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Cod Art 0346 | Rev 01 del 09 Mar 2013 | Data 14 Nov 2010 | Autore: C. Motta Nicola

 

   

LE TARTARUGHE MARINE

Nel mondo sono migliaia le specie di animali in difficoltà, per motivi spesso legati alle attività dell’uomo, come deforestazione, inquinamento, overfishing ecc.
Nel mondo acquatico, tutto questo avviene più rapidamente, anche perchè le acque sono il ricettacolo di tutto quello che avviene sulla terraferma. Pesticidi, liquami, scarichi fognari e industriali arrivano al mare attraverso i fiumi, compromettendo l’ecosistema marino gia minacciato da altri problemi. Per esempio le reti fantasma da sole causano centinaia di migliaia di decessi all’anno tra grandi pesci e mammiferi marini. Senza poi parlare dello sversamento di petrolio, delle navi cariche di veleni affondate volontariamente.

Tra le numerose specie minacciate vogliamo qui ricordare le tartarughe marine, protagoniste di questo articolo. In tutto il mondo esistono associazioni di volontari che si occupano della tutela di questi splendidi animali e del loro habitat, costantemente minacciato, e che nel corso degli anni hanno contribuito anche a sensibilizzare notevolmente l’opinione pubblica, ora un poco più attenta e consapevole dell’esigenza di segnalare immediatamente la presenza di esemplari spiaggiati e in difficoltà.
La soddisfazione per chi opera in tali organizzazioni è immensa, e vedere riprendere la via verso il mare di un esemplare sottratto a un triste destino è uno dei premi più belli ed importanti che incoraggia  a continuare sulla stessa strada.
Le foto qui sotto di Catia Nucci e Davide Tamburrini, ci mostrano la liberazione di una Tartaruga Caretta caretta, nelle acque di San Benedetto del Tronto, dopo un periodo di riabilitazione in uno dei centri che si occupano di recupero degli animali marini.

  • 1 I preparativi
  • 2 Caretta caretta
  • 3 L'avvio verso il mare...
  • 4 Ci siamo...

  • 5 Il ritorno al mare...

Il segnalatore posto sul carapace faciliterà il compito per la ricerca e il monitoraggio futuro

I CHELONIDI

Le tartarughe e le testuggini (Cheloni) sono tra i più antichi rettili viventi e sono anche gli Artropodi di maggior successo, avendo appunto attraversato un periodo lunghissimo, praticamente senza molte variazioni; solo la pressione antropica attuale sta mettendo in pericolo questi splendidi animali.
Comparvero oltre 200 milioni di anni fa, e le specie attuali non si discostano molto dai loro antenati. Le testuggini vivono sulla terraferma, mentre le tartarughe sono proprie dell’ambiente marino e delle acque dolci. Tuttavia, è cosa nota, che il termine tartaruga è comunemente usato per indicare anche le testuggini, quindi i termini tartaruga e testuggine possono risultare ambigui, e inoltre non mancano testi dove per testuggini si intendono le specie di mare e per tartarughe quelle di terra. Praticamente l'opposto di quello scritto sopra. Ognuno usi i termini che ritiene più giusto. Noi di biologiamarina.eu propendiamo per la prima definizione.

La caratteristica distintiva di questi animali, è quella di avere una corazza formata da una porzione dorsale detta carapace e una ventrale detta piastrone. Vedremo però, che esistono differenze sostanziali tra i vari Chelonidi, che riguardano la loro capacità di ritrarre la testa all’interno della corazza stessa.
La corazza è costituita da elementi ossei di origine dermica, fusi con ossa di natura endocondrale (ossa che derivano dalle costole e dalla colonna vertebrale), originatesi allo scheletro assiale. La componente ossea è ricoperta da uno strato corneo, che viene periodicamente sostituito, una sorta di muta che prende il nome di esuviazione. Il piastrone deriva invece da modificazioni dell’osso interclavicolare, dalle coste addominali e dalla clavicola.
Carapace e piastrone sono uniti ai fianchi da connettori ossei posti avanti e dietro le zampe. Il carapace risulta più solido e mineralizzato nelle specie terrestri e meno solido nelle specie acquatiche, forse perchè la maggioranza delle specie che vivono in acqua, sono più spesso predatori che prede.

