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31 GENNAIO 2011

FALLITO IL PIANO DI CONSERVAZIONE DEGLI SQUALI

Solo 13 di 20 Paesi dove la caccia a questi animali è intensa hanno approvato un piano di difesa come aveva chiesto nel 2001 la FAO. Le popolazioni di squali in tutto il mondo sono in calo soprattutto a causa della pesca eccessiva per soddisfare la domanda per la zuppa di pinne di squalo nell’Asia orientale.

Un piano internazionale di 10 anni destinato alla conservazione degli squali è in gran parte fallito, e solo 13 dei 20 paesi che catturano squali hanno sviluppato piani nazionali per proteggere queste creature in pericolo. Shark finning
Le popolazioni di squali in tutto il mondo sono in calo soprattutto a causa della pesca eccessiva per soddisfare la domanda per la zuppa di pinne di squalo nell’Asia orientale.
Nel 2001, l’United Nations Food and Agriculture Organization (FAO) aveva approvato un piano internazionale a favore degli squali dopo aver scoperto la mancanza di un monitoraggio serio del commercio internazionale.
Nella sua relazione, il Traffic and the Pew Environment Group ha sollecitato un incontro con il comitato di settore pesca della FAO per esaminare le iniziative da prendere con urgenza per la gestione della pesca di questi animali.
"Con il 30 per cento delle specie di squali ora minacciate o in prossimità di via di estinzione, ci sono poche prove che il piano abbia contribuito in modo significativo alla migliore conservazione e gestione di questi animali," ha detto Traffic in un comunicato.
I venti paesi rappresentano quasi l'80% del numero totale di squali pescati a livello mondiale. Si stima che 73 milioni di squali vengono uccisi ogni anno per lo più per le loro pinne: lo ha detto l’anno scorso lo statunitense Environmental Defense Fund.
L’Indonesia colleziona da sola il 13 per cento delle catture di squali del mondo, secondo il rapporto di Trafic, che era intitolato "Il futuro di squali: una recensione di azione e inazione". Le altre nazioni coinvolte nella caccia sono India, Spagna, Taiwan, Argentina, Messico, Pakistan, Stati Uniti, Giappone e Malesia.
Solo 13 delle 20 nazioni hanno messo a punto piani di azione per la protezione degli squali e non è chiaro come siano state attuate o se sono stati efficaci.
"Il destino di squali del mondo è nelle mani di quesi venti Paesi, molti dei quali non sono riusciti a dimostrare cdi stare facendo quacosaper salvare queste specie in pericolo", ha detto Glenn Sant, leader mondiale di Trafic. Fonte: Aqva.

BALENA SPIAGGIATA
Nei giorni scorsi era stata avvistata una balenottera al largo della Versilia. Aveva una profonda ferita sulla pinna dorsale. Chissà se è lei quella spiaggiata il 27 gennaio tra le foci del fiume Serchio ed il fiume Morto (PI). Ad ogni modo, così ridotta, non vi era molto che ispirasse il nomignolo di "Regina di San Rossone", che invece qualcuno ha voluto dare per tipicizzare la carcassa in decomposizione.
In tutto diciotto metri di balena per trenta tonnellate di peso. Dovrebbe essere stata già rimorchiata al largo dove, tra alcuni mesi sarà recuperata e destinata al Museo di San Rossone. Gli ultimi avvistamenti di balena in Toscana risalgono a questa estate, a Forte dei Marmi, e nel 2007 nell’isola d’Elba dove addirittura entrarono nell’approdo di Portoferraio. La balena appariva denutrita ma per capire le cause della morte occorrerebbe l’autopsia.
Stante la denuncia di Greenpeace, sembrerebbe che per alcuni quella balena sia una illusione ottica. Secondo la Valutazione di Impatto Ambientale predisposta dal Ministero dell’Ambiente per il rigassificatore off shore previsto nella zona, da quella parti non vi sono cetacei. Per Greenpece la supposta assenza dei cetacei è a dir poco delirante, mentre molto più con i piedi per terra è la situazione di gravo degrado dell’intera area. Fonte: GeaPress.

APRE IL MUSEO DEL MARE A CHIOGGIA
Un museo idrobiologico a palazzo Grassi. La struttura, gestita dall'università di Padova che a Chioggia da anni tiene il corso di laurea in Biologia marina, aprirà il 5 febbraio. Il museo esporrà tutta la collezione zoologica della Stazione idrobiologica, quasi 1300 pezzi, e l'esemplare di squalo elefante pescato nel 2004. Il museo sarà un'ottima carta da giocare anche sul profilo turistico, come ha saputo fare Bilbao con l'oceanografico. La collezione di zoologia marina è conservata nella Stazione idrobiologica di San Domenico dal '68 su input del professor D'Ancona ed è l'unica di valore storico per l'Alto Adriatico. Negli anni la collezione, che conta 1258 esemplari, è stata catalogata, studiata e conservata. Dopo 40 anni tutto il materiale lagunare e marino troverà spazio al museo di palazzo Grassi che sarà intitolato al naturalista chioggiotto Giuseppe Olivi. L'apertura del museo è possibile grazie al progetto «Clodia», presentato dalla professoressa Maria Berica Rasotto, responsabile del corso di Biologia. La collezione storica sarà il fulcro del museo e fornirà lo spunto per parlare di biodiversità marina, di tradizioni pescherecce, di gestione responsabile delle risorse ittiche, oltre a creare un legame ancor più stretto con la struttura universitaria patavina, sotto il profilo della formazione ma anche della ricerca. Molti temevano che con la caduta della giunta il progetto potesse subire una battuta d'arresto facendo slittare l'apertura, invece l'iter è proseguito secondo la scaletta e fra un paio di settimane, alla presenza delle autorità regionali e universitarie, il museo sarà inaugurato. Ne ha seguito da vicino l'iter l'ex consigliere Sandro Varagnolo, da 30 anni socio del Gruppo naturalistico Linneo. «Il museo ha senza dubbio una valenza culturale e scientifica - sottolinea Varagnolo - ma anche turistica. Va apprezzato lo sforzo dell'università dell'universitàche, malgrado i tempi e le burocrazie della politica, ha lavorato per accelerare l'apertura». Il museo sarà aperto d'estate anche in orario serale, probabilmente dalle 20 alle 24, per favorirne la fruizione turistica. Fonte: Nuovavenezia.

29 GENNAIO 2011

IL PRIMO STUDIO SUL CORETIX USATO NEL GOLFO DEL MESSICO

Coretix

Primo studio sul COREXIT ® 9500 (EC9500A) apparsa sul Journal of Environmental Science & Technology, grazie al lavoro degli scienziati del Woods Hole Oceanographic Institution, nel Massachusetts. Ciò che si apprende leggendo l'articolo, tuttavia, non cambia molto in termini di conoscenza. Quello che molti supponevano, è stato confermato. Il greggio fuoriuscito dal pozzo Macondo è ancora li, tutto ammucchiato, appiccicato al disperdente usato in dosi massicce e direttamente sul fondale a 1.500 metri di profondità. Del resto era gia noto che taluni disperdenti non biodegradano affatto il petrolio, piuttosto tendono a farlo precipitare sul fondo, dove in assenza di ossigeno la percentuale di degradazione, come assodato dallo studio ora pubblicato, è del tutto irrilevante.
E continuano a morire i pellicani in Florida, nonché pesci, gamberi e moltissimi animali marini.

28 GENNAIO 2011

L'ECATOMBE DEGLI SQUALI
Lungo le vie della comunicazione, si è persa la notizia che dal 31 gennaio prossimo e fino al 4 febbraio, presso la sede della FAO di Roma in viale della Terme di Caracalla, si terrà la ventinovesima sessione del COFI. Trattasi di un organismo della FAO che si occupa dei problemi della pesca, ivi compresa l’acquacoltura, nonché luogo di scelta di strumenti ed accordi sebbene non vincolanti (della serie parlate quanto volete). COFI COFI
Tra i punti all’ordine del giorno: i progressi compiuti contro la pesca illegale, i cambiamenti climatici ed i loro riflessi su pesca ed acquacoltura, la gestione della piccola pesca, il ruolo della FAO per una migliore integrazione della pesca e del’acquacoltura nella conservazione della biodiversità e la tutela dell’ambiente. Quest’ultimo abusatissimo proposito è finanche utilizzato dagli zoo per riempire le loro gabbie di animali in via di estinzione, che solo in rarissimi casi hanno (forse), un minimale riflesso sulle popolazioni selvatiche. Sul primo punto, invece, ovvero i progressi contro la pesca illegale, dobbiamo solo sperare che le dichiarazioni del nostro Ministro Galan vengano lette solo nella parte degli sforzi operati dalle Capitanerie ed altri organi di polizia contro i bracconieri del mare. Speriamo cioè che il suo giudizio sul fatto che tale fenomeno non sia allarmante, non venga attenzionato.
A dire il vero, però, anche la funzionalità del COFI e più in generale di tutti gli organismi internazionali viene messa costantemente in dubbio. In coincidenza della prossima apertura dei lavori romani, l’Ufficio Traffic ed una organizzazione non governativa che lavora sulle corrette scelte del mondo politico (The Pew Charitable Trust) hanno pubblicato un dossier che esamina il mastodontico problema della cattura di squali. Questi sono prevalentemente pescati per la zuppa di pinne, molto diffusa in alcuni paesi asiatici, sebbene le industrie della pesca non siano solo di quei paesi. Anzi.
Il motivo per il quale le scelte di questi organismi possono apparire del tutto teoriche (del resto sono non vincolanti per i Governi) risiede nel fatto che proprio in tema di protezione degli squali il recente report dimostra il fallimento di un altro piano varato, in ambito FAO, dieci anni addietro. Da allora, il 30% delle specie sono minacciate o in pericolo di estinzione e sebbene il totale del pescato sia diminuito, i propositi iniziali sono in buona parte sconfessati. Inoltre, contrariamente a quello che potrebbe sembrare, ben quattro paesi europei (Spagna, Francia, Portogallo e Regno Unito) appaiono tra i primi venti per la pesca dello squalo. La Spagna, addirittura, è terza a livello mondiale dopo Indonesia ed India. Assieme a Taiwan il loro "contributo" sulla pesca dello squalo e circa il 35% del totale.
Sempre tra i primi venti appaiono altri paesi che, forse perché afferenti ad una tradizione culturale anglosassone o latina simile alla nostra, non ci saremmo aspettati. Messico, Argentina, USA e Nuova Zelanda. I primi tre sono addirittura, assieme alla Nigeria, gli unici paesi che denunciano un incremento del pescato. Tutti e venti pescano circa l’80% del totale mondiale, pari a circa 640.000 tonnellate. Più o meno (tra grandi e grossi) 73 milioni di squali. Quando ci chiediamo come si possa mangiare (sebbene sotto forma di pinna bollita) la carne di squalo, non meravigliamoci troppo. In Italia lo squalo non compare solo nei menu dei ristoranti esotici. Nei nostri mercati ce ne sono parecchi, pur presentati nelle mille varianti dialettali. Alcuni di loro? Il gattuccio, lo spinarolo, la verdesca, il gattopardo, il palombo e la vitella di mare, ovvero (nome fuorviante a parte) squalo smeriglio. Fonte: GeaPress.

LE ULTIME BALENE GRIGIE
È del 26 gennaio la notizia che una balenottera comune (Balaenoptera physalus) si è spiaggiata lungo le coste della Versilia, in pieno Santuario dei Cetacei. Sarà possibile conoscere le cause della morte una volta che verrà effettuata l’autopsia. Dalle foto apparse sui quotidiani nazionali è possibile al momento stabilire che si tratta di un maschio adulto.
Ma altre balene, per noi meno familiari della balenottera comune che vive in Mediterraneo, rischiano di veder alterato il loro habitat definitivamente. E quindi di vedere compromesse le loro possibilità di sopravvivenza. La Sakhalin Energy Investment Company ha annunciato un piano per la realizzazione di una piattaforma petrolifera off-shore in una zona considerata di cruciale importanza per la popolazione nord-pacifica della balena grigia (Eschrichtius robustus) di cui rimangono solo 130 esemplari.
La zona di mare, dove la multinazionale russa ha scelto di costruire la piattaforma, è di primaria importanza per questi cetacei che lì vanno a mangiare, perché trovano prede in abbondanza. Disturbare questi animali sia nella fase di ricerca di un sito idoneo, sia in quella di costruzione della piattaforma e in quella successiva di attività (senza considerare il traffico marittimo che si svilupperà di conseguenza) significa probabilmente estinzione per questa specie.

Ci sono al momento solo 30 femmine in età matura, troppo poche per sperare che la specie possa riprendersi, afferma Alesksey Knizhnikov, rappresentante russo del dipartimento fonti energetiche del WWF.

Questa specie è classificata dalla IUCN come gravemente minacciata (Critically endangered) e si ritiene che sia geneticamente separata dalla sottospecie orientale, più abbondante; le due popolazioni non ibridano tra loro.
La Sakhalin ha già programmato per quest’estate un survey per scegliere il punto dove sorgerà la nuova piattaforma. Durante questa ricerca per scovare dei giacimenti sottomarini di petrolio si useranno tecniche di investigazione molto rumorose e impattanti sull’ambiente acquatico. Come tutti i cetacei le balene grigie usano i suoni per muoversi, comunicare tra di loro e cercare cibo. Produrre rumore significa sottoporre questi animali a uno stress eccessivo.
La multinazionale russa è già operativa nell’area con due piattaforme e in passato aveva comunicato che non sarebbero stati necessari altri impianti di estrazione. Un documento della stessa compagnia, risalente a dieci anni fa e disponibile on line, rivela che la costruzione di una terza piattaforma non sarebbe compatibile con le caratteristiche del fondale oceanico di quella zona, soggetta a fenomeni di terremoto. Fonte: OggiScienza a cura di Mauro Colla.

27 GENNAIO 2011

LE MEDUSE DEL GOLFO DEL MESSICO
A largo delle Florida Keys, centinaia di tentacoli pungenti penzolano da una Drymonema larsoni - una nuova specie di meduse che si nutre di altre meduse. Osservati per la prima volta nel Golfo del Messico, questi esemplari si riteneva appartenessero della specie chiamata Drymonema dalmatinum, conosciuta sin dalla fine del diciannovesimo secolo, rintracciabile nel Mar Mediterraneo, nel Mar dei Caraibi e a largo delle coste Atlantiche del Sud America.... news completa su National Geographic Italia.

SEQUESTRO DI TONNI IN SICILIA E STRAGE DI ANIMALI A LAMPEDUSA
Da GeaPress arrivano due tristi notizie. La prima riguarda il mare e, in particolare, il sequestro di tonno rosso, la seconda riguarda invece l'attività venatoria su una delle più belle isole del Mediterraneo, che viene ogni anno praticamente spogliata dei suoi abitanti piumati. Di seguito le due news:

1.000 Kg DI TONNO SEQUESTRATI A PALERMO
Presi uno ad uno con i lunghissimi palangari da dove ciondolano le lenze con i mortali ami. Il tonno muore così. Preso ormai in qualsiasi periodo dell'anno. Sempre più raro e sempre (tonno più tonno meno) per l'industria conserviera, specie giapponese.
La Squadra Nautica della Questura e la Sezione Operativa della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Palermo l’avevano atteso, la scorsa notte, all’entrata del porto di Balestrate (PA). Ancora un porto minore per i loschi traffici. Il motopesca è entrato in porto lentamente ed a luci spente. Ad attenderlo un furgone, anch’esso a luci spente. In tutto seicento chilogrammi del sempre più raro tonno rosso, per buona metà sotto misura. Ad ogni modo prelevato da una imbarcazione non autorizzata per questo tipo di pesca.
Denunciati due uomini, mentre tutto il pescato è stato sequestrato. A questi 600 chilogrammi se ne devono aggiungere altri 400 sequestrati dalla Guardia di Finanza nei pressi di Palermo. Anche per questi si era utilizzato un porto minore. Una tonnellata di illegalità. In una sola città ed in poche ore. Anzi di più di una tonnellata perché, sempre recentemente, un altro sequestro era avvenuto a Porticello (PA), non abilitato allo sbarco del tonno.
Ma ad andare a ritroso non si finisce più, come per il bianchetto (novellame di sarda). Centinaia di chili sequestrato un pò ovunque. L’ultima operazione al largo di Amendolara (CS). Ad intervenire, poche ore fa, la Capitaneria di Porto di Corigliano Calabro. Cento metri di rete sequestrata e ben 15 chili di novellame. Solo pochi giorni addietro, e sempre dalla stessa Capitaneria, oltri 140 metri di rete sequestrata e dieci chili di novellame.
Una sequenza infiniti. Un mare di illegalità. Speriamo che il Governo, ed il Ministro Galan (vedi articolo GeaPress) sappiano potenziare i controlli. L’impressione che si ha, è che questo sia solo la punta di un iceberg. Fonte: GeaPress.

