Proseguiamo i racconti tratti dai lavori di Paolo Masi. Il suo ultimo libro L’Elefante di Mare, descrive i trascorsi della marineria di Cattolica e Gabicce. Leggendo, è possibile tornare indietro nel tempo e capire come si costruivano le imbarcazioni e come i cantieri dell’epoca, fossero un importante punto di riferimento per tutta la costa Adriatica.
Tempi andati, dove l’uomo era il protagonista principale; nei volti dei personaggi, intravediamo grande sacrificio ma anche grande serenità, i mestieri dell’epoca mettevano in risalto la tempra dei protagonisti, uomini che erano capaci di superare difficoltà inusuali per i nostri tempi, testimoniando passione e amore per il mare.
I racconti sono correlati dalle fotografie di Dorigo Vanzolini, altro importante personaggio del luogo, appassionato di fotografia e detentore di un importante archivio fotografico storico delle genti di mare. Nel libro sono raccolte immagini rappresentative dei mestieri legati al mondo della cantieristica dell’epoca, naturalmente noi ci limitiamo ad inserire i capitoli rappresentativi, con poche immagini, per non togliere il gusto, a chi lo desiderasse, di leggere il libro per intero.
I CARRETTIERI, I TRAGHETTATORI, SEGNALAZIONI NELLE GIORNATE DI NEBBIA...DI PAOLO MASI
Terza ParteI CARRETTIERI
Il mestiere del carrettiere, o portatore di pesce al portadùr , fu di grande aiuto alla marineria di Cattolica e Gabicce. Come mezzo di trazione per il carretto si ricorreva agli asini, anche se non mancavano portatori che lo trainavano da soli con una cinghia, che passava sulla spalla e una seconda persona, solitamente la moglie, che lo aiutava spingendo il carretto. Una volta che la barca era attraccata al molo le casse di pesce venivano caricate sul carro e, da qui, trasferite al mercato ittico per la vendita all’ ingrosso o al minuto.
Carretto per il trasporto del pesce. In primo piano Adele Terenzi "Mangarela". Cattolica, 1930.
I trasportatori, alle volte venivano pagati dai pescatori con una minima percentuale al quintale, o con l’offerta di un poco di pesce, non pregiato, la cosiddetta musèna. La musèna consisteva in canocchie, bavose o seppie, ma mai in sogliole perché costavano troppo!
Sopra, a sinistra, Fortunato Cervella Fanasi. Il paròn del motopeschereccio "Non t’Arrabbiare", Novario Galli, rovescia sulle casse di pesce un secchio di acqua salata per mantenerlo fresco. Cattolica, anni ’50.
C’era la corsa per arrivare primi al mercato ittico di piazza del Mercato in quanto, non essendo in uso il ghiaccio, si doveva portare in fretta il pesce per mantenerlo fresco, e guadagnare qualcosa di più. Il mezzo usato era un normale carretto con due stanghe laterali. Tra una tavola e l'altra, che formavano il piano del carretto, c'era uno spazio vuoto della larghezza di 5-6 cm., sotto il quale si trovava una rete convessa, stesa per tutta la lunghezza del carro, che serviva da deposito per il pesce. In questo modo il pescato, cadendo dai panieri o dalle casse, si raccoglieva nella rete sottostante. E se questa circostanza non accadeva, i trasportatori, con un gesto fulmineo della mano, erano svelti ad afferrare qualche pesce, e a lanciarlo nella rete sotto il carro. Questa ingegnosa e astuta strategia era molto in uso tra i carrettieri e i marinai, pur essendone a conoscenza, non dicevano nulla, perché rappresentava un ulteriore e modesto compenso per il duro lavoro dal "portadur".
LE FIGURE DEL 'CARONTE' DEL PORTO CANALE
Figure leggendarie, ispirate al traghettatore infernale, furono le imbarcazioni del porto canale tra Cattolica e Gabicce, che a seguito di un modesto compenso trasportavano le persone, su una lancia a remi lunga circa sette metri, da una sponda all’altra del porto . I remi, col tempo, furono sostituiti da una corda che andava da una banchina all’altra. Mentre tutte le altre persone dovevano farlo, con un basso pedaggio, i marinai non pagavano, perché compensavano con il pesce. I 'Caronti' per lo più erano vecchi pescatori indigenti e ancora in forze, a cui gli altri più giovani concedevano una ulteriore opportunità di lavoro e sussistenza.
Il traghetto del porto canale tra Gabicce e Cattolica e viceversa. Il 'Caronte' di turno con il grande cappello di paglia Giovanni Pizzoli 'Gvan d’la Mora'. Cattolica, 1932.
I caronti durante la stagione estiva calzavano un grande cappello di paglia.
Una domenica mattina il 'Caronte' di turno era il vecchio pescatore cattolichino, soprannominato 'Batèk'.
