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Cod Art 0033 | Rev 01 del 03 Apr 2013 | Data 02 Ago 07 | Autore Pierfederici Giovanni

 

   

 

"A volte, durante le uscite notturne di fine estate, quando la temperatura dell’acqua è ideale, basta destarla dalla sua calma per farla risplendere. Si illumina, sia la prua di una barca a darle noia o sia il balzo di un cefalo, essa si illumina per poi spegnersi velocemente. E’ la Noctiluca (Noctiluca miliaris o Noctiluca scintillans), una fitoflagellata gelatinosa che di giorno se numerosa, colora di rosso le acque, mentre di notte rischiara la scia delle imbarcazioni. Quando sono numerose è uno spettacolo, sembra di tuffarsi in un alto mondo color blu elettrico"

LA BIOLUMINESCENZA - seconda parte -

LA BIOLUMINESCENZA NEGLI IDROZOI

Aequorea aequorea è uno degli idrozoi più conosciuti. Il meccanismo responsabile dell’emissione di energia luminosa coinvolge in questa specie la luciferasi apoaquoporina e il substrato (luciferina) celenterazina. La reazione richiede la presenza di ossigeno molecolare:

apoacquoporina + celenterazina + ossigeno molecolare --------------> acquoporina

acquoporina + ioni calcio --------------> hv + celenteramide + apoacquoporina

La apoaquoporina, è una proteina dal peso di circa 20.000 Dalton, ed è stata isolata la prima volta in assenza di calcio. Non fu inizialmente identificata come una proteina enzimatica; solo successivamente, con l'aggiunta di calcio e in presenza di ossigeno, si dimostrò la responsabile del fenomeno della bioluminescenza negli idrozoi e in altri invertebrati. In vitro la reazione non è veloce come in vivo, in quest'ultimo caso si presume che sia regolata dalle cellue preposte contenenti l'enzima, che sequestra gli ioni calcio per catalizzare la reazione luminosa. Il substrato celenterazina contiene un sito di legame per l'istidina, che modifica la struttura del substrato stesso, rendendo possibile il legame con l'ossigeno molecolare. Si forma un idroperossido che lega attraverso un legame a idrogeno un residuo di tirosina in posizione 184. Il calcio interviene ora, determinando un cambiamento della conformazione dell'idroperossido, formando una molecola instabile che rilascia anidride carbonica e un anione enolato instabile. Quest'ultimo ritorna stabile emettendo un quanto di energia luminosa (Fonte: Nature, Bioluminescence illuminated, di F.G. Prendergast. Vol 404 del 18 maggio 2000).

Numerosi cnidari hanno dei sistemi proteici accessori, come la proteina GFP (Green Fluorescent Protein), attivata dallo ione calcio. In presenza di questa proteina viene emessa una radiazione luminosa con una lunghezza d'onda centrata attorno a 510 nm, mentre se la proteina suddetta è assente la lunghezza d'onda è centrata attorno a 460 nm. Nel genere Aequorea, la proteina accessoria GFP è presente anche nelle uova ma non risulta eccitabile, solo nello stadio di planula si ha emissione di luce anche se poi tale capacità viene meno con lo sviluppo

LA BIOLUMINESCENZA NEGLI SCIFOZOI

Tra gli scifozoi sono note cinque specie bioluminescenti, Pelagia noctiluca, Poralia rufescens, Atolla parva, Atolla wyvillei e Periphylla peryphylla.

Pelagia noctiluca emette luce se stimolata meccanicamente, soprattutto a livello del lobo marginale, ma anche a livello del lobo orale o dei tentacoli. Se viene danneggiata si ha emissione di un muco luminoso. In questa specie non è necessario l’ossigeno molecolare affinché si abbia la reazione luminosa, ma è necessario lo ione calcio, e il meccanismo di reazione è analogo a quello degli idrozoi (vedi Aequorea). La reazione è provocata da uno stimolo meccanico, che determina una serie di stimoli elettrici intervallati di circa mezzo secondo a livello dell' ombrello. Sul significato ecologico dell’emissione di luce emessa in seguito ad uno stimolo meccanico, sono state proposte diverse soluzionii. Probabilmente è importante il ruolo difensivo, ma le osservazioni hanno evidenziato che lo stimolo luminoso allontana alcune specie e ne attrae altre.
La reazione non è attivata dallo ione calcio nelle specie Atolla wyvillei e Periphylla peryphylla. Negli scifozoi è stato studiato lo spettro di emissione della luce emessa (vedi figura), e il massimo dell’intensità è centrato attorno ai 450 – 500 nm.

