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Cod Art 0441 | Rev Rev 01 del 03 Apr 2013 | | Data 08 Set 2011 | Autore: Mizzan Luca

 

   

 

TEGNÙE DELL'ALTO ADRIATICO

Da secoli i pescatori delle coste venete conoscono l’esistenza di ristrette zone, sparse a diverse profondità ed in diverse aree, in cui il fondale, normalmente fangoso o sabbioso, si presenta d’un tratto duro e roccioso, in corrispondenza delle quali le reti si impigliavano e spesso si perdevano. Queste aree, denominate localmente proprio per questo tegnùe, dalla translazione dialettale di tenere o trattenere, erano da un lato temute dalla maggioranza dei pescatori per i danni che potevano portare alle loro attrezzature, dall’altro ricercate e i segreti della loro localizzazione gelosamente custoditi da quei rari pescatori che si ingegnavano a pescarvi nei pressi, riuscendo a raccogliere pesce pregiato altrimenti difficilmente rinvenibile nelle nostre acque.
Solo nel 1966 Stefanon dà notizia della scoperta di ristrette aree caratterizzate da fondale roccioso di natura particolare, tanto da denominarle, per analogia a strutture simili presenti nelle acque della California, beachrock (STEFANON, 1966). Lo stesso Stefanon insieme a Mozzi evidenziano nel 1972 la presenza di biotopi a substrati solidi di natura però ancora diversa, essendo chiaramente di origine organogena (frutto cioè di organismi incrostanti costruttori) (STEFANON & MOZZI, 1972).
In realtà l’esistenza di questi biotopi rocciosi, ed addirittura alcune notizie sulla loro natura erano già note non solo ai pescatori, che come abbiamo visto tendevano di norma ad evitarle, ma da quasi due secoli anche a livello accademico. Data infatti l’anno 1792 il basilare lavoro di faunistica adriatica dell’ Abate Giuseppe Olivi dal titolo Zoologia Adriatica in cui il dotto redattore dà notizia di "... elevazione di qualche masso calcareo nudo durissimo, il quale sorge isolato dal fondo molle. Tali eminenze, dette volgarmente Tegnùe, conosciute ed aborrite dai nostri pescatori... ...esistono dirimpetto a Maran, a Caorle, ai Treporti, ... ...soprattutto dirimpetto a Malamocco ed a Chioggia, e dal volgo sono creduti residui di due antiche Città sprofondate per una impetuosa inondazione dal mare"
Il fatto che di questa segnalazione e della stessa loro esistenza venne persa la memoria non è peraltro un fatto nuovo in campo scientifico.

Alla denominazione locale di tegnùe si riconducono oggi genericamente gli affioramenti rocciosi naturali che si distribuiscono in modo discontinuo nell’area occidentale del Golfo di Venezia, in batimetriche comprese fra gli 8 ed i 40 m. Strutture simili, denominate trezze, sono presenti anche nell’area orientale del bacino, nel Golfo di Trieste (CARESSA et al., 2001; GORDINI et al., 2004). Da questi ultimi studi, che hanno individuato centinaia di affioramenti al largo di Grado e di Marano, la distribuzione complessiva di queste strutture rocciose appare interessare l’intero Golfo di Venezia, dalle Foci dell’ Isonzo all’area Nord delle foci del Po. Le aree di maggiore concentrazione si confermano localizzate al largo di Marano, Grado, Cavallino (Treporti) Malamocco e Chioggia, esattamente come riportato oltre due secoli fa dal dotto studioso chioggiotto (OLIVI, 1792).
Le dimensioni possono essere molto diverse, variando dai pochi metri quadri alle diverse migliaia di metri quadri nelle maggiori, con elevazioni dal fondale che passano dai pochi decimetri nelle formazioni basse e tavolari, talora definite “lastrure”, ad alcuni metri in quelle più alte, spesso localizzate a maggiore profondità.
Numerosi studi geologici hanno permesso una tipizzazione degli affioramenti sotto il profilo morfologico e strutturale riconducendole essenzialmente a tre diverse tipologie:

