attivata, ed ha inviato dei mini-sommergibili per indagare sull’accaduto. Per ora però il colosso petrolifero continua a negare che si tratti di responsabilità sua. Gli investigatori locali non ne sono così sicuri.
La patina brillante è stata scoperta nei pressi di due siti di esplorazione del pozzo abbandonato del Green Canyon Block nel Golfo del Messico. Secondo una mappa online del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, il Green Canyon Block – una grande superficie d’acqua a sud della Louisiana – si trova a sud-ovest del Mississippi Canyon Block dove ci fu l’incidente della BP.
Secondo l’Associated Press questa perdita ha immediatamente sollevato il timore di una nuova fuoriuscita di petrolio come quella dell’anno scorso, peraltro pochi giorni dopo il report delle autorità che dimostrano come le persone che sono rimaste a vivere in quelle aree hanno cominciato ad ammalarsi. Intanto un portavoce della BP, Daren Beaudo, ha fatto sapere che le prime esplorazioni hanno dato esito negativo e la ricerca continuerà durante il fine settimana, ma non vi è alcuna prova immediata che sia stato il risultato di un nuovo sversamento di petrolio.
Eppure non tutti sono convinti di questo. L’avvocato specializzato in cause ambientali Stuart H. Smith ha scritto sul suo blog: "Fonti attendibili ci dicono che la BP ha reclutato 40 barche da Venice a Grand Isle per costruire una protezione attorno al sito della DeepWater Horizon, che si trova a sole 50 miglia dalle coste della Louisiana. La flotta accorsa sul posto alla fine della scorsa settimana ha lavorato per tutto il weekend per contenere quella che stava diventando un’enorme chiazza di petrolio nel sito del pozzo che era stato ufficialmente chiuso nel settembre 2010".
Ciò che più preoccupa ora non è tanto se ci siano difetti nel tappo, ma se si sono formate crepe e fessure nel fondo marino causate dal lavoro della BP nei vari tentativi non riusciti di chiudere la falla, fino alla soluzione definitiva. E se le falle fossero più d’una, comincerebbe a diventare davvero difficile contenerle. Fonte: Ecologiae.it - Originale su Treehugger.

SHELL: LA PERDITA DALLA GANNET ALPHA ERA IMPOSSIBILE
Un incidente nel mare di Scozia? Impossibile! Rispondevano così le autorità britanniche ed i rappresentanti di Shell (magari ridendo tenendosi la pancia con le mani) alle domande preoccupate di giornalisti e ambientalisti quando, in seguito all’incidente dello scorso anno nel Golfo del Messico che ha riguardato la BP, tutte le trivellazioni in mare sono state messe sotto accusa. Ad un anno di distanza siamo tornati al punto di partenza.
Le autorità affermavano che le trivellazioni in quelle acque avessero ottenuto la certificazione "gold standard" che attesta la massima qualità possibile nei controlli di sicurezza. A questo punto viene da domandarsi come e con quali criteri certificazioni simili possano essere rilasciate, se giorni dopo l’inizio della fuoriuscita di petrolio, ancora i responsabili della Shell non hanno capito cosa devono riparare.
Oltre a indulgere nel greenwashing senza vergogna (la Shell ha scelto di chiamare la fuoriuscita e il conseguente inquinamento di 50 miglia quadrate con il gentile nome di oil sheen [sheen significa lucentezza, splendore, ndr]), il gigante petrolifero è stato tutt’altro che trasparente rispetto alla fuoriuscita dal momento in cui è cominciata. La pipeline ha cominciato a sversare mercoledì scorso, ci è voluto fino a venerdi alla Shell per confermare pubblicamente l’incidente. Dopo 5 giorni, ancora non avevano dato abbastanza informazioni per sapere quanto grave sia la fuoriuscita. La Shell non ha confermato quanto petrolio è fuoriuscito (anche se è opinione diffusa che sia circa 100 tonnellate) e la compagnia ha anche assicurato che la perdita è "sotto controllo", mentre, secondo molti report, il petrolio continua a sversare dalla piattaforma Alpha Gannet.

Denuncia Greenpeace: per intenderci quelle 100 tonnellate dovrebbero equivalere all’incirca a 1.300 barili di petrolio. La rabbia che viene osservando queste vicende si amplifica quando ci rendiamo conto che ci stanno letteralmente prendendo in giro. Le trivellazioni in mare sono sicure, dicevano, ed ecco la marea nera nel Golfo del Messico, questa in Scozia, e le tante altre passate e sicuramente future. Un po’ come il discorso del nucleare sicuro, come abbiamo visto in Giappone. È evidente che a tecnologia pericolosa corrispondono conseguenze pericolose, ed è per questo che Greenpeace si è già mossa per evitare che la Shell cominci a trivellare nella regione artica.
La multinazionale infatti sta facendo pressione per avere l’ok dalle autorità, ma visti i rischi ambientali l’associazione ha chiesto che questo non venga mai concesso:

La Shell è tra le aziende che stanno cercano di ottenere rischiose perforazioni nella regione artica. Se non è in grado di impedire una fuoriuscita di petrolio nel Mare del Nord “ultra sicuro”, dobbiamo chiederci: come farà a gestirla nella natura incontaminata dell’Artico, dove le condizioni estreme significano che qualsiasi fuoriuscita di petrolio sarebbe quasi impossibile da ripulire?

Fonte: BioEcogeo.it.

