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Cod Art 0307 | Rev 01 del 26 Mar 2013 | Data 20 Giu 2010 | Autore Pierfederici Giovanni

 

   

 

RESTITUIRE AL MARE LE CARCASSE DEI CETACEI

Tutti voi ricorderete i cetacei che nel dicembre scorso finirono spiaggiati sulle coste pugliesi in provincia di Foggia. In quell’occasione, le carcasse furono recuperate dal Corpo Forestale e poi portate tramite autoarticolati sino alla cava di Piano Erte, Agro di Ischitella.
Lo smaltimento delle carcasse di cetacei spiaggiati viene visto come un problema di difficile soluzione e costoso, infatti in genere i poveri animali (o ciò che ne rimane), vengono fatti a pezzi e poi bruciati. Ma la soluzione più semplice, purtroppo non attuata e neanche proposta dai biologi marini che operano in Italia, sarebbe quella di restituire gli animali al mare. Negli Stati Uniti si opera in questo modo, soprattutto in California, gia da molto tempo.

UN PO' DI STORIA....

Quando muore, un cetaceo di grandi dimensioni come una balena, affonda lentamente nella colonna d’acqua, sino a giungere sul fondo. Qui comincia la seconda vita delle balene, che contribuiranno alla nascita di un ricchissimo ecosistema paragonabile a quello di un vents idrotermale.
La "seconda vita delle balene" è stata ipotizzata per la prima volta da Krogh (1934), che tentò di calcolare la biomassa di cetacei dell’Oceano Australe, stimata allora in 0.5 grammi/m2 per anno. Più tardi Bruun (1956), ipotizzò che la carcassa di una balena sul fondo del mare potesse attirare un gran numero di scavengers e per un tempo molto lungo.
Nel 1854 Woodward scoprì dei mitili mai visti prima (ora noti come Adipicola pelagica Dell, 1987), dentro delle tane scavate in un pezzo di grasso di balena, alla deriva nelle acque  al largo del Capo di Buona Speranza. Nel 1966 dalle reti a strascico di un peschereccio fu recuperato un osso di balena ricoperto da mitili mai descritti (ora Adipicola simpsoni), al largo dell’Irlanda.
Nel 1987, Craig Smith guidò un team di oceanografi a bordo del sottomarino Alvin; scoprirono, grazie all’utilizzo del sonar, un grande oggetto a 1240 metri di profondità. Si trattava di uno scheletro di una balenottera lungo circa 20 metri, attorniato da una comunità animale rigogliosa, una sorta di oasi in mezzo al deserto.

Adipicola pelagica Adipicola pelagica

Negli anni gli studi delle comunità animali attorno alle carcasse (note come whale fall), sono proseguiti e hanno permesso di identificare oltre 400 specie animali, di queste ben 30 sono state osservate solo in tali ambienti. Sempre Smith, nel 1992 diede via ad un esperimento interessantissimo. Prelevò delle carcasse di cetacei e le affondò con l’ausilio di zavorre al largo della California. In 8 anni furono sei i cetacei "affondati". Lo studio (Simth and Baco, 2003), permise di stabilire che i cadaveri dei grandi cetacei attraversano tre distinte fasi ecologiche, in parte sovrapposte.

1) La prima fase è detta fase dei saprofagi (mobile scavanger stage); un gran numero di scavengers come missinoidi, squali e granchi spazzini, rimuovono gran parte del tessuto adiposo (soft tissue). Nel frattempo la sostanza organica arricchisce il sedimento circostante e aumenta il numero dei nematodi (Debenham et al., 2004). Questa fase dura 18 - 24 mesi e vede coinvolte numerose specie, come i missinoidi Eptatretus deani e Mixine circifrons, lo squalo Somniosus pacificus, molto attivo in prossimità delle carcasse. Partecipano poi un gran numero di specie di anfipodi e granchi (Paralomis multispina).

La seconda fase è detta fase degli opportunisti (enrichment opportunist stage); si tratta di organismi generalisti che utilizzano il grasso residuo e l’olio che nel frattempo si è depositato nei sedimenti attorno ai resti della carcassa. La comunità di animali di questa fase comprende eterotrofi come gasteropodi, anellidi, policheti (Vigtormiella sp) e crostacei. Alcune di questi animali non sono mai stati osservati in altri ambienti.  Tale fase può perdurare da tre anni (carcassa da 5.000 Kg) a 4 anni e mezzo (carcassa da 25.000 Kg).

