IL NARVALO
Tags: quilalugaq, muktuk, mattak, avatak, ivalo.
Così muore il narvalo, nell'estate del grande Nord
Il narvalo venne descritto per la prima volta nel 1655 con il nome di Unicornis marinum. Successivamente venne descritto dal naturalista olandese Gerardus Johannes Mulder nel 1835. In passato, questo splendido cetaceo veniva cacciato per la sua lunghissima "zanna" che, in realtà, non è una zanna ma un lunghissimo dente posseduto dai soli esemplari maschi. Il lungo "corno" era particolarmente ambito da Re e potenti, poiché era diffusa la leggenda che avesse proprietà antiveleno molto potenti. Posate e bicchieri erano realizzati con il dente del narvalo perché così avrebbe eliminato le proprietà mortali di qualunque veleno con cui fosse venuto a contatto. Il dente del narvalo era dunque oggetto di scambi tra regnanti e spesso faceva bella mostra nei musei reali.
Per molti anni, anche gli scienziati hanno dibattuto attorno a questo strano e lunghissimo dente che non trova altri riscontri in natura, se non in animali fossili di cui parleremo a breve. Di volta in volta, sono state avanzate le ipotesi più varie: che servisse a trafiggere prede molto grandi, a scavare sul fondale, a forare e distruggere la banchisa, ma nessuna di queste ipotesi ha trovato mai conferma. "Del resto, non ha sicuramente una funzione trofica, cioè legata alla ricerca del cibo, poiché le femmine e i giovani ne sono privi e morirebbero di stenti", affermano nel 1975 due zoologi olandesi, E.J.Slijper e D. Heinemann. Probabile, invece, che la lunga zanna sia un carattere sessuale secondario, distintivo dei maschi maturi, utilizzato nei combattimenti per il possesso delle femmine e, in minor misura, per offendere o difendersi da attacchi di diversa natura. Di fatto, la maggior parte delle vittime trafitte sono maschi in fase di combattimento. La specie non è particolarmente aggressiva, ma i combattimenti durante la stagione degli accoppiamenti non sono rari. Esistono anche testimonianze di animali uccisi dai narvali.
Il 2 ottobre 1991 un cacciatore Inuit trovò, presso Tuktoyaktuk, un esemplare di beluga di 4.83 cm. con un foro perfettamente circolare nella porzione anteriore del melone. Successivamente, dal foro, venne estratto un frammento di 14.3 cm. appartenente ad un narvalo. Non è dato a sapere se sia stato un attacco intenzionale o il risultato di un incidente, anche se l'ipotesi dell'incidente è la più probabile.
Il dente del narvalo ha origine dall'incisivo superiore sinistro (nei giovani e nelle femmine entrambi gli incisivi rimangono nell'alveo). Esso è spiraliforme e la rotazione avviene sempre da destra verso sinistra. La lunga "zanna" è priva di smalto ed è costituita da un anello esterno di cemento ed una porzione interna di dentina. Spesso la "zanna" è priva della punta (come emerse gia dai primissimi studi scientifici sul campo effettuati da ricercatori canadesi e con l'aiuto delle popolazioni Inuit). In molto casi, infatti, la punta si spezza e rimane conficcata nel cranio di qualche altro esemplare che ha avuto la sfortuna di essere colpito. In media, una "zanna" su tre risulta troncata.
BIOLOGIA ED ECOLOGIA DEL NARVALO
Il narvalo (Monodon monoceros, Linnaeus, 1758, da monos=uno, odon=dente e keros=corno), termine che deriva dal norvegese narhvalr=cadavere di balena o dal proto tedesco narwa=stretto, appartiene alla famiglia Monodontidae (Gray, 1821, Miller & Kellogg, 1955), famiglia a cui appartiene anche il beluga.
Questo taxa è abbastanza enigmatico e le testimonianze fossili non sono ne comuni ne dettagliate. Denebola brachycephala (Barnes, 1984) rappresenta la testimonianza fossile più antica, risale infatti al tardo Miocene. Questo strano animale viveva nelle acque tropicali del Pacifico occidentale, aveva una forma vagamente delfinoide, un rostro corto e un cranio ampio e tozzo.
