LE TORBIERE
Le torbiere (termine di origine latina che significa letteralmente 'luogo da dove arriva la torba') si originano da ambienti molto ricchi di acqua come laghi e paludi all’interno dei quali, nel corso del tempo, si sono accumulati ammassi e resti vegetali che, decomponendosi, hanno dato origine alle torbe. Le torbiere, spesso considerate ambienti di importanza secondaria, sono invece caratterizzate da interessanti elementi faunistici e geobotanici.
Le torbiere sono maggiormente diffuse alle alte latitudini, poiché sono il freddo e l'umidità che ne favoriscono la formazione. Sono presenti maggiormente nell'Europa settentrionale, in Siberia, in Canada e nell'Alaska, mentre sono meno frequenti nelle aree più calde e nella regione Mediterranea.
Tecnicamente
si parla di torbiere solo se lo spessore del materiale vegetale raggiunge i 30 cm. e il contenuto di acqua è inferiore al 15%.
GENESI DI UNA TORBIERA
Le torbiere si formano in seguito ad un lento processo che ha inizio di solito con l'interramento di uno specchio d'acqua, con l'impaludamento di una zona asciutta oppure da una zona soggetta ad allagamento o ruscellamento saltuario.
La prima fase che porterà alla costituzione di una torbiera è il deposito di sostanze organiche, derivate da materiale vegetale come alghe e piante bentoniche. Le piante sono prevalentemente essenze di tipo igrofilo (muschi, sfagni e graminacee); man mano che lo spessore aumenta, i depositi raggiungono la superficie dell'acqua e questo favorirà la diffusione di essenze prevalenti come gli sfagni. La coltre di sfagni continua a crescere in superficie mentre la parte basale muore, rimanendo indecomposta.
Se nel sottobosco foglie e rami morti sono rapidamente degradati dall'azione di funghi e batteri, nelle torbiere il processo di decomposizione è rallentato, se non bloccato completamente, a causa dell'anossia delle acque. La decomposizione è impedita anche dall’abbondanza di acidi organici prodotti dagli sfagni, come l’acido tannico e lo sfagnolo; l'acidificazione è aumentata anche grazie al rilascio di ioni idrogeno, che gli sfagni stessi producono in abbondanza.
La combinazione di freddo, anossia e ambiente acido impediscono ai batteri di proliferare e di umificare la materia organica. Con il tempo lo strato subsuperficiale si compatta a causa del peso degli strati sovrastanti e dunque viene meno ogni ulteriore processo di degradazione. La vegetazione in superficie invece si rinnova anno dopo anno, per cui l'intero edificio si accresce, sino a raggiungere spessori considerevoli. La torba così formatasi, subisce nel tempo ulteriori cambiamenti. Il progressivo e ulteriore seppellimento, che comporta l'aumento della pressione e della temperatura, trasforma le torbe dapprima in lignite e poi in litantrace (carbon fossile). Quest'ultima, con l'ulteriore aumento della pressione e della temperatura si trasforma in antracite, ovvero nel carbon fossile nero e lucente, con un potere calorifero molto elevato.
Gli sfagni tendono ad espandersi anche orizzontalmente, debordando dai primitivi limiti lacustri e invadendo le zone limitrofe, avanzando come se fossero un ghiacciaio. Si parla in questo caso di sfagneta.
Se in origine la sfagneta nasce da un sistema ricco di acqua, alla fine grazie alle componenti indecomposte, capaci di trattenere enormi quantità di acqua, può svincolarsi dal sistema stesso ed espandersi altrove. A volte, quando il processo di chiusura e interramento del bacino è ancora in atto, è possibile osservare al centro della sfagneta un piccolo laghetto residuale. Esso prende il nome di occhio della torbiera. Conoscendo la velocità di accrescimento annuale della sfagneta e lo spessore della torba, è possibile determinare l'età approssimativa della torbiera stessa.
Qui sopra, lo schema di una tipica torbiera. Credit: S.Strugge, 1965.
