ITALIA E CROAZIA: MISURE CONTRO LA PESCA A STRASCICO (ILLEGALE)
[01 ottobre 2015]
La pesca a strascico, particolarmente distruttiva per gli ecosistemi dei fondali marini, è vietata nell’area della Fossa di Pomo (Adriatico centrale) dal 1998, quando parte della Fossa venne designata come Zona di tutela biologica; da allora però la mancanza di regolamenti attuativi e la difficoltà di far applicare lo stesso divieto anche alla flotta croata, hanno di fatto vanificato la norma, consentendo che le attività illegali di pesca a strascico continuassero indisturbate.
Da alcuni giorni qualcosa è finalmente cambiato. I governi di Italia e Croazia hanno adottato delle misure aggiuntive per impedire la pesca a strascico e preservare un'area importante per la sua biodiversità marina e per la ricostituzione degli stock.
Dopo il fermo biologico del 2015 e la riapertura della pesca a strascico per i pescherecci iscritti nei compartimenti marittimi da Pesaro a Bari, gli stock di merluzzo e di scampi dell'Adriatico centrale, decimati da decenni di pesca eccessiva avranno un'importante tutela in più.
"L'adesione della Croazia all'Unione Europea nel luglio 2013 ha consentito di superare questi ostacoli e di giungere oggi ad un importante risultato, cui va dato atto sia alla stessa Croazia che all'Italia", dichiarano Greenpeace, Legambiente, Marevivo, MedReAct e Wwf. "Accogliamo con favore le nuove misure di tutela della Fossa di Pomo e ci aspettiamo controlli severi da parte delle Capitanerie, per evitare il perdurare della pesca illegale. Proteggere la Fossa di Pomo dovrebbe essere un interesse primario dei pescatori, considerando che al suo interno si trovano le più importanti area di riproduzione dell'Adriatico di specie ittiche ad alto valore commerciale".
Secondo le valutazioni della Commissione Europea, gli stock del Mediterraneo sono i più soggetti alla pesca eccessiva di tutta l'UE. Nell'Adriatico centro-settentrionale, una delle zone più importanti per il settore della pesca nazionale, lo sforzo di pesca sugli stock di nasello è più che triplo rispetto alla soglia di sostenibilità. Per rientrare entro il 2020 nei parametri richiesti dalla Politica Comune della Pesca Europea, occorrerebbe una riduzione dello sforzo di pesca di oltre il 70% rispetto ai valori attuali.
L’istituzione di Zone di tutela biologiche, ovvero di aree chiuse alle attività di pesca più impattanti, costituisce uno strumento fondamentale per tutelare e recuperare gli ecosistemi marini, anche in acque internazionali dove fino ad oggi sono mancate serie iniziative di tutela e conservazione.
"Il nostro auspicio è che anche il settore della pesca si renda finalmente conto della necessità di ripopolare il mare e allo stesso tempo la smetta di continuare a difendere un modus operandi che sta solamente svuotando i nostri mari, a causa di una visione miope, finalizzata solo al profitto a breve o brevissimo termine", concludono le associazioni ambientaliste. Fonte: GreenReport.
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