Anche il genere Odobenocetops ha legami di parentela con gli attuali narvali e beluga. Resti fossili di due specie sono stati trovati presso la cosiddetta Chavin de Huàntar nel 1993, in Perù, risalenti al primo Pliocene (5 milioni di anni fà). Questo strano cetaceo aveva il collo mobile (in moltissimi cetacei attuali, esclusi i delfini di fiume, il collo è rigido), un muso corto simile a quello degli attuali trichechi e una caratteristica e lunghissima zanna rivolta all'indietro.
Credit: http://coastalpaleo.blogspot.it/2013/04/new-publication-or-little-whale-that.html.
I narvali raggiungono in genere la lunghezza di circa 4– 4.7 m, escluso il lungo dente, ed un peso che oscuilla da 900 a 1600 Kg. La testa è arrotondata e nei piccoli misura circa 1/6 – 1/7 della lunghezza del corpo. Le analisi morfologiche del cranio del narvalo hanno evidenziato differenze tra alcune popolazioni della Groenlandia (Øystein Wiig et al., 2012). Gli autori hanno analizzato il cranio di 132 esemplari provenienti da cinque località differenti (Inglefield Bredning, Melville Bay, Uummannaq, Disko Bay, e Scoresby Sound), scoprendo che la popolazione di Scoresby Sound mostrava caratteristiche uniche relative al cranio, probabilmente spiegabili da fattori ambientali e genetici differenti.
Le pinne natatorie sono piccole e rotonde, con le estremità rivolte verso l'alto, caratteristica che si accentua con l'età, mentre la caudale è inconfondibile perché il caratteristico "doppio ventaglio" ha i lobi posteriori convessi e non concavi o diritti come gli altri cetacei. Non esiste una vera pinna dorsale ma un piega cutanea alta 4 o 5 cm. che si estende sino a metà della pinna caudale per 60 – 75 cm.
La "zanna" può raggiungere la lunghezza di 3 metri e il peso di 10 Kg. Alcune fonti narrano di "zanne" lunghe anche 4 metri. Il diametro di questa caratteristica struttura è di circa 10 cm. alla base.
Negli embrioni è possibile osservare otto denti, tutti sulla mascella, la mandibola è priva di denti anche durante questa fase. Sei di questi denti (tre per emimascella), paragonabili ai nostri incisivi e molari, non si sviluppano mai. Il quarto, paragonabile ai nostri canini, si sviluppa normalmente e in senso orizzontale. Successivamente, nei maschi e dopo il primo anno di vita, il dente dell'emimascella sinistra si sviluppa sino ad uscire prima dall'alveo e poi dal labbro superiore. Sono documentati rari casi i cui si è sviluppato anche il dente destro (sempre più corto del sinistro, immagine sotto, a lato) e casi in cui anche le femmine hanno sviluppato la caratteristica "zanna".
Come si sviluppa questa strana struttura? L'ipotesi più plausibile sembra essere quella di D'Arcy Thompson (1942), il quale attribuisce la crescita del dente ad una torsione a spirale del corpo impartita dalla pinna caudale e corretta da una controrotazione delle pinne; dunque la struttura è il risultato della resistenza opposta dalla "zanna" al movimento dell'acqua quando l'animale nuota.
Tipicamente i maschi sono più grandi delle femmine. Queste ultime raggiungono la maturità sessuale attorno 5-8 anni, i maschi un po' più tardi, attorno a 10-13 anni. Alla nascita, i piccoli pesano circa 80 Kg e raggiungono 1.6 metri di lunghezza. La colorazione dei narvali varia con l'età. I piccoli sono maculati di grigio-ardesia o blu-grigio. I giovani sono perlopiù neri o bluastri. Con l'età la colorazione tende via via a schiarirsi ed alcuni esemplari anziani sono completamente bianchi. I narvali possono vivere sino a 52 anni (se non è vittima dell'uomo, verso il quale, purtroppo, manifesta anche una certa curiosità che spesso lo condanna).