CLASSIFICAZIONE DELLE TORBIERE
Generalmente è possibile individuare due tipologie principali di torbiere: la torbiera bassa o torbiera piana, dipendente dalla presenza di uno specchio d'acqua o dalla falda freatica sottostante; la torbiera alta o torbiera ombrigena, svincolata dalle acque di falda e dipendenti dalle precipitazioni meteoriche. Queste ultime torbiere sono quelle tipiche delle basse latitudini europee, ovvero quelle zone dove le precipitazioni sono frequenti e le temperature mai troppo alte, condizioni tipiche, in Italia, di quote medio-elevate dell'Appennino delle Alpi.
Tra queste due tipologie di torbiere esistono poi molti altri esempi di torbiere, dette torbiere di transizione.
Le torbiere basse altrimenti dette torbiere a tappeto o cariceto, sono alimentate sino in superficie da acque freatiche e/o di scorrimento. Se lo scorrimento idrico è superficiale e se sono ubicate su pendii, le torbiere prendono il nome di torbiere soligene, se invece sono localizzate in depressioni del suolo vengono chiamate torbiere topogene. Queste ultime sono spesso eutrofiche.
Le torbiere alte, dette anche torbiere ombrogene o sfagneta, sono quelle in cui la massa organica tende a costituire cuscinetti che si elevano sopra la falda acquifera; il terreno resta inzuppato sino in superficie come una spugna. Sono alimentate normalmente da precipitazioni meteoriche che, essendo prive di nutrimento, determinano una situazione di oligotrofia, alla quale si adattano ben poche specie vegetali, tra cui vari tipi di sfagni. La specie più comune è Sphagnum magellanicum, che spesso si accompagna a Sphagnum fuscum e Sphagnum rubellum. In Italia queste torbiere sono rare e di dimensioni modeste. Tipicamente, sono elevate rispetto al territorio circostante. I fianchi prendono il nome di rand e il solco che le circonda è detto lagg. La superficie, leggermente irregolare, si presenta solcata da canali che finiscono per confluire nel lagg; a volte può esserci un ruscello che lambisce il confine della torbiera. Oltre, è presente una vegetazione a basso fusto e a cespugli, che denota un ambiente diverso da quello oligotrofico e immediatamente confinante con la torbiera. Quest'ultima è priva della vegetazione arborea, il suolo è troppo povero e acido per favorirne lo sviluppo.
Le due principali tipologie di torbiere si differenziano anche per il tipo di vegetazione. Nelle torbiere alte, povere di nutrienti, la vegetazione è limitata a poche specie, mentre quelle che si formano in zone ricche di nutrienti sono caratterizzate da una abbondanza di specie. Alcune di queste torbiere sono particolarmente acide, per cui ospitano una flora specializzata. La disponibilità e il chimismo dei nutrienti, il grado di idratazione del terreno e la natura delle rocce circostanti influenzano notevolmente il tipo di flora delle torbiere. Le specie vegetali più frequenti comunque in questi ambienti sono i carici (Carex spp.).
Le torbiere di transizione o intermedie sono quelle in cui sono presenti entrambe le caratteristiche tipiche delle torbiere alte e delle torbiere basse; gli apporti idrici, la disponibilità dei nutrienti, la loro natura, l'orografia del suolo insieme ad altri innumerevoli fattori, determinano la tipologia della torbiera di transizione. In questi ambienti oltre a varie specie di sfagni, sono presenti anche alcune piante caratteristiche come Rhincospora alba, Carex limosa, Scheuchzeria palustris e la rara pianta insettivora Drosera intermedia. Nei suoli oligotrofici, particolarmente poveri di nutrienti e nei suoli acidi, che limitano l'assunzione dei nutrienti stessi, sono diffuse alcune interessanti specie di piante carnivore specializzate nella cattura di insetti. Queste piante utilizzano le loro vittime esclusivamente come fonti di azoto. Tra queste, la gia citata Drosera intermedia e D. rotundifolia.
