OCCHIO ALLE MEDUSE: Pelagia noctiluca
P. noctiluca. Luglio 2010. Fotografia Castronuovo M. Nicola.
Pelagia noctiluca (Forskål, 1775), è una piccola medusa appartenente alla famiglia Carybdeiae. Linneo la battezzò Medusa pelagia, e poi altri autori nel corso degli anni le affibbiarono decine di nomi (Pelagia neglecta, P. crassa, P. minuta, P. perla, P. papillata, P. placenta ecc).
Le pubblicazioni e gli articoli su questa specie sono numerosissimi e farne un riassunto è praticamente impossibile. Per cui ci limiteremo a descriverla nelle sue caratteristiche essenziali.
LE SCIFOMEDUSE
P. noctiluca appartiene alla classe delle Scifomeduse (da "sifus/skifus" che significa "coppa o tazza di legno"). Le meduse sono organismi diblastici, ovvero caratterizzati da due foglietti embrionali, chiamati ectoderma ed endoderma, separati dalla mesoglea, una matrice gelatinosa extracellulare elastica, la cui struttura determina la forma della medusa ed interviene nel galleggiamento. Spesso si associa ecto- ed endoderma all'epiderma, ma in realtà ecto- ed endoderma sono strutture monostratificate e flagellate (mancano le cilia), mentre l'epiderma è una struttura pluristratificata che manca nelle meduse. I flagelli muovendosi tengono pulito il corpo dell'animale. Questo è organizzato attorno ad un asse oro-aborale. La presenza della bocca definisce la polarità dell'animale.
In generale nelle scifomeduse manca spesso il manubrium, la bocca è quadrangolare e manca sempre il velum o craspedo (da cui il termine di meduse acraspedote). Presentano dei lobi marginali e dei tentacoli gastrici. La cavità gastrovascolare è divisa in quattro sacche gastriche da dei setti. Hanno generalmente otto ropali (organi di senso marginale costituiti da ocelli, statocisti e fossetta olfattiva), alternati ai tentacoli marginali, e infine le gonadi sono sempre di origine endodermica.
DESCRIZIONE DI Pelagia noctiluca
P. noctiluca è così chiamata perchè se toccata, rovesciata o mossa, emette dei flash di luce verdastri, molto belli e affascinanti soprattutto di notte, quando la scia di un imbracazione attraversa un bloom, molto frequnti in Mediterraneo e in alto Adriatico.
Pelagia noctiluca: 1-esombrella; 2-lobi marginali (16 in totale), 3-tentacoli retrattili; 4-braccia orali, spesso di colore rosa. P. noctiluca possiede cellule urticanti praticamente ovunque, a differenza di altre meduse. Quindi anche la parte superiore dell'ombrella risulta urticante.
P. noctiluca è una specie epipelagica oloplanctonica (“olon” significa “tutto”; l'oloplancton comprende tutti gli organismi che conducono vita pelagica permanente). Nelle Scifomeduse il ciclo vitale solitamente comprende la fase poliploide (scifopolipi) e la fase medusoide (scifomeduse), quest'ultima caratterizzata spesso da esemplari di grandi dimensioni. Ma P. noctiluca presenta una peculiarità, il suo ciclo infatti come vedremo è ipogenetico, manca cioè della fase poliploide.