La terza e ultima fase è detta fase dei solfofili (sulphophilic stage); può protrarsi per decenni. I batteri anaerobi producono acido solforico che nutrono i batteri solfofili, che a loro volta sostengono, come endosimbionti, una nutritissima comunità animale. Smith parla di 185 specie descritte. Molti mitili, patelle e altri invertebrati, ospitano in simbiosi i batteri solfofili che permettono loro di raggiungere anche grandi dimensioni. Molto comuni gasteropodi come Mitrella permodesta (Dall, 1890), Provanna lomana (Dall, 1918), bivalvi come Idas washingtonia (Smith et al. 1989, Deming et al 1997), un tempo nota come Idasola washingtonia, crostacei (Illyarachna profunda) e archeogasteropodi come Cocculina craigsmithi (che vive anche in prossimità degli hydrothermal vents).

Cocculina craigsmithi

Idas washingtonia e Cocculina craigsmithi.

Il fatto importante è che le ossa dei cetacei sono molto ricche di lipidi e per questo impiegano molti anni a decomporsi. I lipidi sono presenti soprattutto nella parte interna, ove vivono i batteri anaerobi. Questi utilizzano i solfati disciolti nell’acqua come fonte di ossigeno e come prodotto di scarto formano acido solforico H2S. I batteri solfofili sono in grado di ossidare l’acido e ottenere così l’energia necessaria alla sopravvivenza.
Gli autori dello studio (Simth and Baco, 2003), parlano anche di una fase finale denominata reef stage, ed è la fase in cui non è più presente nessuna traccia di sostanza organica.
Lo studio dei due autori ha  avuto molto successo e ha permesso anche di stimare, attraverso il tasso di crescita di alcuni organismi, come balanidi e briozoi, il tempo di permanenza sul fondo della carcassa. Tali dati attualmente vengono impiegati in studi di Scienze Forensi, per esempio per stimare il tempo di permanenza in acqua di un cadavere.

Ma la creatura più curiosa delle whale fall communities è il Siboglinidae o verme zombi Osedax, di cui si conoscono più di 12 specie (6 secondo altre fonti). Fu descritto la prima volta nel 2004. Il termine Osedax deriva dal latino e significa "divoratore di ossa". Non sono molto grandi, al massimo raggiungono i due cm di lunghezza. Hanno delle piccole appendici  che utilizzano per aumentare la superficie corporea, attraverso la quale respirano. Essi affondano degli speciali peduncoli verdastri nelle ossa dei cetacei per acquisire lipidi e/o proteine per i batteri endosimbionti che ospitano. Non hanno bocca, ne stomaco ne ano. Gli adulti sono tutti femmine e i maschi, microscopici, sono ospitati nelle tube (dimorfismo sessuale). Non superano mai lo stadio larvale e passano il loro tempo a produrre spermatozoi.

Il genere Osedax, comprende le specie Osedax frankpressi, O. japonicus, O. mucofloris, O. roseus, O. rubiplumus e O. mcleanicus e risulta strettamente imparentato con i vermi tubicoli del genere Riftia, presenti presso le sorgenti idrotermali.

Osedax Osedax, schema

In alto a sinistra O. rubiplumus. In rosso i pennacchi, in basso a destra i peduncoli. Su questi ultimi si sviluppano le ovaie, non visibili nella foto. Fonte: Wikipedia: Vrijenhoek R. C., Johnson S. B. & Rouse G. W. (10 November 2009) "A remarkable diversity of bone-eating worms (Osedax; Siboglinidae; Annelida)".
A sinistra rappresentazione tratta da Marine Invertebrate Phylogenetics Lab. Si vedono chiaramente i peduncoli con le ovaie e un ingrandimento della pozione ove alloggiano i microscopici maschi (dwarf males).

Colonia Osedax

Comunità di Osedax o verme zombi sullo scheletro di una balenottera.

BIBLIOGRAFIA