Le piastre ossee mediane del carapace sono dette neurali perchè connesse con le apofisi vertebrali, mentre al loro fianco alloggiano le piastre costali, cosiddette perchè in connessione con le coste. Il perimetro dello scudo è costituito dalle piastre marginali. La piastra marginale anteriore prende il nome di piastra cervicale, quella o quelle posteriori (a volte sono più di una), sono dette piastre caudali.
Il piastrone invece presenta da ambo i lati della linea mediana, partendo dalla testa e scendendo verso la coda, rispettivamente le piastre della gola o giugolari, le omerali e le pettorali. Tra queste due vi sono le piastre ascellari. Alle pettorali seguono le addominali e le addominali posteriori dette anche femorali. Seguono le piastre anali e caudali. Le inguinali si trovano tra le piastre marginali e femorali.
La corazza purtroppo è oggetto ricercato da parte dei collezionisti, e anche per questo ne fa uno degli animali a maggior rischio di estinzione. Nei paesi nord africani vengono ancora uccise a scopo alimentare o per la costruzione degli oggetti più svariati, come alcuni strumenti musicali. Anche in Italia non è raro entrare in un ristorante e vedere appeso al muro un carapace di Caretta caretta, anche se nella maggioranza dei casi si tratta di esemplari catturati in periodi e contesti diversi da quello attuale.

Tartaruga verde morta Chitarra con carapace di tartaruga marina

Tartaruga verde gettata tra i rifiuti presso El Max (Egitto). A destra una sorta di chitarra realizzata con il carapace di una tartaruga marina (Marocco).

ANATOMIA DEI CHELONI

I Cheloni hanno un cranio primitivo detto anapside, ovvero si tratta di un cranio acinetico dove solo la mandibola può muovesi, e il resto è praticamente immobile e costituito da ossa fuse tra loro.
I Cheloni non possiedono denti, bensì un becco affilato adatto a tagliare o a tranciare parti di cibo, costituito da manibola mobile e mascella fissa. Il becco è cprneo oppure osseo. Anche la struttura muscolare del capo è ridotta, la troviamo solo a livello della mascella e degli occhi (o meglio, dei bulbi oculari), e delle palpebre, mentre è sviluppata e robusta a livello del collo. La muscolatura dorsale è anch’essa fortemente ridotta, poichè il tronco è rigido e racchiuso dal carapace stesso. Pur esistendo, come gia detto, specie sia di acqua dolce che salata, tutte depongono le uova sulla terraferma.
Le piastre che costituiscono il  carapace contengono la pigmentazione che conferisce all’animale la distintiva colorazione. I Cheloni sono dicromatici ed è uno dei carattere distintivi per riconoscere i due sessi.
Le specie terrestri sono plantigrade (appoggiano a terra carpo e tarso), e le zampe variano a secondo dell’habitat, di norma le zampe sono corte e tozze, evolutesi per meglio facilitare  spostamenti sul terreno, mentre le specie acquatiche hanno zampe più lunghe e mani e piedi palmate (membrane cutanee interdigitali).

Scheletro tartaruga Cranio di tartaruga

A sinistra lo scheletro tipico di un Chelonide, a destra il cranio anaspide. hu: omero - ra: radio - ul: ulna - sc: scapola - co: coracoide - fe. femore - ti: tibia - fi: fibula - or: orbita - qu: quadrato

Una particolarità dei Cheloni riguarda l’apparato respiratorio. Le vie aeree sono separate da quelle alimentari grazie alla presenza del palato secondario. La cassa toracica non può espandersi per la presenza del carapace, per cui hanno un apparato respiratorio complesso, con polmoni parenchimatosi  ricchi di alveoli e setti connetivali. Espirazione ed inspirazione sembrano essere atti volontari messi in moto da diversi gruppi muscolari che fanno leva sulle cute a livello degli arti, per questo si muovono anche a riposo. È presente anche una sorta di diaframma primitivo, esempio di un inizio di separazione tra cavità toracica e cavità addominale. La porzione terminale dei polmoni arriva sino alla coda, si presenta poco vascolarizzata e funge da zona di riserva per l‘accumulo dell’aria. I bronchi invece, si estendono gia a livello del collo, per cui la trachea è cortissima, cosa che favorisce la respirazione a testa retratta entro il carapace.
Cosa comporta tale efficienza respiratoria così modesta?

