Pubblichiamo volentieri un primo contributo dedicato a Paolo Masi, pioniere delle immersioni nella sua Cattolica, negli anni '60 del secolo scorso.
Masi rappresenta la vecchia scuola della subacquea sportiva, vivendo l’inizio della sua passione nel Mare Adriatico.
La subacquea che iniziò a praticare in quegli anni, si tramutò, forse inconsapevolmente, in servizio civile; molte delle immersioni che effettuava, erano svolte a servizio della comunità dei pescatori e delle navi portuali, espletando anche compiti di soccorso e ricerca, collaborando con le forze dell’ordine, quando ancora la subacquea professionale rivolta a questi scopi era agli albori o non ancora costituita nei territori di provincia. Solo in seguito infatti, saranno costituti i corpi dei Vigili del Fuoco Subacquei e il nucleo di Carabinieri Subacquei.
Masi è un personaggio di casa nostra, importante testimone di quello che fu il trascorso della marineria locale. I suoi racconti, coinvolgono in pieno i lettori amanti dell’ambiente marino e desiderosi di conoscere le tecniche di pesca dell’epoca.
Da apneista e cacciatore con la fiocina, a sub con l’ausilio della bombola, Masi testimonia come si è evoluta la consapevolezza nei confronti del mare, girovagando oggi con una camera fotografica per immortalare e lasciar vivere gli abitanti dell'Adriatico e degli oceani......!
I PRIMI PASSI......DI PAOLO MASI
Prima ParteIo non so spiegarmi la ragione che mi lega al mare con affetto così profondo. È una domanda che in questi lunghi anni ho rivolto a me stesso e l’unica risposta che ho saputo darmi, è che all’interno del mio animo sopravvivono le tradizioni marinare di mio nonno materno, Luigi Pizzoli (Bigion) che all’inizio del secolo scorso, come tanti altri pescatori di Cattolica, andava a pescare a vela nella Sprè (Aspro), una zona di mare che inizia a circa 20 miglia dal porto di Cattolica. Fatto sta che agli inizi dei primi anni sessanta cercavo di fiocinare pesci con il fucile a molla "Saetta" e assieme ad alcuni amici, nel 1966 acquistai nell’armeria Pecci di Cattolica la mia prima muta subacquea: costo 50.000 lire, 20.000 in contanti e tre cambiali da 10.000 lire.
La Pirelli era una muta tutta in gomma, quando la indossavi i peli tiravano tremendamente e per ovviare a questo inconveniente utilizzavamo chili di talco. "Tè tolt al talco?" Era la domanda di rito e quando entravamo in acqua sembravamo degli zombie.
Per lo più si pescava di notte con la pila nelle "serre", una formazione calcarea di scogli che scorre perpendicolare alla costa di fronte Gabicce. Più in là non osavamo spingerci perché i pescatori ci ripetevano: "uiè li cagnizzie" (squali verdesche).
Una notte, da una grande tana vidi sollevarsi una nube di sabbia. Pregustavo già la grossa spigola in graticola. Mi immersi. Non avevo fatto che pochi metri quando dalla nube di sabbia sbucò la testa di una anguilla enorme: era un mostro! Per frenare la discesa usai il fucile come freno. La mattina seguente mi affrettai al porto e un pescatore mi disse: "Paolo, lè un grong" (un grongo).
Intanto era appena nata la rivista mensile Mondo Sommerso ed io ne ero così appassionato da non perderne un numero. Orami pescare in apnea non soddisfaceva più la mia curiosità e il fascino che il mare aveva su di me. Mi sarebbe piaciuto restare più a lungo sul fondo e osservare meglio tutto quello che vi accadeva, così spesso andavo da solo a Gabicce Monte e da lassù ammiravo per ore l’immensità del mare. Il desiderio di avventurarmi in quel creato misterioso stimolava il mio interesse di farne una conoscenza più approfondita con immersioni lontano dalla costa. Allora per concretizzare quel sogno decisi di fare il gran passo: immergermi con le bombole ad aria compressa. A quei tempi sui libri e riviste specializzate sentivo spesso parlare di embolia gassosa per chi si immergeva con le bombole. Tuttavia queste prudenti ponderazioni non frenarono la mia "brama" di mare.
A metà degli anni sessanta, per fare un corso corretto sull’uso delle bombole per le immersioni ad aria compressa occorreva andare a Bologna o ad Ancona. Troppo distante! Decisi che avrei fatto da solo. Imparai da solo la legge di Boyle e Mariotte, la legge di Henry e i dati della curva di sicurezza. Poi io e l’amico Gianantonio Marcolini (Gianni) andammo ad Ancona e nel negozio da Meldolesi acquistammo due bombole da 15 litri Technisub e due erogatori Royal Mistral. La prima volta provammo le bombole a bassa profondità, partendo dalla battigia della spiaggia; poi le utilizzammo per le nostre battute di pesca nelle serre, perché a quei tempi la pesca subacquea con le bombole era consentita. Tuttavia anche nelle serre le immersioni erano a bassa profondità, 6-7 m. e presto ci stancammo di queste esperienze su quei fondali rocciosi, che sebbene fossero stati i primi ad avvicinarci ai misteri del mare, erano alquanto limitati, perché si inoltravano sino a 600-700 m. da riva per perdersi definitivamente nella sabbia. Ormai il desiderio di immergerci più lontano dalla costa era diventata una volontà irrefrenabile. Così decidemmo di farlo in una zona di mare di cui sentivamo spesso parlare dai pescatori di Cattolica, "la Pruipida – la Proibita".