GLI SFAGNI
Gli sfagni appartengono all'unico genere Sphagnum che comprende oltre 200 specie di cui 24 presenti anche in Italia. Gli sfagni appartengono al gruppo delle piante non vascolari, caratterizzate dall'assenza di strutture vere e proprie per il trasporto dell'acqua e dei soluti, che avviene per capillarità. Mancano di vere strutture di sostegno, per questo sono in genere minuscoli.
Gli sfagni presentano un fusticino sottilissimo e dei piccoli rizoidi presenti solamente nelle prime fasi di sviluppo della pianta, in seguito, infatti, scompaiono.
Sul fusticino sono collocati sottilissimi ciuffi di rami laterali, alcuni dei quali, detti rami patenti, sono perpendicolari a fusticino stesso mentre altri, detti rami riflessi, sono rivolti verso il basso. Il fusto, privo di strutture di trasporto, presenta al centro un cordone di cellule parenchimatiche circondate da un cilindro lignificato, mentre all’esterno sono presenti strati di cellule morte che nell'insieme costituiscono lo ialoderma. Queste cellule (dette ialocisti) sono vuote, intercomunicanti e a volte aperte verso l'esterno. Assorbono grandi quantità di acqua per capillarità, per cui mantengono inzuppata l'intera sfagneta. L'acqua che assorbono per capillarità grazie alle ialocisti costituisce circa il 25% del peso della piantina.
Sui rami sono presenti foglioline eterogenee ove sono presenti ialocisti e cellule vive dette clorocisti, dotate di cloroplasti. Nel complesso, le ialocisti del fusticino e delle foglioline assorbono grandi quantità di acqua, per cui è largamente compensata l'assenza delle radici.
Gli sfagni si accrescono per molti anni, dopodiché, ad un certo punto, un ramo laterale si accresce più degli altri, divenendo a sua volta un fusticino identico a quello che lo supporta. La parte inferiore muore e la pianta continua ad accrescersi. Tale ciclo si perpetua per decine e centinaia di anni, tanto che alcuni ritengono che la sfagneta sia immortale.
Nella riproduzione sono coinvolte delle strutture che portano i gameti maschili (anteridi) e femminili (archegoni) disclocate all'apice di ogni rosetta. Alla fecondazione, dallo zigote prende origine l'apparato sporifero, il quale racchiude al suo interno diverse spore. A maturità esse vengono espulse e germinano solo se l'apparato sporifero ha instaurato un rapporto di simbiosi con alcuni funghi (per esempio Bryophytomyces). Da esse si sviluppa il protonema, uno stadio filamentoso, che origina un tallo a rizoidi dal quale si accrescerà la nuova piantina.
Tipicamente, gli sfagni crescono bene in acque naturalmente acide, ove il pH sia inferiore a 6.5. Gli stessi sfagni producono acidi organici e dunque tendono a mantenere l’'acidità delle acque; si adattano molto bene ad ambienti oligotrofici o mesotrofici, mentre tendono a soffrire, sino a scomparire, in acque eutrofiche ovvero ricche di nutrienti, lasciando spazio alle piante palustri e di acque dolci.
LA FAUNA DELLE TORBIERE
La fauna delle torbiere è rappresentata da poche specie, peraltro poco appariscenti. Tuttavia un occhio attento noterà subito le peculiarità degli animali, soprattutto invertebrati, che popolano questi ambienti. Gli studi italiani sono decisamente scarsi, mentre abbondano quelli pubblicati in altri paesi (Inghilterra, Belgio, Olanda, paesi del nord Europa), grazie soprattutto al progetto TELMA finanziato dall'UNESCO negli anni '60 del novecento. Gli studi classici italiani sono limitati al nord del paese, mentre alcune pubblicazioni relative alle torbiere del sud italia, a carattere divulgativo, sono recentissime e sino a pochi anni fa era davvero difficile trovare informazioni. Tra queste, ricordiamo un recente testo dedicato alle torbiere della Calabria (vedi bibliografia). Le conoscenze sulle torbiere insulari rimangono ad oggi decisamente scarse.
