CLIMA, CONFERENZA DI DURBAN. INTERVISTA AL CLIMATOLOGO SCHELLNHUBER
Il professor Hans Joachim Schellnhuber, è uno stimato esperto di clima, già consulente del Governo tedesco presso l'ONU e poi del presidente della Commissione Europea, J.M.Barroso. La sua è la visione di un mondo post-fossile, rifondato attraverso industrie e consumi improntati alla sostenibilità ecologica; è convinto che ciò che dura e preserva l'ambiente s'imporrà anche economicamente, mentre tutto ciò che minaccia la stabilità, come il carbone o il petrolio, dovrà scomparire. Ma la sua filosofia non si è affermata a Durban. Nell'intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il climatologo sostiene che a Durban è nata un'alleanza tra Europa e Africa; essa prefigura un 'subuniverso' politico capace di salvare il Pianeta.
D.Frankfurter A.Z.: Lei ha vissuto Durban in prima persona; è riuscito ad appassionarsi e a sperare in un risultato concreto anche alla fine, quando già era tornato a Potsdam?
R.Hans Joachim Schellnhuber: Sì, ho seguito le trattative per tutta la notte in diretta video via web e al telefono. In realtà è stata una conferenza più emozionante del previsto -più nel suo svolgimento, meno come risultato.
D. Qual è stato il fattore decisivo?
R. Molti partecipanti hanno assunto un nuovo ruolo. Il presunto fronte unitario formato da Stati emergenti e in via di sviluppo è quasi crollato. La Cina non parla più a nome dei Paesi poveri e quest'ultimi si sono aggregati all'Europa. Il mondo si sta riposizionando in base ai quesiti dell'ambiente e della sostenibilità. Forse c'è più sincerità.
D. Significa che la divisione Nord-Sud non esiste più?
R. Almeno non nelle trattative sul clima. Ora il mondo è trasversale. Ci sono Paesi che pensano a lungo termine e responsabilmente, contro altri che antepongono l'interesse nazionale di breve respiro e scelgono di continuare come finora, sia per una posizione dettata dall'iperconsumo come negli Stati Uniti, sia per il lamento postcoloniale, come in India, purtroppo. La posizione della Cina, sebbene oggi molti siano delusi da Pechino, non è ancora definita. Il Paese ha le potenzialità per divenire fautore di speranza nella politica climatica internazionale, visto che al proprio interno sta affrontando alcuni aspetti quali l'introduzione di un sistema di compravendita di emissioni.
D. Pensa che la mappa mondiale della tutela del clima sia cambiata?
R. Sì, si è formata una chiara alleanza Europa/Africa. Ora c'è un segmento della Terra che va dal Circolo Polare Artico all'Antartico, che contiene una parte di tutto ciò che serve alla trasformazione. È un nuovo subuniverso, già di per sè capace di dare un'altra piega. L'Africa è importante poiché lì c'è l'esplosione demografica - non più in Asia. E ci sono alleati come l'Australia e alcuni Stati latinoamericani. Soprattutto mi ha impressionato il Sudafrica. I miei colloqui con il Presidente Jacob Zuma hanno mostrato che il Sudafrica è estremamente aperto, tra l'altro proprio nella scienza. Esso possiede un terzo delle riserve globali di quasi tutti i minerali importanti, quindi è uno dei Paesi potenzialmente più ricchi del mondo.
D. E gli europei hanno dato una spinta?
R. Se non ci fossero gli europei, nessuno si occuperebbe più di accordi sul clima. La svolta c'è stata quando gli europei si sono impuntati e hanno detto con chiarezza che quel che c'era sul tavolo delle trattative non bastava. A quel punto la maggioranza dei Paesi si è allineata, contrapponendosi alle grandi potenze Usa e Cina.
D. Dopo Copenhagen e prima di Durban si è verificata un'assoluta perdita di fiducia. È tornata?
R. In parte. Ora c'è di nuovo speranza -non di più, ma neanche di meno. Copenhagen è stata una tremenda delusione poiché coloro che si erano proposti come i più responsabili, gli europei, furono presi in giro. Molti Paesi si accorsero che il loro miglior avvocato veniva praticamente escluso dal processo. Quale possibilità abbiamo d'avere un giudizio equo senza l'avvocato? -si sono poi chiesti. A Durban l'Europa è tornata sulla scena mondiale alla grande. Connie Hedegaard, commissaria Europea per il Clima, di solito molto conciliante, ha lottato strenuamente.