Spesso le diverse tipologie coesistono, in diversi casi le formazioni organogene possono svilupparsi sopra strutture di natura sedimentaria, ricoprendole con strati di spessore variabile, allo stesso modo in cui possono colonizzare substrati artificiali di origine antropica.
In ogni caso le strutture organogene sono costituite essenzialmente da alghe calcaree, briozoi, serpulidi e cnidari incrostanti. L’importanza ai fini costruttivi della frazione vegetale su quella animale è molto variabile e soggetta essenzialmente a fattori di luminosità, ovvero legati alla profondità ed alla torbidità delle acque.
Data la morfologia molto irregolare, le superfici ricchissime di microanfratti e rugosità, l’origine biologica e la caratteristica elevata diversità specifica queste strutture sono spesso denominate reefs e confrontate con le strutture coralline dei mari tropicali, che tuttavia derivano dall’azione di organismi ermatipici che necessitano acque calde e limpide, mentre le nostre tegnùe data la locale torbidità delle acque non dipendono sostanzialmente sotto il profilo trofico da processi fotosintetici a livello bentonico. L’elevata torbidità dovuta alla grande quantità di materiale in sospensione se da un lato riduce la luminosità al fondale, dall’altro costituisce un inesauribile fonte di nutrimento per filtratori e detritivori, che costituiscono infatti l’elemento dominante, anche quantitativamente, in queste comunità.

Distribuite da meno di un miglio dalla costa a oltre il limite delle acque territoriali e a profondità tanto diverse le condizioni ambientali risultano altrettanto variabili e si sommano alla già evidenziata eterogenità morfologica e strutturale degli affioramenti. Si sviluppano così comunità diversificate sia fra i diversi siti sia all’interno degli stessi biotopi in un mosaico di microambienti che rende piuttosto complesso lo studio e la comparazione delle comunità presenti. La già citata peculiarità ambientale dell’Alto Adriatico e del Golfo di Venezia in particolare, con i caratteri di subatlantismo precedentemente delineati, concorrono a rendere peculiari i popolamenti di questi affioramenti, simili ma non sovrapponibili con altre comunità affini di substrato duro del Mediterraneo.
Queste comunità, in base alla diversa localizzazione dei biotopi, sono infatti riconducibili a biocenosi appartenenti sia al piano Infralitorale che a quello Circalitorale, con molte entità sciafile, ma con la contemporanea presenza anche di specie fotofile. Tuttavia, come evidenziato già in precedenza (MIZZAN, 1992) e confermato dai risultati di questa ricerca, anche nei fenomeni di biocostruzione in questi biotopi l’apporto della componente vegetale appare molto limitato in relazione a quello determinato dalla componente zoologica, differenziandosi sensibilmente in questo senso dal coralligeno di cui presenta, comunque, numerose specie caratteristiche.
Molti affioramenti, in particolare quelli di maggiori dimensioni, sono circondati da una cintura di detrito grossolano, di ampiezza variabile fino a diversi metri, accumulato dall’azione delle correnti, caratterizzata da comunità principalmente afferibili al Detritico Costiero. Non è escluso che piccoli affioramenti possano addirittura derivare da fenomeni di bioconcrezione innescatisi su grandi accumuli di detrito depositatisi negli avvallamenti fra dune fossili, come osservato al largo di Jesolo (MAGISTRATO ALLE ACQUE, 2006) o determinati, almeno in passato, dalla presenza di popolazioni particolarmente dense di Pinna nobilis. Quest’ultimo caso, già ipotizzato da Newton e Stefanon è stato verificato direttamente dallo scrivente alla fine degli anni ‘80 in alcune cosiddette tartufere al largo del Cavallino, strutture caratterizzate da detrito consolidato in piccole macchie di organogeno disposte irregolarmente su un ampia area di spesso detrito conchiglifero. Nell’area diverse centinaia di esemplari di Pinna nobilis sporgevano dal fondale per oltre 30/40 cm determinando l’accumulo di un grossolano detrito conchiglifero, ricco di organismi incrostanti, ampiamente colonizzato dal pregiato tartufo di mare Venus verrucosa. Per questa peculiarità tali aree sono state soggette negli anni immediatamente successivi ad un intensa pesca con turbosoffianti e probabilmente pesantemente impattate.
Gli studi condotti negli ultimi anni sull’aspetto biologico delle tegnùe, da Caorle a Chioggia, sia pure di norma relativi a singole aree, hanno comunque permesso di delineare le caratteristiche principali delle comunità presenti nel loro complesso e molti aspetti della loro ecologia.

Scritto da Luca Mizzan, Museo di Storia Naturale di Venezia

Articolo segnalato da Giampiero Costantini e tratto dal testo Le tegnùe dell’Alto Adriatico: valorizzazione della risorsa marina attraverso lo studio di aree di pregio ambientale.

BIBLIOGRAFIA