Le condizioni tipiche di una torbiera sono, come detto, decisamente peculiari. La luce penetra al di sotto della sfagneta per pochi centimetri, mentre la temperatura (nelle giornate estive) varia considerevolmente: si passa da 22-24 °C in superficie a 15 °C a 10 cm. di profondità. Gli sfagni agiscono praticamente come degli isolanti termici, mantenendo costante le temperature al di sotto della superficie.
In superficie vivono diverse alghe fotosintetizzanti (diatomee, desmidiacee ecc..) insieme a comunità di decompositori (batteri e funghi) che sono grandi consumatori di ossigeno. A poche decine di cm. di profondità l'ambiente è anossico e quindi sono assenti i macroinvertebrati.
Lo spazio abitabile cresce con la diminuzione delle dimensioni dell'organismo (struttura frattale dell'habitat), per cui tra gli sfagni abbondano i microscopici protozoi come le amebe tecate, le alghe desmidiacee (Closterium); abbondanti anche le diatomee, le crisoficee e alcuni fitoflagellati. Gli organismi fotosintetici prosperano bene in acque acide poiché l'anidride carbonica libera aumenta al decrescere del pH. Spettacolari, se osservati al microscopio, alcuni protozoi come le tecamebe e gli eliozooi. Tra gli organismi pluricellulari, abbondanti tardigradi, rotiferi e gastrotrichi.
Le idre sono discretamente presenti anche nelle torbiere italiane. Una specie in particolare, la Hydra hadleyi era stata descritta per una torbiera del veneto; si tratta di una specie del nord America mai più rinvenuta in Italia ed è stata eliminata anche dalla cecklist della Fauna d'Italia. Abbondanti i nematodi, anche sul fondo anossico delle sfagnete. I crostacei sono presenti, in Italia, con due singoli gruppi: i copepodi ciclopoidi e i copepodi arpatticoidi.
Tra gli insetti abbondanti le larve di odonati (libellule e damigelle), temibili predatori di altri insetti. In generale, gli insetti delle torbiere sono gli stessi delle acque ferme e delle acque correnti. Efemerotteri e coleotteri prediligono dunque acque diverse da quelle delle torbiere, tuttavia è possibile rinvenire alcuni generi anche tra le acque anossiche della sfagneta. Abbondanti, al contrario, le cimici d'acqua (eterotteri) e alcune specie di coleotteri. Tra gli aracnidi, abbondano gli idracari, tuttavia sono scarsissime le conoscenze su questi animali e del loro complesso ciclo vitale. I Tricotteri sono segnalati solamente ai margini delle torbiere, sotto la superficie dei piccoli rivoli d'acqua. Abbondanti i ditteri, ubiquitari degli ambienti di acqua dolce di qualsiasi tipo; paradossalmente sono stati ben studiati solo i chironomidi e i culicidi.
Rari i molluschi, con l'esclusione di alcuni ambienti meno acidi, dove è possibile trovare piccoli gasteropodi (Lymnaea peregra, Valvata cristata, Gyraulus albus, Bithyniae tentaculata, Galba truncatula) piccoli bivalvi (Pisidium spp., Sphaerium corneum). Più abbondanti le specie di molluschi terrestri. Due specie di molluschi gasteropodi delle torbiere, Nesovitrea hammonis e N. petronella sono due specie definite boreoalpine, ovvero distribuite solamente sull'arco Alpino e nel nord Europa. Si tratta di specie abbondanti negli ambienti periglaciali di 10.000 - 12.000 anni fa e oggi rimaste isolate in habitat frammentatesi dopo la fine dell'era glaciale.
Nel complesso, le specie di invertebrati tirfobionti (strettamente legati alle torbiere) sono molto poche. Le altre specie sono dette tirfofile, ovvero non esclusive della sfagneta e delle torbiere.