Fu proprio questa parola che recava in se un qualcosa di vietato e misterioso, che stimolò il nostro interesse. Tra Castel di Mezzo e Fiorenzuola di Focara, a 6 miglia dalla costa, con una profondità di 16-17 metri, vi era un tratto di mare in cui i pescatori evitavano di calare le reti. Durante il secondo conflitto mondiale in questa area era stato installato un campo minato. Su indicazione dei Comandanti dei motopescherecci di Cattolica di quel tempo, tra i quali l’allora giovanissimo Gaudenzi Colombo (soprannominato" il Topolino") che per esperienza dirette erano a conoscenza della dislocazione delle mine, l’area era stata bonificata dalla nostra Marina Militare.
Tuttavia nell’immediato dopo guerra la marineria di Cattolica era stata funesta da alcune sciagure avvenute in mare per lo scoppio accidentale di questi ordigni esplosivi e, il giovane comandante "Topolino", che in quel giorno si trovava in mare e nelle vicinanze della deflagrazione della mina, entrò nel campo minato e con la sua imbarcazione, fu il protagonista coraggioso del salvataggio di alcuni naufraghi di quella tragedia. A quei tempi ero un bambino di 5 anni e dalla mia abitazione, situata in Via del Porto, ho ancora presente il grande scoppio che udii quando la mina scoppiò e causò la tragedia. Nonostante la bonifica della Marina Militare, sul fondale marino erano rimasti i piedistalli in ferro a cui con un cavo in acciaio veniva fissata la mina e sui quali i pescatori impigliavano e perdevano le reti. Questo era il motivo per cui questa zona di mare era chiamata dai pescatori la "Pruibida".
Il Comandante della Capitaneria di Porto di Cattolica che aveva saputo delle nostre uscite in mare, ci chiese di fare delle immersioni mirate in quella zona, perché temeva che sul fondo della "Proibita" fosse rimasta qualche mina inesplosa. A quei tempi si parlava di mine magnetiche che a contatto con il ferro sarebbero esplose; poiché le nostre bombole erano in acciaio, quando ci immergevamo nella Proibita, dove la visibilità a volte era di un paio di metri e anche meno, lo facevamo con un certo timore. Per arrivare nella "Proibita" utilizzavamo una delle prime imbarcazioni in plastica di quei tempi, conosciuta da tutti con il nome di Catamarano.
Il Catamarano era una barchetta lunga circa 4 m che i nostri bagnini affittavano ai turisti in estate. Durante l’inverno io e Gianni ne avevamo trovato uno "abbandonato" e dismesso sulla spiaggia di Riccione. L’avevamo trasportato a Cattolica e dopo averlo ripulito per le nostre esigenze, avevamo acquistato un motore usato Carniti da 35 cv con accensione a strappo. La corda del fuoribordo ogni tanto si strappava, candele e carburatore facevano arrabbiare e il motore parecchie volte si rifiutò di partire; allora tra imprecazione e maledizione, io e Gianni eravamo costretti a remare per delle ore. D’altra parte, barche e motore erano figli di quel tempo, che erano gli anni del "pagherò" e della cambiale. I contanti erano pochi per tutti.
1946. Grafico indicativo dei campi minati del medio Adriatico di fronte a Cattolica, disegnato da Alessandro Filippini, in cui si evidenzia l’area “Proibita” (foto Dorigo Vanzolini).
Nella "Proibita" effettuammo parecchie immersioni e non trovammo mine, ma solo quattro piedistalli, in parte sepolti nel fondale fangoso e avvolti nelle reti da pesca. Intorno alla metà degli anni ’60 sui fondali marini del medio Adriatico, erano sparsi numerosi ordigni bellici, residui del secondo conflitto mondiale. La famosa Linea Gotica, costruita dai tedeschi, della costa tirrenica proseguiva tra gli Appennini e terminava proprio a Cattolica. Per rompere il fronte della difesa della Linea Gotica (avvenuto a Montecchio e a Tavullia), le colline vicine a Cattolica tra l’agosto ed il settembre del 1944 erano state luogo di aspri combattimenti tra l’Ottava Armata inglese del generale Oliver Leese e i tedeschi della Decima Armata, del generale Heinrich von Vietinghoff. Il cimitero di guerra degli inglesi di Gradara è la testimonianza di questi feroci combattimenti. Per interrompere il flusso continuo dei rifornimenti verso la linea del fronte tenuto dei tedeschi, il ponte della via Flaminia sul fiume Conca era stato la causa di frequenti bombardamenti da parte dell’aviazione alleata. Ciononostante, il ponte non fu mai seriamente colpito e non subì gravi danni. Quando veniva dato l’allarme e si sentiva il rumore degli aerei alleati in avvicinamento, poiché molte bombe non colpendo l’obbiettivo finivano sulla città, il grido di terrore dei cittadini di Cattolica era questo: "… i bumberda tla Conca!!" Parecchi abitanti della città vivevano sfollati nelle campagne e nei casolari dei contadini vicino Cattolica.