19 AGOSTO

ATTACCO DI UNO SQUALO IN RUSSIA
Ancora un attacco di uno squalo nei mari dell'estremo oriente russo: un adolescente di 16 anni è stato ferito gravemente a una gamba nella regione di Primorie. È il secondo episodio del genere in meno di 24 ore: ieri un uomo di 25 anni ha perso entrambe le braccia nella baia russa di Teliakovski. I due incidenti si sommano ai due attacchi mortali che hanno insanguinato nelle ultime due settimane le Seychelles. Fonte: Ansa.

18 AGOSTO

ATTACCO DI UNO SQUALO ALLE SEYCHELLESSeychelles attack map
Un inglese di 30 anni in luna di miele nell'arcipelago è stato ucciso da uno squalo sotto gli occhi atterriti della moglie mentre stava nuotando davanti alla celebre Anso Lazio Beach, la spiaggia di sabbia bianca situata sull’isola di Paslin. Secondo quanto riferisce il Telegraph online l’uomo si chiamava Ian Redmont. Assieme alla moglie Gemma Houghton, di 27 anni, era giunto alle Seychelles in viaggio di nozze alla vigilia di Ferragosto. La tragedia è avvenuta nel pomeriggio di ieri. Redmont aveva deciso di farsi un bagno nelle acque cristalline di Anso Lazio Beach mentre la moglie era rimasta a prendere il sole. All’improvviso, le centinaia di persone che si trovavano in spiaggia hanno sentito le sue grida disperate di aiuto e hanno visto il mare colorarsi di rosso.
Alcuni volontari hanno subito cercato di raggiungere la zona dell’attacco con un canotto, ma quando sono arrivati sul posto non hanno potuto far altro che recuperare il corpo straziato del giovane. Alcuni testimoni hanno riferito che lo squalo gli aveva tranciato di netto una gamba. Le autorità locali hanno immediatamente disposto la chiusura della spiaggia in attesa che dall’Australia arrivi una squadra di esperti specializzati nella caccia allo squalo. Quello di ieri è il secondo incidente del genere in quella che è considerata una delle località balneari più suggestive del mondo. Lo scorso 2 agosto, la stessa sorte del turista britannico era toccata a un francese di 36 anni. Fonte: Il Giornale.

CONTINUA A FUORIUSCIRE GREGGIO DALLA GANNET ALPHA
Continua la fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma Gannet Alpha, 180 chilometri da Aberdeen, sulla costa orientale della Scozia. Lo annuncia la Shell, senza precisare altri dettagli, né quando sarà in grado di fermare la perdita. Ieri il colosso anglo-olandese aveva stimato la perdita di 200 tonnellate di greggio, circa 1.300 barili, nel Mare del Nord: secondo gli esperti si tratta dell’incidente più grave nell’area dal 2000.
La Shell ha individuato una seconda falla nella piattaforma, che ancora non è riuscita a localizzare con precisione e da cui fuoriesce il petrolio. "Abbiamo un sistema sottomarino molto complesso, e la perdita si trova in una posizione difficile con molta vegetazione marina" ha detto il responsabile Shell per l’esplorazione in Europa, Glen Cayley. Le squadre di sommozzatori sono al lavoro per individuare la falla.
"Incidenti come questo sono delle piccole bombe ecologiche" per gli ecosistemi marini. Lo afferma Silvio Greco, biologo marino, a proposito della fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma Gannet Alpha di Shell in Scozia, nel Mare del Nord. Si tratta "di ecosistemi molto delicati. In particolare il Mare del Nord è un’area di forte concentrazione di merluzzi e luogo di nidificazione per più di una decina di specie di uccelli marini, che sono i primi tra l’altro a risentire degli effetti degli olii pesanti. Il primo problema – aggiunge – è l’intossicazione provocata dal petrolio e la morte conseguente di larve e pesci che sono in superficie".
Il dramma, sottolinea l’esperto "è che si continua a minimizzare l’episodio come se fosse normale che le piattaforme petrolifere perdessero petrolio. È un atteggiamento assurdo, compreso quello di non diffondere in tempo i dati – dice -, che dimostra come le grandi compagnie abbiano solo un unico obiettivo, l’aumento del capitale sociale, in completo sfregio ad ambiente e bene comune". Fonte: Ansa.

16 AGOSTO

CHIUSURA ANTICIPATA DELLA CAMPAGNA DI PESCA SPORTIVA E RICREATIVA DEL TONNO ROSSO
Con un Decreto del 03 Agosto 2011 il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha disposto la chiusura della campagna di pesca 2011 del tonno rosso, esercitata dalle unità autorizzate alla "Pesca ricreativa/sportiva (SPOR)", a decorrere dal 07 Agosto 2011.
Il provvedimento, consultabile all’albo della Capitaneria di Porto e con il quale viene reso noto che la quota assegnata alla Pesca ricreativa/sportiva - fissato in 50 tonnellate - è stata raggiunta, dispone la sospensione del prelievo della specie ittica tonno rosso in applicazione del principio precauzionale per la tutela della risorsa.
Com’è noto la pesca del tonno rosso (Thunnus thynnus), specie soggetta ad un piano di ricostituzione pluriennale, nel Mediterraneo è consentita con il sistema delle quote assegnate a ciascuno Stato che poi vengono dallo stesso ripartite internamente fra i vari sistemi di pesca. All’Italia erano state assegnate, per la campagna di pesca 2011, 1.787,91 tonnellate di cui 50 tonnellate sono state destinate alla pesca sportiva. Per potere esercitare tale tipo di pesca il pescatore sportivo doveva presentare una dichiarazione all’Ufficio Circondariale Marittimo sotto la cui giurisdizione ricadeva il porto di stanza dell’unità da diporto da utilizzare. Una cinquantina sono state le dichiarazioni presentate quest’anno alla Capitaneria di Porto di Palermo.
Il tonno rosso catturato invece dai pescatori professionali deve essere accompagnato dal B.C.D. (Blu-fine Tuna Catch Document), documento particolare redatto dall’ICCAT, l’Organizzazione Internazionale che si occupa della protezione e della conservazione degli stocks di tonnidi, che viene rilasciato dall’Autorità Marittima (Guardia Costiera) del luogo di sbarco, e che deve essere obbligatoriamente conservato ed esibito in ogni fase della commercializzazione al fine di poter avere la tracciabilità del prodotto sin da quando è stato pescato.
Le sanzioni, si ricorda, sono molto elevate. Fino a 12.000 € sono previsti per chi contravviene a tutti i provvedimenti nazionali e comunitari che riguardano i piani di ricostituzione e protezione delle specie ittiche. (Fonte: Comunicato stampa Guardia Costiera).