P. noctiluca si presenta con un’ombrella emisferica, a forma di cupola, di diametro compreso tra 3 e 10 cm. che termina esternamente con 16 lobi marginali rettangolari. Il colore dell’ombrella varia dal marrone al rosa - rosa violaceo (da cui il termine mauve stinger, Mariottini et al., 2008) e sembra essere in relazione con l’età. Gia Vanhoffen nel 1922 descrisse le diverse colorazioni in funzione del diametro dell’ombrella e quindi dell'età:
- diametro 10 mm. colore: trasparente
- diametro 20 mm colore: giallo, ocra con margini più scuri
- diametro 30 mm colre:rosa-violaceo
L’ombrella al polo aborale è detta esombrella, mentre dalla parte opposta, al polo orale, è detta subombrella. La superficie di quest’ultima possiede una muscolatura coronale molto ben sviluppata. L’ombrella contiene la cavità gastrovascolare suddivisa in 16 lobi grazie alla presenza di setti radiali. Da 8 dei 16 lobi si originano 8 tentacoli retrattili , che si alternano a 8 ropali, organi di senso a cui sono associati dei gangli nervosi. I tentacoli marginali possono essere molto lunghi, anche di qualche metro. E’ facile essere toccati da questa medusa senza tuttavia riuscire a vederla perchè i suoi tentacoli marginali sono appunto lunghissimi. Dal manubrio (presente in P. noctiluca a differenza di altri Scifozoi), si dipartono le 4 braccia orali, che circondano il polo orale, lunghe al massimo 30 cm. La subombrella è circondata dal muscolo coronale, molto sviluppato, che permette all’animale di muoversi attivamente.
La mesoglea risulta essere priva di cellule, sono presenti invece fibrille verticali che decorrono parallele tra loro, tangenzialmente alla subombrella e all’esombrella, e che formano una sorta di plesso sotto le due strutture epidermiche, più spesso dalla parte dell’esombrella. Sulla mesoglea agisce da antagonista la muscolatura dell’esombrella. Le fibre si compongono essenzialmente di collagene e in fotografia appaiono come un intricato sistema di connessioni.
Ai margini, nella zona dei lobi marginali rettangolari manca la mesoglea, quindi sub ed esombrella risultano fuse e formano una struttura solida. Con la morte dell’animale, queste strutture persistono più a lungo delle altre, che sono invece molto delicate.
P. noctiluca presenta degli organi di senso marginali, che si sviluppa allo stadio di efira. Si tratta degli 8 ropali prima accennati. Il ropalio (organo di senso marginale) è costituito da una sola statocisti (una piccola cavità contenete granuli di fosfato di calcio detti statoliti che informano l'animale sulla sua posizione, grazie alla cavità tapezzata da cellule epidermiche flagellate e sensibili al loro movimento) e dalla fossetta o bulbo sensoriale. Queste ultime sono chemiosensori usati per il riconoscimento delle prede. Manca, in P. nociluca, l'ocello, ovvero la macchia oculare sensibili all'intensità luminosa.
Pur appartenendo alle Scifomeduse, P. noctiluca non presenta un ciclo complesso. Il suo sviluppo è infatti diretto e manca lo stadio poliploide (ciclo ipogenetico). I sessi sono separati e la riproduzione è gonocorica (il gonocorismo o dioecia, quest'ultimo termine è più utlizzato in botanica, indicano che le gonadi maschili e femminili sono portate da individui separati e diversi, non sempre morfologicamente distinguibili). Dalle uova, fecondate all’esterno, si sviluppa la planula, che andrà a far parte del plancton. Non attraversa però lo stadio di scifostoma (la tipica larva delle Scifomeduse), che poi ancorandosi al substrato origina i polipi, ma si divide direttamente in efira, una giovane medusa planctonica che poi origina la medusa adulta.
Le gonadi, egregiamente descritte da Hertwig nel lontano 1879, sono ben sviluppate. Ogni individuo porta 4 gonadi di origine endodermica. Le uova rimangono adese alla parete dello stomaco, e la porzione rivolta verso il centro risulta essere coperta da uno strato di cellule endodermiche. Si presentano piccole e occupano inizialmente un volume modesto, ma sviluppandosi protrudono ai due lati della mesoglea, e a maturazione possono crescere sino a rompere la parete dell’esombrella ed estrudere all’esterno, insieme ai filamenti grastrici.
Le gonadi maschili sono molto simili a quelle femminili. I gameti sono emessi all'esterno e la fecondazione avviene in mare. Dopo 48 ore lo zigote sarà trasformato gia in planula (larva planctonica caratterizzata da forma ovale, cavità gastrovascolare conica, bocca costituita da un semplice poro e dotata di movimento ciliare), che presenta un tipico punto più scuro, mentre il resto si presenta trasparente. Gli stadi larvali sononove. L’efira misura circa 3 mm.
