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Cod Art 227b | Rev 00 | Data 15 Nov 09 | Autore Castronuovo M. Nicola

GLI ANTICHI NAVIGATORI ALLA SCOPERTA DI NUOVE TERRE - seconda parte -

Un'avventura affascinante e allo stesso tempo pericolosa. Proviamo ad immaginare come all’epoca e con la tecnologia nautica acquisita si potevano svolgere queste esplorazioni.

Foto1La svolta avviene finalmente nel 1483, quando il Re del Portogallo Giovanni II, riceve una lettera da un navigatore genovese, Cristoforo Colombo. Egli chiese una flotta di navi per andare alla ricerca della “rotta per le Indie Occidentale”. Colombo navigava da anni sulle navi portoghesi, era giunto il momento di dare gloria a se stesso e al Portogallo. Aveva letto e riletto Il Milione di Marco Polo, ed era stato stregato dalla mappa di un grande geografo fiorentino, Paolo Toscanelli, quest’ultimo sosteneva che essendo la terra rotonda, si potevano raggiungere le Indie senza circumnavigare l’Africa, ma attraversando in linea retta e in direzione Ovest il Mare Tenebroso. Colombo promise enormi ricchezze, la conquista di nuovi territori e la conversione degli abitanti al cristianesimo. Ma fece un errore. Egli sosteneva infatti che la Terra avesse un diametro più piccolo di quello effettivo e che il continente euroasiatico fosse più esteso di quanto non sia in realtà: la composizione di questi due errori, originati rispettivamente da Toscanelli e Marco Polo, aveva come effetto la convinzione, nei fatti infondata, di poter compiere la traversata dall'Europa all'Asia. A quell'epoca, in effetti, nessuna nave sarebbe stata in grado di compiere gli oltre 20.000 km che separano la Spagna dal Giappone, se non altro perché non esisteva nave capace di stoccare a bordo un quantitativo di provviste sufficienti al compimento del viaggio, che avrebbe richiesto - in condizioni ottimali - più di quattro mesi. I calcoli di Colombo erano sbagliati, mentre quelli dei suoi avversari erano sostanzialmente corretti: Colombo stimava in appena 4400 km la distanza dalle Isole Canarie alla costa asiatica e 40 giorni di navigazione, un valore cinque volte più piccolo di quello reale in termini di distanza e 4 volte più piccolo in trmini di tempo. . La grande fortuna di Colombo fu che il suo viaggio venne di molto ridotto, perché sulla strada per le Indie trovò le Americhe, altrimenti la sua spedizione sarebbe sicuramente perita in mezzo all'oceano, o sarebbe tornata indietro. Per giunta i Dotti di Coìmbra bocciarono il progetto. Dopo numerosi tentativi, e dopo ben nove anni, Colombo finalmente ottenne una piccola flotta di navi (due caravelle) dai Re di Spagna, Ferdinando e Isabella. Era il 1492, cinque anni prima del completamento portoghese della rotta orientale. I Re di Spagna, furono convinti da questa proposta anche per motivi religiosi e non solo economici, e non ultimo quello di battere il Portogallo nell’impresa negata a Colombo, proprio dagli ingombranti vicini. Osserviamo l’errore di valutazione che fece Colombo nell’intraprendere questa impresa e che si è rivelata importantissima per l’intero mondo sotto molteplici aspetti.

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Colombo pensava di raggiungere le Indie dalla Spagna in linea retta verso ovest, e non calcola che in quella direzione non poteva trovare le Indie, ma l’America che allora non era conosciuta, in realtà le Indie sono distanti 16000 km, e valuta in soli 4000 km la distanza per raggiungerle. La realtà geografica dell’epoca descriveva un’Europa che ad ovest aveva solo le Indie.

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Come sappiamo Cristoforo Colombo approderà nel nuovo mondo e nello stesso periodo, termina la “ Reconquista” da parte dell’Emirato Arabo di Granada, che ha visto 500 anni di guerre nella Penisola Iberica.

Foto5Colombo approda nel nuovo mondo, in una delle isole Bahamas e nel nome dei reali di Spagna si appropria delle Indie (erroneamente, in realtà approda negli attuali Caraibi) per questo i nativi del luogo furono chiamati Indios. Continuarono le esplorazioni che fecero approdare in seguito Colombo in un Isola che i nativi chiamavano Cuba, scambiandola per il Giappone. Colombo credeva di essere ormai vicino alla Cina, ed inviò un emissario nella foresta con una lettera per il Gran Khan! In seguito il navigatore fiorentino Amerigo Vespucci, capì che quelle terre non erano le Indie, esplorando il Sud America per conto del Portogallo, nel 1507 usò per primo l’espressione “ Nuovo mondo”. Grazie al talento di Vespucci, un cartografo e geografo tedesco battezzò “America” quel continente, togliendo il privilegio al suo scopritore di darle il nome “ Colombia”. Come sappiamo uno stato del sud america sarà poi chiamato Colombia. Vasco da Gama, ( e non de Gama ) arriva in India con la “rotta orientale”, compiendo l’impresa nel 1497, doppiando il Capo, e attraversando l’Oceano Indiano arrivò a Calicut nell’India sud-occidentale. La prova che la terra fosse rotonda, la si ebbe nel 1521, quando Antonio Pigafetta, secondo ufficiale di Ferdinando Magellano, doppiò lo stretto “Magellano” dopo una battaglia con i terribili venti che flagellavano quel tratto di mare, e dopo aver scoperto che dall’altra parte vi era un mare così calmo da essere chiamato Oceano Pacifico. Proseguì, dopo la morte di Magellano ad opera di indigeni nelle Filippine, fino alla meta assegnata, le Isole Molucche, dove incontrò altri portoghesi che vi erano arrivati dalla parte opposta seguendo la rotta orientale. Durante questa spedizione si fecero una serie di scoperte di nuovi animali come i pinguini, i marinai si nutrirono per giunta dei poveri animali, asserendo che la carne era buona come quella delle oche.