STRAGE A LAMPEDUSA
llodole, pispole, pivieri, nel carniere del cacciatore che a Lampedusa si diverte pure con il tiro al bersaglio degli uccelli feriti. Un vero e proprio plotone d’esecuzione, filmato dai volontari della LIPU nei giorni di campo antibracconaggio condotti nell’isola delle Pelagie. Un problema, quello dell’illegalità venatoria, non solo di Lampedusa ma di tutte le piccole isole siciliane assalite sia da cacciatori locali che del centro e nord Italia..... news integrale su GeaPress.

26 GENNAIO 2011

BALENA SPIAGGIATA IN TOSCANA
Una balena di 25 metri si è spiaggiata tra il fiume Morto e la foce del Serchio all'interno del parco naturale di San Rossore, a Pisa. Sul posto sta operando la vigilanza del Parco insieme alla capitaneria di porto per rimuovere la carcassa del cetaceo. Già domenica pomeriggio, nel corso delle consuete visite guidate al parco, la balena era stata vista aggirarsi in quel tratto di mare dove peraltro il fondale raggiunge solo basse profondità. Dopo pochi minuti di evoluzioni l'animale era però scomparso alla vista di visitatori e guide ambientali e sembrava avere ripreso il largo. Fonte: InToscana.

DISASTRO DELLA E.ON IN SARDEGNA - 5
È allarme anche a Stintino per la mare nera che ha raggiunto le spiagge di Pazzona e delle Saline. Sospinto dal vento di grecale, l’olio combustile fuoriuscito l’11 gennaio scorso dal terminal di E.On, nello scalo industriale di Porto Torres, ha toccato infatti il litorale del centro turistico del nord Sardegna. "Stiamo monitorando la situazione e si sta lavorando per evitare un danno ambientale maggiore lungo la costa, che possa anche tradursi in un danno di immagine – spiega il sindaco Antonio Diana – c’é la massima concentrazione da parte dei nostri uffici, siamo preoccupati. Speriamo che si tratti di pochi residui che potranno essere recuperati in breve tempo".
Il Comune, già dal giorno dell’incidente al porto industriale, aveva attivato le squadre della Compagnia Barracellare per tenere sotto stretto controllo le spiagge stintinesi. È stato l’Ufficio Tecnico, questa mattina, ad avvisare il primo cittadino, quindi l’assessore competente, Angelo Moschella, del ritrovamento di alcune zolle di catrame sulla spiaggia bianca di Pazzona. Il Comune ha quindi avvisato la Capitaneria di Porto Torres e la Provincia di Sassari. La multinazionale E.On ha inviato sulla spiaggia una squadra di operatori della Verdevita che si sta occupando di recuperare il prodotto, ritrovato anche in mezzo alle Posidonia spiaggiata. A mare la Capitaneria ha effettuato un controllo sino alle spiagge della Pelosa e della Pelosetta. A terra, gli uomini della Delegazione di Spiaggia, guidati dal comandante Agatino Carciola, hanno perlustrato il tratto di costa. "Al momento – ha fatto sapere il comandante – non si segnalano altri ritrovamenti, mentre non è stata ancora quantificata la quantità di materiale rinvenuto".

INCHIESTA ACCELERA, ATTESI PRIMI INDAGATI. Potrebbero essere resi noti in settimana i nomi dei primi indagati nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Sassari per danno ambientale, aperta dopo l’incidente dell’11 gennaio scorso nello scalo industriale di Porto Torres. Il sostituto procuratore Paolo Piras, che nei giorni scorsi ha ricevuto una prima relazione da parte degli uomini della Capitaneria, sta focalizzando l’attenzione sulle cause della perdita di olio in mare, dovuta alla rottura di un tubo interrato nella banchina, conseguenza di un cedimento di una soletta. La banchina era stata collaudata il 24 luglio 2002 da una commissione formata da Capitaneria di porto, Genio civile opere marittime della Sardegna, Vigili del fuoco e Endesa Italia, la società allora proprietaria della centrale di Fiume Santo, oggi della multinazionale E.On. Intanto la marea nera non si ferma e arriva sul litorale di Stintino. Alcune zolle di catrame sono state ritrovate stamattina sulla spiaggia delle Saline e in quella di Pazzona. La squadra della società di bonifiche Verdevita è al lavoro per la pulizia, mentre a terra e a mare la Capitaneria di Porto Torres e gli uomini della Delegazione di spiaggia di Stintino stanno effettuando gli opportuni controlli. Fonte: Ansa.

I sardi nel frattempo, si organizzano da soli. Nella pagina Facebook (grazie a Daniele Puddu che se ne sta occupando egregiamente) si può leggere: Procuratevi gli stivali, poi se volete, anche gli occhiali. I guanti che ci hanno consegnato il 19 non andavano bene, erano da piatti..... oggi abbiamo ricevuto i guanti giusti... le maschere sono sempre poche, l'olio è tutto in mare aperto e sta arrivando nelle nostre coste, quello che abbiamo visto è solo un decimo di quello che deve arrivare.
Altro contributo sul sito di Sea Shepherd: idrocarburi, bugie e verità non dette.

BAGLIORI NEL BUIO

Di giorno la marea rossa non ha un bell’aspetto: le acque del mare assumono una colorazione marrognola, e nemmeno l’odore è così invitante. Si tratta infatti di miliardi e miliardi di alghe monocellulari, note con il nome di dinoflagellate, che fioriscono in certi periodi dell’anno e la cui proliferazione talvolta raggiunge picchi tali da renderle visibili ad occhio nudo, anche per causa di un eccesso di nutrienti immesso in mare dagli scarichi umani.
Di notte però la marea rossa può dare uno spettacolo a dir poco magico. Le dinoflagellate infatti hanno la caratteristica di emettere una singolare bioluminescenza, che "accende" di delicati bagliori la superficie marina. Fonte: OggiScienza a cura di Federica Sgorbissa.

UN SOLVENTE BIODEGRADABILE PER LA MAREA NERA
I recenti disastri ambientali nel Golfo del Messico e nel porto di Dalian, in Cina, hanno evidenziato la gravità degli effetti di una fuoriuscita di petrolio di incredibile vastità e le difficoltà che derivano nel fronteggiare un evento di questa portata. Con effetti sulla popolazione locale in termini di malattie respiratorie, patologie della pelle e di aumento statistico di tumori e aborti, le catastrofi in mare rappresentano un vero e proprio problema per le sorti dell’uomo e di numerosi animali. Il petrolio, infatti, essendo più leggero dell’acqua, forma in superficie uno strato compatto che porta il soffocamento della vita nell’ecosistema acquatico oltre che la tendenza a formare depositi bituminosi su tutto ciò che incontra.
Attualmente la soluzione che viene utilizzata è quella di prodotti disperdenti che abbassano la tensione superficiale dello stato oleoso e disperdere le macchie in piccole particelle. Queste miscele però contengono solventi e derivati di idrocarburi, come il butossietanolo, dannosissimo per l’uomo, per la riproduzione e per l’ambiente.
Un eminente esperto di biologia marina quale Richard Charter scrive: "I solventi hanno componenti chimiche tossiche che possono rivelarsi per certi versi peggiori del petrolio". Disperdere il petrolio è considerato uno dei modi migliori di proteggere gli uccelli ed evitare che l’olio si depositi, ma i solventi contengono tossine capaci di uccidere i pesci e di conseguenza tutto l’ecosistema dell’area. Può capitare però che nel mondo, in Italia, ci sia un ricercatore, un’azienda a vocazione ambientalista, che sia riuscita dopo 40 anni di studio ad inventare una soluzione composta da estratti vegetali capaci di disperdere il petrolio solubilizzando il manto oleoso. In questo modo, grazie al moto delle onde e alla vastità dell’oceano, quella che era una chiazza circoscritta diventa un inquinante disperso in concentrazione minima, così riducendo al minimo l’impatto ambientale.
Questo prodotto si chiama Maggiordomo Ecoremover. Nato dall’esperienza dei prodotti de Il Maggiordomo, l’Ecoremover è un innovativo prodotto disinquinante presentato come rimedio ai danni provocati all’ecosistema dalla fuoriuscita del petrolio in mare perché emulsiona e disgrega senza essere infiammabile. Adatto per dissolvere petrolio, greggio, graffiti, gasolio, oli, catrame, solventi, vernici, inchiostri e colle, il prodotto si differenzia da quelli della stessa famiglia per l’aspetto della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente, poiché la soluzione è biodegradabile e ipoallergenica così come in linea con la Normativa Europea 67/548/EEC e succ. Questo significa che può essere utilizzato come detergente sicuro e rispettoso del ph della pelle degli uomini e degli animali, che attualmente a causa della mancanza di un prodotto sicuro ed efficace non vengono più ripuliti dal petrolio. Disponibile sugli scaffali dei supermercati italiani, il Maggiordomo Ecoremover non richiede particolare stoccaggio e l’utilizzo di guanti ed altri dispositivi. La miscela formata da estratti vegetali non è pericolosa ai sensi del Regolamento CE 1272/2008. L’azienda che lo produce dagli inizi di settembre ha aperto le sue porte a tutti coloro, associazioni ambientaliste e giornalisti in special modo, che vogliono provare il prodotto per testarne la veridicità e l’efficacia oltre a rendersi disponibili a fornire un campione del prodotto per eventuali prove. Fonte: Aqva.

24 GENNAIO 2011

DISASTRO DELLA E.ON IN SARDEGNA - 4
Ancora silenzio assoluto da parte della maggioranza dei media, soprattutto delle televisioni, sulla fuoriuscita di olio combustibile a Porto Torres, con 18.000 litri di olio combustibile che in questi ultimi giorni hanno raggiunto anche le splendide coste di Santa Teresa e Capo Testa.
Attualmente operano solamente i volontai, mentre completamente assenti le istituzioni.
Leggiamo su un blog: "La gente vuole partecipare, hanno raccolto mille buste di monnezza petrolifera finora". Ma non sono sufficienti i volontari - non possiamo andare avanti così, in Italia, senza personale e a colpo di volontari e di gente che lavora gratis per il bene comune e solo per amore. Dove sono la Castalia, i ministri, la Prestigiacomo?"

Il Governo intanto, fa sapere che, con il ministro Prestigiacomo, riferirà mercoledì prossimo, il 26 gennaio, alle 15, in Commissione Ambiente della Camera. Per il deputato Mauro Pili, che nei giorni scorsi aveva appunto chiesto al Ministro di riferire alle Camere e di attivare tutte le iniziative necessarie, sia per arginare il disastro che per la bonifica dell'intera area costiera, lo Stato si deve costituire parte civile.

GALAN MINIMIZZA GLI EFFETTI DELLA PESCA ILLEGALE
Per capire il danno arrecato dalla pesca del cosiddetto bianchetto, ovvero neonata di sarda, basta guardare cosa questo comporta al mare e non solo alle future (mancate) sarde. La rete con la quale si deve catturare un pesce neonato deve essere necessariamente … piccola. Incredibilmente piccola. Le maglie misurano, infatti, non oltre tre millimetri. Praticamente un muro che fa passare solo l’acqua.. Basterebbe questo, magari, per rendere più cauti gli interventi del Governatore ligure Burlando che vorrebbe riaperta la pesca al bianchetto. Burlando è scandalizzato perché alla Spagna la (disastrosa) pesca è stata, invece, autorizzata dalla UE. Secondo l’ENPA di Savona, però, le cose non stanno esattamente così. Il progetto di pesca in deroga presentato all’Unione Europea dal governo italiano ed elaborato dalla Regione Liguria, sarà probabilmente autorizzato dopo aprile e quindi a stagione di pesca conclusa. Un ritardo burocratico, insomma, che però, secondo l’ENPA savonese, dopo anni di pesche selvagge darà alla creature del mare una primavera tranquilla e fertile.
Nei giorni scorsi centinaia di chili di bianchetto sono stati sequestrati dalle Capitanerie di Porto a Corigliano Calabro, Melito Porto Salvo e Gioia Tauro in Calabria. Poi altri sequestri a Modica (RG) eseguiti dai Carabinieri, ed altri ancora a Gela, Porticello, in provincia di Palermo, e Venezia. In questi ultimi tre casi si trattava di tonno rosso. L’ultimo del quale se ne ha notizia, proprio ieri è di nuovo neonata. Quattrocento chili sequestrati dalla Guardia di Finanza, all’interno di un furgone che viaggiava in direzione del capoluogo siciliano.
I pescatori lavorano in maniera organizzata e divisi in gruppi con funzioni ben precise. Nel sequestro di Porticello (PA), frutto di una operazione congiunta della Capitaneria di Porto e della Polizia di Stato, sono stati rinvenuti ben 186 tonni rossi di cui 45 sotto misura. I bracconieri di mare operavano con almeno tre diversi gruppi. Un peschereccio senza alcuna autorizzazione per la pesca del tonno, una unità di appoggio, mentre a terra era in attesa un furgone. Alcuni tonni venivano inoltre rinvenuti in mare legati ad una boa. Evidentemente erano in attesa che qualcuno li prelevasse. Il valore del pescato, pari a 125.000 euro, giustificava una organizzazione così articolata. In un' intervista che questa estate GeaPress fece al Comandante della Capitaneria di Porto di Sciacca, Tenente di Vascello Daniele Governale, venne illustrata una organizzazione meticolosa che, all’una di notte, tentava addirittura di spiare ed anticipare i movimenti dei militari.
Tutto per la grande industria del pesce? Non solo. Sempre questa estate il Comandante della Capitaneria di Porto de La Maddalena, Capitano di Fregata Fabio Poletto, rivolse accorato appello affinché venisse rispettato il mare. Il danno, di notevole rilevanza, in quel caso era dato dalla pesca spesso praticata dai cosiddetti pescatori sportivi. Il terminale erano i ristoranti locali.
Un quadro allarmante che, nei sequestri di questi ultimi giorni, riflette una situazione di diffusa illegalità documentabile con più interventi quotidiani. Dai ricci di mari alle vongole chioggiane, passando per gli allevamenti di cozze nel Mar Piccolo di Taranto (due sequestri in pochi giorni).
Solo nel 2010, e solo le Capitanerie di Porto, hanno effettuato 121.154 controlli nella filiera della pesca (dal mare al ristorante) contestando sanzioni pari a 7.254.000 euro e sequestrando 425 mila chilogrammi di pescato. I dati, diffusi dallo stesso Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, non giustificherebbero, però, l’inserimento dell’Italia in alcuna black list (come fatto dagli americani). Più che una sottovalutazione, considerata l’entità delle cifre e quello che sta succedendo in questi giorni, sembra quasi una dichiarazione di solidarietà. Forse perché i pescatori, in quella black list, non dovrebbero stare da soli, considerato che i motopesca multati hanno spesso goduto di agevolazioni e finanziamenti.
Per il Ministro, ad ogni modo, non sono dati allarmistici e propone per i pescatori la licenza di pesca a punti. Sì, così, poi, si va come alla scuola guida e si riacquistano, magari con l’aggiunta di un bel finanziamento come quello che ha consentito alle imbarcazioni a strascico, ricorda l’ENPA di Savona, di convertirsi in illegali spadare e ferrettare. Sarà un caso che i giapponesi, praticamente i quasi unici acquirenti del nostro tonno, si sono permessi pure di ironizzare sul fatto che non acquisteranno più dai paesi che non rispettano le quote stabilite dall’Unione Europa? Più che ronzare, le orecchie di qualcuno avrebbero dovuto avvertire una pernacchia. Vediamo ora cosa il nostro Ministero proporrà per metterci alla berlina sul novellame ligure. Fonte: GeaPress a cura di di Giovanni Guadagna.