Pelagia noctiluca: lo sviluppo dalla planula (1) all'efira (5). Fonte immagine: The Medusae of British Isles, 1953
LE CELLULE URTICANTI DI Pelagia noctiluca
Le cellule urticanti sono note con i termini di cnidociti (o cnidoblasti), e nematociti, mentre le nematocisti (dal greco "nema" = "filo" e "kystis" = "vescica") e le cnidocisti sono le capsule velenifere dislocate all'interno delle stesse cellule. Sono tipiche del Phylum Cnidaria e non si trovano in altri gruppi animali.
Le capsule sono costituite da uno o più strati di collagene (dedotto dal contenuto amminoacidico degli strati). Sono presenti moltissimi doppi legami sulfurei, confermati negli anni '90 da microanalisi ai raggi X. Le capsule e le cellule urticanti sono di diverso tipo. La moderna classificazione fa riferimento ai lavori di Mariscal e di Heeger e sull'argomento torneremo appena possibile. All'interno della capsula è presente un tubulo che si estroflette e si rivolta come un guanto appena la cellula entra in contatto con i tessuti di una preda potenziale.
Due tipi di nematocisti, a sinistra isoriza atrica carica e scarica, a destra isoriza olotrica carica e scarica.
Le nematocisti di P. noctiluca sono state le prime ad essere descritte da Wagner nel 1841. Oggi sono stati studiati nel dettaglio oltre 130 specie di meduse urticanti, e sono state descritte diverse decine di tipi di nematocisti. Adottando la classificazione di Mariscal (1974) possiamo riconoscere 5 tipi di cnidocisti. Due sono olotriche e due atriche. Un'altra risulta eterotrica e microbasica. Le nematocisti atriche sono quelle con filamento privo di spine, al contrario le olotriche hanno un filamento con spine che possono essere di vario tipo. I filamenti eterotrichi sono quelli con spine o uncini di diversa fattura. Esistono anche nematocisti basitriche e merotriche (assenti in P. noctiluca) che hanno spine e/o uncini solo alla base del filamento e in posizione mediana rispettivamente. Il termine microbasico si riferisce al filamento corto e che occupa uno spazio relativamente ridotto all'interno della capsula. Al contrario il termine macrobasico indica filamenti lunghi. L'aploneme rappresenta la nematocisti, ovvero la capsula. Se quest'ultima è piriforme, con il filamento regolarmente avvolto, si utilizza il termine a-aploneme, A-aploneme se essa è ovale e con filamento avvolto irregolarmente e molto lungo, infine O-aploneme se la capsula è semisferica. Il termine isoriza indica la sezione costante del filamento, se questa è ineguale, si utilizza il termine anisoriza. Il termine euritele indica un filamento con la parte distale diversa, che può essere dilatata, o comunque morfologicamente diversa.
Le nematocisti di P. noctiluca sono le seguenti:
- cnidocisti eterotrica microbasica euritele (heterotrichous microbasic eurytele) con parte prossimale del filamento differenziata, recante tre serie elicoidali di spine, e la restante parte distale del filamento con tre serie elicoidali di uncini. Descritta per la prima volta nel 1986.
- I° isoriza olotrica (holotrichous isorhiza haploneme type I) con filamento omogeneo, recante tre serie elicoidali di piccoli uncini. Diametro 20 - 25 micrometri.
- I° isoriza atrica (atrichous isorhiza haploneme type I) come la precedente, ma con filamento privo di uncini, con triplice serie elicoidali di leggere sculture a "V" il cui apice é rivolto verso la capsula. Distinguibile dalla precedente solo al microscopio elettronico a scansione
- II° isoriza olotrica (holotrichous isorhiza haploneme type II) definita in passato, quando osservata al microscopio ottico come atrica, presenta invece tre serie elicoidali di piccoli uncini.