Specie

Lunghezza d’onda max emissione (nm)

Atolla parva
Atolla wyvillei
Pelagia noctiluca
Periphylla peryphylla
Periphylla peryphylla ovario

465
470 - 462 (altre fonti)-
475
463
470 - 480

LA BIOLUMINESCENZA NEI BATTERI

Alcuni batteri Gram-negativi a forma bastoncellare e dotati di flagelli polari, hanno la capacità di emettere energia luminosa. La maggior parte di questi batteri sono marini e appartengono al genere Photobacterium (P. phosphoreum, P. leiognathie e P. augustum) e Vibrio (V. fischeri e V. harveyi), anche se molti non sono stati ancora identificati come quelli simbionti di alcune specie di Tunicati. Alcuni di questi batteri sono aerobi facoltativi, ma la capacità di emettere luce è associata sempre alla presenza di ossigeno. Sono presenti quindi come simbionti all'interno dei fotofori di altri organismi, ma anche liberi nella colonna d'acqua e parassiti del sistema digerente dei pesci. Infine alcuni possono essere saprofiti. La nomenclatura dei batteri bioluminescenti è basata sulla dislocazione dei flagelli, sulla percentuale molare di guanina e citosina e infine sulla base di studi di filogenesi molecolare piuttosto recenti. Le tecniche colturali hanno permesso di identiifcare anche dei ceppi mutanti, che si prospetta possano avere un utilizzo pratico in biologia molecolare.

La luciferasi batterica è caratterizzata da un tipo di regolazione, detta autoinduzione; ovvero in coltura, una sostanza detta autoinduttore, passa liberamente da una cellula batterica all'ambiente, e deve raggiungere una determinata concentrazione (livello critico), affinchè si abbia l'induzione dell'enzima lucifereasi. In V. fischeri l'autoinduttore è un lattone dell'omoserina, la N-beta-chetocaproilomoserina lattone. Per cui la capacità di emettere luce è correlata alla densità batterica e all'accumolo dell'autoinduttore. Tale meccanismo è noto anche con il termine di quorum sensing. Per cui negli organi luminosi dei pesci, la densità è tale da permettere l'accumolo, mentre nei batteri a vita libera tale accumolo viene menoi e non si ha bioluminescenza.

I batteri luminosi oltre ad essere presenti nei pesci (vedere Parte I), sono presenti anche nei cefalopodi, come per esempio nelle specie Euprymna scolopes e E. morsei, e anche in tal caso come nei pesci il beneficio sembra essere correlato al fenomeno della controilluminazione, mentre per i batteri tale simbiosi permette di avere grandi quantità di materia organica tale da rendere energeticamente conveniente la produzione di energia luminosa.

La biochimica della reazione inizia con l'autoinduttore che si lega alla proteina denominata LUX R, che stimola l'espressione dei geni per la luciferasi (i geni LUX A e LUX B codificano per le subunità alfa e beta della luciferasi) e per delle proteine enzimatiche (LUX C, LUX D, LUX E), che catalizzano la formazione di un aldeide alifatica a catena lunga (dodecanale o comunque un aldeide con più di otto atomi di carbonio). L' FMNH2 (flavin mononucleotide) viene ridotto ad opera del NADH che è il donatore primario di elettroni che fluiscono attraverso la luciferasi. L' FMN ora ridotto reagisce in presenza dell'aldeide a catena lunga e in presenza di ossigeno molecolare. La reazione è la seguente:

Formula1

La reazione è simile a quella di altre flavine monoossigenasi, conosciute anche come ossidasi a funzione mista, perchè un atomo della molecola di O2 è incorporato nell'aldeide, che ossidandosi forma l'acido carbossilico, mentre l'altro atomo viene convertito ad H2O. Il prodotto immediato della reazione non è la forma ridotta del flavin mononucleotide (FMN) ma la sua forma eccitata (FMN*) che ritornando allo stato di minima energia ritorna al suo stato normale emettendo un quanto di energia luminosa:

Formula2

Senza la presenza delle aldeidi, le luciferasi non hanno la possibilità di ritornare allo stato nativo, e la bioluminescenza si riduce di un fattore 1000. È stato dimostrato che il tempo di decadenza dell'energia luminosa dipende dal tipo di luciferasi batterica, dal numero di atomi di carbonio dell'aldeide e dal pH. Una curiosità, le aldeidi come luciferine sono conosciute anche in invertebrati terrestri, come nell'Anellide del genere Diplocardia.

I batteri che colonizzano i fotofori degli organismi marini vengono riconosciuti grazie alla presenza di specifiche adesine che interagiscono con le cellule dell'animale. Questo, alla nascita, è sterile, e se i fotofori vengono colonizzati da batteri non riconosciuti vengono immediatamente espulsi.

BIBLIOGRAFIA

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