D. Un passo avanti diplomatico, ma il conflitto è rimasto?
R. Ci sono Paesi come l'India che sono ripiombati nella vecchia politica, però si sono formate nuove alleanze che dovrebbero durare nei prossimi mesi e anni. Gli Stati africani hanno aderito alla filosofia degli europei.
D. Durban è stata dunque una sorta di ripartenza?
R. Un tono nuovo; è tornato il rispetto. Si potrebbero fare due titoli: "Progressi nel trattato sul clima" oppure - e sarebbe quello negativo - "licenza di non fare nulla nel prossimo decennio". Sarebbero veri ambedue. Intanto è stata creata una piattaforma per un nuovo accordo sul clima. Ma il punto debole è doppio. Non è chiaro quanto ci sia di quantitativo nel trattato; potrebbe essere che l'accordo sia fatto in modo che ognuno possa aderirvi con una mela o con un uovo, ossia senza una vera riduzione di emissioni di gas serra. Inoltre, il 2020 è troppo lontano. Il treno potrà anche mettersi in moto nel 2020, ma forse a quel punto non esisterà più l'obiettivo. L'intento recita: Limitare il riscaldamento globale di un massimo di 2 gradi rispetto al livello preindustriale. Ironicamente si può dire: Si fa partire un treno che non porta da nessuna parte.
D. Siamo almeno più vicini alla stabilizzazione del clima?
R. Non credo. Il trattato resta un argomento di dibattito, ma il treno del clima è partito troppo lentamente. La mia speranza è che nel frattempo quello dell'energia sia più veloce, intendo lo sviluppo delle energie rinnovabili e il miglioramento dell'efficienza energetica. Alla fine, la stabilizzazione potrebbe realizzarsi non con il protocollo sul clima, ma con la trasformazione della società industriale. Ci sono già oggi molte iniziative di questo tipo in vari Paesi, anche in Sudafrica, dove finora le fonti rinnovabili erano a zero. Può essere che la rivoluzione avvenga ai margini dei colloqui sul clima. Paesi come l'India constaterebbero che è fattibile. Bisognerebbe che si formassero coalizioni di volenterosi che procedessero anche se gli altri fossero ancora fermi ai blocchi di partenza.
D. Abbiamo fatto un passettino per avvicinarci all'obiettivo dei due gradi richiesto dagli scienziati?
R. All'obiettivo dei due gradi si può certo attribuire una base scientifica, ma la richiesta viene dagli Stati che se lo sono dato. Di recente c'è stata una dubbia pubblicazione sulla sensibilità climatica, il cui assunto è che il clima probabilmente non è poi tanto sensibile alle emissioni dei gas serra. Ne sarei felice, ma dubito che sia così. Se partiamo da una sensibilità climatica realistica, ossia di un riscaldamento globale tra i due o tre gradi a fronte del raddoppio di diossido di carbonio, avremo la possibilità di mantenere la linea dei due gradi se il picco di emissioni verrà raggiunto prima del 2020.
D. Ma è una cosa del tutto irrealistica.
R. Se il protocollo del clima si mette in moto solo nel 2020 o dopo, certamente la curva non potrà più essere rivolta al basso in tempo utile. Occorre perciò che, nel frattempo, si intervenga su qualcos'altro, ad esempio le energie rinnovabili. Già solo la Federazione Russa potrebbe risparmiare un'incredibile quantità di gas serra con misure di risparmio energetico. Se seguiamo l'attuale calendario, il picco delle emissioni si avrà piuttosto verso il 2030. Ma è chiaro che anche al di qua di questa linea ogni grado ha il suo peso, anzi ogni decimo. Tre gradi di riscaldamento sono più rischiosi di due, ma quattro lo sono in modo dirompente. Il problema è che gli effetti del riscaldamento si presenteranno non più lineari, ma a sbalzi. Prima o poi raggiungeremo il punto di svolta e il sistema climatico muterà drasticamente.
D. Chi può avere fiducia in un processo privo di sanzioni per gli Stati inadempienti?
R. Le Nazioni Unite scrivono la sceneggiatura di un sogno comune, ma la sua traduzione pratica spetta agli Stati. Dobbiamo far sì che gli attori siano consapevoli delle loro responsabilità.
Intervista tratta dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung. Traduzione di Rosa a Marca. Fonte: ADUC.
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