Ebbene senz’altro lentezza e metabolismo basale molto basso, tolleranza all’ipercapnia (l'aumento nel sangue dell'anidride carbonica), prevalenza della glicolisi che come noto non richiede ossigeno, cuore capace di lavorare in condizioni anaerobiche, muscolatura ricca in mioglobina. Le specie acquatiche hanno la capacità di scambiare gas respiratori a livello cloacale.

Il senso dell’olfatto è molto sviluppato, infatti i Cheloni sono animali detti macrosmatici, e il loro bulbo olfattorio è molto grande. I movimenti a pompa a livello della gola, quando hanno il collo esteso hanno un significato olfattorio. Le tartarughe marine che ingeriscono plastiche e altri oggetti abbandonati in mare, possono morire soffocate anche subito, perchè avendo un diaframma primitivo non hanno il riflesso della tosse e quindi non possono espellerli.

L’esofago è particolare, soprattutto nelle specie marine, presenta infatti delle spine cornee rivolte posteriormente e quindi è difficile estrarre qualsiasi corpo estraneo ingerito.

Il rene è metafrenico. Le specie acquatiche producono  urea solubile in acqua, quelle  terrestri acido urico. La vescica ha delle pareti atte al riassorbimento dell’acqua, e si svuota del suo contenuto a livello dell’urodeo. Il pene non è coinvolto nel passaggio dell’urina ed è alloggiato nel proctodeum. Le gonadi maschili e femminili sono sempre due.

Tutte le tartarughe sono ovipare e il dimorfismo sessuale è evidente. Le femmine sono più grandi, mentre i maschi hanno artigli più sviluppati e il piastrone concavo, per facilitare l’accoppiamento. Nei maschi infine, l’apertura cloacale è più distante dal corpo. Tra i due sessi cambia leggermente la colorazione.

LE TARTARUGHE MARINE

In Mediterraneo gli unici rettili marini sono le tartarughe. Cinque specie appartengono alla famiglia Chelonidae, discussa sin qui, mentre la tartaruga liuto appartiene alla famiglia Dermochelidae. Vivono stabilmente in mare, spingendosi sulla costa solo per la deposizione delle uova. La specie più frequente è la tartaruga Caretta caretta, che nidifica solo a Linosa e Lampedusa, e sulla costa Ionica della Calabria, in minor misura nell’Agrigentino.

Carapaci e piastroni di tartarughe marine
Sopra: 1 - carapace di Eretmochelis imbricata; 2 - piastrone di Caretta caretta; 3 - piastrone di Lepidochelis kempii; 4 - carapace di Lepidochelis kempii; 5 - carapace di Dermochelys coriacea.

Caretta caretta ha il capo molto robusto, forti mascelle capaci di rompere i gusci di aragoste, granchi e altri animali dal corpo corazzato. Il fatto di nuotare in superficie la mette a rischio dai pericoli delle imbarcazioni che sfrecciano veloci, e non sono rari gli incidenti con fratture e asportazioni massive del carapace a causa delle eliche delle imbarcazioni. Quando invece si trova nelle baie o presso gli estuari tende a nascondersi sui bassi fondali, in qualche anfratto.
Caretta caretta depone le uova solamente ogni due anni, a volte anche dopo più tempo, sino a 5 nidiate di circa 100 uova. Il guscio delle uova delle tartarughe marine è molto meno robusto di quelle terrestri, e si presenta quasi pergamenaceo. Il tuorlo è oleoso e l’albume verdastro.
C. caretta
si riconosce per la presenza di 5 paia di placche costali, il primo dei quali tocca la placca nucale, e per la presenza sul capo di cinque placche frontali. La sua lunghezza massima è di circa 120 cm. Sulle zampe ha solamente due unghie.

Caretta caretta
Sopra, siti importanti di nidificazione di Caretta caretta in Mediterraneo. Fonte: Paolo Casale, Dimitris Margaritoulis. Vedi bibliografia.