Mio padre, che allora era un giovane militare, dopo l’avventato armistizio chiesto dai vertici militari italiani e reso pubblico inaspettatamente dagli anglo americani l’8 settembre 1943, come tanti altri soldati aveva abbandonato la sua unità di stanza a Pola e, in quel periodo di grande confusione politica, per non essere catturato dai tedeschi, viveva nascosto con me e mia madre in un casolare sotto la collina di Gradara. Durante la fase dei bombardamenti parecchie bombe erano finite su quello che in seguito sarebbe divenuto il parco Le Navi Acquario di Cattolica, che a quei tempi erano utilizzate come colonie per i figli degli italiani all’estero, altri ordigni erano caduti in mare senza esplodere.
Per inciso, uno dei comandanti dell’Aviazione Alleata che effettuarono questi bombardamenti, e ai quali probabilmente prese parte personalmente perché era solito partecipare alle azioni di guerra che pianificava, era il famoso aviatore statunitense generale James "Jimmy" Doolittle, che dopo l’attacco giapponese del 7 dicembre a Pearl Harbour, era stato il protagonista del noto raid e primo bombardamento su Tokyo, avvenuto il 18 aprile 1942. In seguito questo intrepido personaggio partecipò anche a missioni di guerra su Roma e Berlino a alla fine del secondo conflitto mondiale, fu l’unico aviatore alleato ad aver preso parte ai combattimenti sulle tre capitali nemiche.
I pescatori di Cattolica, quando nelle reti rinvenivano questi ordigni, per non doverli pescare di nuovo ed evitare le lungaggini burocratiche della segnalazione alle autorità competenti, li gettavano tra gli scogli delle serre. Li dunque era facile trovarsi di fronte a questi residui bellici. Su indicazioni dei comandanti dei motopescherecci, era compito dei pescatori di cozze Marino Maffei e Marcello Vanzolini rintracciarli e avvertire gli artificieri dello SDAI (Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi) di Ancona. Allora gli artificieri accompagnati in immersione da Marino e Marcello, intervenivano facendo esplodere le bombe direttamente in mare, con apposite cariche esplosive di tritolo. Da parte nostra, avevamo imparato a riconoscerle e sapevamo che, in alcuni casi, la bomba poteva essere altamente pericolosa perché al suo interno conteneva delle sostanze tossiche. In questo caso gli artificieri arrivavano direttamente da Roma. L’ordigno veniva recuperato, posto in contenitori speciali e trasportato con camion per essere definitivamente sepolto in apposite aree militari. La bonifica di vasti tratti dei fondali marini del medio Adriatico dagli ordigni bellici del secondo conflitto mondiale è un merito che va riconosciuto a Marino Maffei e a Marcello Vanzolini. Va evidenziato che a quei tempi non esistevano ancora i Vigili del Fuoco Subacquei e a Genova si era formato il primo nucleo di Carabinieri Subacquei agli ordini del Maggiore Valerio Moratti.
Fine Prima Parte by Paolo Masi
Chi è Paolo Masi - torna all'articolo
Paolo Masi, nasce a Cattolica il 2 Settembre 1941. Nel 1959 si trasferisce con la propria famiglia a Gabicce Mare dove intraprende l’attività alberghiera lasciatagli in eredità dal padre.
Nel 1958 e 1959 frequenta l’Istituto per Radiotelegrafisti Scuola Professionale Marittima di Rimini, ottenendo il brevetto di Radiotelegrafista. Le sue esperienze in mare iniziano tra la fine degli anni '50 e l’inizio degli anni '60, con immersioni in apnea.
Verso la metà degli anni '60 decide di passare, da autodidatta, alle immersioni con autorespiratore ad aria compressa. Dall’inizio degli anni '70 comincia a viaggiare e ad immergersi nei mari tropicali di tutto mondo, traendone una vasta documentazione cine fotografica. Tuttavia il suo rispetto ed il suo riconoscimento vanno al Mare Adriatico, al quale ha voluto dedicare un libro: Il nostro Mare Adriatico…piccolo…grande mare.
Durante gli anni ha avuto modo di scrivere anche altri interessanti testi, a testimonianza di quello che era la vita di mare dell’epoca.
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