NUOVA SPECIE DI GAMBERO

Simmonsi barbicambarus
Simmonsi barbicambarus, rinvenuto presso alcuni anfratti rocciosi del Shoal Creek, nel Tennesee. Carl Williams/Reuters

Chris TaylorUn gambero nuovo e grande il doppio di altre specie, è stato trovato da un gruppo di ricercatori dell'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. "Questo non è un gambero che qualcuno può raccogliere e dire: <<Oh, è un altro gambero>> e ributtarlo magari in acqua" ha detto il biologo Chris Taylor, uno dei ricercatori della University of Illinois. "È qualcosa di molto, molto diverso". Taylor e Guenter Schuster della Eastern Kentucky University hanno trovato il loro primo esemplare della nuova specie sotto una delle più grandi rocce nella parte più profonda di un torrente comunemente esplorato in Tennessee. La nuova specie, chiamata Simmonsi barbicambarus, è di circa 5 centimetri di lunghezza e ha antenne coperte con una frangia di piccole setole sensibili. Più della metà delle 600 specie note di gambero nel mondo si trovano in Nord America, ha dichiarato Taylor. "Questa però non era stato visto da occhi scientifica fino all'anno scorso" ha detto.
Si spendono milioni di dollari ogni anno per sovvenzioni federali per inviare biologi in Amazzonia, nel sud-est asiatico e in tutto il mondo, per studiare la biodiversità di queste regioni - ha detto Schuster - ma l'ironia è che ci sono pochi soldi per chi fa la stessa cosa negli Usa. E ci sono ancora molte aree proprio qui negli Stati Uniti che hanno bisogno di essere esplorate". Fonte: Aqva. Vai alla Gallery.
Bibliografia: Christopher A. Taylor & Guenter A. Schuster (2010). "Monotypic no more, a description of a new crayfish of the genus Barbicambarus Hobbs, 1969 (Decapoda: Cambaridae) from the Tennessee River drainage using morphology and molecules". Proceedings of the Biological Society of Washington 123 (4): 324–334.

SCOMPARIRÀ LA BAIA DI NUSHAGAK?
Tempesta in arrivo sulla Baia di Nushagak, dove è in progetto una miniera di oro e rame.
Per i pescatori la miniera, che promette posti di lavoro e una pioggia di denaro, comprometterebbe la risalita dei salmoni. Ogni anno, nell'arco di alcune settimane, ritornano nella baia dai 30 ai 40 milioni di adulti di salmone rosso. Risalgono il bacino idrografico della Baia fino ai fiumi e ai laghi dove si riproducono cinque specie di salmone. Se verrà costruita, la miniera di Pebble, altererà questo ambiente incontaminato, e col tempo potrebbe decimare i salmoni. Fonte: National Geographic Italia.

23 GENNAIO 2011

SPIAGGIATA A PESARO UN ESEMPLARE DI Caretta caretta
Un esemplare di Caretta caretta è stato trovato spiaggiato, qualche giorno fa, a Pesaro. Diversi testimoni hanno avvisato la Guardia Costiera che ha poi provveduto al recupero dell'animale, consegnandolo per accertamenti veterinari, al Centro Cetacei di Riccione. L'esemplare pesa circa 10 Kg ed è lungo 40 cm. Le sue condizioni, al momento, non destano preoccupazioni.

22 GENNAIO 2011

RESOCONTO 2010 DELL'ISMEA SULLA PESCA
L’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e A limentare (ISMEA) ha da poco pubblicato un rapporto, intitolato “Settore ittico in Italia” e scaricabile gratuitamente da qui, che offre un check up del comparto ittico 2010, comprensivo delle attività di pesca e acquacoltura. Nel 2009 la produzione è cresciuta di circa 475 mila tonnellate, in aumento di appena il 2.2% rispetto a un 2008 particolarmente critico, per un valore complessivo che ha superato di poco 1.8 miliardi di euro (+5.3%). Il modesto incremento della produzione e dei ricavi -sottolinea ISMEA- si è rivelato del tutto insufficiente a recuperare la netta flessione registrata nel 2008, anno in cui il livello produttivo in Italia aveva toccato la quota più bassa dall’inizio del nuovo millennio e in cui anche gli introiti avevano subito un netto ridimensionamento. In generale, il calo della produzione del settore sembra assumere un carattere continuativo (-2.4% tra il 2004 e il 2009), ed anche i proventi hanno registrato in media una flessione annua del 2.1%. Anche il 2010 non sembra delineare uno scenario migliore per la produzione ittica nazionale, che in base alle stime elaborate dall’Istituto dovrebbe crescere di appena l’1% rispetto all’anno precedente. Dai risultati del 2009 emergono incrementi significativi solo per le catture in mare, con la pesca nelle acque del Mediterraneo in aumento dell’8.1% a fronte di una nuova contrazione della produzione proveniente dall’acquacoltura (-2.3% nel 2009, dopo il -3.9% del 2008), a causa della riduzione di oltre il 4% accusata dalla molluschicoltura.
Dall’attività di pesca nel Mediterraneo sono derivati, inoltre, introiti maggiori di quasi il 9% rispetto all’anno precedente. Al palo nel 2009 anche l’interscambio con l’estero. Sia le importazioni, sia l’export sono rimasti in volume sostanzialmente ai livelli del 2008, riflettendo la debolezza della domanda interna (il consumo pro capite si è mantenuto a 20.8 kg) ed estera in un contesto di forte difficoltà per l’economia mondiale. La bilancia commerciale del settore ha chiuso i conti 2009 con un disavanzo monetario di oltre 3 miliardi di euro che, seppur in calo (-4.2%) rispetto al 2008, dà la misura del grado di dipendenza dell’Italia dall’estero. Un inasprimento del deficit emerge invece dalle stime relative all’intera annata 2010. Riguardo infine ai consumi, il 2009, limitatamente agli acquisti domestici, ha chiuso con aumenti in termini quantitativi del 2.9% per il pesce fresco e del 3.4% per quello trasformato. La dinamica positiva non sembra però confermata nel 2010, che in 10 mesi ha già mostrato un contrazione del 5.5% degli acquisiti di pesce fresco e una sostanziale tenuta del segmento trasformato. Fonte: Zootecnews.

VADEMECUM PER LA SICUREZZA E LA QUALITÀ DEGLI ALIMENTI
Vademecum 2011Dal Dipartimento della Gioventù arriva un Vademecum sulla sicurezza e la qualità degli alimenti, realizzato insieme con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e il Ministero della Salute.
Poche regole che possono fare la differenza. Oltre a suggerimenti per una dieta sana ed equilibrata, la pubblicazione fornisce consigli pratici sulla conservazione dei cibi, sulle norme igieniche per consumatori e venditori e sulla corretta comprensione delle etichette e delle tabelle nutrizionali. All’interno della guida è anche possibile trovare un piccolo glossario che fornisce una definizione semplice della terminologia più comune relativa agli alimenti, nonché il significato di alcune sigle utili per riconoscere quelli tipici. Un modo per invitare i Giovani a seguire una corretta alimentazione. Senza creare, però, ansie eccessive, perché mangiare sano è comunque un piacere. Scarica il Vademecum in formato PDF - 3.2 Mb.

21 GENNAIO 2011

ALLEANZA TRA BP E ROSNEFT PER TRIVELLARE I FONDALI DEL MARE DI KARA
Le due compagnie petrolifere hanno annunciato un’alleanza strategica globale, all’interno della quale c’è l’esplorazione di tre blocchi di licenze di esplorazione su 125.000 Kmq. E gli ambientalisti dicono che non ci sono attualmente tecnologie che garantiscono l’effettiva pulizia delle eventuali perdite di petrolio.
Le due società hanno deciso di esplorare e sviluppare in maniera congiunta i tre blocchi in licenza EPNZ 1.2 e 3 sulla Piattaforma continentale artica russa. Queste licenze sono state attribuite a Rosneft nel 2010 e coprono circa 125.000 Kmqi. L'accordo, basato anche su uno scambio azionario tra i due colossi petroliferi, è definito "storico" dalla nota congiunta. In particolare è previsto che Rosneft controlli il 5% del capitale di BP che in cambio controllerà una quota di circa il 9.5% del capitale di Rosneft. Le due parti cercheranno anche opportunità di collaborazione internazionale in Ruhr Oel, un joint venture paritetica attiva nel settore della raffinazione. News integrale su Aqva.com.

TONNO ROSSO SEQUESTRATO
Durante il primo controllo la barca sembrava apparentemente a posto ma, prima di scendere a terra, gli uomini hanno notato, sul ponte del peschereccio, un telo nero con uno strano rigonfiamento che li ha fatti subito insospettire. Ed eccolo lì, nascosto sotto il telo, il pesce lungo 180 cm, appena pescato e debitamente nascosto perchè appartenente ad una specie ittica sottoposta a piani di ricostruzione per evitarne l'estinzione a causa dell'eccessivo sfruttamento dello stock ittico. La vigente legislazione Comunitaria (Regolamenti n° 302/2009 e 640/2010), emanata in ottemperanza alle più ampie raccomandazioni della Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell'Atlantico – I.C.C.A.T., stabilisce norme molto restrittive circa la cattura e commercializzazione di tale specie ittica.
Multa salatissima per il Capobarca: 4000 Euro, oltre al sequestro dell'attrezzatura da pesca ed all'esemplare di tonno che, dopo gli accertamenti di rito da parte del locale servizio veterinario dell'AUSL di Latina, è stato devoluto in beneficenza all'orfanotrofio di Terracina. Fonte: Il Tempo.

RAPPORTO EXXON MOBIL E ANIDRIDE CARBONICA
Nei prossimi 20 anni le emissioni di anidride carbonica aumenteranno del 25%. Ad affermarlo è la relazione annuale della Exxon Mobil, la più grande industria petrolifera mondiale, che ha sottolineato come fino al 2030 il previsto aumento della domanda energetica di quasi il 40% porterà ad un "sollevamento" delle emissioni di circa lo 0.9% all’anno. Le proiezioni degli scienziati della Exxon, presentate in occasione della conferenza World Future Energy di Abu Dhabi e riportate dal Guardian, si sono rivelate più drammatiche del previsto. I dati dell’analisi hanno dimostrato sia che nei prossimi decenni le emissioni di anidride carbonica continueranno ad aumentare "in maniera significativa", sia che l’utilizzo dei combustibili fossili rimarrà, coprendo l’80% della domanda, la principale fonte di energia.
In particolare lo studio ha dimostrato che nei prossimi 20 anni la domanda di energia mondiale aumenterà di circa il 40% rispetto ad ora, facendo salire le emissioni di anidride carbonica del 25% soprattutto "per colpa" di Cina, India e altri paesi in via di sviluppo. "Entro il 2030 – si legge nel rapporto – le emissioni di anidride carbonica dei Paesi non Ocse rappresenteranno i due terzi del totale mondiale, mentre nei Paesi Ocse si riscontrerà una diminuzione di circa il 15% rispetto alle cifre attuali, facendo raggiungere in 20 anni i livelli del 1980". Fonte:Ansa.

20 GENNAIO 2011

DISASTRO DELLA E.ON IN SARDEGNA - 3
Un nuovo incidente nel polo industriale di Porto Torres, dopo quello di una settimana fa quando una perdita nell'impianto portuale della E.On ha causato il riversamento in mare di circa 18 mila litri di olio combustibile, è avvenuto stamattina nel pontile liquidi. L’incidente odierno, sempre nel Porto Industriale di Porto Torres, di fronte al petrolchimico, riguarda una perdita di alcune centinaia di litri di acque contaminate da residui di gasolio pesante, provenienti dal circuito delle acque reflue oleose. News integrale qui.

DI UOMINI E DI SQUALI
La storia dell'evoluzione si dimostra sempre più simile a un artista che utilizza i pochi strumenti messi a disposizione dalle mutazioni o da altri "generatori di diversità genetica" per creare forme sempre nuove e diverse. Con innumerevoli tentativi ed errori, ma certo con un modello di sviluppo lontano da quello che si pensava qualche tempo fa, in cui i geni erano tantissimi, magari propri di ogni specie, e "addetti" allo sviluppo di un organo o una struttura alla volta; chi comanda adesso sono i geni regolatori, non un gene=un enzima.
Che direste, per esempio, del fatto che le zampe dei vertebrati e i raggi branchiali di alcuni Condroitti, o meglio delle chimere (Olocefali) usano quasi gli stessi pathway genetici di sviluppo? Usando alcune specie di pesci cartilaginei, una razza, uno squalo e uno stranissimo pesce di profondità che si chiama Callorhinchus milii, appunto un chimeriforme delle acque australiane e neozelandesi, in due articoli a distanza di quasi due anni Neil Shubin e Andrew Gillis hanno scoperto dapprima che nello sviluppo, gli archi branchiali e le appendici degli Gnatostomi utilizzano lo stesso pattern di crescita con gli stessi geni, che sono "accesi" e "spenti" in tempi diversi. I geni si chiamano Sonic hedgehog (Shh) e fattore di crescita dei fibroblasti 8 (Fgf8).
La ricerca è stata dapprima condotta nel 2009 utilizzando una razza (Leucoraja erinacea) relativamente facile da allevare e di cui si possono usare le uova. Il nuovo articolo racconta invece della ricerca usando le uova di uno squalo vero e proprio (Scyliorhinus canicula, il comune gattuccio) e appunto del chimeriforme Callorhinchus milii. Uova che, a detta di Shubin, autore fra l'altro di ottimo libro di evo-devo paleontologico ('Our inner fish', tradotto da Rizzoli), sono deposte in acque fredde, fangose e piene di squali - gli altri, quelli "feroci".
I ricercatori hanno "mappato" la presenza di Shh durante lo sviluppo embrionale dello squalo e dello strano chimeriforme, e hanno scoperto che tra di esse ci sono alcune differenze. Per esempio, dopo alcune settimane di sviluppo Shh è espresso sono nell'arco ioideo della chimera, mentre nello squalo è espresso praticamente in tutti gli archi branchiali; in questo modo si forma una sola struttura allungata nella chimera e una serie di strutture simili nello squalo. Questo significa, dice l'articolo, che anche piccole differenze temporali nell'espressione di un gene (il gene rimane uguale, altri lo "convincono" a lavorare più o meno secondo la zona in cui sono) possono condurre a grosse differenze anatomiche in specie apparentemente molto simili. E, al contrario, specie molto lontane possono usare meccanismi simili anche se sono separati da milioni di anni di evoluzione. La dinamica dello sviluppo di questa parte del corpo nella chimera non è infatti molto diversa da quella di una lucertola, che ha, ovviamente, una sola zampa anteriore per lato; cioè appunto una struttura allungata e unica, con cinque dita. C'è un solo kit di sviluppo per far "crescere" branchie e zampe, e solo le differenze nella modulazione portano a strutture totalmente diverse in animali lontanissimi tassonomicamente.
Un altro aspetto interessante è che l'idea che le zampe fossero derivate dagli archi branchiali non è proprio nuovissima; risale infatti al 1859, quando Karl Gegenbaur pubblicò il suo 'Elements of Comparative Anatomy' (in tedesco), in cui proponeva appunto la sua teoria dell'origine delle appendici dei vertebrati a partire dagli archi branchiali dei pesci. Fonte: Pikaia a cura della redazione.

