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Cod Art 0031 | Rev01 del 03 Apr 2013 | Data 31 Lug 07 | Autore Pierfederici Giovanni

 

   

 

"A volte, durante le uscite notturne di fine estate, quando la temperatura dell’acqua è ideale, basta destarla dalla sua calma per farla risplendere. Si illumina, sia la prua di una barca a darle noia o sia il balzo di un cefalo, essa si illumina per poi spegnersi velocemente. E’ la Noctiluca (Noctiluca miliaris o Noctiluca scintillans), una fitoflagellata gelatinosa che di giorno se numerosa, colora di rosso le acque, mentre di notte rischiara la scia delle imbarcazioni. Quando sono numerose è uno spettacolo, sembra di tuffarsi in un alto mondo color blu elettrico"

LA BIOLUMINESCENZA - prima parte -

La Noctiluca è probabilmente il rappresentante meglio conosciuto e studiato da chi si occupa di bioluminescenza.
A quale scopo la Noctiluca emette energia luminosa spendendo una aliquota notevole della sua energia metabolica? È noto che esse vengono predate dai copepodi, piccoli crostacei che non hanno una vista molto sviluppata e che a loro volta sono predati dai pesci. Quando un copepode si avvicina, determina un movimento turbolento dell'acqua su microscala che disturba la Noctiluca 'invitandola' ad emettere luce. Alcuni ricercatori hanno osservato che in seguito all'emissione di energia luminosa, il minuscolo crostaceo si allontana velocemente, al fine di evitare la predazione da parte dei pesci che li cacciano a vista, e che notoriamente sono attratti dalla luce. Trattasi quindi di un meccanismo di difesa, coevolutosi insieme alla capacità predatoria di alcune specie di pesci che cacciano utilizzando la vista.
Con il termine bioluminescenza si intende una particolare reazione chemioluminescente, che avviene in un organismo vivente grazie alla presenza di sistemi enzimatici. La reazione determina l’eccitamento di una molecola che ritorna poi nel suo normale stato, emettendo un quanto di luce. Tale capacità è finalizzata alla predazione, alla difesa e alla comunicazione, anche se nella maggior parte dei casi sembra fisiologicamente non essenziale. Attualmente si conoscono oltre 660 generi di animali capaci di emettere nergia luminosa. Nella tabella sottostante sono riassunti i rappresentanti dei principali taxon che annoverano esempi di bioluminescenza:

Taxon

Num. generi bioluminescenti

Batteri
Funghi
Protisti
Cnidari
Ctenofori
Nemertini
Anellisi
Molluschi
Artropodi
Echinodermi
Emicordati
Cordati

4
circa 70 vedere qui.
20
65
15
1
40
75
187
47
3
300

Sebbene la bioluminescenza non sia così diffusa in natura, considerando la totalità degli organismi, ciò che stupisce è che sia diffusa in gruppi filogeneticamente lontani. Sono ben dodici infatti i phyla che includono almeno un rappresentante, e la biochimica del fenomeno non è identica, per cui si presume che la bioluminescenza si sia evoluta in organismi diversi in modo del tutto indipendente. In generale si indica con il termine luciferasi l’enzima responsabile della reazione esoergonica che converte l’energia chimica in energia luminosa, mentre con il termine di luciferina si intende il substrato della reazione. Tutte le luciferasi possono essere classificate come ossigenasi poiché la reazione coinvolge nella maggior parte dei casi l’ossigeno:

LUCIFERINA + O2 + luciferasi ------------------> PEROSSILUCIFERINA + [P] + hv

Tuttavia i meccanismi di reazione non sono sempre conosciuti, e le strutture delle diverse luciferine sono molto variabili:

Strutture

Fig 1 - Differenti struture della luciferasi: Dinoflagellati (a sinistra) e Celenterati (a destra)