13 AGOSTO

DELFINO SPIAGGIATA A PESCARA
Stava quasi sicuramente allattando la femmina di delfino che nei giorni scorsi è stata rinvenuta lungo la battigia della riviera nord di Pescara. Così riferisce a GeaPress la Capitaneria di Porto in merito al ritrovamento del povero animale, per il quale, oltre ad essere rimasto bloccato in una rete da pesca, non si è escluso neppure il suo successivo investimento da parte di imbarcazioni da diporto. Ovviamente nessuna possibilità di salvezza per il piccolo in mare, soprattutto se non ancora del tutto svezzato, ed ennesimo ritrovamento di un cetaceo morto a causa delle reti da pesca.
In questo caso, i resti delle maglie presenti sul corpo della delfina, hanno consentito di potere risalire alla possibile causa dell’incidente, ma in genere i pescatori si sbarazzano velocemente di tali animali, specie se rimangono bloccati nelle famigerate reti a volante. Si tratta di un’ampia rete trainata a mezz’acqua da due pescherecci. Anche volendo evitare l’impatto con i delfini, non è possibile accorgersi dalla superficie  di quello che succede sott’acqua.
Gli animali, seguendo i banchi di pesce, rimangono bloccati contro corrente nella rete che inizia a trainarli. Nel turbinio di pesci che cercano di fuggire e delle reti che iniziano a stringere sempre più, il delfino dovrebbe avere la forza di girarsi, trovando lo spazio necessario per dare alcuni possenti colpi di coda in grado di vincere la corrente avversa. Praticamente impossibile in quel manicomio di pesce pigiato. La morte sopraggiunge per annegamento. Fonte: GeaPress.

I PLEIOSAURI ERANO VIVIPARI E SOCIALI
Per la prima volta è stato dimostrato che i plesiosauri, giganti marini carnivori vissuti nel Mesozoico, non deponevano uova, ma erano vivipari. La scoperta è stata fatta grazie al rinvenimento all'interno del corpo dei resti fossili dell'animale - un plesiosauro della specie Polycotylus latippinus - dei anche resti di un piccolo allo stato embrionale.
Il fossile, pressoché completo a parte l'assenza del cranio e di parte del collo dell'adulto, era stato scoperto nel 1987 da Charles Bonner a Logan County, in Kansas, per essere poi trasportato al Los Angeles County Museum of Natural History, dove ora è esposto dopo essere rimasto nei sotterranei per diversi anni in attesa di essere studiato.
L'animale viveva nella regione che all'epoca era occupata dal Mare interno occidentale, una vasto corpo idrico che si apriva nel Nord America collegando l'Oceano artico con il Golfo del Messico.
Come viene illustrato in un articolo pubblicato su Science a firma Frank O'Keefe e collaboratori, lo scheletro embrionale contenuto all'interno di quello della madre - lungo complessivamente 15.4 metri - mostra un buono sviluppo potendosi rilevare le costole, 20 vertebre, le spalle, il bacino e le ossa degli arti.
"Gli scienziati sanno da tempo che il corpo dei plesiosauri non era adatto per salire a riva e deporre le uova in un nido", ha dichiarato O'Keefe. "Così la mancanza di prove della viviparità dei plesiosauri era alquanto sconcertante. Questa testimonianza fossile della viviparità dei plesiosauri, la prima, pone fine al mistero. L'embrione è molto grande rispetto alla madre, molto più grande di quanto ci si aspetterebbe in confronto con altri rettili. Molti degli animali odierni che danno alla luce singoli giovani di grandi dimensioni sono sociali e prestano cure materne. Per questo possiamo ipotizzare che i plesiosauri potessero manifestare comportamenti simili, e che la loro vita sociale fosse piuù simile a quella dei moderni delfini chea quella degli altri rettili". Fonte: LeScienze.

11 AGOSTO

LA RIPRESA ITTICA È POSSIBILE
Finalmente una buona notizia. Se è ormai certo che i grandi stock di pesci commerciali sono oggi in declino e al limite della sussistenza, un recente articolo apparso su Nature qualche giorno fa afferma che non tutto è perduto. Secondo lo studio canadese, infatti, bloccare la pesca massiva può ancora permettere un recupero di ecosistemi sovrasfruttati, anche se non è ancora chiaro se si possa tornare all’ecosistema originario. Si tratta di una novità nel campo della conservazione poiché ad oggi ben poco si sapeva sulla possibilità di ripristino di ambienti compromessi e ciò creava ampi dibattiti e dubbi sulla validità di misure di mitigazione come la chiusura alla pesca di aree già compromesse o la reintroduzione di specie in aree che ne sono ormai prive.