DISASTRO DELLA E.ON IN SARDEGNA - 2
Nel golfo dell'Asinara, qualche giorno fa, una nave di proprietà della E.on ha riversato più di 18.000 litri di olio combustibile nelle acque di Porto Torres, distruggendo 18 km della spiaggia di Platamona.
Le notizie provenienti dalle autorità locali hanno per qualche giorno minimizzato il problema, che in realtà sembra essere più grave di quanto ritenuto inizialmente. Ora i cittadini do Porto Torres si costituiranno parte civile.
Intanto sembra conclusa l'opera di bonifica nella banchina interessata dalla perdita, mentre deve ancora cominciare l'opera di bonifica dei 18 km di spiaggia.
Potrebbero arrivare entro la fine di questa settimana sul tavolo del sostituto procuratore, Paolo Piras, dopo che saranno completati gli interrogatori da parte degli uomini della Capitaneria, le prime relazioni richieste dalla Procura di Sassari, che ha aperto un'inchiesta per il danno ambientale causato dallo sversamento in mare dell'olio combustibile destinato alla centrale E.On.

L'INCUBO DELLA CORONA DI SPINE
Dal 1981, la Grande Barriera Corallina lungo la costa del Queensland, in Australia, è patrimonio mondiale dell’umanità. L’anno scorso, sulla rivista Coral Reefs, una ricerca di Katherine Fabricius – dell’Australian Institute of Marine Science – collegava le invasioni più frequenti di Acanthaster planci all’aumento degli effluenti carichi di pesticidi e altri inquinanti. E questi sono riversati in mare a dosi massicce dalle alluvioni.
Negli ultimi 200 anni, le invasioni della stella a corona di spine sono passate da una ogni mezzo secolo a una ogni 15 anni; dal 1985 riducono in media dello 0.5% all’anno l’estensione della barriera (qui in un video del National Geographic). Può sembrare poco, su 344.000 Kmq, ma si aggiunge ad altri guai. L’Oceano indiano diventa più caldo, e meno basico via via che assorbe la CO2 che ne modifica il pH, i coralli. Alluvioni più frequenti riversano in mare acqua dolce, nutrienti e inquinanti tossici per i coralli, ma che favoriscono, oltre alla crescita del fitoplancton e di alghe opportuniste, la riproduzione di quella stella marina, grande e velenosa. In un anno rilascia fino a 60 milioni di larve all’anno che crescono per tre anni in mezzo ai coralli e da adulte li mangiano.
Di solito, dopo due  generazioni le corone di spine tornano rare e in 25 anni i coralli si riprendono. Questa volta ce la faranno? Patiscono ancora delle alluvioni del 1991, delle perdite di petrolio, di incidenti come quello della Shen Neng 1 affondata con il suo carico di carbone  nell’aprile scorso. L’anno prossimo, le larve nate dalle alluvioni dell’inverno 2008-2009 saranno adulte, e nel 2014 quelle che nascono ora. L’Australian Institute for Marine Science ha annunciato di aver “attivato un programma coordinato di monitoraggio della qualità delle acque”. Non può fare altro che star a guardare, perciò in un’intervistaNature, Katherine Fabricius parla di “incubo”: l’unico modo per controllare l’esplosione demografica dell’A. planci senza inquinare ulteriormente la barriera è di iniettare loro, una per volta, una soluzione di idrosolfato di sodio. Fonte: OggiScienza!

TUTTI I COLORI DEL TONNO
Per anni si è detto che al consumatore italiano piace il tonno rosa, quello tenero che si taglia con un grissino. Dopo anni di "educazione alimentare", durante i quali gli esperti hanno ripetutamente spiegato che non c’è niente di pregiato in un tonno pallido, adesso – complice forse anche la moda del sushi – è in auge il tonno rosso. Il consumatore ha cominciato a preferire carni di tonalità più vivace, associandole a quelle effettivamente pregiate del Thunnus thynnus, il tonno rosso appunto, specie pescata e in parte allevata anche nel Mediterraneo. E, da sempre, destinata a rifornire il mercato asiatico, Giappone in primis.
Ma sulle nostre tavole continua ad arrivare soprattutto il tonno pinna gialla (Thunnus albacares), dall’Oceano Atlantico, Pacifico e Indiano. Arrivano anche delle specie "parenti" del tonno rosso, ma di valore commerciale inferiore. Da una newsletter di Eurofishmarket apprendiamo che le specie con carni rosse o rosate poco dopo il taglio tendono ad assumere un colorito bruno, dovuto al contatto con l’ossigeno dell’aria, poco gradevole alla vista.
Per dare alla carne del tonno a pinna gialla il rosso tanto apprezzato, i produttori possono utilizzare coloranti autorizzati (come il rosso di barbabietola E 162) o meno (come il Rhodamin B). Gli additivi, ovviamente permessi dalla legge, devono essere riportati in etichetta. Un'altra possibilità è utilizzare monossido di carbonio, un gas che blocca i processi chimici che rendono scuro il pesce, ma questa pratica in Italia e in Europa è vietata sui prodotti alimentari. Della questione si è occupata, col suo stile, anche Striscia la notizia, che ha dedicato un servizio al tonno rosso al monossido, proveniente dal Vietnam e venduto in Italia, anche se molte partite vengono bloccate alle frontiere perchè non rispettano le leggi europee.
L’uso del monossido di carbonio è innocuo, perché non lascia tracce, ma mascherando il "decadimento cromatico" di un filetto di tonno, potrebbe anche coprire l’alterazione dovuta a una troppo lunga o cattiva conservazione, e quindi verrebbe meno un parametro importante per valutare la freschezza del pesce, mettendo a rischio la sicurezza. Ciò è particolarmente importante per il tonno, perché quando è conservato male può formare elevate quantità di istamina, una sostanza in grado di provocare allergie più o meno gravi (chiamate sindrome sgombroide) a seconda della sensibilità individuale. Fonte: IlFattoAlimentare a cura di Mariateresa Truncellito.

UNA PESCA MOLTO INN
Colombia, Ecuador, Panama, Portogallo, Venezuela e Italia. Cosa li accomuna? Secondo un rapporto biennale della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Admistration) si tratta di Stati la cui pesca è molto, anzi troppo INN. Che non sia un gran complemento lo si comprende dal significato dell’acronimo: INN sta per pesca Illegale, Non dichiarata e Non documentata. Le principali accuse mosse dall’Agenzia federale statunitense al nostro Paese riguardano un uso generalizzato di reti derivanti illegali (come la spadara) e derivanti legali (come la ferrettara) usata illegalmente oltre ad uno sovra-sfruttamento degli stock di specie ittiche protette a livello internazionale e l’utilizzo non consentito di piccoli aerei per individuare e poi pescare l’ormai raro – e quasi estinto – tonno rosso.
Si tratta di accuse che riguardano gli ultimi due anni, eppure Italia e Panama hanno già fatto il bis perchè presenti anche nella medesima ‘lista nera’ del 2009, che includeva inoltre Cina, Francia, Libia e Tunisia, ora prontamente ‘rientrati nei ranghi’ della legge vigente. A fronte di un processo avviato nel 2008 dalla Comunità Europea per prevenire e frenare a livello giuridico la pesca INN, la mancanza di vere sanzioni che scoraggino questi abusi rappresenta uno dei punti chiave che rendono l’Italia recidiva.
Nel 2010 un rapporto prodotto da LAV, Marevivo e Legambiente indicava l’importo di 4.000 euro come la multa massima (massima!) prevista per le flotte ‘pirata’, sottolineando inoltre come il dovuto sequestro delle reti il più delle volte non venisse confermato dai giudici. Se ciò non bastasse la sospensione dell’autorizzazione di pesca dai 3 ai 6 mesi, misura punitiva ben più ‘importante’ definita da un Decreto Ministeriale del 1998, non è stata mai applicata nonostante le molteplici infrazioni riscontrate (si legga qui per capirne di più ). Per i pirati del mare i rischi quindi sono davvero minimi a fronte di un volume d’affari mondiale che nel 2008 è stato calcolato essere pari ad oltre 10 miliardi di euro.
Trattandosi di un’attività clandestina, la pesca illegale ‘sommersa’ – è proprio il caso di dirlo – è molto difficile da rilevare, così che il rapporto NOAA suggerisce violazioni, specie in acque internazionali, ben più rilevanti di quelle conosciute. Le voci di rottura, che denunciano uno status quo spesso sotto gli occhi di tutti, derivano per lo più da associazioni non governative, come ad esempio Greenpeace che nel 2009 fermava nelle acque prossime a Pantelleria il peschereccio Federica II con 10/15 Km di rete spadara completamente illegale, tanto per fare un esempio, ma se ne potrebbero fare altri.
La pesca INN costa molto alla comunità e all’ambiente e per questo è necessario trovare delle vie d’uscita. Eppure l’auspicabile ritorno alla legalità non rappresenta la “soluzione finale” di un problema le cui radici fondano sulla verità ormai – ahimè – lapalissiana che non ci son più pesci nel mare (da pescare) poiché l’ 80% dei pesci di interesse commerciale è completamente o eccessivamente sfruttato (dati FAO).
Una gestione delle risorse rimanenti, che miri al miglioramento dell’ecosistema mare ma non di meno alla ristrutturazione dell’ecosistema sociale che sottende al mondo ‘pesca’, ivi inclusi gli operatori così come le lobby multinazionali, i consumatori e gli enti scientifici e le commissioni di gestione, sarebbe necessaria. E il caso “tonno rosso” e tutte le sue vicissitudini recenti ne sono un esempio lampante. Fonte: OggiScienza a cura di Marta Picciulin.

19 GENNAIO 2011

I CONI MONOCROMATICI DEGLI SQUALI
Sappiamo gia che gli squali sono predatori apicali eccezionali, grazie ai loro sensi sviluppati, compresa la vista. Sappiamo che razze e chimere possono distinguere i colori, il che aumenta le loro capacità predatorie. Tuttavia non è ancora accertato se gli squali possono o meno distinguere i colori. Ora un nuovo studio, condotto dal dottor Nathan Scott Hart e colleghi della University of Western Australia in collaborazione con la University of Queensland australiana, ha evidenziato, utilizzando una tecnica denominata single-receptor microspectrophotometry, che i fotorecettori di 10 specie di squali su 17 analizzate, appartenenti a tre famiglie diverse, sono adatti ad assorbire solo una determinata lunghezza d'onda, per cui la visione degli squali sarebbe monocromatica. Questo avvicina gli squali ad altri animali marini, come delfini e balene, che possiedono un solo tipo di coni. Si tratta in altri termini di convergenza evolutiva.
"Ora la nuova ricerca potrebbe mettere a disposizione nuovi strumenti per limitare gli attacchi degli squali nei confronti dell'uomo" afferma il dottor Scott Hart.
Fonte: Nathan Scott Hart, Susan Michelle Theiss, Blake Kristin Harahush, Shaun Patrick Collin. Microspectrophotometric evidence for cone monochromacy in sharks.

LINEE GUIDA DELLA FAO SUI RIGETTI IN MARE
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ha da poco pubblicato le prime Linee Guida Globali per la gestione delle catture accidentali e la riduzione dei rigetti in mare.
Il documento, che passerà ora al vaglio della Commissione della Pesca che si riunirà a Roma alla fine del mese, è stato già approvato dagli esperti di 35 Paesi. Le Linee Guida coprono tutti i tipi di cattura indesiderata, compreso il rigetto, che consiste nel rigettare in mare il pesce -catturato accidentalmente- morto o agonizzante. Le catture accidentali possono riguardare anche specie a rischio di estinzione come novellame, tartarughe, uccelli marini, delfini, ecc., superando talvolta i 20 milioni di tonnellate all’anno. In alcuni Paesi, tuttavia, le catture accidentali hanno un valore economico e vengono perciò riutilizzate, rendendo difficile una reale stima quantitativa degli sprechi.
"Queste sono le prime linee guida che coprono tutte le specie, tenendo conto anche delle attrezzature da pesca", ha detto Frank Chopin, esperto di tecnologia della pesca della FAO. "Sebbene il Codice di Condotta per la Pesca Responsabile riguardi già le catture accidentali e i rigetti in mare, queste Linee guida indicano più chiaramente il modo in cui i Paesi dovrebbero risolvere il problema nella pratica", ha aggiunto. Chopin ha sottolineato come queste Linee Guida siano state richieste dagli stessi Paesi e rappresentano un altro importante passo avanti verso l’applicazione di un approccio ecosistemico alla gestione della pesca. Le Linee Guida riguardano la pianificazione della gestione delle catture accidentali, il miglioramento delle attrezzature della pesca, le zone di pesca, gli incentivi economici per facilitare l’adozione delle misure, e la necessità di monitorare, ricercare, sviluppare e costruire la capacità degli Stati di seguire le Linee Guida. Chopin ha rassicurato che tali Linee Guida sono state sviluppate in modo da non imporre un onere eccessivo ai pescatori artigianali e ai Paesi in via di sviluppo. "Le Linee Guida raccomandano di fare prima una valutazione per capire se c’è un problema. Gli impatti sociali, economici e biologici dovuti alla loro applicazione dovranno essere studiati caso per caso”, ha concluso l’esperto. Fonte: Zootecnews.

18 GENNAIO 2011

Marchio EcoLabel

DUBBI SULLE CERTIFICAZIONI DEL Marine Stewardship Council
Dopo i limiti alla pesca del tonno rosso e l’eterna battaglia contro la caccia alla foca e alla balena, s’intravede una nuova sfida per la tutela delle riserve ittiche. Il tiro dell’arpione ambientalista questa volta si orienta verso la "eco-label" gestita dal Marine Stewardship Council. Questo organismo indipendente di certificazione - incaricato di attestare che la pesca è stata realizzata in armonia con i principi di sostenibilità, oltreché di assicurare la tracciabilità dei prodotti ittici - è accusato di aver rilasciato alcune "eco-label" a imprese di pesca non al di sopra di ogni sospetto.
L’inchiesta, pubblicata sul quotidiano britannico The Guardian, trae spunto da un articolo della rivista Nature a firma del direttore della ricerca all’università della Columbia Britannica (Canada), Daniel Pauly, e di cinque membri della Scripps Institution of Oceanography. Tra le decisioni controverse del Marine Stewardship Council - che ha da poco celebrato il decimo anniversario e il centesimo certificato - l’attribuzione del sigillo MSC alla pesca del merluzzo antartico, una specie ancora poco studiata dagli scienziati della quale è ancora impossibile valutare lo stato delle riserve.
Le accuse riguardano anche altre certificazioni, con la "eco-label" di MSC, relative alla pesca di:

"I consumatori sono ingannati quando pensano di acquistare specie di pesce la cui popolazione si certifica essere mantenuta a un livello corretto", afferma Richard Page di Greenpeace Oceani. Le decisioni di certificare queste pescherie può compromettere gravemente la credibilità di MSC tra i cui fondatori, si ricorda, c’è il WWF.
La difesa di MSC, nell’assicurare la serietà delle proprie valutazioni scientifiche che permetterebbero di verificare la sostenibilità delle attività di pesca certificate, è messa in discussione anche dalla Turtle Island Restoration Network, una ONG statunitense il cui rappresentante Chris Pincetich, biologo marino, ha dichiarato a The Guardian: "MSC è determinato ad accettare le candidature di centinaia di pescherie in tutto il mondo, per far crescere le loro imprese e il loro fatturato".
E non è finita: "Entro dieci anni, MSC coprirà un decimo delle catture mondiali sulla quasi totalità delle specie pescate in tutti i mari del mondo", sostiene il consulente Stéphan Beaucher. "Ha soppiantato tutti gli altri tentativi di etichettatura [della pesca sostenibile, ndr] e va ora a certificare imprese di pesca che sono lontane dall’essere esemplari".
La "prova di sostenibilità" dell’attività di pesca sinora adottata dal Marine Stewardship Council deve essere quindi riveduta e aggiornata, alla luce dei commenti di autorevoli accademie, istituti oceanografici e ONG.
A pena di vedere vanificati gli sforzi di dieci anni di attività e di perdere la fiducia dei consumatori, ma anche degli operatori economici e delle istituzioni. Innalzare gli standard, o prepararsi a scomparire come le specie ittiche che si affermava di voler proteggere. Fonte: IlFattoAlimentare.

