ECOTOSSICOLOGIA - prima parte -
L'ecotossicologia (termine coniato da Truhaut nel 1969), è definita dai vari autori diversi modi. Per semplificare, possiamo considerarla una branca della tossicologia che studia gli effetti biologici delle sostanze tossiche, sia chimiche che fisiche (Ramade 1977) sugli organismi e sugli ecosistemi naturali. Quindi, è una disciplina che si basa sulle conoscenze di branche quali la tossicologia, la biologia, la biochimica, l'ecologia e l'etologia. A volte l'ecotossicologia è confusa con la tossicologia, ma occorre precisare che esistono differenze tra le due discipline. Per esempio se in tossicologia la morte di un organismo ha scarsa importanza, in ecotossicologia assume all'opposto una importanza considerevole, poiché la morte in natura può avere notevoli e profonde implicazioni ecologiche. Quindi l'ecotossicologia estende il proprio campo di applicazione non al singolo organismo, ma all'ambiente nella sua globalità. Occorre anche ricordare che il termine 'tossicologia ambientale' non è sinonimo di 'ecotossicologia', poiché la prima è figlia della tossicologia, la seconda dell'ecologia.
In ecotossicologia, tutte le sostanze tossiche che normalmente non sono presenti in natura, se non in forma scarsamente solubile, e tutte le sostanze di sintesi prodotte dall'uomo, sono dette xenobiotici (da xenos= estranee alla vita). Queste sostanze possono essere indicate, in un contesto più generale, con il termine di veleni o di sostanze inquinanti. Per inquinamento si intende l'immissione di materia o energia nell'ambiente, in modo tale da provocare alterazioni persistenti delle caratteristiche di un ecosistema.
Per fare alcuni esempi, consideriamo i metalli pesanti. Sono presenti praticamente in tutte le matrici (aria, acqua e suolo). In ambienti naturali non contaminati, si trovano in varie forme, ma generalmente in forme non solubili o poco solubili, come ossidi o come solfuri. Si trovano inoltre in quantità che dipendono dalla natura della matrice che consideriamo, quindi per definire se vi è o meno inquinamento, occorre sapere quali sono i livelli basali, variabili da zona a zona. Per esempio nella zona del monte Amiata, in Toscana, esistono giacimenti naturali di mercurio, dunque i livelli basali nelle matrici ambientali sono naturalmente elevati.
In genere i campionamenti effettuati nelle colonne di sedimento in varie parti del mondo, hanno comunque evidenziato che i livelli basali dei metalli sono aumentati dall'inizio dell'era industriale, quindi l'immissione è certamente di origine antropica.
Come si determina l'impatto di uno xenobiotico sull'ecosistema?
Occorre innanzi tutto risalire alle fonti dei veleni, alla loro diffusione sulla base della solubilità, della persistenza, della biomagnificazione ecc..., per stabilire, infine, quali sono gli effetti sugli organismi e sullo stesso ecosistema.
Alcuni organismi sono adatti meglio di altri per gli studi di ecotossicologia. Questi organismi sono detti bioindicatori o anche specie sentinella. Queste specie devono poter fornire misure sensibili ed ecologicamente rilevanti della risposta indotta da variazioni ambientali (Bolognesi C, Venier P, 2004) e per far questo devono disporre di alcune caratteristiche di base. Innanzi tutto l'organismo deve essere:
ben conosciuto, dal punto di vista biologico, ecologico e genetico;
deve inoltre essere rappresentativo del ruolo ecologico che svolge all'interno dell'ecosistema oggetto di studio;
deve essere di facile reperibilità e preferibilmente sessile o poco mobile;
deve essere incapace (caratteristica più importante) di regolare la concentrazione tissutale dello xenobiotico.
Infatti, se nell'ecosistema la concentrazione dell'inquinante aumenta, questa deve aumentare anche nei tessuti dell'organismo. I bioindicatori sono quindi organismi non-regolatori, a differenza degli organismi regolatori che mantengono costante la concentrazione tissutale degli inquinanti, anche se questa varia nell'ambiente in cui essi vivono.
Si prestano bene a tale scopo alcuni pesci grassi, come le anguille; molluschi come i mitili, sessili e filtratori; alcuni crostacei e altri invertebrati. Questi organismi consentono nel complesso di ottenere un'informazione cosidetta integrata dell'ambiente (analisi che da informazioni relative ad un arco di tempo più o meno esteso), mentre le semplici analisi di una matrice, per esempio l'acqua, consentono di ottenere informazioni puntiformi (analisi che da informazioni al momento del prelievo). Quindi le informazioni che è possibile ottenere da un organismo bioindicatore sono di gran lunga più complete rispetto ad una semplice analisi a campione di una matrice ambientale.
IL TEST ABC
I batteri eterotrofi dell'ambiente marino hanno un' importanza ecologica rilevante, pertanto sono utilizzati come bioindicatori in grado di dare informazioni quasi in tempo reale sulle condizioni della qualità delle acque (Bacci E., Marchetti R.).
Viene prelevato un campione di acqua, viene poi filtrato e il materiale messo in coltura su terreno. Si procede poi alla conta delle colonie espresse come UFC (Unità Formanti Colonia) per millilitro. Tale conta rappresnta l'Apparent Bacterial Concentration o ABC. Una parte della conta ABC è rappresentato dall'Apparent Luminouse Bacterial Concentration o ALBC, che esprime il numero di UFC/ml di colonie di batteri luminosi (Vibrio fischeri, Vibrio harveyi e altri). Se il valore di quest'ultimo parametro si mantiene attorno al 5%, il sito campionato è indisturbato, mentre un sito inquinato presenta valori ALBC sotto lo 0.5%.
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BIBLIOGRAFIA
- Ramade F. Ecotoxicologie. Masson ed.
- Bolognesi C., Venier P. Cap. 13, in: Mutagenesi Ambientale. Migliore L., Zanichelli 2004
- Bacci E., Marchetti R. Cap 6, in: Ecologia applicata
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