Gli altri Chelonidi mediterranei sono Chelonia mydas o tartaruga franca, Eretmochelis imbricata o tartaruga embricata, e Lepidochelis kempi o tartaruga di Kemp.

Chelonia mydas (Linneo, 1758), si riconosce per avere una sola unghia sulle zampe e dal carapace ovale con quattro paia di placche costali. Il capo ha solo due placche frontali e il piastrone, presenta quattro placche inframarginali prive di pori. Gli avvistamenti di questa tartaruga sono aumentati negli ultimi anni. Il nome comune di tartaruga verde deriva forse non dalla colorazione del carapace ma dal colore verdastro delle sue carni.
Si nutre da adulta di alghe, radici di mangrovie e altri vegetali, mentre predano Cnidari solamente gli esemplari più giovani.
In passato è stata cacciata attivamente ed è ancora considerata una prelibatezza. Negli Stati Uniti, un tempo erano uccisi senza distinzione, esemplari di pochi mesi e, quelli sotto i 50 Kg, spuntavano prezzi molto alti. Appena catturate venivano capovolte, perchè essendo il piastrone non proprio rigido, soffocavano sotto il loro stesso peso.

Chelonia mydas
Sopra, siti importanti di nidificazione di Chelonia mydas in Mediterraneo. Fonte: Paolo Casale, Dimitris Margaritoulis. Vedi bibliografia.

Eretmochelis imbricata (Linneo, 1776), raggiunge i 90 cm di lunghezza e ha il carapace con quattro paia di placche costali, con il primo paio che non tocca la placca nucale. Presenta quattro paia di placche frontali. Il piastrone ha quattro paia di placche inframarginali prive di pori. Ha due unghie sulle zampe.

Lepidochelis kempii (Garman, 1880), è la più piccola del Mediterraneo, e raggiunge i 75 cm di lunghezza. Il carapace ha cinque paia di placche costali e il primo tocca la placca nucale. Il piastrone ha quattro paia di placche inframarginali munite di pori. Quattro, infine, le placche frontali. Una sola unghia sulle zampe.
Il suo rostro adunco è adatto a scovare prede tra i coralli e le spugne, come molluschi e altri invertebrati.

L'unica specie appartenente alla famiglia Dermochelidae è la tartaruga liuto Dermochelys coriacea (Vandelli, 1761), o sfargide. Il suo nome deriva dal fatto che la sua parte posteriore termina a punta, per cui assume la forma di un liuto.
Può raggiungere la lunghezza di 2 metri e 600 kg di peso. L'esemplare più grande mai catturato misurava 277 cm. di larghezza e 291 cm. di lunghezza, per un peso di 961.1 Kg.
Il carapace è privo di placche cornee, presenta invece delle carenature prominenti rivestite, dalla caratteristica colorazione scura, dal marrone al nero. Anche il piastrone e il capo è privo di piastre cornee.
In passato sembra abbia nidificato lungo le coste meridionali della Sicilia, e la sua presenza è stata documentata nell’area dello stretto di Sicilia, oltre che nel Tirreno e nel Mar Egeo. Tuttavia nel Mediterraneo non è stata mai abbondante, poiché era diffusa ampliamente tra i 20° N e i 20° S di latitudine.
La popolazione di tartarughe liuto sta calando rapidamente - soprattutto nell'Oceano Pacifico - ed è ormai in serio pericolo. Sopravvissute per 100 milioni di anni, potrebbero estinguersi entro i prossimi 10 - 20 anni.
Oggi in tutto il Pacifico ci sono probabilmente meno di 1.500 femmine.
Le principali minacce sono costituite dalla pesca industriale ai tonni e ai pescespada, nonché dalla distruzione delle uova e dei nidi a terra. Ironicamente, le tartarughe erano ritenute a lungo immuni dall'estinzione a causa della loro larga diffusione geografica. Negli ultimi 20 anni il numero di femmine in cova è calato del 95 per cento. Dieci anni fa Dermochelys coriacea poteva contare sulle spiagge di Playa Grande del Costa Rica, una popolazione di oltre 1.300 femmine capaci di nidificare. Oggi, la popolazione è stata decimata, lasciando a poco più di cento tartarughe il difficile compito di evitare l’estinzione della specie. In India è scomparsa oltre 30 anni fa, nello Sri Lanka e Malaysia si contano meno di 10 esemplari.
La tartaruga liuto  per seguire il suo cibo preferito, le meduse,  dai mari tropicali si sposta fino ai mari artici. Compie quindi una migrazione incredibile. La specie è onnivora, e si nutre di meduse, scifozoi come la pericolosa caravella portoghese, echinodermi, crostacei, calamari, pesci, molluschi come Murex, Conus, Pecten, Natica, tunicati e anche vari tipi di alghe. Da adulta è predata solamente dai grandi squali, e per difendersi adotta una strategia antipredatoria particolare, documentata una sola volta da Lewis et al. nel 1992. Sembra compiere, quando minacciata, repentini cambi di direzione verticali e orizzontali, disorientando così il potenziale predatore. Può nuotare molto veloce, sino a 35 Km/h. Una curiosità, il suo carapace è relativamente morbido e flessibile, dunque in grado di deformarsi quando scende a notevoli profondità, ovvero quando sottoposto a pressioni idrostatiche notevoli.