Vediamo come ciò sia possibile.
Tipicamente, gli ecosistemi marini, privi dei predatori all’apice della catena alimentare 'razziati' dalla pesca, presentano una rete trofica completamente ristrutturata e dominata da specie erbivore e planctivore, che, cioè, si cibano di plancton e non di pesci di minori dimensioni. Ne è un esempio l’area della Nuova Scozia (Canada).
Se a metà del ventesimo secolo questo tratto di mare atlantico era considerato tra i più produttivi al mondo per la pesca di merluzzi (ne venivano pescate circa 100 tonnellate l’anno), daglia anni Settanta in poi ha vissuto il più documentato collasso dell’ecosistema marino, tanto da far sparire i grossi predatori ittici dall’area. Il loro posto è invece occupato, ecologicamente parlando, da pesci di piccola taglia, come le aringhe, le cui popolazioni sono letteralmente ‘esplose’ nel giro di un decennio.
Nel 1993, a 'buoi scappati dalla stalla', il governo canadese ha imposto un fermo di pesca di merluzzi e affini, senza però registrare un recupero delle popolazioni quasi comparse. Tra gli altri motivi, ciò dipendeva dal fatto che i nuovi padroni dell’ecosistema, cioè aringhe e specie simili, erano così ghiotti delle uova di merluzzi, da impedire il recupero immediato degli stock di pesce, nonostante il divieto di pesca.
A decenni di distanza, sembra che la storia possa avere un ‘lieto fine’: secondo lo studio su Nature la perturbazione all’ecosistema della Nuova Scozia avrebbe natura transitoria e l’ecosistema originale potrebbe riprendersi. Ciò dipende dal fatto che le aringhe e gli altri piccoli pesci sono diventatei talmente abbondanti da non aver più risorse alimentari. come un gioco d’altalena, il loro declino lasciarebbe oggi nuovamente spazio ai grossi predatori, anche se attualmente le popolazioni di merluzzi sono ancora due volte inferiori a quelle di una volta.
Lo studio sembra confermare cohe la natura è in grado di 'riprendersi' qualora venga rimossa la pressione operata su di essa. Ciè conferma quindi la validità di un’azione di contenimento della pesca commerciale per far in modo che il mare torni 'in salute'. Una notizia non da poco per le generazioni attuali e future. Fonte: OggiScienza.

SCOPERTA DAL GENOMA DEL MERLUZZO
Sequenziando il genoma del merluzzo dell'Atlantico, è stato scoperto che questi pesci hanno un sistema immunitario unico nel loro genere. Lo studio pubblicato su Nature, apre importanti interrogativi sull'evoluzione dei vertebrati e può essere fondamentale per comprendere le problematiche legate all'allevamento di questa importante riserva ittica. I ricercatori dell'Università norvegese di Oslo hanno verificato che nel Dna del merluzzo risulta assente il Complesso Maggiore di Istocompatibilità II (Mhc II), una sorta di kit per la difesa immunitaria presente in molti vertebrati.
Kjetill Jakobsen e il suo gruppo hanno osservato che nonostante questa carenza il merluzzo è comunque in grado di proteggersi da agenti patogeni esprimendo un maggior numero di geni del gruppo Mhc I. Questo spiega come il sistema immunitario del merluzzo dell'Atlantico abbia evoluto meccanismi compensatori; si tratta di un'osservazione che rimette in discussione gli assunti fondamentali riguardo all'evoluzione dei meccanismi di difesa dei vertebrati. Il merluzzo è uno dei pesci più pescati nel mondo ma la forte attività di pesca a cui è sottoposto sta portando all'esaurimento gli stock, tanto da essere scomparso quasi completamente dalle coste del Canada, dal mar del Nord e Baltico. Fonte: Ansa.

08 AGOSTO

LIBERA, FINALMENTE, LA Steve Irwin, LA NAVE DI SEA SHEPHERD 08 Ago 2011
Grazie alla generosità dei nostri sostenitori intorno al mondo, la Sea Shepherd Conservation Society ha raccolto più di 735.000 dollari per salvare la sua nave ammiraglia, la Steve Irwin, in meno di due settimane dal lancio della nostra Campagna di Raccolta Fondi SOS! - Save Our Ship! Grazie a tutti coloro che ci hanno dato la possibilità di pagare la cauzione per il rilascio della nave dalla detenzione! Insieme continueremo a fare la differenza!.
Come molti di voi sanno, il 15 di luglio, la Steve Irwin, è stata trattenuta nelle isole Shetland fino a che non fossimo riusciti a raccogliere la cauzione che stimavamo ammontare a 1.411.692,87 Dollari Americani. La detenzione è stata ordinata dalla Corte britannica in seguito ad una causa intentata nei nostri confronti dalla compagnia di pesca maltese Fish and Fish Limited.
VAI AL SITO DI SEA SHEPHERD CONSERVATION SOCIETY -
Vedi news 21 Lug

