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03 GENNAIO 2013
PESCA INDUSTRIALE, UN PERICOLO PER IL PIANETA
Ogni anno, i governi dei Paesi più industrializzati del mondo, destinano 27.000 milioni di dollari alle aziende di pesca industriale che non praticano una pesca sostenibile. Questo è il dato allarmante rivelato dalla pubblicazione di uno studio dell'Università Canadese della Columbia Britannica.
Due terzi del totale delle sovvenzioni provengono dai Paesi europei o da Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e Taiwan. Questo dato è facilmente spiegabile se consideriamo che nei Paesi ricchi, si consuma il triplo del pescato rispetto a quanto consumato nei Paesi meno sviluppati. La sproporzione nella domanda fa sì che questi governi debbano ricorrere all'importazione. Le imprese sovvenzionate attingono dunque alle risorse ittiche all'estero, visto che le riserve ittiche dei loro Paesi di provenienza sono esaurite da tempo.
La maggior parte dei finanziamenti pubblici è destinata alla costruzione delle imbarcazioni - attrezzate con tecnologie sempre più avanzate - e all'acquisto del carburante necessario. La pesca locale non può competere con la pesca industriale, caratterizzata da un sistema di pesca a strascico che consente una pesca molto intensiva in tempi rapidi. I 12 milioni di pescatori artigianali attivi nel mondo, vedono così progressivamente ridursi le loro possibilità di guadagno. Essi osservano impotenti le immense navi straniere appropriarsi delle loro risorse e, a poco a poco, spariscono le condizioni che hanno finora permesso loro di guadagnarsi da vivere. Le zone più colpite dal saccheggio sono l'Africa occidentale e il Pacifico meridionale, dal Cile e dal Perù fino alle isole dell'Oceania. In Senegal, il 7% della popolazione è dedita alla pesca e, alcune città costiere, dipendono esclusivamente da essa.
La pesca industriale toglie importanti risorse alimentari a molte popolazioni costiere, la cui principale fonte di alimentazione è proprio il pesce. Nonostante gli sforzi per prevenire questo eccessivo sfruttamento, le multinazionali cercano meccanismi per continuare a pescare indisturbate. Il governo senegalese ha sospeso i propri accordi in materia con l'Unione Europea (UE), ma in risposta le multinazionali che operavano sulle coste senegalesi si sono trasformate in joint ventures e sono dunque assimilabili, per legge, alle imprese locali. Allo stesso modo anche i meccanismi di concessione delle licenze per la pesca in aeree protette sono tutt'altro che trasparenti.
Un altro esempio allarmante è rappresentato dal Cile. La Fondazione Centro de Investigaciones e Informaciones Periodisticas (CIPER) afferma che la riserva cilena di sgombri è calata del 90% in soli 20 anni. Un ritmo inammissibile. Con le loro attività all'estero, le multinazionali della pesca, oltre a privare le popolazioni locali delle loro risorse marine, assegnano a questi Paesi come compensazione solo una percentuale bassissima dei profitti - tra il 2% e il 6% - e in molti casi questi fondi sono destinati ad amministrazioni corrotte che non li investiranno per il bene comune.
La pesca industriale provoca lo spreco di 15 milioni di tonnellate di pesce, pari al 50% del totale pescato, mentre con i metodi tradizionali la quantità scartata è quasi nulla. La pesca artigianale impiega 24 volte la quantità dei lavoratori impiegati dalla pesca intensiva e contamina 7 volte meno. Inoltre, la pesca industriale non sarebbe redditizia senza l'appoggio finanziario dei governi. Sembra che vi siano ragioni sufficienti per appoggiare la pesca tradizionale nei Paesi in via di sviluppo, così come per reagire agli abusi commessi dalle imbarcazioni di proprietà di aziende colpevoli di crimini sociali e ambientali, che operano impunemente grazie alle ambiguità legislative e grazie a manovre illecite nell'ottenimento delle licenze. L'Unione Europea è attualmente impegnata nell'elaborazione della riforma della sua Politica Comune sulla Pesca. L'UE propone di screditare e penalizzare comportamenti che portano allo spreco, il riversamento in mare di pesci morti per via del loro scarso valore sul mercato, il sistema della pesca a strascico, colpevole della distruzione dei fondali marini e anche dell'estrazione di plancton, con la conseguente distruzione della catena trofica marina. Tuttavia questi strumenti di controllo saranno applicabili al solo territorio europeo.
Milioni di persone si ritroveranno senza lavoro e senza cibo. La pesca abusiva devasta l'ecosistema marino e porta progressivamente all'estinzione degli esemplari che vi risiedono. L'ONU ha lanciato un avvertimento: se si continuerà a pescare a questo ritmo, non vi saranno più pesci sul nostro pianeta entro il 2050. È perciò necessario esigere la sospensione delle sovvenzioni a coloro che non attuano una pesca sostenibile ed elaborare un quadro legislativo a livello internazionale che garantisca un'attività di pesca rispettosa dell'ambiente e delle persone. Fonte: ASUD.
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