I narvali cacciano attivamente il merluzzo polare (Boreogadus saida), l'halibut della Groenlandia (Reinhardtius hippoglossoides), decapodi del genere Rossia, crostacei ed altri invertebrati bentonici.
I narvali possono immergersi da 7 a 20 minuti a profondità che arrivano a diverse centinaia di metri. Il fatto di vivere costantemente a nord dei 64° di latitudine e potersi spingere sino a 85° riduce il numero dei possibili predatori del narvalo. Tra questi, l'orso bianco, l'orca, lo squalo della Groenlandia e persino il tricheco, come documentato da un episodio che risale al 1937. Dei balenieri osservarono un tricheco che conficcò le sue enormi zanne nel ventre di un narvalo che stava dormendo, uccidendolo. Poco dopo gli stessi balenieri recuperarono sia il narvalo che il suo aggressore, trovando nel suo stomaco pezzi del narvalo.
Le vocalizzazioni del narvalo sono descrivibili come impulsi a banda stretta (frequenza compresa tra 1.5 e 24 kHz. I click sono rapidissimi, sino a 300 ogni secondo. La tipologia dei suoni emessi varia con la stagione e i record acustici invernali sono stati registrati per la prima volta solamente nel 2010 (Stafford K. M. et all., 2011).
La stagione degli amori comincia ad aprile e i piccoli nascono dopo una gestazione di 15 mesi, quindi nascono nel mese di luglio dell'anno successivo. In genere nasce un solo cucciolo che viene allattato per due anni.
La specie è distribuita in tutte le acque artiche, prevalentemente nell'emisfero occidentale. Popolazioni abbastanza estese sono note presso lo stretto di Davis, nella baia di Baffin e, in genere, in tutta la Groenlandia. Gruppi minori popolano la baia di Hudson e il mare di Barents. I grandi gruppi che popolavano le acque della Nova Zemyla e della Terra di Francesco Giuseppe sono oggi scomparsi a causa della caccia. L'IWC riconosce tre popolazioni: quella della Baffin Bay, della Hudson Bay e del mare di Kara, quest'ultima è la popolazione meno numerosa.
D'estate i narvali si spostano verso le baie e risalgono talvolta i fiumi. Uno di essi è stato trovato perfino a 1000 km circa dalla foce del fiume Yukon. Talvolta, però, restano intrappolati nelle baie costituite dal ghiaccio che progressivamente ricopre l'intera insenatura. I narvali allora cercano di aprire dei grossi fori per poter respirare e, quando rimangono catturati in gruppo, forniscono agli Inuit l'opportunità di poter disporre di carne e di grasso per tutto l'inverno, perché le sacssat, come gli eschimesi chiamano queste celle, possono contenere fino a 1000 narvali ciascuna (fonte: Wikipedia).
LA CACCIA AL NARVALO DEGLI INUIT
Nel nord della Groenlandia le estati sono brevissime, durano appena qualche giorno. Ma gia da aprile in poi, il sole non scompare più dietro l'orizzonte e per i narvali, il quilalugaq nella lingua degli Inuit, comincia la stagione degli amori. Anche il mare si arricchisce di plancton e gli uccelli marini abbondano. A queste latitudini il ciclo della vita raggiunge l'apice in un lasso di tempo molto breve, per poi scemare ed arrestarsi quasi del tutto con il ritorno dei ghiacci.
Per gli Inuit questo è il momento migliore per la caccia; è il perido in cui è possibile accumulare scorte per il resto dell'anno. Quando il vento spazza via gli ultimi lastroni di ghiaccio, è il momento per i narvali di entrare nei fiordi e dare il via alle danze amorose.
Gli Inuit sono in trepida attesa per accaparrarsi il primo muktuk (pelle scuoiata di narvalo) della stagione. Gli Inuit di Qeqertat sono noti come formidabili cacciatori di narvali. Dopo qualche giorno di attesa, dall'accampamento di caccia si alza il grido "kilalugak, kilalugak", è il segnale che qualcuno ha udito il sibilo del narvalo. All'improvviso il campo si anima e tutti portano lo sguardo verso l'orizzonte. Occorre capire quanto numeroso è il branco, dove si trova e quale direzione ha preso. Se il branco è numeroso, occorre fare molta attenzione perchè saranno molti i maschi di guardia ed avvicinarsi sarebbe molto pericoloso. Se il gruppo è meno numeroso si controlla l'attrezzatura e si calano in acqua i kayak dipinti di bianco. Gli Inuit pensano ancora che in questo modo l'imbarcazione possa essere scambiata per un blocco di ghiaccio.