Una persona cadde in acqua e il giovane e prestante marinaio di Gabicce, soprannominato 'Bastòn', fu lesto a gettarsi nel porto canale per trarla in salvo. Solo che 'Bastòn' non si era accorto che, nel frattempo, sotto la banchina era arrivato il battello di 'Batek', e nello slancio cadde all’interno della lancia, senza farsi male. Il vecchio 'Batek', spaventato dal trambusto che si era creato, nel vedersi piombare all’interno dell’imbarcazione uno sconosciuto piovuto dall’alto, nonostante l’età, svelto come un gatto, gettò in acqua il grande cappello di paglia e si catapultò sulla banchina.
L’anziano 'Pepa', anche lui 'ex Caronte', che era seduto ad un tavolo di un bar lì vicino e stava gustandosi un caffè con l’inseparabile pipa in bocca, e aveva assistito a quella scena, imperturbabile, senza scomporsi, argutamente la commentò così: "Guèrda! U se but tl’aqua Baston. E lè mnu su Batek – Guèrda! Si è buttato in acqua Bastone ed è venuto su Batecco!".
Alcuni, molto simpatici, non disdegnavano la battuta e lo scherzo, anche se a volte apparivano scontrosi e rudi. Fra i più conosciuti si ricorda: il pioniere Remigio Berti detto 'Remig', 'Macaròn', 'Gvan dla Mora', 'Busòn', 'Filip' detto 'Garibaldi' per la folta barba bianca, 'Brigadier' e 'Sghin'.
SEGNALAZIONI NELLE GIORNATE DI NEBBIA
In inverno, quando la nebbia era talmente fitta che "la staeva sal curtèl si tagliava con il coltello", e la visibilità si riduceva sino a pochi metri da terra, le barche al largo avevano difficoltà a localizzare la propria posizione e seguire la rotta giusta per entrare nel porto canale. Allora non esistevano gli strumenti elettronici moderni che dirigono in sicurezza il navigante, e il nautofono, ossia la sirena posta in fondo al molo di Levante, non era ancora stato installato. La posizione dell’entrata del porto veniva quindi individuata e segnalata a voce, oppure mediante una campana portata da casa, o addirittura in modo più suggestivo, ma efficace, picchiando con un ferro i pali dei lampioni posizionati a terra, lungo la darsena. "Tic! Tic! Tic…!".
Chi viveva nelle immediate vicinanze del porto canale ricorda ancora quegli insistenti "tic…tic!", che si prolungavano per ore e giorni interi. Erano i familiari, gli amici o i conoscenti, che con quella singolare procedura chiamavano i marinai sulle barche. Per riuscire a comunicare tra una imbarcazione e l’altra, o con le persone a riva, veniva usato anche un corno di bue. Quando stimavano di essere vicino alla terraferma e di essere sentiti, i marinai ad alta voce gridavano:"Anducasinee?" - "Dove siamooo?". E da terra rispondevano "Ma la paleda ad Scavlèn!", oppure, "Ma la punta dal ges!" o "Mal bus d’la Tamburina!". Punti a terra ben noti ai pescatori.
Qualche volta, anziché all’imboccatura, i marinai erano guidati dalle voci di chi era di passaggio a riva o sulla spiaggia. Allora, infatti, non erano state ancora costruite le scogliere e i marinai, approssimandosi alla terraferma, per non arenarsi, ricorrevano allo scandaglio a mano, e per farsi sentire meglio si accostavano il più possibile alla battigia della spiaggia.
E chi ignaro camminava a terra, all’improvviso, dalla nebbia e dalla foschia del mare sentiva provenire un grido isolato! "Anducasinee…?".
Fine Terza Parte by Paolo Masi
Chi è Paolo Masi - torna all'articolo
Paolo Masi, nasce a Cattolica il 2 Settembre 1941. Nel 1959 si trasferisce con la propria famiglia a Gabicce Mare dove intraprende l’attività alberghiera lasciatagli in eredità dal padre.
Nel 1958 e 1959 frequenta l’Istituto per Radiotelegrafisti Scuola Professionale Marittima di Rimini, ottenendo il brevetto di Radiotelegrafista. Le sue esperienze in mare iniziano tra la fine degli anni '50 e l’inizio degli anni '60, con immersioni in apnea.
Verso la metà degli anni '60 decide di passare, da autodidatta, alle immersioni con autorespiratore ad aria compressa. Dall’inizio degli anni '70 comincia a viaggiare e ad immergersi nei mari tropicali di tutto mondo, traendone una vasta documentazione cine fotografica. Tuttavia il suo rispetto ed il suo riconoscimento vanno al Mare Adriatico, al quale ha voluto dedicare un libro: Il nostro Mare Adriatico…piccolo…grande mare.
Durante gli anni ha avuto modo di scrivere anche altri interessanti testi, a testimonianza di quello che era la vita di mare dell’epoca.
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