EMERGENZA SICCITÀ IN AFRICA. COLPA DE La Niña
L'attuale catastrofica siccità che sta devastando vaste regioni di Somalia, Kenya ed Etiopia pregiudicando la sicurezza alimentare di milioni di persone va attribuita all'intenso fenomeno di La Niña che ha prevalso fra giugno 2010 e maggio 2011 nel Pacifico.
L'aumento e la diminuzione delle precipitazioni nella regione tropicale orientale trovano infatti una perfetta corrispondenza con quanto avviene al lato opposto del globo e in particolare con l'andamento dell'ENSO (El Niño-Southern Oscillation). A confermare questa correlazione, e il fatto che essa sussiste da oltre 20.000 anni, è uno studio condotto da un team interazionale di ricercatori che publica in proposito un articolo sulla rivista Science.
I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni dopo aver esaminato i sedimenti che si trovano sul fondale del lago Challa, un lago vulcanico ai piedi del monte Kilimanjaro. Questi sedimenti mostrano evidenti stratificazioni che è stato possibile mettere in perfetta corrispondenza con le registrazioni strumentali delle temperature delle acque tropicali del Pacifico negli ultimi 150 anni. News integrale su LeScienze.

TIFONE IN CINA, ALLARME IMPIANTO CHIMICO
Le onde alte fino a 20 metri provocate dal tifone Muifa hanno rotto gli argini nei pressi di Dalian, sulla costa settentrionale della Cina, e minacciano un grande impianto chimico. Lo afferma l' agenzia Nuova Cina, ai lavoratori che cercano di riparare gli argini sono stati affiancati soldati dell' esercito di liberazione popolare. La popolazione delle aree vicine è stata evacuata. Le autorità non hanno chiarito quali sono i prodotti chimici che potrebbero fuoriuscire dall' impianto. L' impianto produce il paraxilene, un materiale cancerogeno usato nella fabbricazione del poliestere e di alcune fibre sintetiche. Secondo le previsioni meteorologiche la tempesta tropicale Muifa raggiungerà entro la giornata di oggi la massima intensità, colpendo la provincia del Liaoning, dove si trova Dalian. In precedenza, centomila persone erano state evacuate dalle coste nella provincia dello Shandong, immediatamente a sud del Liaoning. Fonte: Ansa.

04 AGOSTO

KAFKA, GLI ORSI POLARI E I MONTI PYTHON

Le strane avventure di Charles Monnett o perché non conviene studiare gli animali nel grande Nord in un’amministrazione che rilascia concessioni per lo sfruttamento di risorse naturali

Nel 2001 Ian Thomas era stato licenziato in tronco perché sul sito dell’US Geological Survey, per il quale lavorava, aveva messo la mappa con i luoghi dove le caribù vanno a partorire nell’area 1002, un pezzo della Riserva Nazionale Artica, in Alaska, che il presidente George W. Bush destinava ai petrolieri. La sanzione ha scoraggiato molti suoi colleghi dal pubblicare alcunché di sgradito, con l’amministrazione Obama però, le cose sarebbero cambiate. Il mese scorso infatti era il governo canadese ad impedire alla genetista Kristi Miller di parlare con i giornalisti della sua ricerca, uscita su Science, sul declino dei salmoni nel fiume Fraser, in un’altra zona minacciata dall’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose. Poi è scoppiato il caso di Charles Monnett, il biologo del Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement (BOEMRE) in Alaska.
Nel 2004, durante un sopralluogo aereo insieme a Jeffrey Gleason, dopo una tempesta aveva visto quattro cadaveri di orsi bianchi sul mare, unico annegamento documentato finora. In un articolo rivisto dai superiori, da colleghi famosi, peer-reviewed e infine uscito su Polar Research nel 2006, i due biologi ipotizzavano ('we speculate') che:

le mortalità al largo durante gli anni di ghiaccio tardivo potrebbero essere una fonte importante ma trascurata di morti naturali, data la spesa energetica necessaria agli orsi per nuotare su lunghe distanze. Inoltre… le morti per annegamento potrebbero aumentare in futuro se continuasse la tendenza osservata alla regressione della banchisa e /o a periodi più lunghi di mare sgombro

Silenzio dei superiori fino al febbraio 2011, quando avvisano Monnett che l’Ispettorato Generale del Ministero degli Interni – "the Feds", come si usa dire – ha avviato un procedimento "penale" nei suoi confronti per "problemi di integrità", su denuncia di ignoti. Viene interrogato da due "inquirenti penali". Poi silenzio fino al 18 luglio quando, al rientro da una breve vacanza, è messo in "congedo amministrativo", non può andare nel proprio ufficio, né parlare con la stampa. Il 28 luglio, l’Ong "Dipendenti pubblici per la responsabilità ambientale" alla quale si era rivolto per una consulenza legale denuncia il BOEMRE e l’Ispettorato per abuso d’ufficio e censura. L’indomani la portavoce del BOEMRE dice che il procedimento non riguarda l’integrità scientifica di Monnett.
Strano. Come risulta dalla trascrizione dell’interrogatorio, gli agenti gli dicono proprio che è sospettato di “scientific misconduct” e lo interrogano unicamente sull’articolo di Polar Research e sulle sue "statistiche" (1).