Scarse le specie di vertebrati, tra queste ricordiamo alcuni anfibi, in quanto alcune specie provenienti dagli ambienti circostanti, in primavera depongono le loro uova proprio in questi luoghi. Fra questi citiamo il gruppo degli anuri, che comprende i rospi comuni (Bufo bufo), varie specie di rane (Rana latastei, Rana exculenta ecc) mentre, tra il gruppo degli urudeli, ricordiamo le salamandre (Salamandra salamandra) e i tritoni (Triturus cristatus= T. carnifex; T. alpestris). Nelle torbiere ubicate nelle zone alpine è presente la salamandra alpina (Salamandra atra). Tra i rettili le bisce d'acqua (Natrix spp.). Anche gli invertebrati sono presenti numerosi in questi luoghi, in quanto molte specie presentano nel loro ciclo vitale una fase larvale acquatica.
LE TORBIERE IN ITALIA
Nel nostro paese le torbiere si trovano soprattutto nella zona alpina, in genere oltre i 1.000 metri di altezza e solo occasionalmente a quote inferiori. In Lombardia, presso la Riserva Naturale del Paluaccio di Oga, istituita dalla Regione Lombardia con Legge Regionale nel 1983, troviamo le torbiere del pianoro di Paluaccio, che si stagliano alle falde del Monte Masucco. Si tratta di una zona umida e soggetta a ristagno idrico sin dalla fine dell’ultima era glaciale; qui si possono trovare strati di torba di oltre 10 metri, purtroppo mal conservati poiché soggetti a importanti attività antropiche già dai primi del '900. La torba finiva direttamente nella fornace di Bormio per la produzione di calce. Solo la parte meridionale della torbiera è rimasta quasi intatta, con numerosi cumuli tipici della torbiera alta. Quelle del Paluaccio di Oga sono torbiere di transizione, con presenza di numerose cupole a sfagni talora riunite in dossi più ampi, alternate a zone palustri pianeggianti; si trovano anche specie vegetali ormai rare per il progressivo restringersi degli ambienti adatti ad ospitarle, come alcune ericacee di piccola taglia (Andromeda polifolia, Vaccinum microcarpus ed Empetrum nigrum) ed altre piante interessanti quali Drosera rotundifolia, Primula farinosa, Utricularia spp. e Triglochin palustre. Se vi recate al Paluaccio non dimenticate di visitare il Forte Venini edificato tra il 1909 ed il 1912.
Sempre in Lombardia ricordiamo anche le torbe di Pian Gembro (SO), di Torbiate (oggi Torbiato) e di Spinone al Lago, mentre in Trentino ricordiamo quelle del Tonale (TN) e della val di Fiemme, dove possiamo ammirare i bellissimi tabiati di Bellamonte. Non lontano dall'abitato di Dossi possiamo trovare una estesa torbiera alta ben conservata, che ospita anche rarissime specie dell'era glaciale come Andromeda polifolia e Vaccinium microcarpum. Sempre in Trentino, molto importante è la torbiera di Canzenagol, dove vegetano estesi tappeti di Drosera intermedia. In tutto il Trentino sono state censite ben 700 siti a torbiere.
Spostandoci a sud, ricordiamo alcune torbiere alpine come quelle del Lago di Pratignano (MO) e quella a livello del mare di Sibolla e di Massaciuccoli, raro se non unico esempio di torbiera di bassa quota. Più a sud è la Calabria che ospita un gran numero di torbiere, grazie all’altitudine di alcuni suoi massicci (Sila e Aspromonte); in questa regione le torbiere sono dette Sponza.
La Sicilia e la Sardegna ospitano torbiere limitatamente alle Madonie e al monte Limbara rispettivamente.
Per concludere, ricordiamo, nell'alta valle del Volturno, il Pantano della Zittola, una estesa pianura circondata da un anfiteatro naturale ricco di sorgenti (almeno 30) e acquitrini, a poco più di 800 metri sul livello del mare. La zona, una grande torbiera, è davvero bella e merita una vostra visita.