L'ITALIA PIRATA, DI NUOVO NELLA LISTA NERA DEL NOAA
È la seconda volta consecutiva che l'Italia finisce nella lista nera del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) per la pesca illegale, non dichiarata e non documentata, che sta mettendo in serio pericolo il Mediterraneo. È soprattutto grazie al lavoro svolto da Greenpeace che l'Agenzia Federale Statunitense ha inserito, per ben due volte, il nostro Paese tra i "cattivi".
Nel rapporto del 2009, infatti, si erano usate le segnalazioni fatte dalla nostra nave, l'Arctic Sunrise, impegnata in un tour del Mediterraneo, tra cui quella del peschereccio Diomede II, dove i nostri attivisti hanno sequestrato ben due chilometri di reti spadare. Per il rapporto 2011 tra le infrazioni si elenca l'altrettanto nota Federica II, scoperta sempre da Greenpeace a fare pesca illegale con spadare al largo delle coste siciliane.
Le attività di pesca illegale con le spadare o le ferrettare e l'inefficacia delle sanzioni applicate sono le accuse principali mosse all'Italia dal NOAA che, in una nota, ha dichiarato la necessità di stabilire misure addizionali per fermare questo tipo di attività inserendo sanzioni più severe.
Nonostante il Decreto Ministeriale del 14 ottobre 1998, che per ostacolare la pesca illegale prevede anche la sospensione della licenza di pesca, e la famigerata "Tolleranza Zero" dichiarata dal Ministro Galan, ad oggi nulla di tutto questo è stato applicato concretamente.
Proprio per questo, e per carenza nei controlli, l'Italia ha subito processi di infrazione e accertamenti che hanno comportato la richiesta di restituzione di oltre 7 milioni di euro nel 2008 da parte dalla Commissione Europea al nostro Paese. Cifra questa che il Ministero smentisce di dover pagare ma che, nella realtà dei fatti, il Governo italiano ha già dovuto rimborsare.
Anche gli Stati Uniti potrebbero ora proporre delle sanzioni aggiuntive da applicare alla flotta italiana. Per esempio l'accesso negato ai porti statunitensi e il bando delle importazioni di alcuni prodotti ittici.
Oltre quindi ai gravi danni all'ambiente marino, la pesca illegale pesa negativamente su tutto il comparto ittico, le tasche dei cittadini e sulla stessa credibilità del nostro Paese a livello internazionale.
Greenpeace, insieme a Marevivo, Wwf, Legambiente e LAV, ha quindi richiesto un incontro urgente con il Ministro Galan per valutare azioni immediate e di più severo contrasto all'illegalità e a sostegno della pesca sostenibile. Fonte: Greenpeace.

OLIO IN MARE A PORTO TORRES - 1
Sarebbero alcune decine di migliaia e non solo 10 mila i litri di olio combustibile finiti in mare due giorni fa a Porto Torres durante le operazioni di scarico nella centrale E.On di Fiume Santo. È quanto emerso dal tavolo tecnico convocato stamattina d’urgenza dall’assessore provinciale all’Ambiente Paolo Denegri, a cui hanno preso parte i sindaci di Sassari, Porto Torres e Sorso, una delegazione di E.On e i vertici della Capitaneria di Porto di Porto Torres. Il danno sembra dunque più grave di quanto era emerso nelle prime ore. Per accertare fino a dove si è allargata la zona interessata dall’inquinamento è stato utilizzato anche un aereo ultraleggero che ha sorvolato la costa.Da ieri mattina, intanto, tutti gli accessi al mare nel litorale di Platamona, da Porto Torres ai confini del comune di Castelsardo, sono stati chiusi ai non addetti ai lavori per evitare alla popolazione il contatto con il materiale altamente inquinante e cancerogeno portato dal mare sulle spiagge. Ansa.

17 GENNAIO 2011

RINASCONO LE PALUDI MESOPOTAMICHE
Non solo brutte notizie. Dall’Iraq una notizia sicuramente positiva giunge a seguito di un progetto curato da Birdlife International, l’importante organizzazione internazionale che si prefigge la salvaguardia delle specie di uccelli e dell’habitat dove vivono.
Negli anni novanta, Saddam Hussein, per punire le popolazioni del sud Iraq a lui avverse, pensò di intervenire prosciugando le paludi mesopotamiche. Un’area di rilevanza internazionale vasta ben 15.000 ettari. Purtroppo riuscì nell’intento, e fino al 2005 solo il 10% delle originarie paludi erano ancora esistenti. Tutto attorno un deserto sabbioso. Non solo le popolazioni locali alla fame ma anche la distruzione di un ecosistema unico al mondo sia per l’importanza delle specie nidificanti, che come luogo di sosta per milioni di uccelli acquatici durante le migrazioni. Le paludi, infatti, si trovano al centro di un’area aridissima.
I risultati del progetto saranno trasmessi domani dal secondo canale della BBC, ma Birdlife International ha oggi anticipato i primi dati che sono a dir poco sorprendenti. La rarissima anatra marmorizzata ha ripreso possesso dei luoghi, addirittura con una popolazione censita pari al doppio dell’ultimo censimento mondiale. Ne sono state contate, infatti, circa 46.000. Massima protezione sarà dedicata anche alla rarissima moretta tabaccata, le cui residuali aree ove è ancora presente, come i pantani della Sicilia sud orientale, sono gravemente minacciate da provvedimenti insensati come l’apertura della caccia voluta dall’Assessore Elio D’Antrassi (vedi articolo GeaPress), per questo duramente criticato da WWF, Legambiente e LIPU (quest’ultima partner italiano di Birdlife).
Ritornando in Iraq, le rinate paludi mesopotamiche hanno ripreso ad ospitare anche uccelli rapaci rarissimi, come l’aquila imperiale e l’aquila anatraia maggiore. I problemi, però, non sono finiti. I nuovi sbarramenti, costruiti negli ultimi 20 anni a nord sia del Tigri che dell’Eufrate, hanno alterato i regimi di piena dei due fiumi. L’apporto d’acqua non solo è diminuito, ma si è dovuto registrare anche un aumento sensibile della salinità dell’acqua. Eppure, secondo Azzam Alwash, responsabile di Nature Iraq, partner locale di Birdlife, "se riusciremo a ripristinare le paludi, faremo rinascere anche l’Iraq". Fonte: GeaPress.

SQUALO TORO NEL QUEENSLAND
Le terribili inondazioni in Australia di questi giorni, hanno riservato anche qualche sorpresa. Un macellaio, Steven Bateman, ha avvistato due squali toro nei pressi della sua abitazione. Non è la prima segnalazione di questo tipo avvenuta nelle vie completamente allagate della città di Goodna. Il consigliere di amministrazione locale, Paul Tully, ha confermato che, pur bizzarro, il racconto era vero: durante l'inondazione del Queensland lo squalo toro avrebbe nuotato per diversi chilometri risalendo il fiume, attraverso il parco Evan Marginson e l'autostrada completamente allagata, fino a ritrovarsi a circolare per la strada principale di Goodna.
Come è noto, gli squali toro sono particolarmente aggressivi e sono anche capaci di nuotare in acque basse lungo le coste e perfino nei fiumi. Infatti possono tollerare bene l'acqua dolce, possono risalire i fiumi, come documentato da vecchi avvistamenti anche nel Mississipi, nel fiume Ohio ecc.... Fonte: Blogosfere.

15 GENNAIO 2011

LA TOP TEN DELLE NUOVE SPECIE DEL 2010
L'anno appena concluso ci ha regalato molte nuove scoperte, tra animali terrestri e marini. Realizzare una lista delle scoperte più eclatanti è impossibile. Riportiamo di seguito 10 nuove scoperte, tratte, più o meno casualmente, dalla rete.

Polpo purpureo 1 - Polpo purpureo del Canada.

Danio tinwini 2 - Danio tinwini, una delle 26 nuove specie di pesci scoperte nel Myanmar, documentate nel New Blood: Greater Mekong new species discoveries 2009. La notizia risale all'ottobre del 2010. (Photo: © Nonn Panitvong/WWF).

Oreoglanis genus 3 - Oreoglanis genus, nuova specie scoperta in Thailandia, presente nei torrenti collinari delle regioni più impervie. (Photo: © Nonn Panitvong/WWF).

Granchio 4 - Nuova specie di acque dolci dal Costa Rica, Allacanthos yawi.

Brachionichthyidae 5- Brachionichthyidae: Il gruppo ha subito una riorganizzazione tassonomica, ma sono state scoperte anche nuove specie, ancora senza nome.

Calamaro 6 - Una nuova specie di calamaro bioluminescente.

Hippocampus paradoxus 7 - Hippocampus paradoxus. Questa e’ una di quelle tante scoperte che avvengono nei musei, quando qualcuno riprende in mano vecchie collezioni e si accorge che c’e’ qualcosa di nuovo oggi nell’aria. Questo cavalluccio marino e’ di fatto conosciuto solo per un unico esemplare ritrovato quest’anno a galleggiare in un barattolo nel South Australian Museum. Cio’ che rende unico il cavalluccio e’ la totale mancanza della pinna dorsale, di solito sempre in movimento nei cavallucci marini, la presenza di lobi di pelle rettangolari che sembrano pinne lungo tutto il dorso e il capoccione. In piu’ manca di placche ossee lungo la superficie che di solito “armano” l’epidermide dei cavallucci con bizzarre escrescenze. L’esemplare ritrovato e’ una femmina, catturata a 102 m di profondita’ in Australia Occidentale. Finche’ non si scoprono esemplari vivi poco altro si puo’ aggiungere sul misterioso cavalluccio. Tratto da Pikaia.

Tyrannobdella rex 8 - Tyrannobdella rex è una sanguisuga scoperta nella foresta Amazzonica peruviana chiamata così per i suoi enormi (in proporzione) denti, tipo quelli del T. rex. Quel che è molto, molto, molto peggio, è che l’adorabile bestiola usa queste sue spettacolari zanne per scavare nei tessuti dei mammiferi in corrispondenza degli orifizi. Tratto da Pikaia.

Gorgonocephalus sp 9 - Gorgonocephalus sp è una stella marina detta anche "testa di Gorgone" per via dei suoi bracci intricati, su cui incredibilmente riesce a camminare senza mai "incrociare le dita". Ė una delle nuove specie scoperte dal team del Professor Monty Priede (niente a che vedere coi Monty Pyton) dell’ Università di Aberdeen, nella dorsale Medio-Atlantica, dove le acque fredde polari incontrano quelle calde tropicali. Il professore racconta che guardare il fondale era come essere in "Alice allo specchio", per la stranezza delle specie presenti. Tratto da Pikaia.

Virus CroV 10 - È il virus più grande e complesso dei mari e si chiama CroV.

I DELFINARI DEL CAUCASO
In un paese che non ha sbocchi sul mare e in una città dove il mare si trova a non meno di 300 chilometri in linea d’aria. Ecco dove sono finiti gli ultimi prigionieri del Giappone, uno dei più grandi esportatori mondiali di delfini di cattura. Costretti addirittura in sette, in una vaschetta d’acqua clorata profonda pochi metri e meno di 40 in larghezza.
Siamo a Yerevan, capitale dell’Armenia, ai piedi del Caucaso. Il circo d’acqua ha aperto a dicembre; inutile dire che sta avendo successo nonostante il prezzo che per quel paese, non è affatto popolare (tra i cinque e gli otto euro a biglietto). Ovviamente, ad un prezzo maggiorato, puoi anche farti una nuotata con i delfini ma (anche) su questo tema l’Italia non avrebbe molto da dire in sua difesa. Con buona pace dei funzionari ministeriali che avrebbero dovuto vigilare, da noi il nuoto con i delfini si chiama Pet Therapy, anche quando avviene senza il necessario nulla osta previsto dal Decreto sul “corretto” (sic) mantenimento dei tursiopi in cattività.
Il delfinario di Yerevan è stato ora oggetto di proteste di gruppi animalisti locali che annunciano battaglia in tribunale. Il pericolo di queste strutture, però, è anche quello di potere servire a riciclare delfini di cattura, grazie a scambi o nascite in cattività. Pericolo valido anche per quei paesi (come nel caso dell’Italia) dove è, fino ad ora, vietata l’esportazione di selvatici.
Di sicuro, però, a livello mondiale la richiesta di delfini per la cattività è di gran lunga superiore alla disponibilità di quelli già nati in cattività. Da quando, ad esempio, in Italia si sono bloccate le importazioni dai mari cubani (finiti finanche all’acquario di Genova che ha sempre negato di averne avuti di cattura) i nostri delfinari stentano a rimpiazzare le “perdite” in vasca. Questo nonostante alcune femmine siano di fatto trasformate in fattrici. Lasciamo perdere, infatti, la biologia riproduttiva di questi animali, dal momento in cui, in vasca, poco o nulla esiste delle complesse interazioni sociali dei delfini liberi, come, ad esempio, il continuato rapporto di vicinanza e cooperazione tra madre e figlio. Fonte: GeaPress.

ON-OFF DELLA CIRCOLAZIONE ATLANTICA DURANTE L'ERA GLACIALE
L'inverno insolitamente rigido di quest’anno è stato causato da un cambiamento nella circolazione atmosferica: invece di essere investita come di consueto dal vento che soffia da Ovest, ed è quindi riscaldato dalle correnti superficiali dell’Oceano Atlantico, l’Europa è bersagliata dai freddi venti artici.
Tuttavia, guardando al passato, intervalli di grande freddo ben più intenso e di maggiore durata, furono causati dalla circolazione dalle stesse correnti calde dell’Oceano Atlantico. Ora un nuovo studio pubblicato su Science, a firma di un gruppo di ricercatori dell’Università di Cardiff, dimostra che tali variazioni di circolazioni furono ben più drastiche di quanto ritenuto finora.
Centrale per lo studio è il fenomeno di formazione delle acque profonde nell’Atlantico Nord-Orientale: enormi masse di acqua scendono in profondità in prossimità del ghiaccio artico, per poi dirigersi nuovamente verso Sud e riemergere a grandi distanze. Il processo è accelerato dalla formazione di ghiaccio superficiale, che determina la separazione dei sali disciolti nell’acqua solidificata e dall’aumento della salinità di quella appena sottostante che aumenta così di densità.
I dati raccolti dagli studiosi sono relativi all’ultima Era Glaciale, e sono relativi ai gusci di organismi marini depositatisi sul fondo, analizzati per misurarne l’abbondanza di radiocarbonio, un parametro utile a stabilire quanto l’acqua in cui si formarono rimase esposta in superficie e quindi indirettamente quanto tempo impiegò per inabissarsi.
Le misurazioni mostrano che nel periodo in cui l’Era Glaciale volgeva al termine – tra 10.000 e 20.000 anni fa – la formazione di acqua profonda nell’Atlantico Nord-Orientale ha subito ripetute fasi di arresto e di ripresa a intervalli di alcuni secoli.
"Questi risultati documentano quanto possa essere dinamica e sensibile la circolazione oceanica", ha sottolineato David Thornalley, coautore dello studio. "Sebbene la circolazione dell’era in cui viviamo è probabilmente molto più stabile di allora, è importante progredire con la nostra conoscenza del sistema climatico e di come risponde al cambiamento climatico in atto". Fonte: LeScienze.