- II° isoriza atrica (atrichous isorhiza haploneme type II), con diametro maggiore della capsula compreso tra 3 ed 8 micron, e filamento perfettamente liscio. Tale tipo corrisponde alla piccola atrica.
Più recentemente la moderna classificazione ha raggruppato i tipi di nematocisti in P.noctiluca in tre gruppi (Mariottini et al., 2008). Il gruppo 1 comprende le nematocisti sferiche più grandi ovvero la atrica e l'olotrica isoriza di tipo II, indistinguibili quando sono cariche; il gruppo 2 comprende le nematocisti piccole ed ellittiche ovvero l'eterotrica microbasica euritele e; il gruppo 3 comprende le piccole nematocisti ellittiche del tipo I.
L’azione delle cnidocisti si ha per stimolazione di un recettore esterno detto cnidociglio. Appena questo si verifica per contatto, le cnidocisti vengono espulse violentemente. Affinchè ciò avvenga è necessario oltre al contatto fisico anche uno stimolo specifico proveniente dalla preda, altrimenti le cellule non scattano e vengono preservate. Il processo di espulsione delle cnidocisti avviene in circa 3 millisecondi grazie alla pressione osmotica intercapsulare che è attorno ai 150 bar, tale valore pressorio è elevatissimo ed è reso tale dalla presenta di anioni potassio, magnesio e calcio, e di rari polianioni come i poliglutamati presente nella matrice delle cnidocisti. Le sostanze per ora identificate che inducono l’espulsione sono la prolina, il glutatione ridotto, la valina e la leucina. E' importante ricordare, tuttavia, che l'esatto meccanismo di espulsione delle cnidocisti non è ancora noto e sono due le ipotesi maggiormente diffuse, ossia l'ipotesi osmotica e l'ipotesi della tensione. L'ipotesi della contrazione, descritta da Yanagita nel 1954 è ora abbandonata. L'ipotesi osmotica è stata brevemente descritta sopra, infine l'ipotesi della tensione è stata proposta da Endean e colleghi nel 1991, limitatamente ad un tipo di nematocisti dette mastigopore microbasiche.
TOSSICITÀ
Pelagia noctiluca è una specie dermotossica, il cui contatto produce effetti che possono protrarsi anche per due settimane, insieme alle immancabili cicatrici. L’entità delle reazioni è individuale, alcuni casi si risolvono in breve, con impacchi di bicarbonato o semplicemente con lavaggi con acqua di mare (con P. noctiluca non usare mai aceto, l'ambiente acido infatti provoca la scarica delle cellule urticanti e si ottiene l’effetto opposto), ma se la superficie interessata dal contatto è elevata possono manifestarsi quadri più seri, sino ad arrivare all’anafilassi (nausea, cefalea, vomito, contratture muscolari, lacrimazione, vertigini e dispnea). In questi casi occorre praticare la respirazione artificiale e l’iniezione di un cardiotonico. Il mix di tossine che P. noctiluca utilizza comprende stando alla bibliografia classica, l’ipnotossina, la talassina (responsabile dell’azione urticante sulla pelle in quanto induce liberazione di istamina) e la congestina. Si tratta di molecole che causano reazioni cutanee eritematose a cui possono associarsi edema, e meno frequentemente prurito e dolore intenso. Si ritiene inoltre che siano presenti anche altre molecole tossiche non ancora identificate, inoltre si ritiene che le componenti tossiche potrebbero derivare oltre che dalle nematocisti anche dai componenti tissutali, come dimostrato gia in altre specie. Ora è noto che il mix di veleno è costituito da peptidi non solo dermonecrotici ma anche emolitici, nel comlesso l'attività del veleno è definita citotossica, e danneggia le cellule della pelle e gli eritrociti del sangue.
CASI FAMOSI
Dopo il contatto con P. noctiluca si possono presentare quadri clinici tossici e/o immunologici. Famosi i casi descritt da Kokelj e Burnett.