Dopo aver pagaiato per un po', non resta che attendere. Ora ci si affida alla corrente, nella speranza che essa possa portare il cacciatore vicinissimo al branco. Se gli esemplari riemergono troppo lontano e fuori tiro, la battuta sarà improduttiva. Se la posizione è tale, invece, da consentire di avvicinarsi ad un esemplare con poche e rapide pagaiate, allora il successo è quasi certo, a meno di sbagliare il tiro.
L'arpione che il cacciatore lancia verso il narvalo (sempre frontalmente e mai lateralmente perchè il campo visivo laterale del narvalo è molto esteso) è unito ad una fune e questa all'avatak, un galleggiante di pelle di foca che consente di identificare via via il punto dove l'animale riemergerà. L'avatak pieno d'aria è trascinato sott'acqua ma riemerge comunque per primo, anticipando l'animale ferito e consentendo al cacciatore e al seguito del gruppo di infliggere altri colpi. Chi arpiona l'animale guida sempre il corteo in modo che la donna che osserva dalla costa sappia di chi è la preda. Con la morte dell'animale, il corteo si dirige a terra e il narvalo viene diviso in varie parti a seconda del ruolo sociale di ciascun cacciatore. Ma è il periodo dell'abbondanza e c'è carne per tutti, compresi gli anziani della comunità impossibilitati a cacciare.
Il narvalo rappresenta l'abbondanza; la pelle, detta, muktuk in Canada e mattak in Groenlandia, è la parte più pregiata. Viene venduta alle popolazioni stanziate più a sud, oppure consumata cruda o leggermente bollita. Il calore la trasforma in un appetitosa pietanza ricca di vitamina C e dal caratteristico sapore di nocciola.
Il cuoio era usato anche per i finimenti dei cani da slitta, rimaneva morbido, infatti, anche alle temperature più estreme. La carne viene conservata al riparo della luce e consumata durante l'inverno. Sembra sia durissima e dall'odore nauseabondo. Gli intestini vengono lavati in acqua di mare e stesi sulle rastrelliere per essere essiccati. I tendini un tempo erano utilizzati per ottenere un filo molto robusto detto ivalo, che richiedeva una lunga lavorazione. Ogni tendine era sfilacciato ed appiattito e successivamente era seccato all'aperto.
Oggi la caccia al narvalo ha perso buona parte della vena romantica e legata alla sussistenza di un tempo. Appena udito il soffio del narvalo, gli uomini imbracciano i fucili e sparano anche da terra, ferendo numerosi esemplari. Molti di questi, probabilmente, troveranno la morte dopo una lunga agonia in fondo al mare. Oggi la lotta per la sopravvivenza è impari e nulla possono i narvali contro le armi moderne in possesso degli Inuit. La carcassa dell'animale, dopo essere stata scuoiata, viene rigettata in mare per nutrire i gabbiani.
Per fortuna la caccia al narvalo oggi è ritenuta superata anche dagli stessi Inuit e quindi la pratica è sempre meno diffusa. Anni fa, nel distretto di Thule, i cacciatori si autoregolamentarono e introdussero il divieto di utilizzare armi da fuoco poiché, nonostante i limiti imposti da Canada e Groenlandia, gli esemplari uccisi ogni anno erano molti di più di quelli stabiliti dai governi. Nel 1976 il governo canadese fissò il limite massimo di 550 esemplari cacciabili ogni anno e questo decretò la chiusura di molti mercati (Stati Uniti, Australia, Europa) tra cui quello enorme della Danimarca che, da sola, importava la totalità dell'avorio di narvalo cacciato in Groenlandia. Per la fragile economia Inuit tutto questo fu devastante, almeno per qualche anno, dopodiché si salvarono grazie all'apertura del mercato giapponese che, all'inizio degli anni '80 acquistava avorio di narvalo a 25 dollari al Kg.