SEMPRE FLORIDO IL COMMERCIO E IL CONTRABBANDO DI TARTARUGHE
Due cittadini giapponesi sono stati arrestati all’aeroporto di Los Angeles perché trovati in possesso di ben 55 animali, tra tartarughe e testuggini, protette dalla legge. L’importazione, a prescindere dalla specie di appartenenza, era del tutto illegale. Gli animali, infatti, erano stati nascosti all’interno di scatole di biscotti e merende per bambini.
L'importazione illegale di fauna selvatica negli Stati Uniti è un reato federale, ed i due giapponesi, entrambi di Qsaka, rischiano ora fino a venti anni di carcere. Stride, a questo proposito, il paragone con la sgangheratissima legislazione italiana la quale non solo non prevede l’arresto in flagranza di reato, ma la teorica pena detentiva, ovviamente a condanna avvenuta, è di appena un anno (quanto, cioè, una vecchia legge della Malesia, poi riformata – vedi qui).
L’arresto dei due giapponesi è avvenuto dopo quasi un anno di investigazioni condotte dagli Agenti del U.S. Fish and Wildlife Service. In due precedenti operazioni erano state sequestrate altre 52 tartarughe. Un Agente, in modo particolare, era risuscito ad infiltrarsi tra le persone in contatto con i due trafficanti che rifornivano i terraristi nord americani. Le tappe principali erano da Osaka ad Honolulu, e da qui a Los Angeles.
Recentemente, sempre negli Stati Uniti, un’altra operazione era stata portata a termine ai danni di un tedesco (molto noto nei siti di terraristi soprattutto inglesi e tedeschi) che importava illegalmente tarantole (vedi qui), mentre un colpo ancora più duro venne sferrato con l’arresto di Anson Wong, tra i principali trafficanti mondiali di fauna esotica.
Tutte le operazioni si sono avvalse dell’ausilio di agenti infiltrati e sono state condotte dall’ U.S. Fish and Wildlife Service. Nel corso delle intercettazioni ambientali il trafficante tedesco ebbe a dire: “in America devo stare attento, le leggi non sono come in Europa…..“. Purtroppo aveva ragione. Fonte: GeaPress.

14 GENNAIO 2011

LA RIVINCITA DELLA RICAPITOLAZIONE
Vi era un tempo, alla metà del '800, in cui la prova della realtà dell'evoluzione aveva una sola parola: ricapitolazione. La teoria della ricapitolazione fu formulata dal naturalista, artista e filosofo Ernst Haeckel. Riassunta nell'aforisma "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi" la teoria sosteneva che lo sviluppo embrionale fosse il diretto risultato della storia evolutiva. Ma con l'avvento della prima biologia molecolare e dello sviluppo la ricapitolazione cadde in disgrazia e la figura di Haeckel screditata.
Due recenti studii pubblicati su Nature sono destinati a ridare vita alla teoria della ricapitolazione: due gruppi di ricercatori del Max Planck Institute of Molecular Genetics di Dresden e il Max Planck Institute for Evolutionary Biology di Plön, hanno dimostrato che esiste un parallelo tra l'ontogenesi e e la filogenesi a livello di espressione genica. In particolare, esiste uno stadio comune attraverso cui passano gli animali appartenenti a un qualunque phylum (lo stadio filotipico), nel quale le diverse specie sono indistinguibili.
Questo stadio rappresenta una strettoia, come in una clessidra, in cui le differenze ontogenetiche tendono ad azzerarsi, aumentando invece prima e dopo lo stadio filotipico. Usando come modello diverse specie di Drosophila e di Danio rerio, hanno dimostrato che durante tale stadio sono i geni più antichi a essere espressi, mentre i geni più recenti vengono espressi prima e dopo tale stadio. Fonte: Pikaia a cura di Giorgio Tarditi Spagnoli.
Riferimenti:
Tomislav Domazet-Lošo, Diethard Tautz. A phylogenetically based transcriptome age index mirrors ontogenetic divergence patterns. Nature, 2010; 468 (7325): 815 DOI: 10.1038/nature09632.
Alex T. Kalinka, Karolina M. Varga, Dave T. Gerrard, Stephan Preibisch, David L. Corcoran, Julia Jarrells, Uwe Ohler, Casey M. Bergman, Pavel Tomancak. Gene expression divergence recapitulates the developmental hourglass model. Nature, 2010; 468 (7325): 811 DOI: 10.1038/nature0963.

SEQUESTRO DI NOVELLAME PRESSO LA FOCE DEL SELE
Di notte a difendere la natura, prima dai pescatori di frodo e poi dai raccoglitori di … pigne! I primi, purtroppo, non stati rintracciati, nonostante gli appostamenti. Avevano predisposto una sofisticata rete alla foce del fiume Sele, area protetta, per la cattura dei piccoli pesci. In questo periodo, infatti, le acque del fiume si popolano di "novellame", ovvero neonati di varie specie di pesci. La cattura messa in atto doveva verosimilmente servire alla vendita fuori provincia o a qualche vivaio clandestino di specie ittiche d’acqua dolce. Tutto sequestrato, anche se i pescatori, ovviamente, si sono guardati bene dal presentarsi. Migliaia di pesciolini hanno comunque riguadagnato la vita libera grazie alle Guardie del WWF. Subito, infatti, è stata disposta la liberazione del pescato.
Gli insoliti ritrovamenti, però, non finivano qui. All’interno dell’area protetta, infatti, la Guardie del WWF di Salerno hanno provveduto a bloccare due cittadini stranieri trovati in possesso di due quintali di pigne. L’intervento, congiunto ai Carabinieri della Stazione di Santa Cecilia, ha comportato anche il sequestro del mezzo utilizzato per il trasporto, trovato privo di copertura assicurativa e per questo, tutto sommato, coerente con il resto dell’attività illecita. Fonte: GeaPress.

ACQUE DI BALNEAZIONE: VENETO PROMOSSO A PIENI VOTI
Il 98% dei punti di balneazione sono classificati come "eccellenti". Lo certifica l’Arpav, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale che, adeguandosi alla nuova normativa europea sulla qualità delle acque, ha classificato 167 stazioni balneari del Veneto con un prelievo di 1.078 campioni.
"Il risultato – ha annunciato l’assessore all’Ambiente della Regione del Veneto, Maurizio Conte, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Balbi, a Venezia – non lascia dubbi sull’efficacia delle azioni del Piano Tutela Acque: il 92.8% dei punti di balneazione sono classificati come 'eccellenti', il 3.6% rientra nella categoria 'buono' e un altro 3.6% in quella 'sufficiente'. Non ci sono nel Veneto punti che ricadono nella categoria 'scarso'. Significa che in apertura della stagione 2011 tutti i litorali veneti del mare Adriatico, del lago di Garda e dei laghi minori saranno aperti dalla balneazione".
Rispetto a quando previsto dalla normativa precedente, la nuova classificazione ha come obiettivo una maggiore tutela sanitaria dei bagnanti. Sono previsti accertamenti su due parametri batteriologici, Escherichia coli ed enterococchi intestinali, specifici come indicatori di contaminazione fecale. Nel caso in cui acque di balneazione mostrino una tendenza alla proliferazione di cianobatteri, di macroalghe o di fitoplancton marino, sono previste indagini per determinarne il grado di accettabilità ed i rischi per la salute. Inoltre la decisione di chiudere o riaprire un sito di balneazione viene prese dopo una sola analisi (anziché dopo 2 o 3, come accadeva prima). I controlli sono mensili da aprile a settembre, salvo che per i punti che dovessero essere classificati come non idonei, per i quali è prevista invece una frequenza almeno bimensile. News integrale su Aqva.com.

13 GENNAIO 2011

IL TAG NUOCE AL PINGUINO E ALLA RICERCA
Da anni sono utilizzate per analizzare le dinamiche di popolazione del pinguino reale. Eppure, uno studio pubblicato su Nature solleva dubbi sull’uso delle targhette di identificazione che permettono ai ricercatori di seguire questi uccelli. Secondo un gruppo di biologi, coordinato da Yvon Le Maho dell’Università di Strasburgo, in Francia, le targhette danneggiano infatti i pinguini, e falserebbero anche gli studi che indagano le interazioni tra gli animali e l’ambiente.
La maggior parte dei dati sulla biologia dei pinguini reali (Aptenodytes patagonicus) è stata raccolta grazie alle targhette identificative applicate sulle ali degli uccelli per riconoscere e monitorare i singoli individui. Alcuni studiosi giudicano questo metodo di raccolta dati poco efficace e nocivo alla vita dei pinguini stessi. La questione, oltre che di natura etica, ha una rilevanza scientifica: i pinguini reali sono gli “indicatori” privilegiati per giudicare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle comunità animali. Essendo predatori, infatti, sono molto sensibili alle variazioni nella disponibilità e distribuzione delle risorse alimentari, che a loro volta dipendono dalle temperature.
I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti in 10 anni nell’arcipelago sub-antartico delle Isole Crozet su due gruppi di pinguini monitorati: 50 muniti di targhette identificative, 50 sprovvisti. Hanno così scoperto che i primi avevano un tasso di sopravvivenza più basso del 16% rispetto agli altri, e partorivano un numero di piccoli inferiore del 39% rispetto alla media. In effetti, gli studiosi hanno trovato che le targhette ostacolano il nuoto, con il risultato che i pinguini “taggati” impiegano più tempo ed energia per cercare cibo e arrivano più tardi ai siti riproduttivi.
Influendo negativamente sulla sopravvivenza e sulla riproduzione degli animali, le targhette identificative amplificano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Motivo per cui non sembra affidabile valutare gli effetti del surriscaldamento globale sugli ecosistemi marini utilizzando tale metodo di raccolta dati. Un’evidenza che può emergere solo da studi a lungo termine, come questo decennale. Fonte: GalileoNet a cura di Martina Saporiti.
Altre risorse: Oggi Scienza a cura di Sylvie Coyaud.

NAVE CISTERNA CON ACIDO SOLFORICO SI ROVESCIA NEL RENO
Una nave-cisterna che trasportava dell'acido solforico si è capovolta mentre era in navigazione sul Reno, fra le località di Coblenza e Magonza: due membri dell'equipaggio risultano dispersi. L'incidentesi è verificato alle 5 del mattino: a bordo dell'imbarcazione, che trasportava 2mila tonnellate di acido solforico, si trovavano quattro persone due delle quali tratte subito in salvo. News integrale su Aqva.com.

PESCI ORNAMENTALI
Disponibile il Globefish Research Programme, Vol. 102 November 2010 sul commercio dei pesci ornamentali. Il settore dei pesci ornamentali è una parte piccola ma importante del commercio internazionale del pesce e contribuisce sia positivamente allo sviluppo rurale in molti paesi in via di sviluppo, sia, purtroppo, alla devastazione di ambienti unici a causa delle metodiche sconsiderate adottate per la cattura di specie selvatiche. La relazione presenta una panoramica della produzione, del commercio e dei mercati per le specie di pesci ornamentali e fornisce ampie informazioni sulla normativa di importazione nei principali mercati mondiali.

12 GENNAIO 2011

MORIE DI PESCI NEL MONDO
Moria di pesciSe sono gia trapelate alcune indiscrezioni dall'Istituto Zooprofilattico di Lugo, a proposito della moria di tortore dal collare, nessuna notizia certa, ne tantomeno indiscrezioni, arrivano dagli Stati Uniti a proposito delle morie di pesci e pellicani.
Ricordiamo che le morie di animali, come pesci, uccelli, invertebrati ecc, sono abbastanza frequenti nel mondo, tuttavia ora la stampa ha enfatizzato le notizie per interessi commerciali. Come è noto, appena si parla di un evento eccezionale, poi ne seguono subito altri della stessa portata, scomodando le ipotesi più fantasiose e fantascientifiche per dare una spiegazione a fenomeni che nella totalità dei casi sono legate all'inquinamento di origine antropica. Risulta estremamente improbabile che un epidemia di origine virale o batterica possa decimare in un arco di tempo molto breve intere popolazioni di animali. Invece un inquinamento repentino può "benissimo" causare la morte rapida di centinaia e centinaia di individui di una stessa specie.
Le morie di pesci si sono verificate lungo il corso del San Antonio River (la notizia risale al 29 dicembre); in questo caso non è ancora emerso nulla. L'acqua non risulta inquinata e i livelli di ossigeno sono nella norma, tuttavia ricordiamo che risulta improbabile identificare sostanze tossiche solubili in concentrazioni modeste, perchè spesso si interviene quando la corrente ha gia trascinato a valle il carico inquinante. Lungo il corso del San Antonio River sono stati raccolti diverse centinaia di esemplari, in un tratto del fiume abbastanza breve.
Un'altra moria ha interessato il 3 Gennaio 2011 le coste della Chesapeake Bay. In questo caso sono stati conteggiati centinaia di piccoli pesci ammassati lungo le spiagge di Calvert County e Kent Island. La morte, secondo il Maryland Department of the Environment sarebbe da imputare alle temperature delle acque molto basse; ma rimangono dubbi e perplessità.
Una moria ben più imponente ha interessato un lungo tratto dell' Arkansas River, compreso tra Ozark Dam e la Highway 109 Bridge presso Franklin County. Si stima che siano morti oltre 100.000 pesci e il 90% di questi sono tutti appartenenti ad una stessa specie (pesci tamburo). Delle analisi si sta occupando l'University of Arkansas.
Risale al 22 Dicembre 2010 la moria di pellicani, oltre 100 esemplari, documentata lungo le coste della Carolina. Ma questo sembra essere un caso diverso, molti esemplari infatti risultano mutilati, decapitati o squartati. Potrebbe trattarsi quindi, secondo i portavoce della North Carolina Wildlife Resources, di un caso voluto e deliberato.

CONTRABBANDO DI CARNE DI BALENA. IL GIAPPONE AMMETTE...
Per la prima volta l'Agenzia giapponese per la pesca, che gestisce la caccia "scientifica" alle balene nell'Oceano Antartico, ammette che suoi funzionari hanno accettato in regalo tagli pregiati di carne di balena. È una dura sconfitta per il vergognoso programma di caccia baleniera.
Greenpeace ha cominciato a denunciare questo scandalo già nel 2008, quando due attivisti, Junichi e Toru, hanno intercettato due delle numerose casse contenenti carne di balena, destinate a membri dell'equipaggio delle baleniere per uso "privato".
La carne di balena sottratta ai balenieri è stata mostrata ai media nel corso di una conferenza stampa e quindi consegnata alla magistratura che – ironia della sorte - ha deciso di non indagare sul contrabbando ma di processare invece i nostri attivisti.
Nonostante gli appelli dei sostenitori di Greenpeace e di organizzazioni come Amnesty International, Junichi e Toru, noti come i "Tokyo Two", sono stati condannati a un anno di reclusione con sospensione della pena per tre anni.
Oggi possiamo finalmente dire che il sacrificio dei "Tokyo Two" non è stato vano. Così come l'impegno di persone in tutto il mondo che appoggiano le campagne di Greenpeace. Continueremo a denunciare le pratiche corrotte che portano ogni anno al vergognoso massacro di centinaia di balene, in modo da renderne più vicina la fine. Fonte: GreenPeace.

