BASTA SPADARE. L'ULTIMATUM DA BRUXELLES
Entro due mesi le autorità italiane dovranno prendere provvedimenti contro l’utilizzo delle spadare, le reti da posta derivanti bandite dall’Unione europea dal gennaio del 2002, per conformarsi a una sentenza della Corte di Giustizia del 2009. Con questo ultimatum del 29 settembre, la Commissione Europea tenta, per l’ennesima volta, di imporre una regola a cui, chi prima chi dopo, tutti i paesi europei, tranne il nostro, si sono adeguati: la pesca di tonno e pesce spada non si può fare con reti lunghe decine di chilometri nelle cui maglie finisce di tutto, dai pesci sotto taglia, ai delfini e capodogli, agli uccelli marini.
Chi conosce la situazione del Mare Nostrum non può stupirsi del recente richiamo. Il biologo marino Giuseppe Notarbartolo di Sciara nel suo blog su Il Fatto Quotidiano del 16 giugno scorso aveva previsto che si sarebbe arrivati a questo punto. Sapeva infatti delle "illegalità flagranti" riscontrate dagli ispettori della Commissione che avevano visitato in incognito i porti di Ponza e della Sicilia. Indisturbate, le barche facevano bella mostra di quelle devastanti reti, eloquentemente ribattezzate "muri della morte". Niente di nuovo rispetto a quanto documentava, con tanto di fotografie, un dossier di Oceana del 2008 (vedi Galileo), che aveva individuato nei porti del Belpaese una flotta abusiva di un centinaio di imbarcazioni.
Alla luce di tutto ciò, il provvedimento deciso adesso a Bruxelles somiglia molto alla famigerata "ultima opportunità" che le maestre concedono agli scolari incorreggibili. In questo caso però non si rischia di saltare la ricreazione, ma di trovarsi a dover pagare pesanti sanzioni finanziarie, difficili da far digerire ai cittadini in tempi di vacche non proprio grasse. L’ostinato rifiuto dei pescherecci italiani a rinunciare all’attrezzatura fuori legge ha resistito negli ultimi dieci anni a ogni sorta di opera di convincimento. Nessuno ha ceduto, né con le buone, né con le cattive. I 200 milioni di euro stanziati dalla Commissione a ridosso del bando definitivo del 2002 per la riconversione delle barche italiane non hanno ottenuto gli effetti sperati: tra chi ha intascato i soldi in cambio di qualche piccola modifica a bordo e chi non ha neanche inscenato la farsa del camuffamento, i "muri della morte" hanno continuato a fluttuare indisturbati nelle acque del Mediterraneo.
Fallite "le buone", si è passati ad avvertimenti più incisivi: con una sentenza del 29 ottobre 2009 la Corte di Giustizia Europea condannava l’Italia per inadempienza del rispetto della legge europea. Ma neanche questo è servito. Leggiamo infatti sull’ultimo avvertimento della Commissione: "Le verifiche effettuate dalla Commissione indicano che l’uso illegale delle reti da posta derivanti è assai diffuso in Italia e che i provvedimenti adottati dalle autorità nazionali non sono sufficienti né abbastanza efficaci per scoraggiare il ricorso a questo metodo di pesca".
Nei mesi di ottobre e di novembre la Commissione aspetta segnali espliciti di cambiamento, altrimenti si dichiara pronta a chiamare nuovamente in causa la Corte di Giustizia. Basteranno sessanta giorni per cancellare dieci anni di illegalità?
Fonte: Galileo.net a cura di Giovanna Dall'Ongaro.
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Sul sito fishsubsidy è evidenziato nel dettaglio, grazie ad un database messo in piedi dopo una lunga e faticosa lotta per l'accesso alla documentazione dall'Unione Europea, la ripartizione dei fondi per paese, per tipo di imbarcazione e secondo altri criteri facilmente selezionabili. Sono molte infatti le imbarcazioni italiane che hanno ottenuto contributi per la dismissione delle reti da pesca ora vietate ma che, imperterrite, hanno continuato impuinite nella loro attività.
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