Il 13 luglio però l’Ispettorato informava il BOEMRE di avere ricevuto informazioni, sempre da ignoti, in base alle quali emergevano dubbi "sull’imparzialità e l’oggettività" di Monnett nella gestione di 1.1 milioni di dollari per uno studio americano-canadese di dieci anni sugli orsi polari (110 mila dollari all’anno sono pochi, ma è solo la quota americana). Il giorno stesso il BOEMRE ordinava a tutti gli scienziati coinvolti di sospendere immediatamente le ricerche.
Il 29 luglio, l’Ispettorato fa sapere a Monnett che il procedimento non è più "penale" poiché il ministero della Giustizia ha respinto il caso. Ora riguarda anche il suo rispetto o meno delle norme federali sull’assegnazione di contratti. Strano, bis. Semmai deve rispettarle l’amministrazione. Monnett può scegliere a quali ricercatori farli, ma questi vanno approvati – o meno – dal responsabile della ricerca: il biologo canadese Andrew Derocher. Comunque, precisa l’Ispettorato, l’indagine prosegue anche sull’integrità scientifica di Monnett. Strano ter, la cosa è smentita anche dal direttore del BOEMRE - Alaska.

Dal 13 luglio Derocher e il suo gruppo stavano con le mani in mano. Il 2 agosto - scrive Eugenie Samuel Reich su Nature - il BOEMRE lo ha avvisato di aver revocato la sospensione delle ricerche. Ma è già iniziato il "Polarbear-gate". Da un lato, commentatori e politici "scettici" sul riscaldamento globale secondo i quali i ghiacci artici stanno bene e gli orsi pure, accusano Monnett e i ricercatori in generale di truccare i dati e/o rubare i soldi, con l’aggravante che degli orsi ha parlato anche l’ex presidente Al Gore. Dall’altro, chi segue da anni le decisioni del BOEMRE, sempre favorevoli ai petrolieri, e le sue persecuzioni di scienziati dissenzienti ricorda che secondo il BOEMRE la Deepwater Horizon della BP, era a prova di incidente. Come risultò dalla documentazione consegnata al Congresso, non aveva controllato nulla, ma siccome lo dicevano gli esperti alle dipendenze dei costruttori e della BP.

(1) Nell’insieme l’interrogatorio è surreale, ma da pagina 45 in poi la parte sulla statistica è degna dei Monty Python.

Fonte: OggiScienza

03 AGOSTO

APPROCCIO GLOBALE ALLA GESTIONE DELLA PESCA
Nel contesto di una riforma radicale della Politica Comune della Pesca (Pcp), la Commissione Europea ha definito un approccio globale alla gestione della pesca in Europa. I piani puntano a garantire la futura sopravvivenza sia degli stock ittici sia dei mezzi di sussistenza dei pescatori, mettendo fine all’eccessivo sfruttamento e al depauperamento dei mari. La riforma introdurrà un approccio decentrato alla gestione della pesca basato su conoscenze scientifiche, a livello delle regioni e dei bacini marittimi, e definirà migliori norme di governance nell’Unione e a livello internazionale tramite accordi di pesca sostenibile.
Nel presentare le proposte, la commissaria Maria Damanaki, responsabile per gli Affari Marittimi e la Pesca, ha sostenuto che serve agire immediatamente per riportare gli stock a livelli di sicurezza e preservarli per le generazioni presenti e future: "Ciò significa che occorre gestire correttamente ogni singolo stock, prelevando quanto possibile senza mettere a rischio la salute e la produttività futura delle risorse ittiche. Ne risulteranno catture più elevate, un ambiente sano e la garanzia dell’approvvigionamento di prodotti del mare".
Sostenibilità a lungo termine: tutti gli stock ittici devono essere portati a livelli sostenibili entro il 2015, conformemente agli impegni assunti dall’Unione a livello internazionale. Per tutti i tipi di pesca sarà adottato un approccio ecosistemico, con piani di gestione a lungo termine basati sui migliori pareri scientifici disponibili. Sarà progressivamente eliminata la pratica dei rigetti, consistente nel ributtare in mare le catture accidentali di pesce, che costituisce uno spreco di risorse alimentari e una fonte di perdite economiche; i pescatori avranno l’obbligo di sbarcare tutto il pesce catturato. Le proposte includono obiettivi specifici e scadenze definite per porre fine al sovrasfruttamento, strumenti basati sul mercato come le quote individuali di cattura negoziabili, misure di sostegno per la pesca artigianale, una migliore raccolta dei dati nonché strategie volte a promuovere un’acquacoltura sostenibile in Europa.
I consumatori potranno ottenere migliori informazioni in merito alla qualità e alla sostenibilità dei prodotti che acquistano. I principi e gli obiettivi strategici generali verranno prescritti da Bruxelles, ma spetterà agli stati membri definire e applicare le misure di conservazione più appropriate. Gli operatori del settore alieutico dovranno adottare le loro decisioni economiche per adattare le dimensioni delle flotte alle possibilità di pesca. Le organizzazioni di produttori svolgeranno un ruolo più efficace nell’orientare l’approvvigionamento dei mercati e nell’aumentare i profitti dei pescatori. Il sostegno finanziario sarà concesso unicamente a iniziative ecocompatibili che contribuiscano a una crescita intelligente e sostenibile. Un rigoroso meccanismo di controllo escluderà ogni finanziamento che possa avere effetti perversi in termini di attività illecite o di sovracapacità.
Il nuovo pacchetto viene sottoposto al Parlamento europeo e al Consiglio per essere adottato secondo la procedura legislativa ordinaria (codecisione). Il termine auspicato dalla Commissione per l’adozione e l’entrata in vigore del nuovo quadro normativo è il 1° gennaio 2013. Nel corso dell’anno la Commissione intende proporre un nuovo meccanismo di finanziamento per la politica della pesca e degli affari marittimi, in conformità con il quadro finanziario pluriennale. Fonte: www.europarlamento24.eu.