IN NIGER ALTRA DEVASTAZIONE AMBIENTALE

Rottura argine miniera AREVA-Somair200 mila litri di fanghi radioattivi sono fuoriusciti dalle loro vasche di contenimento contaminando diversi ettari di terreno nei pressi della miniera AREVA-Somair in Niger. Lo riferisce Greenpeace e anche Bloomberg riprende la notizia.
La foto a fianco mostra la rottura dell'argine con relativo sversamento di liquidi. Da tempo Greenpeace ha denunciato le condizioni criritiche dell'estrazione di Uranio in Niger, dove AREVA fa profitti in una delle nazioni più povere della terra, lasciandosi dietro un deserto di devastazione ambientale. Lo scarso livello di sicurezza delle miniere di Uranio in Africa emerge anche dai file di Wikileaks.
La miniera di Somair è a cielo aperto. Vengono scavate enormi voragini e la roccia estratta viene frantumata e trattata chimicamente per raccogliere il poco Uranio che contiene.
In queste rocce la concentrazione di U3O8 è molto bassa, meno dello 0.1%. Questo significa che per ottenere una tonnellata di Uranio occorre smuovere almeno 1200 tonnellate di roccia e usare circa 80 tonnellate equivalenti di petrolio (alla faccia delle emissioni zero). Poichè AREVA progetta di estrarre 3000 t di Uranio all'anno questo significa smuovere (ogni anno) 3.5 milioni di tonnellate di materiale (un cubo di 90 m di lato) consumando 240 mila tonnellate di petrolio In altri termini, a mano a mano che si procede a sfruttare giacimenti più poveri aumenteranno i costi energetici e la devastazione ambientale. Fonte: Blogosfere.

11 GENNAIO 2011

UNA PETIZIONE PER SALVARE IL MEDITERRANEO
Quando si parla di salvaguardia del mare e delle sue risorse, si pensa subito al controllo della pesca. Ma il Mediterraneo è in pericolo anche a causa di una forma di inquinamento quasi invisibile: 250 miliardi di micro-particelle di plastica che possono intossicare i pesci e addirittura il plancton, la base dell’ecosistema marino. La Spedizione M.E.D. (Méditerranée en danger) 2010-2013 è una grande campagna scientifica e ambientalista lanciata dall’Ifremer (Institut français de recherche pour l'exploration de la mer) e dall’Università di Liège (Belgio), con un’equipe di studiosi da una decina di laboratori universitari europei. Dopo una prima serie di analisi sui litorali di Francia, Spagna e nord-Italia, i ricercatori hanno stimato circa 250 miliardi di micro-particelle di plastica presenti, per 500 tonnellate complessive.
Le micro-particelle derivano dalla frammentazione di imballaggi e altri rifiuti, sono disperse dai flutti e dal vento, e vengono infine ingerite dai pesci e dal plancton. Sono perciò a rischio l’ecosistema, la biodiversità marina e la stessa catena alimentare.
Per prevenire una catastrofe ambientale, è necessario coinvolgere i cittadini e le istituzioni così da stabilire un sistema di regole adeguate. È perciò partita la raccolta di firme per una petizione europea, che può essere sottoscritta online alla pagina web http://www.expeditionmed.eu/petition. L’istanza è rivolta al Parlamento Europeo, al Presidente dell'Unione Europea, al Commissario per gli Affari Marittimi e della Pesca. Obiettivo: sollecitare un intervento adatto a mitigare la dispersione dei rifiuti in plastica nell’ambiente marino.
I cittadini europei e dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo che sottoscrivono la petizione:

  1. si impegnano a contribuire alla riduzione dei rifiuti, favorendo l’impiego di materiali riutilizzabili e riciclabili e optando per acquisti consapevoli, che stimolino l’offerta di prodotti con imballaggi compatibili con l’ambiente, minimizzando le quantità di rifiuti;
  2. chiedono al Parlamento europeo di rafforzare il quadro legislativo esistente (direttiva 94/62/CE relativa agli imballaggi e ai rifiuti da imballaggio): per stimolare produttori, importatori, utilizzatori e distributori di imballaggi a ridurre alla fonte il loro impatto ambientale, facendo attenzione a confezioni mono-uso, imballi primari (bottiglia, lattina, vasetto) e secondari (il cellophan o il cartone che raggruppa più bottiglie o lattine, etc.), riciclaggio e riutilizzo, smaltimento. Si richiede anche di controllare l’applicazione delle nuove regole su tutti i materiali prodotti e importati in UE;
  3. chiedono al Parlamento europeo di promuovere una campagna d’informazione per sensibilizzare le popolazioni sui gravi effetti della dispersione di rifiuti nell’ambiente.

L’Italia ha già vietato la vendita e distribuzione di sacchetti di plastica nei negozi e supermercati dall’1 gennaio 2011. Un’ottima notizia: fino al 2010 il nostro Paese ha consumato circa un quarto dei 100 miliardi dei sacchetti usati ogni anno in Europa. Le buste in plastica, realizzate prevalentemente in Asia (Cina, Tailandia, Malesia) devono essere sostituite da altre in carta o materiali biodegradabili (nei quali l’Italia è tra l’altro all’avanguardia sul fronte tecnologico e produttivo.
Per il download della petizione: http://www.expeditionmed.eu/petition/petition_Expedition_M.E.D.pdf. Fonte: IlFattoAlimentare a cura di Dario Dongo.

DIVIETO EUROPEO SUL FINNING
Esperti della pesca agli squali sostengono, in un rapporto presentato il 9 dicembre 2010, che per rafforzare il divieto dell’Unione Europea sul finning, ai pescatori dell’UE non dovrebbe essere permessa la rimozione delle pinne di squalo sui pescherecci, e che le scappatoie esistenti nel Regolamento Europeo danno la possibilità ai pescatori di tagliare le pinne a due squali su tre senza che vengano scoperti o puniti.
Lo studio è stato condotto dall Gruppo di Esperti sugli Squali dell’IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e l’European Elasmobranch Association (EEA), denominato Le pinne di squalo in Europa: le implicazioni della Riforma del Regolamento Europeo sul finning, mette a confronto la cattura, la lavorazione, il commercio e il Regolamento dell’UE sul  finning con il resto del mondo, proponendo raccomandazioni allo scopo di migliorarlo e rafforzarlo.
"Il dibattito internazionale sul divieto di finning" – la dannosa pratica che consiste nel tagliare le pinne dello squalo e gettarne il corpo in mare – "e di come applicare al meglio tale Regolamento ha imperversato per più di un decennio" dice Sarah Fowler, autrice del Rapporto ed ex co-presidente della SSG e presidente della EEA. "Il nostro Rapporto  intende esaminare questa situazione, dando particolare rilievo al peso dell’UE sulla pesca, il commercio  e le politiche di gestione, oltre ad elaborare precise raccomandazioni su come migliorare la situazione attuale".
Nel dimostrare che proibire la rimozione in mare è la soluzione migliore per applicare il divieto sul finning, gli esperti fanno notare che tale opzione facilita la raccolta dati sulle catture e sulle singole specie, fondamentale per la valutazione e la gestione delle popolazioni di squali.
"Lo spreco e il tasso insostenibile di mortalità associate al finning minaccia le popolazioni di squali, la pesca, la sicurezza alimentare e la sostenibilità degli ecosistemi marini", dice Sonja Fordham. Il modo più sicuro per far rispettare il divieto di finning è quello di richiedere che gli squali vengano sbarcati con le pinne 'naturalmente attaccate' ai corpi. Questo sistema è stato adottato da diversi Stati, in particolare in America centrale e in America del nord, dando impeto ad un cambiamento globale".
Lo studio è stato intrapreso affinché contribuisse all’attuale dibattito sui punti deboli del Regolamento Europeo sul finning. Lo scorso mese, la Commissione Europea ha avviato una Consultazione pubblica sulle opzioni per modificare il Regolamento, incluso il divieto di rimozione delle pinne in mare. Shark Alliance accoglie positivamente tale Consultazione.
"Per troppo tempo, l’UE ha lasciato un varco aperto alla pratica del finning sugli squali", ha detto Uta Bellion, Direttore del Programma Marino Europeo del Pew Environment Group e coordinatore Europeo di Shark Alliance. "Questo rapporto conferma la nostra richiesta alla Commissione Europea di proporre una legge nel 2011 che contenga l’unica vera opzione per prevenire il finning – il divieto totale della rimozione delle pinne in mare".
Spagna, Francia, Regno Unito e Portogallo sono fra i primi 20 Paesi per la cattura degli squali: gli sbarchi complessivi di questi quattro Stati membri classificano l’Europa al secondo posto al mondo, dietro solo all’Indonesia, per volume di catture di squali.

AMMONITI CON I DENTI?
Le ammoniti erano dotate di mandibole e si cibavano di plancton. Ad affermarlo è uno studio realizzato dal Musèum National d'Histoire Naturelle (Parigi) e dall'American Museum of Natural History (New York) pubblicato su Science. La ricerca, grazie alla scansione della struttura interna dei fossili, getta luce sull'alimentazione e sul ruolo ecologico di questi invertebrati marini estinti circa 65 milioni di anni fa.
Le ammoniti, infatti, rappresentavano dei lontani parenti di calamari e polpi, pur assomigliando sotto molti aspetti ai Nautilus, un genere di molluschi classificati come fossili viventi. Dopo essere comparsi circa 400 milioni di anni fa, questi invertebrati sono andati incontro a un'incredibile radiazione (ovvero la generazione di numerose specie da un unico progenitore) e proliferazione durante il giurassico, per poi estinguersi assieme ai dinosauri.
Finora, malgrado la grande quantità di reperti fossili ritrovati, il ruolo delle ammoniti nella catena alimentare marina non era stato ancora ben delineato. Lo studio condotto da Isabelle Kruta, invece, è riuscito a ricostruire la struttura tridimensionale della bocca di questi animali. La ricostruzione (guarda il video su saperevedere) ha mostrato che questi molluschi avevano le mascelle e una radula dentata (l'organo raschiatore che usano i molluschi per trovare il cibo) ed erano quindi teoricamente in grado di mangiare piccole prede. Nella sua analisi, la ricercatrice francese ha studiato fossili di Baculites rinvenuti dall'American Museum of Natuaral History nel corso di una spedizione alle Great Plains del South Dakota (Usa). Oltre a ottenere una ricostruzione ad alta definizione dell'apparato boccale, i ricercatori hanno rinvenuto un chiaro indizio della loro alimentazione: in uno dei reperti, infatti, sono stati trovati dei rimasugli di plancton.
"Il plancton ritrovato – spiega Fabrizio Cecca, uno degli autori dello studio e ricercatore presso l'Université Pierre et Marie Curie di Parigi – rappresenta la prima prova delle abitudini alimentari delle ammoniti e ci aiuta a comprendere le ragioni dell'estinzione di questi animali". In particolare, la scoperta consente di legare il loro destino a quello del loro cibo: la radiazione del plancton, avvenuta nel giurassico inferiore, potrebbe corrispondere a quella delle ammoniti, mentre l'enorme diminuzione di plancton registrata 65 milioni di anni fa potrebbe aver contribuito alla scomparsa dei suoi predatori, rimasti così senza cibo. Fonte: GalileoNet.

10 GENNAIO 2011

PESCATORI DI FRODO IN AZIONE
La pesca di frodo non conosce sosta alcuna e solo negli ultimi giorni ha fatto registrare numerosi interventi delle Forze di Polizia con sequestro di attrezzature da pesca ed ingenti quantitativi di pescato che illegalmente si stavano introducendo in commercio.
Proprio ieri, gli Agenti della Squadra Nautica della Polizia di Stato, nel corso di un servizio di vigilanza nelle acque del golfo di Oristano, hanno proceduto ad un controllo su una imbarcazione da diporto, sulla quale 4 pescatori professionisti, provenienti dal cagliaritano, detenevano in totale 4.500 ricci appena pescati, nonché l’attrezzatura subacquea necessaria per la pesca. Il pescato è stato rimesso in mare e l’attrezzatura di pesca è stata posta sotto sequestro. Ai quattro pescatori di frodo è stata elevata una sanzione amministrativa.
A Formia, invece nei giorni scorsi, è scattata un’ operazione della locale Capitaneria di Porto nelle acque del golfo di Gaeta a seguito di un divieto emesso dalla stessa Capitaneria dopo i risultati delle analisi delle acque, condotte dalla ASL, che avevano rilevato una eccessiva presenza di residui microbiologici. I militari hanno, quindi, ispezionato un peschereccio regolarmente registrato al Porto di Gaeta ma condotto da pescatori campani che avevano da poco attraccato al molo Vespucci. I sei quintali di cozze che gli uomini della Capitaneria hanno trovato a bordo erano state pescate nell’ allevamento ittico al largo di Gaeta. L’ingente pescato è stato sequestrato ed al comandante del peschereccio è stata elevata una multa di 6.000 euro.
A Bari, poi, la Guardia Costiera, a seguito di indagini che indicavano proprio il Porto pugliese quale luogo di possibile traffico di pescato illegale, hanno bloccato un’autovettura proveniente dalla Grecia nella quale erano nascosti 150 Kg di datteri di mare. La pesca del dattero di mare è tra le più distruttive, poiché annienta il substrato roccioso a cui i datteri sono saldamente attaccati.
Ma i controlli riguardano anche gli esercizi commerciali che in barba alla legge commerciano il frutto della pesca illegale. Pochi giorni fa a Gioia Tauro, infatti, durante i controlli messi in atto dalla Capitaneria di Porto per contrastare in particolar modo la pesca e la commercializzazione di novellame, è stato denunciato un esercizio commerciale che esponeva alla vendita novellame di sardina (bianchetto).
La pesca di novellame, sottolineano i Militari della Guardia Costiera, non solo è particolarmente grave poiché incide sul ripopolamento marino ma è vietata a causa del mancato rilascio delle autorizzazioni per la pesca speciale. Queste, fino allo scorso anno rilasciate dal Ministero per le Politiche agricole, sono bloccate in attesa dell’approvazione da parte della Commissione europea dei piani di gestione. Per i quali, ci si augura, che pesi di più il benessere del mare e dei suoi abitanti piuttosto che i gusti, spesso dannosi, di certa cucina nostrana. Fonte: GeaPress a cura di Marcella Porpora.

08 GENNAIO 2011

DELFINO ADULTO TROVATO A MARETTIMO (TP)
Un grosso delfino, di circa 1.8 metri di lunghezza, è stato rinvenuto nei giorni scorsi nella costa rocciosa dell’isola di Marettimo (TP), non molto distante dal centro abitato. Lo stato di decomposizione rendeva difficile sia l’identificazione della specie oltre che potere risalire ad eventuale presenza di ferite esterne, tali ad esempio da far pensare ad un impatto con eliche di imbarcazioni. Per quello che era possibile vedere, non vi erano tracce di resti di reti da pesca.
Per risalire alle esatte cause della morte (ad esempio se per ingestione di sacchetti di plastica o annegamento, magari causato dalle reti) occorrerebbe un esame autoptico, ma è probabile che la carcassa del povero delfino rimarrà sugli scogli, lì dove è stata rinvenuta e fotografata da un gruppo di escursionisti.
Recentemente un altro delfino, più esattamente un Tursiope, era stato trovato dal Corpo Forestale dello Stato, nella battigia nei pressi della foce del torrente Bevano, in provincia di Ravenna (vedi articolo GeaPress). Anche in questo caso l’animale non presentava segni esterni che potessero fare supporre la causa di morte. Il delfino, comunque, era stato rinvenuto non oltre un’ ora successiva allo spiaggiamento. La pattuglia della Forestale, infatti, era passata una prima volta poco prima del ritrovamento. In quei giorni, a Ravenna, forse a causa delle mareggiate, erano state rinvenute spiaggiate alcune tartarughe di mare, Caretta caretta. (GEAPRESS – Riproduzione vietata senza citare la fonte). Fonte GeaPress a cura di Leda Giordano.

07 GENNAIO 2011

LA UE FINANZIA L'ESTINZIONE DEL TONNO ROSSO
L’UE finanzia l’estinzione del tonno rosso, elargendo sussidi alle flotte di pescherecci dediti alla loro cattura. Lo scorso anno l’eurodeputato verde Raul Romeva i Rueda in una interrogazione al Commissario per la Pesca, Joe Borg, metteva in evidenza come la stessa UE finanzia la pesca al tonno rosso: dal 2000 al 2008 oltre 34.500.000 euro di sussidi. I sussidi comunitari sono andati quasi per il 50% alla Spagna, poi alla Francia e all’Italia, a Cipro, a Malta e alla Grecia. Contemporaneamente l’UE avrebbe deciso anche il depotenziamento delle flotte: ossimoro non letterale, ma reale!