Un primo caso ha avuto come protagonista un sub punto sulla coscia destra. Nella zona colpita sviluppò un eritema vescicolare, che poi regredì in 5 settimane. Successivamente il sub negli anni seguenti fu punto diverse volte e insorsero lesioni che guarirono in 15 giorni circa. L’ultimo contatto con una P.noctiluca entrata nella maschera, gli procurò un eritema sul 50% del volto, ma anche un eritema nel punto della primissima lesione sulla coscia, avvenuto 6 anni prima.
Il tutto poi si risolse nel giro di 10 giorni.
Si ritiene, come nel caso di punture da insetti, che il veleno abbia reagito con il collagene dermico della primissima ferita, producendo un allergene contro il quale si scatenò la risposta immunologica descritta.
Un altro caso riferito dai due autori riguarda una bambina di 11 anni, punta al braccio, con la lesione che si risolse in un mese ma con esito ipocromico (una forma di anemia), che perdurò per un anno. Nei due anni successivi i medici osservarono ripetute recidive della ferita associati a stati febbrili e a episodi di stress. La ferità poi guarì gradualmente nel tempo, ma fu stabilita la presenza nel sangue di anticorpi IgG verso l’estratto crudo di P. noctiluca ma anche di Physalia physali, in questo caso si parla di reazione crociata.
La letteratura scientifica riporta anche un caso di sindrome di Guillain Barrè associato alla puntura di P. noctiluca, infatti poco dopo l’evento si manifestarono i sintomi tipici della sindrome, e due mesi dopo fu evidenziata una neuropatia demielinizzante prominente, con blocco della conduzione e conseguenti atassie e parestesie. Il tutto si risolse nell’arco di sei mesi. L’autore dello studio concluse che si tratto di un’aberrante razione immunitaria in risposta al veleno della medusa.
Infine, un caso fatale è stato documentato da Togias (1985).
Nel triennio 1977 - 1979 tutto il nord Adriatico venne invaso da sciami molto estesi di P. noctiluca, e furono ben 250.000 le persone che ebbero a che fare con le sgradevoli conseguenze della sua puntura.
SPECIE SIMILI
P. noctiluca è facilmente confondibile con Chrysaoara, che tuttavia si distingue per avere molti più tentacoli, in numero di 24 - 48.
COSA NON SI DEVE FARE
Da evitare, in seguito ad una puntura, le seguenti operazioni (vale quanto gia detto per Physalia physalis):
- bendaggio, va evitato perchè incrementa la quantità di veleno che viene iniettata.
- il lavaggio con soluzioni alcoliche, con dopobarba e con altre lozioni tipo la lozione di suntan
- il lavaggio con Vineger (soluzione 3 - 10 % di acido acetico acquoso) messa in vendita per alleviare il dolore da punture da meduse del genere Chironex, poiché l'ambiente acido provoca l'effetto opposto
- i pescatori suggeriscono ancora di urinare sulla parte colpita, poiché l'urina conterrebbe ammoniaca. In realtà, a volte il "rimedio" funziona perchè la stessa urina risulta calda (circa 37 °C) e non perchè contiene ammoniaca (escluse patologie gravi del fegato, normalmente l'urina non contiene ammoniaca). Nei mammiferi (con poche eccezioni, come alcune specie di pipistrello, per esempio Tadarida brasiliensis) i metaboliti dell'azoto (proteine) vengono espulsi come urea, perchè può essere accumulata nell'organismo (vescica) senza nessun danno, al contrario dell'ammoniaca che è tossica. Solo i pesci producono ammoniaca come metabolita dell'azoto poiché vivendo in un mezzo acquoso ed essendo molto solubile, possono eliminarla senza problemi. Alcuni pesci come i Dipnoi (pesci polmonati), producono ammoniaca solo in presenza di acqua, nella stagione secca (estivazione) producono urea.
Troppo spesso si consiglia di utlizzare aceto, questo vale per alcune specie ma non per P. noctiluca e per P. physalis. L'ambiente acido provoca l'espulsione delle cnidociasti e questo siginifica altro veleno.
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