Oggi la pratica della caccia esiste ancora ma, per fortuna, le popolazioni di narvalo non corrono rischi particolari, protetti, come sempre, dalle gelide acque dell'artico. Peccato che anche la "civiltà" abbia raggiunto gli Inuit: per loro il narvalo non è necessario per la sopravvivenza, neanche quella culturale, ma per realizzare oggetti e bijoux. E così, i pochi che ancora lo cacciano danno il benvenuto a questo splendido animale con i fucili. Un dente oggi supera i 1000 dollari. Purtroppo in alcune zone non si ha molta pietà per questo animale e ragazzini di 13 anni sparano per 10 ore consecutive a moltissimi animali, condannandoli a sofferenze atroci e a morte certa sul fondo del mare, sotto gli occhi impietosi di anziani che nulla fanno per fermare l'inutile carneficina.
Nel 2005 presso il Northern Store di Artic bay sono stati acquistati 75.000 dollari di dente di narvalo; considerando una media di 500 dollari al metro, significa che sono stati uccisi e recuperati 100 - 120 esemplari. Considerando che in media è recuperato un esemplare ogni 5, quelli uccisi sono almeno 500-600 in un solo anno e solo presso una località. Quanti sono i narvali uccisi ogni anno? Nessuno lo saprà mai. Disponiamo però dei dati relativi all'area di Admiralty Inlet. In questa baia nel 1984 la popolazione di narvali ammontava a circa 15.000 individui. Nel 2003 un censimento aereo stimò la stessa popolazione in 5.000 unità. Non è dato a sapere se tale stima stata validata, ma un gruppo di esperti canadesi decise di cambiare lo status del narvalo da "specie non a rischio" a "specie a rischio relativo".
Cosa dicono gli Inuit? Non sembrano preoccuparsi particolarmente dei narvali. Al giornalista Paul Nicklen confidarono che si spara a colpo sicuro solo quando osservati dai turisti e dal personale del DFO (Dipartimento canadese per la Pesca e gli Oceani), mentre
quando non osservati si compiono vere e proprie carneficine. Inoltre, molti Inuit non sono particolarmente bravi con i fucili e le nuove generazioni sono sempre meno abili nella caccia. Di fatto, il rapporto uomo-cacciatore e natura, nell'Artico, sembra essersi affievolito da tempo.
"Occorre riscoprire la saggezza e il valore delle antiche regole per preservare la natura. Se non ci riusciranno, sarà come se avessero rinnegato il loro stesso retaggio culturale" (Paul Nicklen, National Geographic, agosto 2007).
ARTICOLI CORRELATI
- GLI INUIT, UN POPOLO, TANTI POPOLI - parte uno
- GLI INUIT, UN POPOLO, TANTI POPOLI - parte due
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
- Il narvalo - wikipedia
- Odobenocetops - wikipedia
- Muizon de C • Domning P D. The anatomy of Odobenocetops (Delphinoidea, Mammalia), the walrus-like dolphin from the Pliocene of Peru and its palaeobiological implications. Zoological Journal of the Linnean Society, 2002, 134, 423–452.
- Stafford M. Kathleen • Kristin L. Laidre • Mads Peter Heide-Jørgensen. First acoustic recordings of narwhals (Monodon monoceros) in winter. Marine Mammal Science. DOI: 10.1111/j.1748-7692.
- Øystein Wiig • Mads Peter Heide-Jørgensen • Kristin L. Laidre • Eva Garde • Randall R. Reeves. Geographic variation in cranial morphology of narwhals (Monodon monoceros) from Greenland and the eastern Canadian Arctic. Polar Biology (2012) 35:63–71 DOI 10.1007/s00300-011-1032-z.
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- Thevenon Emmanuel - Il vero unicorno. Airone n. 134, giugno 1992.
- Canestrini Duccio - Fra le genti dell'ultima Thule. Airone n. 69, gennaio 1987.
- Corbellini Giancarlo - Con la slitta sui ghiacci della Groenlandia. Airone n. 11, 1982.
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