Attualmente sono note oltre trenta diverse strutture, ma come detto poc’anzi, non sono noti tutti i corrispondenti meccanismi di azione. A volte la reazione necessita di ATP, altre volte di ioni Ca2+, altre volte è pH dipendente. A livello cellulare, la bioluminescenza, a volte è confinata a singoli organelli (fotosomi), a volte è l’intera cellula specializzata che emette luce (fotociti). Queste cellule nella maggioranaza dei casi sono confinate all’ectoderma, con l’esclusione dei phyla degli Ctenofori e degli Cnidari, dove i fotociti sono localizzati nell’endoderma, e degli Ofiuridi, localizzati in quest’ultimo caso sulle spine. Queste cellule specializzate sono associate spesso con tessuti trasparenti, in grado di farsi attraversare dalla radiazione luminosa. Tra gli Echinodermi, i Nemertei, gli Ctenofori e gli Cnidari i fotociti sono gli unici sistemi in grado di emettere energia luminosa. Non sono noti altri sistemi. Si tratta di cellule organizzate in modo semplice, disposte su un singolo strato o a volte in un cluster a livello dell’endoderma. Come vedremo l’emissione di luce può essere regolata dallo ione calcio. Abbastanza particolari i fotociti di alcuni echinodermi, che sono simili a cellule dendritiche che si ramificano sin entro le spine. È noto poi, che nel genere Ophiopsila, è coinvolto anche in questo caso lo ione calcio. I fotociti più complessi sono quelli dei policheti, e sono localizzati a livello dell'epithelium ventrale. La complessità è sia strutturale che fisiologica, ovvero sono stati osservati due diversi potenziali di azione innescati dallo ione calcio, in risposta a stimoli che si potrebbero definire di media o bassa intensità (singolo flash) oppure di forte intensità (flash ripetuti o prolungati che possono perdurare anche per un minuto, attenuandosi lentamente).
Dopo questa breve introduzione, passiamo in rassegna i vari gruppi cominciando dai pesci.

LA BIOLUMINESCENZA NEI PESCI

La bioluminescenza tra i pesci è nota solamente tra le specie marine, nessun esempio è invece noto tra i rappresentanti delle acque dolci. Tra le specie marine, la maggior parte di quelle capaci di emettere luce sono mesopelagiche, che hanno fotofori disposti nella porzione ventrale, mentre le specie batipelagiche si differenziano leggermente poiché è maggiore, anche se non sempre, la loro capacità di emettere luce. Alcune specie, oltre ai fotofori ventrali hanno minuscoli fotofori disposti attorno a tutto il resto del corpo. Tra i pesci si parla di bioluminescenza estrinseca ed intrinseca:

Tra i Berciformi ricordiamo Anomalops e Photoblepharon, che hanno strutture bioluminescenti simili, con porzioni riflettenti composta da cristalli di guanina allo scopo di riflettere la luce prodotta dai batteri simbionti. Anomalops possiede una struttura ellittica alla base degli occhi, che si compone di due parti, una più grande interna e riflettente, ed una più piccola esterna anch’essa riflettente. Con il movimento della struttura i batteri simbionti emettono luce, che può essere continua nel caso in cui i movimenti della stessa si susseguono rapidamente. Nei Perciformi l’organo luminoso è simile in tutte le specie, anche se varia per esetensione, e si trova nella porzione dorsale della muscolatura del ventre. L’emissione all’esterno è possibile grazie alla presenza di fasce muscolari translucenti. Nei generi Gazza, Secutor e Leiognathus, l’organo luminoso si apre nell’esofago, e la vescica natatoria funge anche da organo riflettente. Anzi nella specie L. equalus la vescica natatoria è esclusivamente adattata a tale funzione. In L. rivulatus gli organi luminosi sono diversi nei due sessi (dimorfismo sessuale). Tra i Gadiformi gli organi luminosi sono invece estremamente eterogenei, e sono circa 300 le specie che possiedono strutture ventrali luminescenti. Alcune possiedono quello che viene descritto come “organo luminoso batterico” (Malacocephalus laevis), all’interno del quale sono dislocati dei tuboli contenenti batteri simbionti e ghiandole luminescenti. La struttura è circondata da una superficie riflettente, da una lente anteriore ed una posteriore, ed è posta in prossimità dell’ano. In altre specie la luminosità si manifesta nel solo stadio giovanile. Tra i Salmoniformi è noto l’organo rettale luminoso, che è costituito da dei diverticoli che ospitano Phtobacterium phosphoreum. I Lofiformi sono invece dotati di fotofori dorsali, che è disposta precisamente nella regione anterodorsale nella maggior parte dei casi. Questi pesci hanno una capacità di nuoto estremamente ridotta, ed utilizzano i fotofori come esche per attirare le prede. La struttura è complessa, e da questa sono state isolate alcune forme di luciferasi ma non i batteri simbionti, probabilmente perchè non coltivabili. In Linophyrne sono presenti due sistemi, uno estrinseco e l’altro estrinseco, quest’ultimo possibile grazie alla presenza di un complesso di granuli paracristallini fotogeni.