Prendiamo come esempio una Caravella per capire come si poteva navigare in quell' epoca, e scopriamo con la  testimonianza di un marinaio italiano, Antonio Pigafetta, che accompagnò Magellano nella sua impresa e che ci svela con un suo scritto nel diario di bordo le difficoltà immani che dovevano  sopportare i marinai nel primo viaggio intorno al mondo.

Foto6Antonio Pigafetta, secondo ufficiale scrive: Mercoledì 28 novembre 1520 abbiamo oltrepassato lo Stretto (di Magellano) e siamo entrati nell’Oceano Pacifico. Sono trascorsi tre mesi e venti giorni dalla nostra partenza e da allora siamo senza cibi freschi. Mangiamo gallette che non sono più gallette ma una polvere infestata di insetti e appestata da urina di topo. Beviamo acqua giallastra completamente putrida. A volte ci siamo ridotti persino a mangiare le strisce di pelle che ricoprivano il pennone di maestra, ma erano diventate talmente dure a causa del sole, della pioggia e del vento che abbiamo dovuto tenerle a mollo nel mare quattro o cinque giorni. Poi le abbiamo rosolate per qualche tempo sulla brace, ed è così che le abbiamo mangiate. Alcuni marinai, diventati cacciatori, vendevano topi al prezzo di mezzo Ducato l’uno, ma dopo un po’ anche i topi sono finiti.

Antonio Pigafetta dunque, dovette subire diverse problematiche, per esempio l’alimentazione, ma anche le difficoltà nel dover vivere su di una nave di quelle dimensioni. L'abitudine al continuo rollio della stessa, il mal di mare che non permetteva nemmeno il tentativo di scendere, a meno di essere tacciati come disertori. L’acqua dolce insufficiente era utilizzata e razionata solo per bere, lavarsi era quasi impossibile se non con acqua di mare, ma dopo poco tempo la pelle si seccava e diventava bianca, per la salsedine, spaccandosi e formando piaghe. Gli ambienti angusti della coperta, luogo dove i marinai erano soliti riposare, avevano un odore pestilenziale, per via delle acque di scolo che affluivano nella sentina, lasciando l’aria irrespirabile. Gli alimenti razionati, consistevano in gallette secche, olio, vino, fave secche, pesce salato, carne secca, riso, aglio, barili d’acqua. Le malattie dopo qualche giorno dalla partenza, erano frequenti, in particolar modo lo scorbuto causato dalla mancanza a bordo di frutta e verdure fresche, importanti per le vitamine. Occorreva fare i conti poi con le tempeste e con il mare calmo che abbinato alla “calma di vento”, teneva la nave prigioniera a lungo, in un tratto di mare senza poter progredire, creando tensioni fra i membri dell’equipaggio. La lunga permanenza in mare aperto poteva creare danni psicologici per i marinai, con un senso di smarrimento e di impotenza angoscianti. Tutti particolari che ci aiutano a capire come fosse difficile la vita dell’epoca per un marinaio.

Alcune di queste difficoltà si possono incontrare ancora oggi, se si affronta una lunga navigazione, con una nave più moderna e per giunta con l’ausilio delle sole vele. La cosa stupefacente per l’epoca era in ogni caso la tecnologia disponibile, le imbarcazioni pesanti di solo legno, munite di velature altrettanto pesanti e forse poco resistenti alle tempeste che si incontravano in Oceano aperto, non contribuisce certo a sminuire il valore vero che questi uomini avevano, l’arte della navigazione moderna nasce in questi anni, e forse ancora prima, se pensiamo ai navigatori che popolavano isole e arcipelaghi ancora sconosciuti e che sapevano affrontare il mare con i segreti e le astuzie che solo pochi possiedono ancora oggi, doti che occorre avere per sopravvivere ed esplorare terre lontane.

La Caravella di Colombo era lunga circa 25 m e larga 7 m. La velatura quadrata, prendeva il vento meglio di qualsiasi velatura triangolare, rendendo molto veloce una caravella con il vento in poppa, ma erano difficili da manovrare e non consentivano di sfruttare il vento contrario. La vela triangolare, era più piccola, ma poteva essere orientata per sfruttare anche il vento contrario, compensando la scarsa manovrabilità delle vele quadrate.
Il Cassero era il castello di poppa, di solito vi trovava posto la cabina del comandante.
Il castello di prua, era il posto dove si trovavano gli alberi con la vela di trinchetto e della civada, le vele utilizzate nelle manovre. La bombarda era un cannoncino utilizzato per la difesa, nel XV secolo non era ancora distinta la differenza fra una nave militare da una commerciale o da trasporto, quindi una nave da trasporto poteva essere utilizzata ed equipaggiata per la battaglia. La stiva si trovava sotto il pavimento della caravella in posizione centrale, e serviva per contenere le botti che a loro volta contenevano i viveri e l’acqua dolce, e una parte della stiva serviva da ricovero per l’equipaggio. Il timone si trovava sotto il cassero, al coperto dalle intemperie e in grado di manovrare con qualsiasi condizione meteo.

La Caravella dunque è il simbolo della moderna navigazione a dispetto delle più obsolete Galee che si utilizzavano in Mediterraneo e che dovevano essere spinte dalle braccia di diversi rematori.

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