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Cod Art 406 | Rev 00 | Data 20 Apr 2011 | Autore: Pierfederici Giovanni

 

UN ANNO FA IL DISASTRO DELLA DEEPWATER HORIZON

Un anno fa un'esplosione squarciava la notte del Golfo del Messico e la struttura dell' impianto della piattaforma Deepwater Horizon. Erano le 21:45: aveva inizio in quel momento al largo di New Orleans quello che si sarebbe trasformato nel più grave disastro ecologico della storia. Quell'esplosione, dovuta al mancato funzionamento di una pompa idraulica, ha causato non solo 11 morti e 17 feriti. Ha provocato anche la più  inarrestabile fuga di petrolio mai vista, un fiume nero che giorno dopo giorno è sfociato nel Golfo del Messico fino ad occuparlo quasi per metà.
Gli esperti hanno calcolato in 5 milioni i barili di petrolio finiti in mare. L'intera industria marittima di tre Stati (Louisiana, Mississippi e Texas, senza tener conto dei danni provocati in Florida) è stata messa in ginocchio e la impotente America ha assistito all'aggravarsi di una catastrofe ambientale senza precedenti nel mondo. Neppure il disastro provocato nel 1989 sulle coste dell'Alaska dalla petroliera Exxon Valdez aveva avuto conseguenze così gravi.
Quella piattaforma, costruita in Corea del Sud dalla Hyundai Heavy Industries, era di proprietà della società svizzera Transocean, ed era stata affittata due anni prima dalla britannica BP per procedere alle trivellazioni del pozzo Macondo, che si trova ad una profondità di circa 1.500 metri. Prima dell'incidente, la BP estraeva dal pozzo 8 mila barili di petrolio al giorno. Che, da un giorno all'altro, hanno cominciato inesorabilmente a finire in mare. Inizialmente la portata dell'incidente fu sottostimata.
I soccorsi seguirono le abituali procedure previste in questi casi. Solo quando, due giorni dopo l'incidente, la colossale piattaforma affondò, i tecnici si resero conto della gravità epocale del disastro: da uno dei tubi della piattaforma squarciatisi nell'esplosione, il petrolio continuava ad uscire a enormi fiotti (50 mila barili al giorno). Solo che ora la piattaforma era sul fondo del mare, a 1.500 mt di profondità. Mettere un "tappo" a quella falla non sarebbe stato un lavoro facile. Gli ingegneri capirono subito: sarebbe stato un incubo. E così è stato: i tecnici della BP hanno lavorato l'intera estate prima di riuscire a fermare quel petrolio che saliva dal fondo del mare. Dopo svariati tentativi, il tamponamento definitivo della perdita è stato messo in atto con successo soltanto il 19 settembre.
Per i precedenti cinque mesi un fiume di oltre 780 milioni di litri di petrolio ha avvelenato le acque e le coste del Golfo del Messico. Nel dichiarare BP responsabile del disastro, gli Usa hanno raggiunto con il gruppo petrolifero un accordo per la costituzione di un fondo iniziale di 20 miliardi di dollari per risarcimento danni. BP dal canto suo, ha dichiarato spese per 8 miliardi di dollari per contenere il petrolio e perdite per 3.95 miliardi. Come altre compagnie petrolifere, ha gia ripresentato domanda per riprendere le trivellazioni.

IL PETROLIO È OVUNQUE

"C’è ancora una quantità terribile di petrolio disperso nell’ambiente" ha detto al Washington Post Ian R. McDonald, oceanografo alla Florida State University che da tempo lavora nel Golfo. Le prospettive, a un anno dal disastro, appaiono del resto molto più incerte rispetto a molte delle analisi e delle assicurazioni offerte dalle autorità in questi mesi.
Lo scorso novembre la NOAA, l’agenzia del governo federale che si occupa di clima e oceani, aveva assicurato che almeno un quarto del greggio rilasciato era evaporato, o si era dissolto nell’acqua. Un altro 29% circa sarebbe stato vaporizzato in particelle finissime, naturalmente o attraverso il disperdente chimico Corexit 9500, e poi riassorbito attraverso l’azione dei batteri marini. Il 5% del greggio era invece stato bruciato sulla superficie dell’Oceano.
Le stime della NOAA, che il suo direttore Jane Lubchenco ha comunque definito parziali, sono state in questi mesi sempre più messe in discussione dagli scienziati che, in modo indipendente, lavorano nell’area del disastro.
Samantha Joye, una scienziata della University of Georgia, sta per pubblicare uno studio sugli effetti del petrolio sulla flora e la fauna del Golfo, spiega che greggio e gas naturale "si dissolvono in modo molto più lento" rispetto a quanto affermato dal governo americano. Gli sforzi per "scremare" il petrolio si sono poi dimostrati "inefficaci" (lo ha spiegato la stessa Guardia Costiera della Louisiana). E molti segnalano che i disperdenti chimici, se hanno aiutato a combattere il greggio, si sono dimostrati altrettanto tossici e nocivi per la vita di piante e animali.
Il vero punto interrogativo riguarda però il petrolio residuo (negli 86 giorni in cui il pozzo restò spezzato, in mezzo all’oceano.
Che fine ha fatto? Dove si è depositato?
La risposta è semplice. Il petrolio è ancora lì: sul fondo marino, disperso tra le paludi, sulle spiagge. Nelle operazioni di ripulitura sono in questo momento impegnate circa 2.000 persone della Guardia Costiera, che navigano a bordo di 200 battelli lungo le coste di Lousiana, Alabama, Mississippi, Florida. Ma i loro sforzi restano ben al di sotto della sfida. Mancano mezzi e personale (nei mesi immediatamente successivi al disastro, furono 48.000 gli uomini impegnati). Il periodo della riproduzione, per molte specie di volatili e tartarughe, suggerisce alle squadre della Guardia Costiera di tenersi lontani dalle zone di nidificazione e rallenta le operazioni di ripulitura. Intanto 130 miglia di palude della Louisiana appaiono tragicamente senza vita. La loro scomparsa significa la fine di un rifugio sicuro per gli stormi che di qui passano e di un luogo di vita e nutrimento per gamberetti e altri crostacei.
Scienziati e operatori ecologici in queste settimane hanno segnalato altri possibili e devastanti effetti. Alghe e altri microrganismi sono scomparsi in un’area pari a circa 100 miglia intorno al pozzo di BP." Le alghe sono come l’erba sulla terra. La loro scomparsa influisce sull’ossigeno, quindi sull’intero ecosistema e sulla catena alimentare" ha spiegato Suzanne Fredericq, della University of Louisiana (molti animalisti prevedono di trovare tracce di greggio, attraverso le alghe, anche nello sperma delle balene). E lo scorso gennaio ben 153 carcasse di delfini, molti di questi molto giovani, alcuni persino in fase fetale, sono stati segnalati al largo della costa della Lousiana.
"Conserviamo gran parte delle evidenze di prova per il processo contro BP" annunciano dal NOAA, che sinora ha fatto filtrare col contagocce le notizie sugli effetti del disastro della Deepwater Horizon. Ma scienziati ed ecologisti temono che il governo federale cerchi di bloccare la diffusione della verità su quanto è successo e quanto potrebbe succedere. Gli ostacoli e le limitazioni imposte agli scienziati non legati al governo lo proverebbero. "Sinora sono state prodotte soltanto 14 ricerche indipendenti sullo stato del Golfo del Messico", dice Lisa Suatoni del National Resources Defense Council.

Fonti: testate varie.

Tutti i dettagli dell'evento della Deepwater Horizon, con tutte le news raccolte dal 20 aprile 2010 sino ad oggi, possono essere letti qui.