02 AGOSTO

STRAGE DI OTARIE IN NAMIBIA: COSTRETTI ALLA FUGA GLI ATTIVISTI DI SEA SHEPHERD
Non capita spesso che una piccola organizzazione di conservazione venga accusata di essere una minaccia per la sicurezza nazionale di un'intera nazione. La mia squadra è appena tornata al sicuro in Sudafrica dopo aver completato l'operazione Desert Seal, missione segreta di Sea Shepherd in Namibia. Li ho incontrati venerdì 22 Luglio a Durban nel KwaZulu-Natal.
La nostra missione era di documentare e denunciare l'orribile massacro di cuccioli di otarie lungo le spiagge del deserto ventoso e freddo delle coste dell'Africa sud-occidentale. Devo aggiungere che era stato difficile restare in incognito in questi giorni, soprattutto quando il nostro show televisivo, Whale Wars, sembra essere così popolare, anche in Africa meridionale. Il mio ruolo era quello di fare interviste in loco presso la Croce del Capo Seal Reserve il giorno in cui il massacro dei cuccioli di otarie stava per iniziare. Ho fatto le interviste come previsto, ma non c'erano cacciatori in vista. A quanto pare, molte persone mi avevano riconosciuto, e si era sparsa la voce che Sea Shepherd era sulla costa della Namibia.
Il risultato è stato che gli addetti al sito di lavorazione ci hanno intimato di stare lontano dalla spiaggia, e l'uccisione è stata ritardata. Tuttavia, questa tregua è durata solo per cinque giorni. Durante questo periodo, la nostra casa in affitto è stata presa di mira dai ladri, nonostante il fatto che una donna membro dell'equipaggio fosse all'interno della casa in quel momento. È riuscita a fuggire, ma tornando indietro con altri membri dell'equipaggio hanno trovato le telecamere distrutte ed i passaporti spariti, insieme a computer portatili e denaro. Una banda di cacciatori di foche in Henties Bay ha anche aggredito alcuni membri del nostro equipaggio, tra cui il capo della campagna Steve Roest. Steve è venuto fuori da un negozio trovando un altro membro dell'equipaggio circondato da un gruppo di uomini arrabbiati che gli urlavano in faccia. È riuscito a mantenere la calma come Steve, entrambi sono tranquillamente saliti in macchina e si sono allontanati verso una zona più sicura. News integrale sul sito di Sea Shepherd.

RACCOLTA DIFFERENZIATA ANCHE IN SPIAGGIA
Giornali, buste, sacchetti, bottiglie e tanti altri oggetti gettati in spiaggia hanno le ore contate. Il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo Imballaggi a Base Cellulosica (Comieco) lancia un appello ai vacanzieri per migliorare, anche nel periodo estivo, i buoni risultati con raccolta differenziata di carta e cartone nel 2010.
Lo scorso anno, secondo il Rapporto Annuale Comieco, sono stati raccolti oltre tre milioni di tonnellate di carta e cartone, evitando così l'apertura di 26 nuove discariche. Praticare la raccolta differenziata in spiaggia, d’altronde, è semplice. Occorre ricordarsi di smaltire la carta nel modo corretto, ogni volta che si viene a contatto con riviste, quotidiani e tutti quegli oggetti fatti con carta e cartone. Il Comieco, forte dei dati sulla raccolta differenziata del 2010, spiega che i vantaggi sociali connessi a questa pratica interessano vari ambiti, tra cui la disponibilità nuovi posti di lavoro, la riduzione delle emissioni di CO2 e un passo in avanti verso la sostenibilità della vita quotidiana di ognuno. Fonte: Aqva.com - Vedi anche XVI Rapporto Comieco.

01 AGOSTO

PARTE IL FERMO PESCA IN ADRIATICO
Parte oggi il fermo biologico di due mesi nel mare Adriatico, attuato per evitare l’eccessivo sfruttamento del mare e delle risorse ittiche.
Il fermo viene raddoppiato rispetto ai soliti trenta giorni estivi e potrà essere allungato di altri tre giorni entro le otto settimane successive alla ripresa delle attività, prevista il 3 ottobre 2011. Il provvedimento si è reso necessario per l’attuazione delle disposizioni europee in vigore e per combattere lo sfruttamento delle risorse ittiche del Mare Adriatico. La stessa Lega Pesca aveva chiesto con insistenza un blocco di quarantacinque giorni per far riposare il mare, anche se con il provvedimento in atto si apre la questione dei risarcimenti per imprese e lavoratori della pesca, che chiedono al Ministero un’indennità simile a una vera e propria cassa integrazione per i lavoratori imbarcati. Fonte: Aqva.com.