La morte nella tonnara raccontata da un tonno:
E’ da almeno l’anno mille che veniamo sterminati nelle tonnare. 
Difficile capire, quando rimani intrappolato nella prima "camera",  che sei incappato in una trappola.
Seguono altre "camere",  chilometri  di reti, immobili sul fondo marino.
Camere dopo camere, impensabili per noi abituati alle immensità marine.
Per altri animali si chiamano gabbie, impensabili anche per loro abituati all’immensità del cielo o della terra.
Siamo sospinti ad avanzare. Certo i metodi non sono gentili! Gli arpioni ci feriscono ovunque.
Un passaggio obbligato è detto "camera  d’oro", ma non c’è niente che luccica; qualcuno ha sentito chiamarla anche anticamera della morte.
Siamo sanguinanti per le ferite degli arpioni, sostiamo qui perché qualcuno ci valuta e ci vende.
Qualche tonno ha sentito dire che  è stato scelto il Santo che proteggerà le operazioni. Quali operazioni? A cosa serve il Santo?
Quando arriviamo all’ultima "camera", quella della morte, la rete ha anche un fondo, non c’è via di scampo.
Sono prigioniero con molti altri.
Veniamo sollevati, portati a pelo d’acqua, intanto lo spazio diventa sempre più stretto, siamo tutti ammassati.
Siamo circondati da una moltitudine di barche. Gli umani gridano ed inizia la strage!
Noi ci dibattiamo, sempre con minori forze, loro ci arpionano in tutto il corpo, il mare diventa rosso.
E’ una mattanza: siamo sterminati!

Fonte: GeaPress a cura di Elisa D'Alessio.

06 GENNAIO 2011

A QUALCUNO NON PIACE CALDO
Il progressivo aumento della temperatura e dell’acidità degli oceani mette in pericolo la sopravvivenza di molti piccoli molluschi marini che non riescono più a costruire lo scheletro esterno calcareo per proteggere i loro fragili corpi.

In condizioni di temperatura e acidità superiori al normale, gli scheletri dei molluschi nascono deformi e trasparenti e non ce la fanno a svolgere la loro funzione protettiva. È quanto emerso da una ricerca che mira a valutare gli effetti del riscaldamento e dell’acidificazione dell’acqua del mare, svolta da un gruppo di ricercatori australiani. Sono state studiate due specie: i molluschi gasteropodi marini noti come abaloni (Haliotis coccoradiata) — sono quelli che hanno la forma di orecchia e l’interno iridescente — e i ricci (Heliocidaris erythrogramma).
Entrambe le specie nascono in mare aperto e poi da adulti si spostano e colonizzano le coste. Nella prima fase in mare aperto, costruiscono lo scheletro e la conchiglia utilizzando il calcio disciolto nell’acqua. I ricercatori hanno fatto crescere le uova delle due specie in un ambiente lievemente più acido del normale, con un pH di 7.6 e 7.8 invece di 8.2, e una temperatura superiore di 4 °C e 2 °C. I poveri abaloni non si sono trovati bene. Non sono riusciti a calcificare lo scheletro che è cresciuto come una specie di agglomerato senza forma (come mostrato nella foto a destra), e la maggior parte dei piccoli è morta anche con incremento di soli 2°C di temperatura.
Anche i ricci hanno sofferto, ma sono riusciti a sopravvivere nell’acqua a +2 °C anche con un pH più acido. Hanno tuttavia sviluppato meno spine. Questi risultati dimostrano che i cambiamenti climatici previsti a medio termine, con un aumento della temperatura degli oceani di circa 2 °C entro il 2030, avranno degli effetti che metteranno a rischio la sopravvivenza di queste, e altre specie simili, che hanno una grande importanza per la biodiversità del mare e per l’economia di molti paesi. Fonte: Oggi Scienza a cura di Simona Cerrato.

PERDITA DELL'HABITAT E SPECIE INVASIVE
L'ingresso di specie invasive può portare a eventi di estinzione di massa: è questa la conclusione di uno studio condotto dalla Divisione di Scienze della Terra della National Science Foundation (Virginia, Usa) per comprendere le cause alla base della grande estinzione di massa avvenuta nel Devoniano, circa 375 milioni di anni fa. La ricerca, pubblicata su PLoS One, potrebbe fornire nuovi strumenti per combattere la perdita di biodiversità che si sta registrando negli ultimi decenni.
Nel corso della sua storia, la Terra è andata incontro ad almeno cinque sostanziali eventi di estinzione di massa; quello avvenuto nel Devoniano presenta, però, caratteristiche completamente differenti rispetto agli altri. In questo periodo, infatti, la diminuzione in biodiversità, soprattutto marina, fu guidata da un arresto nella comparsa di nuove specie. “Generalmente ci si riferisce a questo periodo come a un'estinzione di massa; in realtà si è trattato più che altro di una crisi della biodiversità”, ha precisato Alycia Stigall, una degli autori della ricerca.
Per comprendere le ragioni di questo crollo della biodiversità del mare, cominciato quasi 400 milioni di anni fa, i ricercatori hanno cercato di individuare il meccanismo che ha portato al blocco della nascita di nuove specie. Dallo studio, che si è focalizzato sul destino di quattro specie (il bivalve Leptodesma, il crostaceo Archaeostraca e i brachiopodi Floweria e Schizophoria), sembra che a scatenare quella condizione sia stata la combinazione di due fenomeni: da un lato l'assenza delle condizioni principali per la formazione di nuove specie; dall'altro, l'ingresso di specie invasive nella maggior parte degli ecosistemi.
Nel Devoniano, infatti, l'incremento del livello del mare e la formazione di un unico super-continente hanno generato una diminuzione degli ecosistemi marini, cui ha fatto seguito un calo della vicarianza - vale a dire della comparsa di specie diverse dovuta a una separazione geografica. A rafforzare e velocizzare il processo sono state le specie invasive, che hanno avuto rapidamente la meglio su molti esemplari più adattati al loro habitat.
Secondo gli autori, questo studio è fondamentale per la comprensione dell'attuale crisi di biodiversità, considerato il fatto che gli esseri umani hanno introdotto molte specie invasive in diversi ecosistemi. “Anche qualora si riuscisse a bloccare la perdita di habitat - ha spiegato Stigall – l'introduzione di specie alloctone potrebbe rallentare per molto tempo il tasso di formazione di nuove specie nel mondo”. Fonte: GalileoNet a cura di Giulia Belardelli.

05 GENNAIO 2011

TONNO ROSSO VENDUTO A 300.000 EURO
Un tonno rosso è stato venduto oggi al prezzo record di quasi 300.000 euro alla prima asta dell’anno al mercato del pesce di Tsukiji a Tokyo. L'esemplare di 342 kg, pescato al largo dell’isola settentrionale di Hokkaido, è stato acquistato da due proprietari di un ristorante di sushi in Giappone e Hong Kong, che aveva gia’ effettuato l’offerta più alta del mercato nel gennaio 2009 e nel 2010.
Coi suoi 32.49 milioni di yen di costo (298.000 euro), è questo il tonno più costoso nella storia del Giappone, oltre il record di 20 milioni di yen (183.000 euro) raggiunto nel 2001, ha detto un funzionario di Tsukiji, il mercato del pesce più grande del mondo. A questo prezzo, il pezzo di sashimi (pesce crudo) o sushi (con aceto di riso), dovrebbe essere proposto a circa 3.450 yen (31.65 euro), hanno calcolato i media giapponesi.
"Sono contento", ha detto il commerciante di Hong Kong che ha effettuato l’acquisto ai giornalisti. "Si tratta di un buon esemplare. Il prezzo elevato e’ dovuto alla forte domanda dall’estero".
In totale sono stati messi all’asta 538 tonni rossi questa mattina all’alba. Secondo i media giapponesi, il tonno di prima scelta è sempre più popolare in Cina e la partecipazione all’asta dei cinesi ha spinto verso l’alto i prezzi. Il Giappone consuma l’80% del tonno rosso catturato nel mondo, soprattutto sotto forma di sushi.
Negli ultimi anni, tuttavia, i quantitativi medi in asta allo Tsukiji sono diminuiti a causa dei maggiori controlli sulla pesca del tonno rosso in scia alle preoccupazione a livello mondiale per la sopravvivenza di una specie considerata a rischio per l’eccessivo sfruttamento alimentare. Fonte: Quotidiano.net.

03 GENNAIO 2011

100.000 PESCI MORTI IN ARKANSAS
Il giallo in Arkansas continua!
Dopo i 5.000 merli morti scoperti il 31 dicembre 2010 ora è strage di pesci. In mattinata sono stati trovati senza vita 100.000 pesci tamburo nel fiume Arkansas, a circa 200 km dalla cittadina di Beebe dove erano stati rinvenuti gli uccelli. È quanto riferisce il New York Daily News.
"I pesci morti ricoprono le sponde del fiume per circa 32 chilometri vicino alla cittadina di Ozark" ha detto Keith Stephens della Commissione Statale sulla Cacciaggione e la Pesca. I funzionari stanno conducendo dei test per capire quale sia la causa anche se è stata esclusa al momento quella di "un'agente inquinante dell'acqua" perchè in quel caso "avrebbe colpito ogni specie, non solo i pesci tamburo", ha spiegato Stephens. Fonte: AGI.

BALENE, SCONTRI, E INSEGUIMENTI IN GIAPPONE
Scambio di ruoli nell'annuale duello nei mari antartici fra gli attivisti di Sea Shepherd e la flotta giapponese, impegnata come ogni estate australe nella caccia "scientifica" alle balene, con tre navi arpionatrici all'inseguimento delle tre navi del gruppo ambientalista, apparentemente per tenerle lontane dalla nave-mattatoio, l'ammiraglia Nisshin Maru. Un gioco al gatto e al topo che fa seguito agli scontri di sabato, 3.000 km a sudest della Nuova Zelanda, quando gli attivisti dai gommoni hanno lanciato sulle baleniere bombe puzzolenti e tentato di bloccare le eliche con cavi d'acciaio, mentre i giapponesi li prendevano di mira con cannoni ad acqua ad alta pressione.
La flotta giapponese di quattro navi era salpata il mese scorso per la spedizione di tre mesi con una quota di 1000 balene, e gli attivisti l'avevano avvistata venerdì. La tattica giapponese degli inseguimenti non preoccupa il comandante di Sea Shepherd, Paul Watson. "Onestamente, non capisco cosa vogliano fare, ma finché non uccidono balene siamo contenti", ha detto per telefono ad un quotidiano neozelandese. "Le navi arpionatrici sono separate dalla Nisshin Maru e non possono cacciare. La cosa più bella è vedere un branco di balene e le baleniere che passano loro davanti" ha aggiunto. "La nostra sfida sarà di impedire che ne uccidano nei prossimi giorni".
Sono invece le tattiche degli ambientalisti ad essere definite "pericolose e illegali" dall'Istituto giapponese di ricerca sui cetacei, responsabile per la caccia che sfrutta una scappatoia del Trattato baleniero internazionale. L'Istituto ha chiesto all'Australia e ai Paesi Bassi, dove sono registrate le navi di Sea Shepherd, di intraprendere azione penale contro gli attivisti. E oggi la premier australiana Julia Gillard esortato entrambe le parti a evitare situazioni pericolose. "La cosa importante è assicurare che nessuno sia a rischio in una parte del mondo remota, pericolosa e molto inospitale", ha detto. Fonte: ANSA.

L'UNICA COLONIA DI FOCA MONACA VIVE IN GRECIA
Secondo quanto dichiarato dalla Società Ellenica di studio sulla foca monaca alla BBC, sarebbe stata scoperta una nuova colonia in una piccola isola dell’Egeo. La particolarità della scoperta risiede nel fatto che le foche utilizzano una spiaggia aperta. Secondo gli esperti, infatti, le foche monache sarebbero state spinte all’interno delle grotte, dove notoriamente può capitare di notarle, solo dal disturbo antropico. In queste sedi, durante le mareggiate, muoiono spesso i cuccioli impossibilitati a trovare una via di fuga che li possa mettere a riparo. Il luogo, tenuto rigorosamente segreto, sarebbe da destinare a riserva marina, prima che gli insediamenti turistici facciano scomparire la foca. Agli inizi di dicembre, sempre la Società Ellenica, aveva diffuso la notizia della nasciata di 27 cuccioli di foca monaca in altre colonie dell’Egeo. Per l’Italia giova ricordare che quest’anno sono stati registrati due avvistamenti di nei pressi dell’ isola d’Elba. Un luogo storico di presenza e nidificazione della foca era la vicina isola di Montecristo. Si estinze per la caccia ai nocivi. Il primo avvistamento della foca monaca dell’isola d’Elba, risalente allo scorso maggio, è avvenuto grazie a Legambiente che, giustamente, ha sottolineato l’esigenza di maggiori misure di protezione lungo le coste dell’arcipelaco toscano. La foca monaca del mediterraneo, resiste ancora con 500-600 individui. Fonte GeaPress, a cura di di Leda Giordano.

IN GRAVE PERICOLO I LEONI MARINI DEL SUD AMERICA
Intorno alla metà del XIX secolo, i leoni marini del Sud America hanno raggiunto l'orlo dell'estinzione. Sebbene la loro popolazione si sia gradatamente ripresa nel corso dei decenni successivi, questi esemplari sono nuovamente in grave pericolo a causa del commercio illegale di prodotti da loro derivati e del fatto che gli esseri umani stanno invadendo il loro ambiente naturale privando le loro comunità di cibo e di rifugi protetti.
E' noto che I leoni marini siano parte integrante dell'ecosistema naturale della costa del Cile. Purtroppo, il crescente confronto tra leoni marini e pescatori sta rapidamente distruggendo questo delicato equilibrio. I pescatori non solo si lamentano del fatto che i leoni marini riducano le quantità di pesce, ma affermano che questi interferiscono con le loro tecniche di pesca. La News completa si trova sul sito di Sea Shepherd.

02 GENNAIO 2011

LA FINE DEI SACCHETTI DI PLASTICA
Da ieri 1 gennaio 2011 il sacchetto di plastica, da sempre simbolo di inquinamento, è fuori legge. Secondo quanto deciso il 22 dicembre dal Consiglio dei Ministri, i commercianti non potranno più utilizzare sacchetti di plastica non biodegradabili per consegnare la merce. Secondo la Coldiretti, si tratta di una vera rivoluzione nel modo di fare la spesa a poco piu' di cento anni dall'invenzione della plastica che nasceva nel 1907 per opera del chimico belga Leo Baekeland che inventò la bakelite, la prima plastica completamente sintetica prodotta su scala industriale. Gli italiani che sono tra i massimi utilizzatori in Europa di shoppers in plastica, con un consumo medio annuale di 300 sacchetti a testa, dovranno adattarsi a sacchetti realizzati in bioplastica ricavata da mais e da altre materie vegetali o portarsi da casa - soluzione a nostro avviso da preferire! - una comoda e ampia sporta in tessuto o meglio ancora in iuta. Il provvedimento che recepisce disposizioni comunitarie, in particolare la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, andrà sicuramente a migliorare lo stato di salute del nostro Pianeta, dei nostri mari dove quantità ingenti di rifiuti plastici galleggianti quando si degradano avvelenano le catene alimentari, uccidendo migliaia di animali e soffocando gli organismi sul fondo dei mari. Nei mercati e nei punti vendita degli agricoltori di Campagna Amica - informa la Coldiretti - sono molteplici le iniziative per favorire questo passaggio come i progetti "Porta la Sporta" e "Compostiamoci meglio". Tratto da Blogosfere a cura di Anita Richeldi.