Alcuni piccoli squali pelagici dispongono di estese superfici ventrali bioluminescenti, come Euprotomicrus, dove ogni fotoforo è una singola cellula luminosa (cellula fotogenica) circondata da una lente. Sono assenti strutture riflettenti. Tra i Salmoniformi sono noti molti esempi di bioluminescenza, e i fotofori contengono cellule di tipo A, B e intermedie, e la dislocazione di queste permette di classificare i fotofori in tre gruppi, di tipo Alfa, di tipo Beta e di tipo Gamma. I fotofori sono generalmente di grandi dimensioni e contengono un pigmento riflettente. Il gruppo dei Mictofiformi o pesci lanterna, comprende oltre 300 specie e molte possiedono tessuti bioluminesenti con fotofori primari e secondari, che sono disposti in strutture anatomiche come peduncoli caudali e organi caudali che contribuiscono a differenziare i due sessi. I Bactracoidiformi, comprende alcune curiose specie che si trovano lungo le coste del nord, centro e sud America, note con il nome di “canary bird fish”, poiché generano curiosi suoni con la vescica natatoria. Nel genere Porichthys i fotofori hanno dimensioni che possono raggiungere i 2 mm, e dispongono di una lente dermale, di uno strato di fotociti e di cellule di supporto, e infine di uno strato riflettente. Sono disposti ventralmente nella regione mandibolare, dell’opercolo e in quella anale. Nei Perciformi la bioluminescenza è diffusa tra i pesci cardinale, una famiglia di pesci tropicali di acque poco profonde, con abitudini notturne. Gli organi luminosi non sono uguali in tutte le specie e vengono comunemente menzionati come GLO (Glandular Light Organs).
Nei pesci i segnali luminosi possono avere funzione nella comunicazione intraspecifica, cioè tra individui appartenenti alla stessa specie. A volte la disposizione dei fotofori è diversa nei due sessi, e questo ha sicuramente un ruolo nel riconoscimento tra individui, come accade in Photoblepharon palpebratus. In altri casi il riconoscimento attraverso la disposizione dei fotofori permette la congregazione, il raggruppamento cioè tra individui della stessa specie. Ma forse il ruolo della bioluminescenza nei pesci ha a che fare con il fenomeno della controilluminazione. È noto che molti pesci e uccelli marini hanno il ventre chiaro e il dorso scuro. Avere il ventre chiaro significa non essere visti da potenziali predatori quando questi si trovano più in basso nella colonna d’acqua, e allo stesso tempo significa non essere visti dalle potenziali prede, se queste si trovanopiù in profondità nella colonna d’acqua. Nella specie Argyropelecus aculeatus, si possono osservare numerosi fotofori che puntano verso il basso, e due che puntano invece agli occhi. La specie in questione è in grado di adattare la propria luminosità all’intensità, all’angolo e al colore della luce che penetra dall’alto, cioè dalla superficie dell’acqua. Nella specie Opisthoproctus soleatus, nota come “opistoprotto dalla suola” è invece presente un solo fotoforo posto alla base della coda. La porzione ventrale del pesce è appiattita e forma una sottile piastra che si estende anteriormente fino all’apice del rostro. Un elaborato tubo riflettente coinvogliala luce del singolo fotoforo all’intera superficie ventrale, ottenendo lo stesso identico risultato di Argyropelecus che possiede però numerosi fotofori. In entrambi i casi e in molti altri qui non riportati, la funzione dei fotofori sembra essere appunto quella della controilluminazione, non essere visti, eludere la propria silhouette emettendo luce.

L’ESPERIENZA DELLA WASP

Nel 1982 Edith Widder, biologa ad Harbor Branch, si immerse davanti alle coste della California, a circa 500 metri di profondità, all’interno della Wasp, una sorta di scafandro tipo omino della Michelin a propulsione elettrica e agganciato in superficie attraverso un cavo. Compito della Widder era quello di misurare la debole (praticamente impercettibile dall’occhio umano) luminosità che a quella profondità giunge dalla superficie. Lavorava quindi con un fotometro all’interno dello scafandro. "D’improvviso tutto l’interno dello scafandro si illuminò di una luce azzurra. Pensai che fosse una scarica elettrica, perchè effettivamente avevamo problemi elettrici con la tuta, ed alcuni avevano subito adiritura scosse non indifferenti. Ma la luce non si spegneva e io guardai verso l’alto:  c’era una catena luminescente estremamente lunga. era un sifonoforo lungo vari metri, ed emetteva una luce tanto intensa  che io potevo vedere ogni cosa all’interno dello scafandro".

Da: La Frontiera Profonda, di R Kunzig, TEA, 2003.

BIBLIOGRAFIA

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