LE MIGRAZIONI

Si ritiene che durante le migrazioni le tartarughe si orientino con il campo magnetico, e sembra che gli esemplari adulti lo facciano meglio, apprendendo nel corso della vita, tuttavia occorrono studi più approfonditi per capire i dettagli di tale grande capacità. Probabilmente memorizzano anche le correnti, del resto compiono migrazioni anche di 4.500 Km per ritornare nei luoghi natii, come la tartaruga verde che dal Brasile ritorna all'isola di Ascension, nell'Atlantico orientale.
Come gia detto, la tartaruga liuto è la specie che compie la migrazione più lunga, si sposta infatti dalle acque tropicai a quelle artiche.

Piccola tartaruga intrappolata
Anche una semplice rete come questa costituisce un serio pericolo per le piccole tartarughe.

Purtroppo l'uomo rimane il pericolo maggiore per tutti i Cheloni. Anche oggi questi rettili vengono uccisi anche e solamente perchè considerati come un fastidio dai pescatori. Le uccisioni sono ancora numerose in Egitto, a Cipro, Israele, Libia, Montenegro, Siria, Tunisia, Turchia e Grecia. Anche in Italia le testimonianze non mancano, come documenta la foto sottostante.
Il foro sul cranio non lascia spazio ad alcun dubbio.

Carcassa Caretta caretta Caretta caretta uccisa

Immagini di Pierfederici Giovanni. Spiaggia di Marotta (Pesaro), Febbraio 2008.

LE TESTUGGINI GIGANTI DELL'EOCENE

Tratto da Le Scienze

Circa 50 milioni di anni fa gli antenati degli attuali alligatori e tartarughe giganti potevano sopravvivere nell'isola di Ellesmere, ben oltre il circolo polare artico, sopportando quindi sei mesi di oscurità all'anno.
È questa la conclusione, ritenuta importante anche per stimare il futuro dell'ambiente artico nella prospettiva di un aumento globale delle temperature, di un nuovo studio dei ricercatori dell'Università del Colorado a Boulder pubblicata sulla rivista Earth and Planetary Science Letters.
Gli studiosi hanno analizzato le abbondanze relative degli isotopi presenti nei fossili di ossa e di denti di mammiferi, pesci e tartarughe che vivevano sull'isola al fine di stimare la temperatura media nel corso del primo Eocene, tra 52 e 53 milioni di anni fa, oltre che quella dei mesi più caldo e più freddo.
Si è così potuto concludere che le temperature medie del mese più caldo sull'isola di Ellesmere erano comprese tra 19 e 20 gradi Celsius, mentre nel mese più freddo l'intervallo era tra 0 e 3.5 °C.
Durante l'Eocene, l'Isola di Ellesmere, adiacente alla Groenlandia, era simile alle foreste di cupressacee che ora ricoprono il Sude Est degli Stati Uniti attualmente. Le prove fossili raccolte negli ultimi decenni da vari ricerche indicano che questo lussureggiante territorio ospitava testuggini giganti, tartarughe acquatiche, grandi serpenti, alligatori, lemuri volanti, tapiri e mammiferi simili a equini e rinoceronti.

 

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