L’ESTRAZIONE DELLA TORBA
Fino ad alcuni anni fa, la torba era utilizzata come combustibile. Ad esempio nel varesotto, a partire dall'anno 1847 vennero ingaggiati centinaia di braccianti chiamati turbatt, per estrarre appunto la torba; ecco come essi agivano: il turbatt appoggiava un asse di legno sulla superficie della torbiera per non sprofondare e, con un particolare attrezzo chiamato luscer, procedeva allo scavo. Questo attrezzo era composto da una pertica di legno, lungo fino a tre metri, che si innestava in una gabbia metallica aperta sul lato anteriore e recante all'estremità inferiore una specie di vomere; veniva usato come fosse una vanga, permettendo l'estrazione di un lungo parallelepipedo di materiale, successivamente tagliato in tre o quattro mattonelle, poste ad asciugare sotto dei cumuli piramidali formati da cannucce di palude. Anche in altre nazioni la torba veniva (e viene ancora) utilizzata a questo scopo; ad esempio in Irlanda è stata utilizzata da generazioni come combustibile domestico, mentre in Russia veniva utilizzata soprattutto come combustibile industriale. Attualmente l'utilizzo della torba come combustibile non è auspicabile, a causa dell'impatto sull'ambiente e perchè è fortemente inquinante. Tuttavia in alcune zone rurali del nord Europa è ancora molto utilizzata.
LE TORBIERE COME ARCHIVI STORICI
Le torbiere rivestono anche una notevole importanza di natura storica e paleontologica. L'ambiente anossico è in grado di preservare la componente organica e non sono rari i manufatti rinvenuti nelle torbiere. In Trentino, nella torbiera di Flavè sono venuti alla luce i resti di un villaggio del 2100 a.C. L'uomo di Tollund (400 a.C.) è stato disseppellito in Danimarca nel 1950; straordinariamente conservato, nel suo stomaco sono stati trovati resti di funghi allucinogeni. L'uomo di Grauballe fu invece rinvenuto nel 1952 e presentava i resti di una corda attorno al collo, probabilmente vittima di una condanna a morte.
Importante anche lo studio palinologico (studio dei pollini fossili) presenti nelle torbiere; grazie ai pollini, sono stati ricostruiti gli ambienti vegetali prossimi alle torbiere stesse. Per esempio in Lombardia, nel Paluaccio, i pollini hanno permesso di stabilire che 10.000 anni fa la zona era completamente boscata. La palinologia permette di ricostruire l’evoluzione della vegetazione in rapporto ai fattori climatici e antropici. Molto interessante lo studio di una lente a torba rinvenuta sotto 5 metri di ghiaia in una cava del veronese (Cà di David); lo studio ha permesso di risalire alle specie arboree di oltre 18000 anni fa, che ricoprivano appunto il nord italia. Si trattava di foreste rade, soprattutto a conifere con qualche traccia di betulla nana e ontano verde.
Nelle torbe abbondano anche frammenti di artropodi, in particolare ostracodi e coleotteri. Questo ha dato vita a quella disciplina denominata entomologia del Quaternario, che si è sviluppata soprattutto in Inghilterra. I frammenti che è possibile rinvenire appartengono soprattutto a specie ancor oggi viventi. Sempre nella cava veronese di Cà di David sono stati trovati numerosi resti di insetti.
CONSIDERAZIONI FINALI
La necessità di mantenere integri ambienti come le torbiere e le sfagnete è i di fondamentale priorità, sia per salvaguardare la biodiversità animale e vegetale, sia per l'importanza storica e di tradizione, di lavoro e di utilità per le popolazioni locali.
Alcune attività didattiche per le scuole, che hanno come oggetto
lo studio e la visita delle torbiere, sono riportate nel bellissimo volumetto Le Torbiere Montane, Relitti di Biodiversità in Acque Acide, curato dal Museo Friulano di Storia Naturale. L'elenco delle specie di invertebrati riportate in questo articolo sono tratte dallo stesso volume che vivamente consigliamo per approfondire la conoscenza di ambienti delicati e in via di rarefazione come le sfagnete e le torbiere.
BIBLIOGRAFIA
- Arthur Jonathan Shaw,Bernard Goffinet. Bryophyte Biology.
- Le Torbiere Montane, Relitti di Biodiversità in Acque Acide, curato dal Museo Friulano di Storia Naturale. Quaderni Habitat n.9.
SITOGRAFIA
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