PESCE POCO...ITALIANO

Nel 2010, delle 900mila tonnellate di pesce vendute solo 231mila sono risultate pescate sulle coste italiane. Le importazioni 'selvagge' avvengono soprattutto da paesi asiatici. Si tratta di prodotti senza tracciabilità. La qualità è scarsa e rischia di essere un danno alla salute di chi lo consuma

l gambero di Mazara (TP) arriva dal Mozambico. Il polpo di Mola (BA) dal Vietnam. Il filetto di cernia di Gallipoli (LE), che in realtà è pangasio, dal Mekong, un fiume che si trova tra la Tailandia e il Laos. Come emerge dall’inchiesta pubblicata dal sito web di Repubblica-L’Espresso, oggi in Italia la pesca è uno dei settori più aggrediti dalle importazioni selvagge dall’estero, in particolare dai Paesi asiatici. E soprattutto dalla sofisticazione alimentare. «Due terzi del pesce servito sulle tavole italiane è finto, taroccato», denuncia la Coldiretti.
"Il 30 aprile l’Italia ha mangiato l’ultimo pesce del Mediterraneo" denunciano NEF e Ocean2012, organismi internazionali del settore. "Dal primo maggio tutto quello che arriva sulle tavole italiane non è prodotto nostrano". Ma davvero è così? Che pesce compreremo ai mercati e mangeremo al ristorante quest’estate? Da dove arriva? Chi lo pesca? E soprattutto: fa male alla nostra salute?
Per capire l’entità del fenomeno forse è bene cominciare dai numeri. Lo scorso anno in Italia sono state commercializzate, dice l’Irepa (Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l’Acquacoltura), circa 900.000 tonnellate di pesce per un ricavo di circa 1.167 milioni di euro. Bene: di tutto il pesce messo in commercio, soltanto 231.109 tonnellate erano state pescate nel mare italiano. Un terzo, appunto. Tutto il resto arriva dall’estero. Il problema è che molto spesso, anzi quasi sempre, denunciano le associazioni di categoria e confermano le forze di polizia che da Milano a Palermo attuano sequestri ed aprono inchieste, il pesce che arriva dall’estero non è di buona qualità. Spesso è pericoloso perché non tracciato e non tracciabile. E soprattutto viene venduto per quello che non è.
Non potevano credere ai loro occhi gli uomini della Capitaneria di porto di Mazara quando, sulle bancarelle della marina più grande d’Italia, hanno trovato i gamberetti rossi che arrivavano direttamente dal Mozambico. E nonostante questo spacciati dai pescatori per italianissimi. A Gallipoli, invece, la Finanza in mezzo al mercato del pesce all’interno del porto - meta di pellegrinaggi di turisti da tutta Italia per il folclore e la poesia dei pescatori che rientrano in porto dopo una giornata in mare e vendono il prodotto appena tirato su con le reti - ha sequestrato una bancarella che vendeva esclusivamente pesce taroccato: di fresco aveva soltanto alici e sarde fresche, i prodotti cioè che costano di meno.
Tra i falsi più diffusi c’è poi il pangasio, un pesce pescato (allevato - nota di biologiamarina.eu) nel Mekong, un fiume che si trova tra la Thailandia e il Laos, che viene abitualmente venduto come fosse un filetto di cernia. Oppure nelle fritture servite nei ristoranti di casa nostra, il polpo non è polpo. O meglio, non è del Mediterraneo ma arriva direttamente dal Vietnam. Era asiatico per esempio anche il polpo venduto lo scorso anno nella sagra di Mola, in provincia di Bari, che per rendere l’idea è come comprare il tartufo di Avellino ad Alba. Frequente anche il caso del merluzzo fresco, o del presunto tale: dicono i sequestri dei Nas che spesso si tratta di pollak stagionato.
Tra i pesci più 'copiati' c’è poi il pesce spada che invece altro non è che trancio di squalo smeriglio. Poi c’è anche il caso di baccalà, in realtà filetto di brosme oppure del pagro fresco venduto come dentice rosa. E ancora il pesce serra al posto delle spigole, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, la verdesca al posto del pescespada, l’halibut atlantico al posto delle sogliole. Infine, gli spaghetti con le vongole: 75% di possibilità che siano state pescate in Turchia. Fonte: Italia a Tavola. Reportage su RE Inchieste di Repubblica.it.

LE TRIVELLE MINACCIANO IL MARE
Circa 30mila chilometri quadrati di mare rischiano di essere occupati da nuove piattaforme petrolifere. Tra i tratti di mare maggiormente a rischio, il canale di Sicilia e le coste adriatiche di Puglia, Molise, Abruzzo e Marche.
L’allarme è stato lanciato da Goletta Verde, tramite il dossier 'Un mare di trivelle', che illustra tutti i rischi legati alle 117 nuove trivelle da realizzare nel territorio nazionale, mare compreso: sono 25 i permessi di ricerca rilasciati finora, per un totale di quasi 12mila chilometri quadrati distribuiti tra il canale di Sicilia, l'Adriatico settentrionale, il mare tra Marche e Abruzzo, il mare di Puglia e Sardegna, senza considerare i permessi rilasciati per le attività di ricerca petrolifera: aggiungendo le aree interessate alla ricerca, sono 30mila i chilometri quadrati a rischio. Un’area più grande della Sicilia, per intenderci.
Nello specifico, le aree di mare oggetto di richiesta di ricerca sono 39: 21 nel canale di Sicilia, 8 tra Marche, Abruzzo e Molise, 7 sulla costa adriatica della Puglia, 2 nel golfo di Taranto, e una nell'Adriatico settentrionale. Legambiente denuncia un vero e proprio stato di assedio dei nostri mari, grazie anche alle condizioni molto vantaggiose per le compagnie petrolifere straniere per le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. In particolare, la maggiore produzione di petrolio da trivellazione a mare avviene tra Gela e Ragusa e nel mar Adriatico centro meridionale. Secondo il dossier di Legambiente, le compagnie petrolifere sarebbero interessate proprio a queste due zone per iniziare le nuove trivellazioni, che non risparmierebbero nemmeno aree marine protette come le isole Egadi e le isole Tremiti. Fonte: Aqva.com.